Tribunale di Taranto, Sez. Lav., 27 novembre 2013 - Demansionamento e risarcimento del danno


 

 

REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
Tribunale di Taranto

sezione lavoro
Il giudice dott. Giovanni De Palma, all'esito della discussione orale tenutasi all'udienza del 27 novembre 2013, ha pronunziato la seguente
SENTENZA


Ai sensi dell'art. 281 sexies c.p.c, nella causa di lavoro tra:
A.F., rappresentato e difeso dall'avvocato Massimiliano Del Vecchio
ricorrente e
ILVA S.p.A., in persona del legale rappresentante in carica. rappresentata e difesa dall'avvocato Enrico Claudio Schiavone;
resistente
oggetto: demansionamento e risarcimento del danno

FattoDiritto


Con ricorso depositato il 6.6.2008, A.F., dipendente della società convenuta dal 26.2.97 al 30.10.07, inquadrato nel IV livello del CCNL metalmeccanica e con mansioni di operatore siderurgico addetto Impianti Marittimi, assumendo di essere stato adibito a mansioni corrispondenti all'inferiore I livello di detto CCNL (in particolare, ha dedotto di essere stato verbalmente comandato a svolgere le mansioni di "addetto alla raccolta manuale di bottiglie ed immondizia", a far data dal 31.10.2007 e sino al 31.1.2008, nonché, successivamente, quelle di "raccolta di rami e foglie secche'- e di aver invano rivendicato, con lettera del 25.1.2008, la adibizione a mansioni confacenti con il proprio inquadramento contrattuale), ha chiesto al giudice del lavoro adito la condanna della resistente al risarcimento del danno da demansionamento, quantificato in euro 25.000,00, quale danno derivato alla professionalità, nonché al risarcimento del danno esistenziale conseguitone. anch'esso quantificalo in euro 25.000,00, oltre accessori di legge e con vittoria di spese.
Costituitasi la resistente ha eccepito in via preliminare la nullità dell'atto introduttivo ed ha concluso, nel merito, per il rigetto del ricorso (sul rilievo che il ricorrente, precedentemente impiegato quale "addetto spedizione" presso il reparto Magazzino/Tubificio, fu inserito nel reparto "movimento ferroviario" per occuparsi della bonifica delle aree limitrofe ai binari, sulla base di una soluzione concordata ed al fine di preservarne l'integrità fisica - già minata da alcuni infortuni sul lavoro e da periodi di malattia - e, dal 25.1.2008 in poi, fu impiegato quale addetto al verde presso l'area piazzale).
La causa è stata istruita, mediante l'acquisizione di documenti e con l'escussione di numerosi testimoni.
All'odierna udienza, il giudice ha invitato le parti alla discussione orale ed all'esito ha pronunziato sentenza con contestuale motivazione.
Preliminarmente va disattesa l'eccezione di nullità dell'atto introduttivo proposta da parte resistente, giacché lo stesso atto introduttivo contiene una esaustiva determinazione degli elementi di fatto e di diritto posti a fondamento della domanda, che consente una precisa individuazione della pretesa attorea e. di riflesso, l'apprestamento di una compiuta difesa da parte della convenuta.
In punto di fatto, dalle risultanze della istruttoria espletata è risultato come l'A.F., sino ad allora impiegato nell'attività di spedizione (dato non in contestazione e, comunque, suffragato dalle dichiarazioni testimoniali di A.N. e S.M.), a seguito di un colloquio intercorso con P.C., addetto alla gestione del personale, e C.F., nel cui ambito del quale si discussero i problemi personali di salute del ricorrente e si cercò di individuare una "soluzione adeguata", che contemperasse le esigenze di salute del dipendente con quelle dell'azienda (vds. testimonianze dello stesso P.C. e di S.M.), fu adibito a nuove mansioni dal 31.10.2007.
Più in particolare, dal convincente contributo di conoscenza offerto da F.M., all'epoca dei fatti impiegato, al pari del ricorrente, presso il reparto MOF, traspare come l'A.F. dal mese di novembre 2007 alla prima decade del mese di gennaio successivo, fu impiegato nelle operazioni di bonifica delle aree limitrofi ai binari, con il precipuo compito di rimuovere bottiglie, carte, rami e tutto ciò che poteva costituire intralcio al passaggio dei convogli, aggiungendo che "tale raccolta avveniva manualmente con dei guanti di dotazione". Quanto al periodo immediatamente successivo, dalle concordanti dichiarazioni rese sul punto da N.G. e da S.P., peraltro del tutto sovrapponibili con la ricostruzione dei fatti offerta in sede di interrogatorio formale dallo stesso A.F., è risultato come quest'ultimo si occupò della manutenzione degli alberi e del verde, in particolare adoperandosi nel taglio dell'erba (anche a mezzo di decespugliatore) e raccogliendo manualmente rami e foglie.
Tanto premesso, appare del tutto evidente come le mansioni, in concreto svolte dall'A.F. dal 31.10.2007 in avanti, concretandosi in semplici attività manuali, in massima parte scollegate dal processo produttivo e tali da non richiedere alcun tipo di conoscenza professionale, non siano in alcun modo assimilabili a quelle proprie del profilo di inquadramento, ove si consideri che - al pari dello stesso A.F. - appartengono alla quarta categoria del CCNL di riferimento "I lavoratori qualificati che svolgono attività per l'esecuzione delle quali si richiedono: cognizioni tecnico-pratiche inerenti alla tecnologia del lavoro o alla interpretazione del disegno, conseguite in istituti professionali o mediante istruzione equivalente, ovvero particolari capacità o abilità conseguite mediante il necessario tirocinio. Tali lavoratori devono compiere con perizia i lavori loro affidati inerenti alla propria specialità e richiedenti le caratteristiche professionali sopra indicate; i lavoratori che, senza possedere il requisito di cui all'alinea seguente, guidano e controllano con apporto di competenza tecnico-pratica un gruppo di lavoratori di altri lavoratori, ma senza iniziativa per la condotta ed il risultato delle lavorazioni; i lavoratori che, con specifica collaborazione, svolgono attività di semplice coordinamento e controllo di carattere tecnico o amministrativo o attività esecutive di particolare rilievo rispetto a quelle previste per la categoria precedente''.
In buona sostanza, resta comprovata la violazione dell'art. 2103 cc, secondo cui il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito o a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione.
A tale proposito è opportuno ricordare che la norma inderogabile di cui all'art. 2103 cc. è intesa a salvaguardare il diritto del lavoratore alla utilizzazione, al perfezionamento ed all'accrescimento del proprio corredo di nozioni di esperienza e di perizia acquisite nella fase pregressa del rapporto ed a impedire, conseguentemente, che le nuove mansioni determinino una perdita delle potenzialità professionali acquisite o affinate sino a quel momento o che. per altro verso, comportino una sottoutilizzazione del patrimonio professionale del lavoratore, dovendosi avere riguardo non solo alla natura intrinseca delle attività esplicate dal lavoratore, ma anche al grado di autonomia e di discrezionalità nel loro esercizio, nonché alla posizione del dipendente nel contesto dell'organizzazione aziendale del lavoro
In ragione della salvaguardia di questo patrimonio di professionalità, assicurata dall'art. 2103 cc, il datore di lavoro non può, dunque, assegnare al lavoratore mansioni diverse da quelle di assunzione ed, in caso di intervenuta mobilità verticale, diverse dalle ultime espletate che compromettano onesta professionalità anche se le mansioni svolte e quelle di nuova assegnazione rientrino in ipotesi nella stessa qualifica contrattuale. Ha più volte affermato la giurisprudenza della Suprema Corte (ex plurimis Cass. n. 425 del 12 gennaio 2006, n. 7453 del 12 aprile 2005, n. 7351 del 11 aprile 2005, n. 6326 del 23 marzo 2005, n. 19836 del 4 ottobre 2004) che la equivalenza tra le nuove mansioni e quelle precedenti - che legittima lo jus variandi del datore di lavoro - deve essere intesa non solo nel senso di pari valore professionale delle mansioni. considerate nella loro oggettività, ma anche come attitudine delle nuove mansioni a consentire la piena utilizzazione o anche l'arricchimento del patrimonio professionale dal lavoratore acquisito nella pregressa fase del rapporto. Ed ha poi precisato la medesima giurisprudenza che il divieto di variazioni in pejus (demansionamento) opera anche quando al lavoratore, nella formale equivalenza delle precedenti e delle nuove mansioni, siano assegnate di fallo mansioni sostanzialmente inferiori, sicché nell'indagine circa tale equivalenza non è sufficiente il riferimento in astratto al livello di categoria, ma è necessario accertare che le nuove mansioni siano aderenti alla specifica competenza del dipendente in modo tale da salvaguardarne il livello professionale acquisito e da garantire lo svolgimento e l'accrescimento delle sue capacità professionali, con le conseguenti possibilità di miglioramento professionale, in una prospettiva dinamica di valorizzazione delle capacità di arricchimento del proprio bagaglio di conoscenze ed esperienze (cfr. Cass. n. 25033/06 ).
Posto quindi che l'A.F. fu certamente adibito a mansioni inferiori rispetto a quelle della categoria di appartenenza, alcuna rilevanza può ascriversi, ai fini della valutazione della legittimità dell'operato del datore di lavoro, alla circostanza che detta assegnazione scaturì da una soluzione concordata dalle parti o che il mutamento di mansioni di cui trattasi fu funzionale alla preservazione delle precarie condizioni dello stesso lavoratore.
E' principio consolidato nella giurisprudenza della Suprema Corte quello alla cui stregua, soltanto l'esistenza di una reale situazione che renda concreta una prospettiva di licenziamento e l'accettazione delle diverse mansioni in deroga all'art. 2103 cc. possano rendere inapplicabile la tutela prevista dalla citata disposizione, che presuppone la concreta alternativa della possibilità di non retrocessione dalla precedente posizione professionale (cfr. Cass. 9 marzo 2004 n. 4790). Quanto affermato nella richiamata decisione si fonda sull'assunto che neppure il consenso delle parti abbia rilevanza ai fini della deroga al principio, atteso che l'art. 2103 cc, che tutela la professionalità del prestatore di lavoro, nonché il diritto a prestare l'attività lavorativa per la quale si è stati assunti, o si è successivamente svolta, vietandone l'adibizione a mansioni inferiori, è norma imperativa e quindi non derogabile nemmeno tra le parti, come sancisce l'ultimo comma della stessa, prevedendo che "Ogni patto contrario è nullo" (cfr., da ultimo, in tale senso Cass. 8527 del 2011).
La natura di estrema ratio del provvedimento di demansionamento rende, pertanto, legittima la suddetta deroga solo se, intimato il trasferimentu, di fronte alla mancata accettazione dello stesso da parte del prestatore di lavoro. la società si fosse trovata nelle condizioni per intimare il licenziamento e, per evitare la cessazione del rapporto di lavoro, il lavoratore avesse accettato il mutamento peggiorativo di mansioni.
Non è, tuttavia, questa l'ipotesi in considerazione nel caso di specie, atteso che, per un verso, non è stata neppure allegata la incollocabilità del lavoratore in altre mansioni equivalenti a quelle precedentemente esercitate e che. per altro verso, non è stato dimostrato che le prospettate particolari condizioni di salute del ricorrente ne postulassero l'impiego nel reparto Mof nei termini sopra specificati.
La vicenda fattuale non si rivela idonea a giustificare il comportamento del datore di lavoro, che deve, pertanto, considerarsi inadempiente agli obblighi di legge rispetto al contenuto della prestazione di lavoro, che deve essere garantito al lavoratore nel corso del rapporto, a tutela della sua professionalità.
In conclusione, il demansionamento dell'A.F. si atteggia privo di giustificazione, per cui si può affermare che la resistente abbia senz'altro violato l'art. 2103 cc.
Ciò posto, occorre, dunque, verificare se ed in che misura l'ipotesi di dequalificazione professionale considerata possa dar luogo a delle voci di danno meritevoli di essere risarcite.
In primo luogo, appare opportuno richiamare il convincente argomentare di Cass. Civile sez. VI, n. 7963/12 che, sul binario dell'orientamento affermatosi a partire dalla sentenza delle Sezioni unite, 11 novembre 2008, n. 26972, nel senso di evitare la proliferazione delle voci del danno non patrimoniale, ha puntualizzato, come per la materia che viene qui in considerazione, "va fatta applicazione del principio secondo cui nella disciplina del rapporto di lavoro, ove numerose disposizioni assicurano una tutela rafforzata alla persona del lavoratore con il riconoscimento di diritti oggetto di tutela costituzionale (artt. 32 e 37 Cost.) il danno non patrimoniale è configurabile ogni qualvolta la condotta illecita del datore di lavoro abbia violato, in modo grave, i diritti della persona del lavoratore, concretizzando un vulnus ad interessi oggetto di copertura costituzionale; questi ultimi, non essendo regolati ex ante da norme di legge, per essere suscettibili di tutela risarcitoria dovranno essere individuati, caso per caso, dal giudice del merito, il quale, senza duplicare il risarcimento (con l'attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici), dovrà discriminare i meri pregiudizi - concretizzatisi in disagi o lesioni di interessi privi di qualsiasi consistenza e gravità, come tali non risarcibili - dai danni che vanno risarciti, mediante una valutazione supportata da una motivazione congrua, coerente sul piano logico e rispettosa dei principi giuridici applicabili alla materia, sottratta, come tale, anche quanto alla quantificazione del danno, a qualsiasi censura in sede di legittimità (vedi, per tutte: Cass. 12 maggio 2009, n. 10864; Cass. 2 febbraio 2010, n. 2352; Cass. 21 aprile 2011, n. 9138)".
Sotto tale profilo, si è quindi precisato che l'inadempimento datoriale può. in astratto, dare luogo ad una pluralità di conseguenze lesive per il lavoratore, con la precisazione che "il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio - dell'esistenza di un pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare reddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all'espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno. Tale pregiudizio non si pone quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo rientrante nella suindicata categoria, cosicché non è sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombendo sul lavoratore non solo di allegare il demansionamento ma anche di fornire la prova ex art. 2697 cod. civ. del danno non patrimoniale e del nesso di causalità con l'inadempimento datoriale" (fra le tante conformi, Cass. n. 6797/13).
Tanto premesso, parte ricorrente, ha allegato, quali voci del danno conseguenza della dequalificazione in parola, la lesione dell'interesse morale alla gratificazione, il mancato incremento delle capacità acquisibili con lo svolgimento delle mansioni corrispondenti al proprio inquadramento (voci riconducibili al ed. danno professionale), nonché il danno esistenziale per i riflessi sulla vita sociale e familiare discendenti da detta dequalificazione.
Quanto alla risarcibilità del danno alla professionalità, Cass. n. 4652/09 ha in termini del tutto convincenti, chiarito che "in caso di accertato demansionamento professionale del lavoratore in violazione dell'art. 2103 cc, il giudice del merito, con apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione se adeguatamente motivato, può desumere l'esistenza del relativo danno, avente natura patrimoniale e il cui onere di allegazione incombe sul lavoratore, determinandone anche l'entità in via equitativa, con processo logico-giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità della esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionamento, all'esito finale della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto. (Nella specie, la S.C., nel rigettare il ricorso, ha ritenuto che correttamente la Corte territoriale avesse valutato la sussistenza del demansionamento dei lavoratori che, già assegnati a ruoli di coordinamento con autonomia organizzativa ed operativa, erano stati destinati, nonostante l'anzianità di servizio e la conseguente esperienza professionale, allo svolgimento di funzioni meramente esecutive, con lesione - la cui allegazione ha trovato riscontro anche nel contenuto del ricorso del datore di lavoro - della loro professionalità e danno alla carriera)". Inoltre, secondo Cass. n. 13414/13 il danno alla professionalità, se per un verso non può essere ritenuto sussistente "in re ipsa" per il solo fatto del demansionamento, per altro verso può essere desunto da "una valutazione per presunzioni e sulla base di un giudizio di probabilità. secondo l'id quod plerumque accidit, in conformità all'insegnamento delle Sezioni unite": orientamento ribadito anche da Cass. 16 febbraio 2012, n. 2257, che ha affermato: "la perdita di alcuni tratti qualificanti della professionalità di un lavoratore, rilevante sia sul piano dell'autonomia dei suoi compiti, sia del potere coordinamento ne! caso di mansioni di secondo livello, può essere valutata come elemento presuntivo alfine del riconoscimento del risarcimento del danno da demansionamento").
In altre parole, "in tema di demansionamento e di dequalifìcazione, se il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno non può prescindere da una specifica allegazione sulla natura e sulle caratteristiche del danno medesimo, ben può, tuttavia, la sua dimostrazione in giudizio essere fornita con tutti i mezzi offerti dall'ordinamento, assumendo, peraltro, precipuo rilievo la prova per presunzioni, per cui dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti (caratteristiche, durata, gravità, conoscibilità nell'ambiente di lavoro dell'attuato demansionamento, frustrazione di ragionevoli aspettative di progressione professionale, eventuali reazioni poste in essere nei confronti del datore di lavoro comprovanti l'avvenuta lesione dell'interesse relazionale ecc.), la cui isolata considerazione si risolverebbe in una lacuna del procedimento logico, si possa, attraverso un prudente apprezzamento, coerentemente risalire all'esistenza del danno. facendosi ricorso, ai sensi dell'art. 115 c.p.c, a quelle nozioni generali di comune esperienza, delle quali ci si serve nel ragionamento presuntivo e nella valutazione delle prove (cfr. SU n. 6572/2006 e, nella giurisprudenza successiva, ad es., Cass. n. 29832/2008, Cass. n. 10527/2011)". (Cass. 6110/12).
Venendo al caso di specie, è indubbio che l'adibizione del ricorrente. impiegato per circa un decennio con mansioni riconducibili al IV livello del CCNL metalmeccanici e. da ultimo, quale "addetto spedizione", ad attività di bonifica e di manutenzione del verde, nei termini sopra specificati, non possa non aver comportato un deciso svilimento delle capacità professionali acquisite nel corso della propria carriera di lavoro, essendo stato lo stesso, del tutto incomprensibilmente, impiegato in mansioni per nulla confacenti con il proprio profilo, avulse dal ciclo produttivo e concretantesi in operazioni manuali, per il cui espletamento non è richiesta alcuna conoscenza professionale.
Da ciò, dunque, non può che essere conseguita una frustrazione delle aspirazioni lavorative del medesimo ricorrente, dovendosi all'uopo rammentare come il lavoro non sia un mero strumento di guadagno, ma anche un mezzo di estrinsecazione della personalità, e che lo sviluppo di essa nelle formazioni sociali e l'elevazione professionale costituiscono oggetto di tutela costituzionale ai sensi degli artt. 2 e 35 Cost., oltre che di specifica tutela ai sensi degli art. 2087 cc. e 2103 cc. .
Deve, dunque, concludersi che il ricorrente, privato dello svolgimento di mansioni particolarmente qualificate ed in grado di valorizzare la professionalità acquisita e dirottato verso mansioni sotto tale profilo del tutto inappaganti, abbia riportato un danno non patrimoniale, apprezzabile ai sensi dell'art. 2059 cc, quale turbamento soggettivo non patologico, per nulla futile, ma grave.
Sul piano della quantificazione, l'entità del danno essere determinata in via equitativa ai sensi dell'art. 1226 cc, prendendo in considerazione l'incidenza che l'accertato demansionamento. alla luce delle sue caratteristiche temporali e modali, ha determinato sul bagaglio professionale del dipendente e sulle sue prospettive di carriera e pervenendo, sulla base di una valutazione globale, ad una quantificazione idonea ad assicurare l'integrale reintegrazione del pregiudizio sofferto, evitando, al tempo stesso, una moltiplicazione. puramente nominalistica, delle voci risarcitorie. A tal fine ritiene questo giudice che, se da un lato, la misura della dequalificazione e la sua conoscibilità da parte dell'intera platea dei lavoratori impiegati presso il reparto in questione (trattandosi di attività da svolgere necessariamente "all'aperto'" e quindi alla costante presenza di terzi) depongono per la gravità del demansionamento, dall'altro lato, non si può non considerare, ai fini della concreta individuazione del danno che ne è conseguito, come la stessa dequalificazione si sia protratta per un modesto intervallo temporale. In ragione di ciò, ritiene questo giudice congruo riconoscere, per il risarcimento del suddetto danno, l'importo di euro 1.000 per ciascuno dei tre mesi in cui l'A.F. è stato adibito ad attività di bonifica delle aree limitrofe ai binari e di euro 500,00 per ciascuno dei tredici mesi in cui lo stesso è risultato addetto al verde presso l'area piazzale, per un importo complessivo di euro 9.500,00.
Va, invece, disattesa la domanda risarcitoria volta a conseguire il ristoro del c.d. danno esistenziale, che parte ricorrente ancora ai riflessi del demansionamento sul vissuto sociale e familiare del lavoratore, nonché sulla mortificazione della sua personalità morale.
Sul punto, richiamando i già esaminati principi espressi da Cass. Civile sez. VI, n. 7963/12 sul solco di Cass. Civile, Sezioni unite, 11 novembre 2008. n. 26972, assorbente rilievo assume la circostanza che parte ricorrente non abbia in alcun modo allegato nel ricorso introduttivo del giudizio i termini di realizzazione di detta voce di danno. Più in particolare, detta parte ricorrente non ha specificato sotto quale profilo la deqaulificazione in parola abbia in concreto alterato le proprie abitudini e i propri assetti relazionali, dando così origine ad un pregiudizio esistenziale. L'assoluta carenza di allegazione in ordine ad elementi specifici oggettivi che siano rilevatori del danno sofferto, non consente, dunque, di apprezzare l'effettiva esistenza del pregiudizio lamentato.
Sulla scorta delle considerazioni che precedono la domanda va parzialmente accolta. In ragione di ciò, sussistono giustificate ragioni per disporre la compensazione delle spese fra le parti nella misura della metà. mentre la restante pane viene posta a carico della parte resistente, liquidata nella misura indicata in dispositivo.

 

P.Q.M.


il Tribunale di Taranto in funzione di giudice del lavoro, definitivamente pronunziando sul ricorso proposto, con atto depositalo il 6.6.2008, da A.F. nei confronti di IL VA S.p.A.: accoglie per quanto di ragione la domanda attorea e, per l'effetto, condanna la società resistente al pagamento in favore di A.F. della somma di euro 9.500,00 per le causali di cui in motivazione, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria sulla somma via via rivalutata a decorrere dalla data della domanda. Compensa le spese di lite nella misura della metà. Condanna, altresì, la parte resistente al pagamento della parte residua, in favore dell'avvocato Massimilaino Del Vecchio. procuratore di parte ricorrente, dichiaratosi anticipatario, che liquida, ai sensi del D.M. n. 140/12, in complessivi euro 1.200,00 oltre iva e cpa come per legge.
Taranto, 27 novembre 2013