Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 3, 22 gennaio 2014, n. 2857 - Esercizio non autorizzato di intermediazione o interposizione di manodopera


 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ALFREDO TERESI - Presidente
Dott. RENATO GRILLO - Consigliere
Dott. GUICLA MULLIRI - Consigliere
Dott. LORENZO ORILIA - Consigliere
Dott. ALESSANDRO MARIA ANDRONIO - Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente
SENTENZA


sul ricorso proposto da:
C.V. nato il ... avverso la sentenza n. 1474/2010 TRIBUNALE di CATANIA, del 25/02/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/10/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSANDRO MARIA ANDRONIO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ...
che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso
Udito, per la parte civile, l'Avv ...
Uditi i difensori Avv. ...

Fatto


1. - Con sentenza del 25 febbraio 2013, il Tribunale di Catania ha - per quanto qui rileva - condannato alla pena dell'ammenda l'imputato odierno ricorrente per il reato di cui agli artt. 110 cod. pen., 18, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 276 del 2003, per avere, in concorso con altri, quale presidente del consiglio d'amministrazione e legale rappresentante prò tempore di un consorzio, esercitato senza autorizzazione attività di somministrazione di lavoratori di cui all'art. 4 del d.lgs. n. 176 del 2003, mentre i concorrenti utilizzavano, attraverso le loro imprese e società, tale somministrazione di lavoratori, trattandosi di autotrasportatori formalmente dipendenti di società consorziate forniti senza alcuna organizzazione di mezzi e del lavoro e senza alcuna assunzione di rischi d'impresa da parte del consorzio, per 4641 giornate lavorative nell'anno 2005, 13.332 giornate lavorative del 2006, 10.408 giornate lavorative nel 2007, per un totale complessivo di 28.381 di giornate lavorative. Il Tribunale ha, in particolare, escluso l'applicabilità alla fattispecie della disciplina della continuazione, ritenendo che il reato abbia struttura unitaria e non sia scindibile in una serie di fatti continuativamente concorrenti per ogni lavoratore e ogni giornata lavorativa.
2. - Avverso la sentenza l'imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento.

2.1. - Con un primo motivo di doglianza, si deduce l'erronea applicazione dell'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 276 del 2003, il quale prevede che detto decreto legislativo non trovi applicazione per le pubbliche amministrazioni e per il loro personale. La difesa sostiene che, poiché la ditta individuale e la società destinataria della somministrazione erano state confiscati in via definitiva ai sensi dell'art. 2 ter della legge n. 575 del 1965, esse dovevano ritenersi assorbite nel demanio e, dunque, considerate pubbliche amministrazioni a tutti gli effetti.
2.2. - Si lamenta, in secondo luogo, la violazione degli artt. 13 e 15 del d.lgs. n. 124 del 2004, per il mancato esperimento della preventiva procedura di diffida disciplinata da tale disposizione. In particolare, il richiamato art. 13 prevede che il personale ispettivo che rilevi inadempimenti da cui derivano sanzioni amministrative abbia l'obbligo di diffida del datore di lavoro a regolarizzare le inosservanze, fissando il relativo termine, con una disciplina analoga a quella prevista dagli artt. 20 e seguenti del d.lgs. n. 758 del 1994 in materia di illeciti penali contravvenzionali. Ricorda poi la difesa che il successivo art. 15 dello stesso d.lgs. n. 124 del 2004 ha esteso tale procedura a tutte le ipotesi di reato in cui sia prevista la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda, ovvero la contravvenzione punita con la sola ammenda; ipotesi tra le quali rientra quella di specie.
2.3. - Con un terzo motivo di doglianza, si deduce l'erronea applicazione dell'art. 29 del d.lgs. n. 276 del 2003, perché non si sarebbe considerato che il rapporto sinallagmatico intercorrente fra le società che hanno ricevuto la somministrazione di lavoratori e il consorzio dell'imputato era in realtà un contratto di appalto, pienamente consentito dalla legge. Il fatto che il consorzio eseguisse la somministrazione attraverso il personale delle proprie società consorziate non è - secondo il ricorrente - riconducibile né al subappalto né, ancor meno, alla somministrazione di lavoro, ma è un mero atto di natura organizzatoria a rilevanza interna. Tale conclusione sarebbe confermata dalle dichiarazioni testimoniali di alcuni dei lavoratori, i quali avrebbero affermato che, pur essendo dipendenti delle diverse cooperative consorziate, operavano in nome e per conto del consorzio prendendo ordini e istruzioni esclusivamente dagli uffici del consorzio stesso. La difesa ritiene che l'esistenza di fatture emesse dal consorzio alle società che avevano ricevuto la somministrazione e dei prospetti approntati sulla scorta di "buoni trazione" non potrebbero essere considerati quali indici di mancanza di organizzazione di uomini  e mezzi e di assunzione di rischio d'impresa da parte del consorzio, perché non sarebbe rilevante il fatto che gli autisti forniti dal consorzio prestassero il loro lavoro su camion forniti dalle imprese presso il quale si trovavano a operare. Non sarebbe, infatti, sufficiente a integrare la somministrazione abusiva di manodopera la circostanza che i dipendenti dell'appaltatore utilizzino macchinari e attrezzature messi a disposizione dal committente.
2.4. - Si contesta, in terzo luogo, la violazione degli artt. 81, secondo comma, e 157, secondo comma, cod. pen., lamentando che il giudice, nonostante un capo di imputazione in cui il reato era stato contestato in continuazione, aveva concluso per la inapplicabilità della disciplina del reato continuato e per la unicità della condotta.
Sostiene la difesa che la somministrazione abusiva di manodopera è un reato istantaneo ad effetti permanenti, che si perfeziona nel momento del concreto e tangibile utilizzo delle maestranze, con la conseguenza che - nel caso in esame - sarebbero prescritti i fatti risalenti agli anni 2005 e 2006, dovendosi, del resto, applicare per il 2005 la più vecchia e più favorevole disciplina della prescrizione triennale.

3. - All'udienza del 12 settembre 2013, fissata per la discussione davanti a questa Corte, la trattazione del procedimento è stata rinviata, per richiesta difensiva e con sospensione dei termini di prescrizione, all'odierna udienza del 16 ottobre 2013

Diritto

4. - Il secondo motivo di ricorso è fondato e deve essere accolto, con conseguente assorbimento del primo e del terzo motivo, attinenti alla responsabilità penale.
4.1. - Per ragioni di priorità logica, è necessario procedere preliminarmente all'esame del quarto motivo di impugnazione, relativo alla pretesa prescrizione del reato.
Il motivo non è fondato.
Il Tribunale ha operato una corretta riqualificazione del reato, originariamente contestato quale reato continuato, nel senso della considerazione unitaria della condotta. Il reato di esercizio non autorizzato di intermediazione o interposizione di manodopera non è, infatti, scindibile in una serie di reati formalmente, materialmente o continuativamente concorrenti per ogni lavoratore e ogni giornata lavorativa, perché l'antigiuridicità penale del fatto deve essere vista nel suo complesso, tanto che nella determinazione della pena per il singolo reato il legislatore fa riferimento al numero complessivo delle giornate lavorative. A ciò deve aggiungersi che la permanenza si protrae per tutto il tempo del rapporto di lavoro, proprio perché il bene tutelato va individuato non nella fonte del rapporto ma nello stesso rapporto di lavoro, che il legislatore ha inteso sottrarre nel suo complesso ad ingerenze di terzi; in altri termini, la condotta vietata dalla norma incriminatrice non è la conclusione del contratto illecito, a natura istantanea, ma l'esposizione a rischio della condizione dei lavoratori, che si protrae fino a quando dura il contratto (sez. 3, 24 febbraio 2004, n. 25726, rv. 228957; 26 gennaio 2010, n. 16381, rv. 246754; si vedano, inoltre, con riferimento alla previgente fattispecie di cui all'art. 1 della legge 23 ottobre 1960, n. 1369, sez. 3, 28 giugno 1976, n. 8549/1977, Bain; 10 ottobre 1177, n. 8903/1978, Vazzana; 2 maggio 1989, n. 8014, rv. 181490; 8 luglio 1992, n. 8546, rv. 191526; 23 marzo 2001, n. 23769, rv. 219695).
Ne consegue, quanto al caso di specie, che il reato deve intendersi consumato il 31 ottobre 2007, data in cui è cessata la somministrazione abusiva di lavoratori. Trattandosi di reato contravvenzionale, trova applicazione il termine complessivo quinquennale, ai sensi degli artt. 157, primo comma e 161, secondo comma, cod. pen., cui devono essere aggiunte le sospensioni verificatesi nel corso del procedimento di merito e dettagliatamente riportate alla pagina 8 della sentenza impugnata, per un totale di 328 giorni; a queste va poi aggiunta la sospensione verificatasi nel giudizio di cassazione tra il 12 settembre 2013 e il 16 ottobre 2013, per giorni 34, per giungere a un totale di 362 giorni. La prescrizione del reato maturerà, dunque, solo alla data del 28 ottobre 2013, successiva alla lettura del dispositivo della presente sentenza.
4.2. - Esclusa l'estinzione del reato per prescrizione, si deve ora procedere, in ordine logico, all'esame del secondo motivo di ricorso, relativo alla violazione degli artt. 13 e 15 del d.lgs. 124 del 2004, per il mancato esperimento della preventiva procedura di diffida.
Il richiamato articolo 15 («Prescrizione obbligatoria») stabilisce, in particolare, che: «1. Con riferimento alle leggi in materia di lavoro e legislazione sociale la cui applicazione è affidata alla vigilanza della direzione provinciale del lavoro, qualora il personale ispettivo rilevi violazioni di carattere penale, punite con la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda ovvero con la sola ammenda, impartisce al contravventore una apposita prescrizione obbligatoria ai sensi degli articoli 20 e 21 del decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758, e per gli effetti degli articoli 23 e 24 e 25, comma 1, dello stesso decreto. 2. L'articolo 22 del citato decreto legislativo n. 758 del 1994, trova applicazione anche nelle ipotesi di cui al comma 1. 3. La procedura di cui al presente articolo si applica anche nelle ipotesi in cui la fattispecie è a condotta esaurita, ovvero nelle ipotesi in cui il trasgressore abbia autonomamente provveduto all'adempimento degli obblighi di legge sanzionati precedentemente all'emanazione della prescrizione».
Tale disposizione - la cui ragione ispiratrice risiede evidentemente nella opportunità di allargare l'ambito di applicazione dell'oblazione di cui al d.lgs. n. 758 del 1994 e, conseguentemente, deflazionare il processo penale - è pienamente applicabile alla fattispecie in esame, sanzionata dall'art. 18 del d.lgs. n. 276 del 2003, in cui la somministrazione abusiva di manodopera era già interamente avvenuta al momento dell'accertamento del reato.
Il comma 3 del richiamato art. 15 del decreto-legge n. 124 del 2004 prevede, infatti, che la prescrizione che consente l'accesso all'oblazione amministrativa e, dunque, l'estinzione del reato, deve comunque essere impartita anche nel caso in cui la fattispecie sia a condotta esaurita. Come visto, infatti, la disposizione non è esclusivamente diretta alla rimozione delle conseguenze delle condotte illecite, ma, più in generale, ad evitare il più possibile l'esercizio dell'azione penale. E ciò, in linea, con quanto già affermato da questa Corte in relazione al reato di cui agli artt. 8, primo comma, e 26, secondo comma, della legge n. 977 del 1967, relativo all'impiego di lavoratori minorenni non preventivamente sottoposti a visita medica (sez. 3, 6 giugno 2007, n. 34900, rv. 237198; 3 maggio 2011, n. 34750, rv. 251229); reato che -come quello per cui qui si procede - è di frequente commesso attraverso condotte già esaurite al momento dell'accertamento da parte dell'autorità ispettiva.
Quanto poi al suo ambito oggettivo di applicazione, il comma 1 del richiamato art. 15 del d.lgs. n. 124 del 2004 indica - come visto - le «violazioni di carattere penale, punite con la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda ovvero con la sola ammenda» di leggi in materia di lavoro e legislazione sociale la cui applicazione è affidata alla vigilanza della direzione provinciale del lavoro.
Non vi è dubbio che la materia dell'esercizio senza autorizzazione dell'attività di somministrazione di lavoratori rientri tra quelle di competenza della direzione provinciale del lavoro. Deve infatti rilevarsi, infatti, che tali competenze trovano la loro principale fonte di disciplina negli artt. 7 e seguenti dello stesso d.lgs. n. 124 del 2004. In particolare, all'art. 7, comma 1, lettere a) e b), si prevede che il personale ispettivo della direzione del lavoro abbia il compito di vigilare sull'esecuzione delle leggi in materia di tutela dei rapporti di lavoro di legislazione sociale ovunque sia prestata attività di lavoro, a prescindere dallo schema contrattuale di volta in volta utilizzato, e di vigilare sulla corretta applicazione dei contratti e degli accordi collettivi di lavoro. L'art. 8 prevede poi che le direzioni del lavoro si occupino della prevenzione e della promozione in relazione alla emersione del lavoro non regolare e, più in generale, in relazione al rispetto della normativa in materia lavoristica e previdenziale. Se ne desume che alle direzioni del lavoro spetta la vigilanza sui profili contrattuali e sugli illeciti connessi a tali profili, ivi compresi gli illeciti consistenti nell'esercizio abusivo dell'attività di somministrazione, trattandosi di questioni direttamente attinenti ai diritti fondamentali dei lavoratori che devono ricevere una tutela effettiva e sostanziale, a prescindere dagli schema contrattuale formalmente utilizzati.
Il reato di cui all'art. 18, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 276 del 2003 rientra, dunque, nell'ambito di applicazione dell'art. 15 del d.lgs. n. 124 del 2004, con la conseguenza che il personale che procede all'accertamento - sia esso appartenente alle direzioni del lavoro o ad altri organi o corpi di polizia - è tenuto in ogni caso ad impartire al contravventore la prescrizione ai sensi degli artt. 20 e 21 del d.lgs. n. 758 del 1994, trovando applicazione anche i successivi artt. 22-25 dello stesso decreto, che prevedono la sospensione dell'esercizio dell'azione penale e disciplinano le modalità di estinzione del reato mediante oblazione.
5. - Ne consegue - con riferimento al caso di specie - che il giudice di merito avrebbe dovuto dichiarare non doversi procedere per mancanza della condizione di procedibilità, costituita dal previo espletamento della procedura di estinzione. Pertanto, ritenuti assorbiti i motivi di doglianza attinenti alla responsabilità penale, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio con trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il Tribunale di Catania, al fine di consentire l'attivazione della prevista procedura di definizione amministrativa.

P.Q.M.


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone la trasmissione degli atti al Pubblico ministero presso il Tribunale di Catania, onde farsi luogo alla definizione amministrativa.
Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2013.