Cassazione Penale, Sez. 4, 13 febbraio 2014, n. 7067 - Tubolare sporgente e infortunio mortale: prescrizione




REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SIRENA Pietro A. - Presidente -
Dott. MARINELLI Felicetta - Consigliere -
Dott. MONTAGNI Andrea - rel. Consigliere -
Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere -
Dott. DELL'UTRI Marco - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da:
M.D. N. IL (Omissis);
avverso la sentenza n. 3533/2004 CORTE APPELLO di BOLOGNA, del 25/01/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 31/01/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Giulio Romano che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.



Fatto



1. La Corte di Bologna, con sentenza in data 25.01.2013, confermava la sentenza di condanna resa dal Tribunale di Bologna, sezione distaccata di Imola, il 18.05.2004, nei confronti di P.N., B.R. e M.D., in ordine al reato di cui all'art. 589 cod. pen.. Agli imputati si contesta, nella rispettiva qualità di coordinatore del servizio di prevenzione, di presidente e legale rappresentante della Edilcarpentieri srl e di responsabile esecutivo del settore edile, di avere provocato il decesso del lavoratore S.A., il quale era caduto nel cantiere edile sito in Bo.To.; e ciò per colpa consistita nell'aver violato specifiche norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, non provvedendo a far installare ponteggi completi in ogni parte e sostenuti da cavalletti, in modo da evitare la sporgenza di tubolari dal piano di calpestio. La Corte territoriale rilevava che agli imputati il primo giudice aveva concesso le attenuanti generiche e l'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6, in rapporto di equivalenza rispetto alla aggravate contestata.

Ciò premesso, il Collegio ha rilevato che la affermazione di penale responsabilità degli imputati doveva essere confermata. Ciò in quanto l'affidamento a terzi dell'opera appaltata non libera automaticamente l'appaltante dalla propria responsabilità prevenzionale, poichè entrambe le ditte (appaltante e sub- appaltatrice) debbono cooperare alla attuazione delle misure di prevenzione e protezione per i rischi inerenti alla esecuzione dell'opera appaltata. La Corte distrettuale, al riguardo, sottolineava che la Edilcarpentieri non aveva sub-appaltato integralmente e totalmente i lavori di cui si tratta, avendo conservato, a termine di contratto, l'onere della agibilità del cantiere e del sollevamento al piano dei materiali, evenienze che presuppongono la presenza nel cantiere di dipendenti della medesima Edilcarpentieri. La Corte di Appello considerava poi che non vi erano dubbi sulle cause della morte del S., il quale, caduto sul tubolare sporgente e non protetto da apposito tappo, aveva riportato una gravissima lesione interna, costituente la causa del decesso.

2. Avverso la predetta sentenza della Corte di Appello di Bologna ha proposto ricorso per cassazione M.D., a mezzo dei difensori.

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione di legge, in riferimento al D.P.R. n. 164 del 1956, art. 51. L'esponente osserva che già il Tribunale aveva erroneamente sostenuto che l'impalcato sul quale si era verificato l'infortunio non dovesse presentare parti a sbalzo superiori a 20 cm. Al riguardo, la parte assume che detta prescrizione riguardi i ponti su cavalletti e non i ponteggi, ove la sporgenza dei tubolari risulta fisiologica, rispetto alla morfologia del manufatto; e considera che erroneamente la Corte di Appello ha ritenuto che l'esistenza di una sporgenza del tubolare di almeno 30 cm. integrasse un profilo di colpa generica. Il deducente osserva, poi, che non vi è certezza sulle cause della morte del lavoratore; e che - anche assumendo che S. sia deceduto a causa dell'impatto con il tubolare non protetto - erroneamente i giudici hanno ritenuto che la conformità del ponteggio dovesse essere parametrata alla disposizione di cui al D.P.R. n. 164 del 1956, art. 51, riguardante i ponti su cavalletti.

L'esponente osserva che la protezione dei tubolari del ponteggio con un apposito tappo di plastica non avrebbe comunque scongiurato il verificarsi dell'evento, tenuto conto delle conseguenze lesive in concreto discendenti dall'impatto del S. con il tubolare.

Con il secondo motivo la parte deduce il vizio motivazionale, laddove la Corte di Appello ha ritenuto la responsabilità dell'imputato, a fronte di contratto di subappalto intercorso tra la Edilcarpentieri e la M.C. Impresa Edile. L'esponente rileva che in corso di giudizio è emerso che era il Mu., titolare della impresa cessionaria, che dirigeva lo svolgimento delle opere a lui sub-appaltate.

Con il terzo motivo il ricorrente deduce la contraddittorietà della motivazione in riferimento alle cause del decesso del S. ed alla ricostruzione della dinamica dell'infortunio. Al riguardo, osserva che nel caso non è stato effettuato un riscontro autoptico, nè un verbale della visita esterna del cadavere, di talchè non è stata accertata la mancanza di eventuali condizioni costituzionali del S., quale un angioma epatico, idonee ad incrementare gli effetti del trauma, sino a provocare il decesso dell'infortunato.

L'esponente osserva inoltre che nessun teste vide cadere S., che fu trovato in piedi.

Con il quarto motivo il deducente considera che al S. erano state assegnate le seguenti mansioni: manovrare la gru; fornire i materiali di dipendenti di Mu.; tenere in ordine il cantiere.

Ciò posto, sottolinea che S. non doveva salire sugli impalcati della ditta Mu., per eseguire opere che erano state affidate a quest'ultima impresa; e che M. aveva ripetutamente ordinato a S. di non effettuare i predetti lavori, come l'applicazione della malta. Ritiene che il rapporto causale tra la condotta e l'evento risulti interrotto dalla accertata inosservanza, da parte dell'infortunato, di precisi ordini esecutivi impartiti dal datore di lavoro.

Con il quinto motivo la parte osserva che il reato - tenuto pure conto degli atti interruttivi - risulta estinto per prescrizione.



Diritto

 


3. Il ricorso in esame muove alle considerazioni che seguono.

3.1 Si deve primieramente considerare che il termine massimo di prescrizione, pari ad anni quindici, relativo al reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, per il quale si procede, commesso in data (Omissis), risulta ad oggi spirato. Invero, all'imputato sono state concesse le attenuanti generiche, in rapporto di equivalenza sulla contestata aggravante. Pertanto, dovendosi applicare la disciplina di cui al previgente art. 157 cod. pen., atteso che la sentenza di primo grado è stata resa nel 2004, il termine prescrizionale risulta pari ad anni dieci, da aumentarsi della metà, sino ad anni quindici, per gli intervenuti atti interruttivi. Del resto, anche applicando la disciplina prescrizionale successiva alle modifiche introdotte dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251, il termine risulterebbe comunque pari ad anni quindici, stante il disposto di cui all'art. 157 c.p., comma 6, ove è stabilito il raddoppio dei termini di prescrizione per il reato di cui all'art. 589 c.p., comma 2. Il termine di prescrizione risulta perciò spirato in data 27.03.2013.

3.2 Giova allora ricordare che questa Suprema Corte ha affermato il principio di diritto secondo cui, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata, perchè l'inevitabile rinvio della causa all'esame del giudice di merito dopo la pronuncia di annullamento è incompatibile con l'obbligo dell'immediata declaratoria di proscioglimento stabilito dall'art. 129 cod. proc. pen.; con la precisazione che in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l'obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 1021 del 28.11.2001, dep. 11.01.2002, Rv. 220511; Cass. Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, dep. 15/09/2009, Rv. 244275).

3.3 Ciò premesso, occorre verificare se, avuto riguardo ai motivi dedotti dal ricorrente in relazione alle argomentazioni svolte dalla Corte d'Appello di Bologna nell'impugnata sentenza, il ricorso presenti profili di inammissibilità per la manifesta infondatezza delle doglianze ovvero perchè basato su censure non deducibili in sede di legittimità, tali, dunque, da non consentire di rilevare l'intervenuta prescrizione (posto che si tratterebbe di causa originaria di inammissibilità).

Orbene, atteso che non si rilevano profili di inammissibilità del ricorso, avuto riguardo al tenore ed alla natura delle questioni dedotte, deve essere dichiarata l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione. Nè, nella concreta fattispecie, sussistono i presupposti previsti dall'art. 129 c.p.p., comma 2, idonei a riconoscere la prova evidente dell'innocenza del prevenuto, a fronte delle conformi valutazioni espresse dai giudici del merito, in ordine all'affermazione di responsabilità penale dell'imputato. Esclusa dunque l'applicabilità dell'art. 129 c.p.p., comma 2, deve rilevarsi l'intervenuta estinzione del reato per prescrizione, essendo spirato il relativo termine massimo, come sopra evidenziato.

4. Si impone, per quanto rilevato, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, per essere il reato estinto per prescrizione.




P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il reato è estinto per prescrizione.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2014.

Depositato in Cancelleria il 13 febbraio 2014