Categoria: Cassazione penale
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  • Coordinatore per la sicurezza
  • Sorveglianza sull'applicazione delle norme di sicurezza
  • Infortunio sul Lavoro
 
Responsabilità del coordinatore per la sicurezza per lesioni colpose aggravate da violazione di norme antinfortunistiche - Sussiste.
 
La Corte rigetta il ricorso e  rileva che il  "D.Lgs. n. 494 del 1996 ha introdotto appunto la figura del coordinatore per l'esecuzione dei lavori al fine di assicurare, nel corso della effettuazione dei lavori stessi, un collegamento fra impresa appaltatrice e committente al fine di consentire al meglio l'organizzazione della sicurezza in cantiere.
E il riferito art. 5" (ora art. 92 D.Lgs. 81/2008) "affida espressamente al coordinatore il compito di adeguare il piano di sicurezza in relazione all'evoluzione dei lavori e alle eventuali modifiche intervenute, vigilare sul rispetto del piano stesso e sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, le singole lavorazioni.
Ed è in riferimento a tale posizione di garanzia che va disattesa la richiesta della Difesa formulata in sede di conclusioni orali innanzi a questa Corte.
Si è sostenuto che, in ragione del fatto che l'imputato non era destinatario dell'osservanza delle norme antinfortunistiche, demandate per il caso di specie al solo datore di lavoro (sul quale incombeva sia la progettazione che la realizzazione dell'opera, da ritenersi provvisoria e non provvisonale), non gli si poteva formalmente contestare l'aggravante di cui all'art. 590 c.p., comma 3, ma tutt'al più una colpa "generica" di tal che, trattandosi di lesioni semplici, andava dichiarata nei suoi confronti la non proseguibilità dell'azione penale per mancanza di querela.
Invero, per quanto argomentato, ritenuta pienamente condivisibile la parte della motivazione della Corte di Merito in ordine alla posizione del F., quale destinatario di precise norme antinfortunistiche,il rilievo difensivo rimane assorbito nell'analisi dell'unico motivo di appello." 

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Presidente -
Dott. LICARI Carlo - Consigliere -
Dott. ROMIS Vincenzo - Consigliere -
Dott. D'ISA Claudio - Consigliere -
Dott. AMENDOLA Adelaide - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1) F.M., N. IL (OMISSIS);
avverso SENTENZA del 02/04/2007 CORTE APPELLO di TORINO;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. D'ISA CLAUDIO;
Sentite le conclusione del Procuratore Generale, nella persona del Dott. Francesco Bua, che ha chiesto rigettarsi il ricorso.
L'Avv. BATTISTI Flavio, difensore dell'imputato, chiede l'accoglimento del ricorso, introduce un nuovo motivo, e chiede in subordine l'annullamento della sentenza senza rinvio con dichiarazione di non proseguibilità dell'azione penale per mancanza di querela.



Fatto

Con sentenza in data 21.09.2004 il Tribunale di Cuneo ha riconosciuto F.M. responsabile del delitto di lesioni colpose aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche in danno di E.A. e H.V. e della contravvenzione di cui all'art. 676 c.p., comma 2, commessi in (OMISSIS) e, concesse le attenuanti generiche e l'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6, prevalenti sulle aggravanti contestate, lo ha condannato alla pena di Euro 135,00 di multa.
Proposto gravame da parte dell'imputato, la Corte d'Appello di Torino, con sentenza in data 2.04.2007, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del F.M. in ordine alla contravvenzione di cui al capo b) per essere estinta per prescrizione, confermando nel resto la sentenza impugnata.
In sintesi si espone il fatto nei seguenti termini:
Il (OMISSIS), durante le operazioni di getto del calcestruzzo, ormai quasi al termine, crollava una porzione del solaio di copertura dell'autorimessa della nuova caserma, in costruzione, dei Vigili del Fuoco.
Il crollo, ad imbuto, iniziato dal centro della soletta, avveniva in conseguenza del cedimento delle opere provvisionali e delle casserature di sostegno della struttura. Tre operai che erano sulla soletta cadevano al suolo, riportando due di essi lesioni lievi ed un terzo lesioni gravi, con indebolimento permanente dell'arto superiore destro.
L'Ing. M., incaricato dal P.M. di eseguire accertamento tecnico irripetibile sulle cause del crollo, individuava una pluralità di cause che affermava essere "tutte ipotizzabili ed accreditabili nella stessa percentuale".
Comunque, in conclusione, il perito affermava che le opere provvisionali e le casserature di sostegno non erano idonee a sopportare con sicurezza i carichi cui erano sottoposte.
La corte d'appello ha ritenuto corretta la individuazione della causa del crollo e delle lesioni riportate dagli infortunati operata dal Tribunale che ha ravvisato il nesso causale nella cattiva esecuzione della struttura dell'armatura, definita opera provvisionale, avvenuta sulla base delle esperienze delle maestranze, e non anche di un progetto redatto da professionista abilitato, condotta ritenuta doverosa per il disposto del D.P.R. n. 164 del 1956, art. 32 e art. 64, comma 239.
Parimenti, quanto alla posizione processuale del ricorrente, la Corte territoriale ha evidenziato l'esattezza della motivazione della sentenza di primo grado. Il F. è stato ritenuto responsabile, nella veste di coordinatore in materia di sicurezza e salute durante la progettazione e realizzazione dell'opera, per avere omesso di esercitare i compiti di sorveglianza sulle corrette procedure di esecuzione dei lavori;
sorveglianza che avrebbe dovuto svolgere per il combinato disposto del D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 2, lett. g) e art. 5.
Ricorre per Cassazione F.M. a mezzo del suo difensore, avv. Flavio Battisti, che, pone a base dell'unico motivo, la censura di violazione di legge in riferimento all'art. 113 c.p., art. 590 c.p., commi 1, 3 e 5 e art. 2087 c.c. e D.Lgs. 7 gennaio 1956, n. 164, art. 68.
In particolare si argomenta che l'impugnata sentenza risulta affetta da manifesta illogicità dell'apparato argomentativo fornendo una ricostruzione dei fatti totalmente avulsa dai costituti processuali.




Diritto

Il ricorso è inammissibile.
Premesso che le doglianze proposte dal F.M. sono affidate a motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate persuasivamente dalla Corte di merito, è opportuno riportare in maniera più dettagliata le argomentazioni difensive. Si deduce che il Giudice di secondo grado giunge alla apodittica affermazione di "ove la struttura fosse stata eseguita, come poi è avvenuto, con opportune controventature, ... il crollo non sarebbe avvenuto perchè il cedimento parziale non avrebbe coinvolto l'intera struttura".
La considerazione della Corte, per il ricorrente, pare del tutto illogica, ed esclusa dagli stessi consulenti tecnici, giacchè il cedimento di uno o più puntelli avrebbe inevitabilmente comportato il collassamento dell'intera opera: il crollo a imbuto, iniziato dal centro della soletta, esclude in sè che l'opera di controventatura sarebbe stata sufficiente ad evitare la rovina dell'impalcato.
La Corte, inoltre, esclude che il cedimento possa aver trovato la causa nell'accumulo abnorme di calcestruzzo o nell'urto del braccio della pompa contro la struttura di sostegno, circostanze mai escluse dai consulenti tecnici.
Soprattutto i risultati istruttori non hanno assolutamente escluso la possibilità che il braccio della pompa abbia urtato contro le strutture di sostegno. Infatti mal si comprende come gli operai avrebbero potuto percepire un accumulo abnorme atteso che una fuoriuscita eccessiva di cemento dal tubo del braccio poteva anche non essere sufficientemente apprezzata, eccetto che la fuoriuscita fosse assolutamente eccezionale. In buona sostanza la Corte, in modo immotivato, sarebbe giunta alla conclusione che causa esclusiva del crollo sia stata l'inadeguatezza della struttura di sostegno¯ circostanza che, invece, i consulenti tecnici hanno motivatamente ritenuto come possibile, ma non come la più probabile.
Si rimarca, come nella fattispecie, siano state ravvisate più cause sopravvenute, eccezionali ed imprevedibili, da sole sufficienti a determinare l'evento, con conseguente esclusione del nesso eziologico.
In ogni caso, nessuna norma impone che l'opera "de qua" debba essere realizzata sulla base di un progetto redatto da tecnico abilitato.
Non conferente sul punto appare il richiamo al D.P.R. n. 164 del 1956, art. 32 e art. 64, comma 2 giacchè l'impalcato "de quo" non è un'opera provvisionale ma un'opera provvisoria.
Infatti l'opera provvisionale come il ponteggio è un'opera che ha la funzione di consentire agli operatori di raggiungere e lavorare sui manufatti interessati all'intervento.
Entrambi i Giudicanti di merito hanno invece operato un'apodittica parificazione tra opera provvisionale ed opera provvisoria con conseguente erronea applicazione di norme di legge.
Ed, invero, il manufatto "de quo" non si può neppure definire "per grandi opere" nè la copertura è da definirsi "come copertura ad ampia luce" avendo una altezza di 6,7 metri.
Pertanto rientrava, in via esclusiva, nella competenza dell'imprenditore la progettazione nonchè la realizzazione dell'opera "de qua".
Il D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 5 non prevede una responsabilità sanzionata a titolo di responsabilità oggettiva per il coordinatore per l'esecuzione dei lavori cui compete fare osservare il piano di sicurezza.
Nella fattispecie al ricorrente non può essere addebitato alcun comportamento colposo che discenda dall'obbligo di adeguare il piano di sicurezza in relazione all'evoluzione dei lavori giacchè l'opera "de qua", di competenza dell'imprenditore, non era soggetta alla vigilanza del coordinatore che non ha conseguentemente assunto la posizione di garante per l'osservanza delle norme antinfortunistiche.
Orbene, non c'è chi non veda come i motivi di ricorso, testè riportati, appaiono incentrati sulla contestazione dell'apprezzamento delle risultanze processuali (con particolare riferimento alle consulenze tecniche) compiuta dal tribunale e fatto proprio dalla Corte d'Appello: essi, risolvendosi in censure in fatto della sentenza impugnata, sono preclusi in questa sede di legittimità (art. 606 c.p.p., comma 3).
E' indubbio lo sforzo argomentativo profuso per far rientrare nella previsione normativa dell'art. 606 c.p.p., lett. e) quella che è una mera valutazione del fatto, tant'è che in ricorso si è avvertita l'esigenza di precisare che i vizi dedotti non costituiscono censura nel merito dell'impugnata sentenza, come tali inammissibili, ma hanno ad oggetto l'inesistenza di un logico apparato argomentativo su un punto essenziale e cioè il nesso causale.
Se la ricostruzione dei fatti affonda le sue radici nella valutazione critica delle prove raccolte nella istruttoria dibattimentale e se è innegabile che la stessa, così come proposta dai giudici di merito, appaia logicamente corretta, non potendo davvero sostenersi che strida con la logica, le conclusioni, sul piano del diritto, sono scontate, se si riflette sulla costante giurisprudenza di questa corte quanto alle caratteristiche e ai limiti del giudizio di legittimità.
L'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione - così quella giurisprudenza - ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla corte di cassazione essere limitato, per espressa volontà del legislatore a riscontrare l'esistenza di un apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle considerazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sottolineare il suo convincimento o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. L'illogicità della motivazione, come vizio denunciarle - così, ancora - deve essere di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza vizi giuridici.
E, infine: nella motivazione della sentenza il giudice di merito non è tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti, a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico ed adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di avere tenuto presente ogni fatto decisivo; in tal caso debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata.
L'applicazione degli esposti principi al caso di specie impone l'inammissibilità del ricorso. La Corte d'Appello ha invero indicato con puntualità, chiarezza e completezza tutti gli elementi di fatto e di diritto posti a fondamento della decisione adottata, confutando, in maniera analitica, astrattamente persuasiva e scevra da vizi logici, la diversa valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dalla Difesa.
In sostanza, sotto tale ottica, la questione (specifico motivo del ricorso) relativa alla individuazione della vera causa del cedimento della struttura di sostegno dei getti è chiaramente una questione di fatto ed il rilievo risolve da solo, in maniera assorbente, in senso negativo l'accoglimento del ricorso.
Invero, la Corte facendo riferimento ai risultati della consulenza dell'ing. M. ha ritenuto corretta l'affermazione del Tribunale che ha indicato come causa del crollo l'inadeguatezza della struttura di sostegno, certamente priva di controvenatura, indispensabile per assorbire le sollecitazioni orizzontali conseguenti al getto di calcestruzzo fonte di importanti vibrazioni, e poco stabile avuto riguardo alla tipologia dell'armatura utilizzata, meno rigida e stabile, rispetto ad altri sistemi, e perciò meno idonea ad assorbire le tensioni e le vibrazioni durante la fase di getto.
A tal riguardo, la giurisprudenza costante di questa Corte ammette, (in virtù del principio del libero convincimento del giudice e di insussistenza di una prova legale o di una graduazione delle prove) la possibilità del giudice di scegliere fra varie tesi, prospettate da differenti periti, di ufficio e consulenti di parte, quella che ritiene condivisibile, purchè dia conto con motivazione accurata ed approfondita delle ragioni del suo dissenso o della scelta operata e dimostri di essersi soffermato sulle tesi che ha ritenuto di disattendere e confuti in modo specifico le deduzioni contrarie delle parti, sicchè, ove una simile valutazione sia stata effettuata in maniera congrua in sede di merito, è inibito al giudice di legittimità di procedere ad una differente valutazione, poichè si è in presenza di un accertamento in fatto come tale insindacabile dalla Corte di Cassazione, se non entro i limiti del vizio motivazionale (Cass. sez. 4, 20 maggio 1989 n. 7591 rv. 181382).
Orbene, la Corte territoriale, ritenendo corretta l'individuazione da parte del Tribunale della causa del cedimento di tale struttura, come indicata dal perito ing. M., ha altresì confutato (trattandosi di specifico motivo di appello) le tesi dei consulenti di parte O. e L., secondo cui le cause del crollo sarebbero da individuare in due eventi fortuiti, costituiti da accumulo abnorme di calcestruzzo in fase di getto o da urto del braccio della pompa contro la struttura. La Corte ha escluso che tali eventi si siano potuto verificare, non tanto demolendo l'aspetto tecnico della tesi, quanto basandosi sulle deposizioni testimoniali degli operai presenti sulla soletta durante il getto del calcestruzzo.
Dunque, anche questo aspetto del gravame si risolve in una diversa valutazione di risultanze probatorie.
Va riaffermato anche in questa sede, seguendosi un costante orientamento, il principio secondo il quale è devoluta al giudice del merito l'individuazione delle fonti del proprio convincimento, la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta, fra le risultanze istruttorie, di quelle ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, privilegiando, in via logica, taluni mezzi di prova e disattendendone altri, a causa del loro diverso spessore probatorio, con l'unico limite, quanto a censurabilità in sede di legittimità, della adeguata e congrua motivazione sul criterio adottato ed indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l'iter seguito nella valutazione degli stessi e per le proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata. Esente da censura è anche la parte della motivazione dell'impugnata sentenza relativa alla individuazione della specifica normativa antinfortunistica applicabile al caso in esame (D.P.R. n. 164 del 1956, artt. 7, 32 e art. 64, comma 2), laddove è stato ben definito il concetto di "opera provvisionale" come tale considerata la struttura di cui si è parlato, con riferimento alla disposizione dell'art. 7 del cennato D.P.R. che imponeva "approfondite valutazioni e calcoli statici", cioè l'intervento di un tecnico specializzato che elaborasse, come poi è avvenuto, un progetto di esecuzione e non la realizzazione sulla base dell'esperienza dell'impresa costruttrice.
Altrettanto manifestamente infondate sono le argomentazioni, poste a base dei motivi del ricorso, relative alla dedotta non riferibilità al ricorrente delle suddette norme antinfortunistiche.
In effetti non si contesta, sia con i motivi di appello che con quelli oggetto di questo giudizio, la specifica posizione di "garanzia" del ricorrente derivante dal ruolo di coordinatore in materia di sicurezza e di salute (D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494, art. 2 lett. f): "coordinatore in materia di sicurezza e di salute durante la realizzazione dell'opera, di seguito denominato coordinatore per l'esecuzione dei lavori....") formalmente e sostanzialmente dal medesimo ricoperto, e la Corte d'Appello è stata ampiamente esaustiva nell'indicare le ragioni di fatto e di diritto per cui incombeva in capo al F. l'obbligo di assicurarsi che l'opera eseguita fosse sicura, per il disposto del D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 5, come novellato dal D.Lgs. 19 novembre 1999, n. 528.
Puntuale è poi il richiamo da parte della Corte territoriale alla sentenza di questa sezione n. 24010/04 che ha delineato i compiti e le responsabilità di tale figura posta a garanzia della sicurezza sul lavoro.
Invero, il D.Lgs. n. 494 del 1996 ha introdotto appunto la figura del coordinatore per l'esecuzione dei lavori al fine di assicurare, nel corso della effettuazione dei lavori stessi, un collegamento fra impresa appaltatrice e committente al fine di consentire al meglio l'organizzazione della sicurezza in cantiere. E il riferito art. 5 affida espressamente al coordinatore il compito di adeguare il piano di sicurezza in relazione all'evoluzione dei lavori e alle eventuali modifiche intervenute, vigilare sul rispetto del piano stesso e sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, le singole lavorazioni.
Ed è in riferimento a tale posizione di garanzia che va disattesa la richiesta della Difesa formulata in sede di conclusioni orali innanzi a questa Corte.
Si è sostenuto che, in ragione del fatto che l'imputato non era destinatario dell'osservanza delle norme antinfortunistiche, demandate per il caso di specie al solo datore di lavoro (sul quale incombeva sia la progettazione che la realizzazione dell'opera, da ritenersi provvisoria e non provvisonale), non gli si poteva formalmente contestare l'aggravante di cui all'art. 590 c.p., comma 3, ma tutt'al più una colpa "generica" di tal che, trattandosi di lesioni semplici, andava dichiarata nei suoi confronti la non proseguibilità dell'azione penale per mancanza di querela.
Invero, per quanto argomentato, ritenuta pienamente condivisibile la parte della motivazione della Corte di Merito in ordine alla posizione del F., quale destinatario di precise norme antinfortunistiche, il rilievo difensivo rimane assorbito nell'analisi dell'unico motivo di appello. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.



P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, nella Pubblica udienza, il 3 giugno 2008.
Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2008