Cassazione Penale, Sez. 4, 15 gennaio 2014, n. 1471 - Infortunio mortale: responsabilità penale di un direttore dei lavori?


 

 

 

Fatto





1. Con sentenza del 10/12/2012 la Corte d'Appello di Palermo, quale giudice di rinvio a seguito di sentenza di annullamento della Sezione Quarta della Corte di Cassazione del 17/04/2012, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Palermo del 09/06/2008, ha ridotto la pena a mesi sette di reclusione ciascuno nei confronti di G. G. e M. B. per il reato di cui all'art. 589, commi 1 e 2, c.p. per avere cagionato per colpa, nelle rispettive vesti di agente tecnico e di direttore dei lavori del cantiere di costruzione di un casotto di campagna, la morte di R. D. V. a seguito di lesioni da precipitazione, dichiarando il concorso di colpa della persona offesa nella misura del 25%.

2. Ha proposto ricorso per cassazione tramite il difensore anzitutto G. G. che, con un primo motivo, lamenta l'erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 40 cpv., 45, 113 e 589 c.p. Dopo avere premesso che la Corte di cassazione era giunta ad annullare la sentenza di condanna avendo questa omesso di stabilire se la temporanea assenza dal cantiere di G. lo esonerasse dalle obbligazioni sullo stesso gravanti, e dopo avere precisato i compiti spettanti al preposto in relazione a quanto disposto dagli artt. 2 e 19 del d. lgs. n. 81 del 2008 (ed in particolare l'obbligo di sovrintendere e vigilare sull'osservanza da parte dei singoli lavoratori dei loro obblighi di legge e delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e di protezione individuale), evidenzia che gli stessi presuppongono la presenza nel cantiere; si duole che a fronte del legittimo allontanamento dal cantiere di G. la Corte di Palermo abbia ancora una volta affermato che allo stesso dovesse attribuirsi la responsabilità del fatto per avere omesso di costantemente sorvegliare e vigilare sull'operato degli altri lavoratori.

2.1. Con un secondo motivo lamenta la violazione dell'obbligo di uniformarsi alla decisione della questione di diritto della Corte di cassazione avendo ancora una volta sottolineato che la assenza di G. dal cantiere non poteva escluderne la responsabilità.

2.2. Con un terzo motivo lamenta la manifesta illogicità della motivazione per contrasto con la sentenza di annullamento della Corte di cassazione, avendo la sentenza recuperato la responsabilità di G. facendo perno sull'affidamento colpevolmente riposto nelle capacità del capo squadra C., definitivamente condannato, e, così facendo, mutato la natura della responsabilità, trasformata da culpa in vigilando in culpa in eligendo. In sostanza, a G. si sarebbe rimproverato di avere consentito che le mansioni di capo squadra venissero svolte in sua assenza dall'imputato C. quale soggetto tuttavia inidoneo perché dotato della qualifica dì bracciante agricolo. Tuttavia tale argomentazione viene contraddittoriamente smentita da altre affermazioni contenute nella sentenza e, segnatamente, dal rilievo in ordine al fatto che l'investitura di C. avvenne non per estemporanea iniziativa di G. ma, prima ancora dell'inizio dei lavori, in ragione di un ordine scritto firmato dal direttore dei lavori M. e che la scelta delle persone da avviare al lavoro in ciascun cantiere era sempre da ricondurre al direttore dei lavori M.. In ogni caso contesta che C. fosse soggetto non idoneo alla mansione ricoperta posto che presupposto funzionale all'affermazione di responsabilità dello stesso da parte della Corte di cassazione è stato il vaglio preliminare delle capacità tecniche dello stesso con riguardo alla specifica incombenza da espletare (e senza rilevare peraltro che la attività di sorveglianza non richiedeva invece una specifica abilità tecnica posto che l'attività pericolosa posta in essere non era attinente alle tecniche di costruzione del ponteggio ma alle modalità di trasporto di materiali).

2.3. Con un quarto motivo lamenta la nullità della sentenza per erronea applicazione degli articoli 40 e 589 c.p. e di altre norme giuridiche presupposte o richiamate, dovendo valere anche per il ricorrente il criterio di elisione di responsabilità per incapacità tecnica o inadeguatezza all'espletamento della mansione; pur essendo stata rimproverata all'imputato l'inosservanza in particolare dell’articolo 2087 c.c. e dell’articolo 381 del d.p.r. n. 547 del 1955 per omessa vigilanza sull'uso del casco da parte della vittima, nessuna delle sentenze di merito ha mai revocato in dubbio che G. non fosse dotato di alcuna specifica competenza tecnica non essendo geometra né dotato di alcuna abilitazione; rileva inoltre che il principio civilistico non può essere applicato a soggetti diversi dall’imprenditore, soprattutto quando questi non siano dotati della necessaria formazione e preparazione professionale; del resto l'attribuzione al preposto di una mole considerevole di oneri e obblighi presuppone che egli possa adempiervi in ragione delle competenze professionali e nei limiti dei poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli; e nella specie la legge regionale Sicilia n. 16 del 1996 dispone che agli agenti tecnici possano essere richieste prestazioni proprie di tutti i profili professionali compresi nella qualifica, salvi i casi in cui siano richieste specifiche abilitazioni. Rileva inoltre che nessuna delle violazioni contestate potrebbe essere posta in efficienza causale rispetto all'evento e, ancor prima, al comportamento imprudente posto in essere dal lavoratore giacché nessuna delle misure indicate dalla Corte avrebbe in concreto evitato l'evento quand'anche adottata. Illogica e contraddittoria è poi l'affermazione di responsabilità per l'asserita violazione dell'art. 381 del d.p.r. n. 547 del 1955, perché è stato provato che l'imputato ebbe a consegnare il 5 maggio 2000 a tutti i lavoratori i presidi personali di sicurezza e nessuna violazione delle regole di condotta funzionale risulta essere stata mai segnalata dai lavoratori al preposto nei giorni precedenti l'incidente; d'altra parte l'uso effettivo del casco avrebbe dovuto essere verificato da chi era presente in cantiere nelle fasi immediatamente precedenti l'infortunio e non da chi era giustificatamente assente. Né la morte della persona offesa è stata causata da trauma cranico bensì da lesioni Interne con conseguente assenza del nesso causale.

2.4. Con un quinto motivo si duole della manifesta illogicità risultante da atti acquisiti al fascicolo del dibattimento e in particolare del travisamento della prova. Premette che nell'originario atto di appello si era contestata l'affermazione della Corte di avere egli impartito, su disposizione di M., l'ordine di costruire il ponteggio al lavoratore R. D. posto che da un lato in sede di esame dibattimentale l'imputato aveva affermato che egli lo stesso giorno era impegnato presso altri cantieri e dall'altro risultando tale presenza presso diversi cantieri dai documenti prodotti all'udienza del 28 maggio 2007. In proposito la Corte di Cassazione, annullando la sentenza, aveva rilevato come, di fronte a dette acquisizioni probatorie, la corte territoriale avrebbe dovuto motivare adeguatamente la scelta in forza della quale giungeva alle conclusioni relative all'impartito ordine. Ciò posto, lamenta che la nuova sentenza della corte territoriale è incorsa in ulteriori e più gravi travisamenti di prova laddove ha ritenuto provato il conferimento dell'ordine di realizzazione del ponteggio in base alle dichiarazioni del teste M., posto che questi, nel ricordare il programma dei lavori da svolgersi che comprendeva anche l'erezione di un ponteggio, ha collocato la riunione, nella quale egli apprese tale circostanza nei pomeriggio del 10 maggio 2000, ovvero proprio il giorno in cui si verificò l'infortunio; sicché, fu in quel giorno che avvenne l'incontro presso i locali dell'ispettorato provinciale tra M. e G., mentre prima di quella data non era stato ancora disposto che il tetto venisse realizzato e che il ponteggio venisse innalzato, come ulteriormente confermato dallo stesso teste M.. Pone infine in ogni caso in rilievo l'illogica motivazione della sentenza impugnata ove la stessa continua a non dare conto del perché la documentazione inerente i concomitanti impegni del G. il 9 maggio 2000 (ovvero la data in cui C. ha riferito di avere ricevuto l’ordine di elevazione del ponteggio) fosse da ritenersi irrilevante o superabile.

3. Ha proposto ricorso anche M. B..

Con un primo motivo lamenta violazione di legge, illogicità e contraddittorietà della motivazione e travisamento della prova. In particolare lamenta che la Corte avrebbe stravolto il contenuto delle dichiarazioni del teste M. secondo cui la disposizione di erigere l'impalcatura era stata data da M. a G. e da questi era stata data al capo operaio C.. Tuttavia, poiché secondo M. dette disposizioni erano evidentemente state date da M. all'interno del suo ufficio in occasione dell'unico incontro tra questi svoltosi a Palermo il giorno stesso dell'infortunio ai fini delle programmazione dell'attività nei giorni seguenti, nessuna specifica disposizione sull'erezione del ponteggio poteva essere stata data. Inoltre lo stesso G. ha escluso di avere ricevuto tale disposizione da M.. Lamenta inoltre, illustrando l'ordinario assetto organizzativo dei cantieri, la non corretta ricostruzione dell'organizzazione del lavoro nel cantiere di specie che, secondo la Corte, avrebbe reso, in assenza di specifiche attribuzioni, tutti responsabili di tutto. Censura altresì le argomentazioni della Corte in ordine al non idoneo impiego ed inquadramento dei lavoratori impegnati nel cantiere, tra cui la persona offesa, in relazione ai loro profili professionali.

3.1. Con un secondo motivo lamenta violazione di legge in relazione agli artt. 43 c.p., 2087 c.c., 21, 22 e 36 quater del d.P.R. n. 626 del 1994 nonché art. 381 del d.P.R. n. 547 del 1977. Con riguardo anzitutto all'art. 2087 c.c. osserva che, incombendo alle figure apicali dell'assessorato competente l'intera materia concernente la sfera organizzativa dei cantieri, il direttore del cantiere potrebbe essere ritenuto responsabile solo ove lo stesso si fosse dìscostato dagli schemi organizzativi impostigli.

Quanto all'art. 36 quater cit. osserva che, a fronte di un obbligo, previsto da un complesso di norme antinfortunistiche, di misure da apprestarsi per i ponteggi posti ad un'altezza di almeno due metri dal suolo, nella specie il piano di lavoro non superava 1,20 - 1,50 metri; circa poi la violazione degli artt. 21 e 22 del d. lgs. n. 626 del 1994, contestando nuovamente la mancanza di elementi per affermare una omessa formazione ed informazione dei lavoratori sui rischi e sulle norme antinfortunistiche, incombenze, queste, attribuibili non certo a M. ma al direttore generale delle foreste, all'ispettore provinciale o al responsabile della sicurezza e, se del caso, all'assessore pro tempore; parimenti contesta che a M. fosse addebitabile l'omessa vigilanza sull'uso del casco da parte della vittima anche ammesso che nella circostanza tale uso non sia effettivamente avvenuto.

3.2. Con un terzo motivo lamenta la violazione di legge in ordine alla mancanza di nesso di causalità tra la condotta colposa e l'evento. Osserva che l'unica condotta atta a impedire concretamente l'evento, tanto più essendo stato il comportamento della persona offesa palesemente anomalo, imprevedibile ed imprevisto, avrebbe dovuto essere il controllo fisico diretto, continuo e costante, spettante al solo caposquadra C., riconosciuto infatti come definitivamente colpevole. Anche l'attribuzione di una responsabilità ad ognuno nella misura del 25% sarebbe sganciata da una puntuale individuazione di ogni singola condotta asseritamente illecita. In particolare, rispetto alle violazioni di legge addebitate a M. non vi sarebbe in sentenza alcuna indicazione da cui potere desumere l’efficienza causale delle stesse rispetto alla verificazione dell'evento. Nessun accorgimento tecnico nella attività di montaggio del ponteggio in particolare sulla base di un piano precedentemente redatto, avrebbe impedito che la persona offesa salisse scriteriatamente sul muro per passare delle tavole.



Diritto





4. Entrambi i ricorsi sono fondati nelle parti in cui lamentano, all'interno dei vari motivi di doglianza (segnatamente, il primo, secondo, terzo e quarto del ricorso di G. ed il secondo e terzo motivo del ricorso di M.), una mancanza di motivazione in ordine al profilo della colpa addebitata agli imputati in relazione ai rilievi evidenziati dalla Corte di Cassazione nella sentenza di annullamento con rinvio.

Va anzitutto posto in rilievo come la Corte territoriale, sia pure ai fini di delineare, in relazione alla rimodulazione del trattamento sanzionatorio e alla determinazione delle percentuali di responsabilità gravanti su ciascuno degli appellanti, il comportamento imprudente ed imperito tenuto dal lavoratore R. D., abbia ricostruito, nella sentenza impugnata, la dinamica dell'accaduto in termini chiari ed inequivoci: il lavoratore, hanno infatti precisato i giudici del rinvio a pag. 15 della sentenza impugnata, ebbe "senza caschetto protettivo e privo di imbracatura peraltro non predisposta, facendo forse affidamento sulle proprie capacità di equilibrio e comunque nel rispetto della direttiva ricevuta, agendo senza il dovuto controllo da parte del G. e del M. oltre che del C." ad avventurarsi "sul cordolo alla sommità del muro in costruzione allo scopo di passare ai compagni di lavoro alcune tavole di lavoro per montare un ponteggio", così contribuendo al verificarsi dell'evento.

Ne consegue come, a fronte, del resto, dell'imputazione incentrata espressamente sulla mancata adozione delle "necessarie cautele", in tanto può essere addebitata agli imputati una condotta omissiva colposa in quanto siano individuate a loro carico condotte omissive (rispetto a doveri sugli stessi incombenti per legge) che si pongano in relazione di causalità con tale evento secondo il necessario parametro del giudizio cosiddetto "controfattuale" nel senso della necessità di verificare se lo stesso, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta (ma omessa), si sarebbe ugualmente verificato.

Ciò posto, la Corte territoriale avrebbe dunque dovuto, per necessaria coerenza con quanto da essa stessa ricostruito in ordine alla dinamica dell'infortunio, individuare, all'interno di un percorso motivazionale che tenesse conto, altresì, delle indicazioni evidenziate dalla Quarta Sezione di questa Corte nella sentenza di annullamento, specifiche condotte che, ove tenute, avrebbero (come già affermato con riferimento all'imputato G.) evitato che il lavoratore si "avventurasse", appunto, sulla sommità del muro noncurante delle misure protettive (segnatamente caschetto ed imbracatura) e, in tal modo, cadesse a terra dall'alto.

Sennonché, mentre con riguardo al già condannato C., la condotta omissiva è stata propriamente individuata, come già posto in rilievo da questa Corte, nel non avere lo stesso, presente al momento del fatto in cantiere, impedito al lavoratore di salire appunto, in assenza di ogni possibile cautela, sulla sommità del tetto, ove era in costruzione un ponteggio, per passare agli altri operai il materiale da utilizzare per detta costruzione, con riguardo agli odierni ricorrenti la motivazione della sentenza impugnata si è soffermata, senza adeguatamente considerare i rilievi svolti nella sentenza di annullamento con rinvio, su condotte che, per come valutate in sentenza, appaiono di per sé non conferenti rispetto al già considerato necessario piano di causalità colposa.

E ciò anzitutto con riguardo all'addebito, sul quale la sentenza impugnata si sofferma con particolare attenzione, rappresentato dall'impartito ordine di realizzazione dell'impalcatura.

Secondo la sentenza impugnata, infatti (si vedano in particolare le pagg. 11 e 12), l'ordine di realizzare detta impalcatura venne dato, come confermato dal teste M., collega di lavoro di M., da quest'ultimo a G. affinché egli poi lo riferisse in particolare al capo operaio C. che era autorizzato, in assenza dell'agente tecnico, ad impartire le disposizione agli altri operai. E tuttavia, pur apparendo non sindacabile la valutazione delle prove che hanno logicamente condotto la Corte ad una tale conclusione (censurata da G. con sulla base di considerazioni tutte inammissibili giacché volte ad introdurre considerazioni fattuali e di natura alternativa esulanti dai limiti di cognizione di questa Corte), la sentenza non spiega, fondamentalmente ricadendo nell'impostazione già censurata nella sentenza della Quarta Sezione, perché un tale ordine (peraltro espressivo di una condotta commissiva e non omissiva), di per sé solo concretante né più né meno che una lecita disposizione di lavoro, dovrebbe integrare in sé solo considerato un profilo di colpa da porsi in relazione causale con un evento (la caduta dal tetto del casotto) da tale ordine dipendente solo per un fatto di consequenzialità occasionale.

Avrebbe invece la Corte dovuto spiegare le ragioni per le quali in realtà, evidentemente, non tanto l'ordine in sé di realizzare l'impalcatura quanto quello di procedere ai lavori ad essa finalizzati in consapevole assenza delle necessarie regole di cautela (quale condotta del resto addebitata anche al già condannato C.) fosse ricollegabile e in che modo alla posizione dei due imputati.

E ciò senza trascurare, da un lato, le rispettive qualifiche dagli imputati stessi rivestite, peraltro all'Interno di una organizzazione che la sentenza stessa (vedi pag.10 - 11 della sentenza) ha definito come "piramidale" (da ciò derivando la necessità di tenere conto, nel contesto evidentemente gerarchico che contrassegna l'Ispettorato Forestale, della latitudine di spazi decisionali consentita ai vari soggetti in esso operanti), ed i conseguenti compiti da esse derivanti in concreto e, dall'altro, l'elemento della assenza dal cantiere, il giorno del fatto, dell'agente tecnico G..

Sotto il primo aspetto, in particolare, deve ribadirsi, quanto al direttore dei lavori M., che, come già ricordato dalla Sezione Quarta di questa Corte, la qualifica di direttore dei lavori non comporta automaticamente la responsabilità per la sicurezza sul lavoro ben potendo l’incarico di direttore limitarsi alla sorveglianza tecnica attinente alla esecuzione del progetto (Sez. 4, n. 49462 del 26/03/2003, Viscovo, Rv. 227070;Sez. 4, n. 12993 del 25/06/1999, Galeotti, Rv. 215165; Sez.3, n. 11593 del 01/10/1993, Telesca, Rv.196929). Si è infatti chiarito, sia pure con riferimento agli artt. 4 e 5 del d.P.R. n. 547 del 1955 (essendo sotto tale profilo analogo il disposto degli attuali art. 17, 18 e 19 del d. lgs. n. 81 del 2008), che destinatari delle norme antinfortunistiche sono i datori di lavoro, i dirigenti e i preposti, mentre il direttore dei lavori per conto del committente è tenuto alla vigilanza dell'esecuzione fedele del capitolato di appalto nell'interesse di quello e non può essere chiamato a rispondere dell'osservanza di norme antinfortunistiche ove non sia accertata una sua ingerenza nell'organizzazione del cantiere. Ne consegue che una diversa e più ampia estensione dei compiti del direttore dei lavori, comprensiva anche degli obblighi di prevenzione degli infortuni, deve essere rigorosamente provata, attraverso l’individuazione di comportamenti che possano testimoniare in modo in equivoco l'ingerenza nell'organizzazione del cantiere o l'esercizio di tali funzioni.

Sotto il secondo aspetto, poi, sempre questa Corte, con la sentenza di annullamento con rinvio, ha posto in rilievo la necessità di stabilire se la temporanea assenza comunque giustificata di G. potesse dare luogo a valido esonero dalle obbligazioni di garanzia che sullo stesso gravavano.

Entrambi tali aspetti, già evidenziati con la sentenza di annullamento di questa Corte, sono stati formalmente presi in esame dal giudice di rinvio; quanto al primo, avendo i giudici di appello definito, sulla base delle dichiarazioni del teste M., M. "principale gestore del cantiere" e non semplice incaricato della sorveglianza tecnica, e, quanto al secondo, avendo ritenuto che a nulla potesse valere,a fronte dell'omissione di cautele doverose, il fatto del contestuale impegno lavorativo presso altri cantieri, tanto più essendo emerse palesi carenze nella individuazione dei collaboratori.

Entrambe le risposte, tuttavia, si fondano sulla premessa, come già visto in principio, non corretta, che a fondare la colpa contestata sia stata di per sé sufficiente la sola prescrizione, rivolta, lungo la "catena" gerarchica, al lavoratore di procedere alla realizzazione dell'impalcatura mentre l'analisi dell'incidenza "esimente" dei due profili indicati nella sentenza di annullamento avrebbe dovuto essere, più correttamente, secondo i principi sopra esposti, parametrata sul nesso di causalità con l'evento verificatosi rispetto al quale tale realizzazione si poneva unicamente come antecedente storico.

Sicché, in definitiva, la sentenza impugnata ha finito per riproporre le cadenze di un ragionamento già ritenute non correttamente motivate, imponendosene, quindi, l'annullamento con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Palermo per un nuovo giudizio che tenga conto dei principi sopra evidenziati.



P.Q.M.





Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Palermo.