Cassazione Penale, Sez. 4, 13 febbraio 2014, n. 7071 - Ferita ad un occhio e dispositivo di sicurezza disattivato: prassi pericolosa


 



 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SIRENA Pietro A. - Presidente -
Dott. MARINELLI Felicetta - Consigliere -
Dott. MONTAGNI Andrea - rel. Consigliere -
Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere -
Dott. DELL'UTRI Marco - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da:
M.C. N. IL (Omissis);
avverso la sentenza n. 3509/2011 CORTE APPELLO di FIRENZE, del 07/01/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 31/01/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Romano Giulio che ha concluso per l'annullamento senza rinvio per prescrizione.






Fatto


1. Il Tribunale di Firenze, con sentenza in data 18.05.2010, dichiarava M.C. responsabile del reato di lesioni colpose, condannando l'imputato alla pena condizionalmente sospesa di un mese di reclusione, oltre al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile da liquidarsi in separata sede, assegnando a titolo di provvisionale immediatamente esecutiva la somma di Euro 10.000,00. Al prevenuto si contesta, nella qualità di amministratore unico della Officine Meccaniche Mariotti srl, di aver cagionato lesioni personali al lavoratore Z.S., che riportava ferita lacero contusa palpebra superiore, ferita corneale, emovitreo, con invalidità permanente del 15%; per colpa consistita nella violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni su lavoro e, in particolare, per non aver predisposto un sistema di sicurezza idoneo ad impedire l'apertura del portellone scorrevole di accesso alla zona lavoro del tornio mentre il mandrino era in movimento, per non aver fornito ai dipendenti una adeguata e sufficiente formazione in materia di sicurezza e per aver omesso di controllare che i lavoratori indossassero gli occhiali di protezione.

2. La Corte di Appello di Firenze, con sentenza in data 7.01.2013, in parziale riforma della richiamata sentenza di condanna resa dal Tribunale di Firenze, sostituiva la pena detentiva nella corrispondente sanzione pecuniaria di Euro 3.000 di multa e confermava nel resto le statuizioni del primo giudice.

La Corte territoriale rilevava in primo luogo che il reato in addebito non risultava prescritto, alla data del 7.01.2013, poichè al termine massimo pari ad anni sette e mesi sei dovevano aggiungersi ulteriori 17 mesi per le intervenute sospensioni.

Tanto rilevato, la Corte di Appello considerava che non viene in contestazione l'idoneità della macchina, bensì le modalità di utilizzazione della stessa, con dispositivo di sicurezza disattivato, a causa dell'inserimento della apposita chiave. Al riguardo, il Collegio ha riferito che la predetta chiave restava sempre inserita, per velocizzare i tempi di lavorazione, di talchè il portellone poteva essere aperto anche mentre il mandrino era ancora in movimento. Ed ha osservato che Z. aveva aperto il portellone quando ancora il mandrino si muoveva, aveva appoggiato una chiave inglese sul portellone; che questa era caduta dentro la macchina, colpendo il mandrino e che conseguentemente era schizzata colpendo l'occhio del lavoratore.

La Corte di Appello sottolineava che il descritto disinserimento del sistema di sicurezza della macchina non era occasionale, ma che rispondeva ad una prassi seguita costantemente in azienda, per velocizzare la lavorazione.

La Corte distrettuale evidenziava, quindi, la sussistenza di un ulteriore profilo di colpa ascrivibile all'imputato, costituito dalla mancata fornitura di idonei occhiali di protezione ai dipendenti.

Osservava, inoltre, che la negligenza del lavoratore, che aveva appoggiato una chiave inglese sul portellone, non costituiva un comportamento esorbitante, tale da escludere il nesso di causalità tra l'evento e le omissioni colpose del datore di lavoro.

La Corte di Appello rilevava che poteva disporsi la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria della specie corrispondente; e rilevava che correttamente il primo giudice aveva determinato in Euro 10.000,00 l'ammontare della provvisionale.

3. Avverso la predetta sentenza della Corte di Appello di Firenze ha proposto ricorso per cassazione M.C., a mezzo del difensore.

Con il primo motivo il ricorrente denuncia l'erronea applicazione della legge penale, in riferimento all'art. 159 cod. pen.. La parte osserva che la Corte di Appello ha incluso tra i periodi di sospensione della prescrizione anche l'intero arco temporale compreso tra il 10.07.2009 e l'11.12.2009, trattandosi di differimento di udienza dovuto a richiesta di rinvio dei difensori. Al riguardo, l'esponente osserva: che all'udienza del 10.07.2009, dopo l'escussione del consulente tecnico della parte civile, fu la stessa parte civile a chiedere un rinvio, per discussione ed eventuale produzione documentale; e che la difesa dell'imputato si limitò a non opporsi. Il ricorrente ritiene pertanto che il tempo intercorrente tra le due menzionate udienze non possa computarsi tra i periodi di sospensione del corso della prescrizione. Il ricorrente considera che l'art. 159 c.p., comma 3, nel prevedere una serie di ipotesi in presenza delle quali il corso della prescrizione rimane sospeso, prende in considerazione il rinvio del processo per impedimento delle parti o dei difensori, ovvero su richiesta dell'imputato o del difensore; e sottolinea che detta norma non contiene alcun riferimento alla richiesta di rinvio avanzata dalla parte civile.

L'esponente osserva, pertanto, che la Corte di Appello avrebbe dovuto dichiarare l'intervenuta estinzione del reato per prescrizione, essendo il relativo termine spirato ben prima della emissione della sentenza gravata. Il ricorrente osserva inoltre che neppure avrebbe dovuto ritenersi operante la sospensione del termine di prescrizione, in occasione del rinvio del dibattimento su richiesta congiunta dell'imputato e della parte civile, al fine di pervenire ad un accordo in ordine al risarcimento del danno.

Con il secondo motivo l'esponente deduce il vizio motivazionale in riferimento alla circostanza relativa alla esistenza di due distinte chiavi, aventi diverse funzioni, rispetto alla utilizzazione dei torni. La parte osserva che la Corte di Appello riferisce dell'esistenza di una chiave che permetteva il disinserimento del sistema di sicurezza e rileva che il Collegio ha omesso di chiarire la funzione della seconda chiave, che del pari si inseriva nel macchinario.

Con il terzo motivo l'esponente deduce l'erronea applicazione della legge penale, in riferimento all'art. 590 cod. pen. e D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 1. Rileva che i giudici di appello hanno omesso di confutare la doglianza con la quale la difesa aveva contestato la sussistenza della posizione di garanzia in capo al M.. La parte osserva che le Officine meccaniche Mariotti sono dislocate in due sedi, una in (Omissis) e l'altra in (Omissis); e rileva che nella sede di (Omissis) era presente il preposto D., responsabile e capo officina. Il ricorrente osserva che la Corte di Appello, dopo aver affermato che vi era un soggetto, diverso dall'imputato, tenuto a sorvegliare quale preposto il corretto utilizzo dei macchinari, ha illogicamente ritenuto tale circostanza non rilevante ai fini della esclusione della responsabilità del M..

Con il quarto motivo il deducente considera che la Corte di Appello ha illogicamente individuato quale profilo di colpa, a carico del M., il mancato controllo nell'uso da parte dei lavoratori degli occhiali protettivi. Osserva che l'utilizzo degli occhiali è funzionale ad evitare contatti delle pareti oculari con polveri, scintille o residui della lavorazione, di un macchinario non schermato; e rileva che qualora i torni fossero stati usati con la dovuta chiusura del portellone di sicurezza, gli occhiali non sarebbero serviti.

Con il quinto motivo la parte denuncia la mancanza di motivazione, in riferimento al profilo di colpa consistente nel non aver svolto adeguata attività di formazione del lavoratore.

L'esponente rileva che nei motivi di appello aveva evidenziato che all'epoca del fatto l'obbligo di formazione dei dipendenti poteva ritenersi adempiuto anche in presenza di un periodo di formazione svolto dal dipendente in una scuola specializzata; rileva che l'imputato aveva comunque affiancato allo Z. un lavoratore esperto, al fine di erogare la migliore formazione al lavoratore; e considera che la Corte di Appello, pur avendo dato atto di tale doglianza, nella parte motiva della sentenza impugnata non fa alcun riferimento ad essa.

Con il sesto motivo l'esponente deduce l'erronea applicazione della legge penale, in relazione alla L. n. 689 del 1981, art. 53,. Osserva che la Corte di Appello ha stabilito il criterio di ragguaglio in Euro 100 per ogni giorno di pena detentiva, sulla base delle presunte condizioni economiche dell'imputato, in difetto di alcuna logica dimostrativa.


Diritto


4. Il ricorso in esame muove alle considerazioni che seguono.

4.1 Le doglianze relative al computo dei periodi di sospensione del corso della prescrizione, sono fondate limitatamente al rinvio richiesto dalla parte civile all'udienza del 10.07.2009. Invero, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il rinvio del dibattimento, richiesto dalla parte civile, non costituisce causa di sospensione del corso della prescrizione nell'ipotesi in cui la difesa dell'imputato non abbia espressamente prestato consenso al rinvio e si sia limitata semplicemente a "rimettersi" al giudice (Sez. 1, Sentenza n. 27676 del 17/05/2013, dep. 24/06/2013, Rv. 256363). Segnatamente, la Corte regolatrice ha precisato che in caso di richiesta congiunta delle parti opera la sospensione; e che invece la sospensione non opera qualora la difesa dell'imputato si rimetta a giustizia, a fronte della richiesta di rinvio proposta dalla parte civile.

Orbene, dal verbale di udienza del 10.07.2009, che questa Suprema Corte procede direttamente ad esaminare in ragione della natura processuale della doglianza che occupa, risulta testualmente che la difesa dell'imputato, rispetto alla richiesta di rinvio avanzata dalla parte civile, "nulla oppone". Pertanto, in applicazione dei principi di diritto sopra richiamati, deve allora considerarsi che l'arco temporale compreso tra il 10.07.2009 e la successiva udienza dell'11.12.2009 non deve essere computato nei periodi di sospensione della prescrizione.

Di converso, del tutto legittimamente la Corte di Appello ha considerato, ai fini della sospensione della prescrizione, il rinvio del dibattimento disposto su richiesta congiunta dell'imputato e della parte civile, al fine di pervenire ad un accordo in ordine al risarcimento del danno. Si è, infatti, da tempo chiarito che costituisce causa di sospensione del corso della prescrizione, il rinvio del dibattimento disposto in adesione alla richiesta congiunta dell'imputato e della parte civile, motivata con l'esigenza di addivenire ad un accordo in ordine al risarcimento del danno (Cass. Sezione 4, Sentenza n. 39606 del 28/06/2007, dep. 26/10/2007, Rv. 237877).

Conclusivamente sul punto, deve allora rilevarsi che, in ragione delle sospensioni dovute ai rinvii del processo: dal 17.11.2006 al 15.06.2006 (mesi sei e giorni 28); dal 12.02.1010 al 14.05.2010 (mesi tre); dal 27.01.2012 al 19.03.2012 (un mese e giorni 22); dal 19.03.2012 al 7.01.2013 (mesi nove e giorni 18), per astensione dei difensori dalle udienze e su richiesta congiunta delle parti, pendendo trattative, il termine di prescrizione risulta spirato in data 21.08.2013.

4.1.1 Tanto chiarito, si deve considerare che le Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione hanno chiarito che il disposto di cui all'art. 129 cod. proc. pen., laddove impone di dichiarare la causa estintiva quando non risulti evidente che il fatto non sussiste, che l'imputato non lo ha commesso, ecc., deve coordinarsi con la presenza della parte civile e di una condanna in primo grado che impone ai sensi dell'art. 578 cod. proc. pen. di pronunciarsi sulla azione civile; e che, solo in tali ipotesi, la valutazione della regiudicanda non deve avvenire secondo i canoni di economia processuale che impongono la declaratoria della causa di proscioglimento quando la prova della innocenza non risulti ictu oculi (Cass. Sez. U, sentenza n. 35490 del 28.5.2009, dep. 15.09.2009, Rv. 244273).

Pertanto, atteso che, nel caso di specie, il Tribunale di Firenze ha condannato l'imputato al risarcimento del danno in favore della parte civile, statuizione confermata dalla Corte di Appello, si deve procedere pur in presenza della causa estintiva, ad un esame approfondito dei motivi di doglianza, ai fini della responsabilità civile.

4.2 Il secondo motivo di doglianza è infondato.

Come noto, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, il vizio logico della motivazione deducibile in sede di legittimità deve risultare dal testo della decisione impugnata e deve essere riscontrato tra le varie proposizioni inserite nella motivazione, senza alcuna possibilità di ricorrere al controllo delle risultanze processuali; con la conseguenza che il sindacato di legittimità "deve essere limitato soltanto a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza spingersi a verificare l'adeguatezza delle argomentazioni, utilizzate dal giudice del merito per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali" (in tal senso, "ex plurimis", Cass. Sez. 3, n. 4115 del 27.11.1995, dep. 10.01.1996, Rv. 203272). Ed in sede di legittimità non sono consentite le censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1769 del 23/03/1995, dep. 28/04/1995, Rv. 201177; Cass. Sez. 6, Sentenza n. 22445 in data 8.05.2009, dep. 28.05.2009, Rv. 244181).

Orbene, delineato nei superiori termini l'orizzonte del presente scrutinio di legittimità, deve rilevarsi che il percorso logico argomentativo sviluppato dalla Corte di Appello, laddove ha osservato che l'impiego del macchinario, con il sistema di sicurezza disattivato, a causa dell'inserimento della apposita chiave che consentiva l'apertura del portellone anche con il mandrino in movimento, costituiva una pericolosa prassi aziendale, risulta immune dalle dedotte censure. La Corte di Appello, invero, ha del tutto logicamente osservato che la funzionalità della richiamata chiave di sicurezza, che permetteva il disinserimento del sistema di protezione del macchinario, era stata correttamente apprezzata già dal primo giudice, il quale aveva osservato che i lavoratori solevano lasciare sistematicamente detta chiave inserita nel quadro. Ciò posto, il Collegio ha quindi chiarito che, proprio a causa di tale imprudente utilizzo del tornio, la chiave (inglese) che era stata appoggiata sul portellone, era caduta sul mandrino in rotazione, era stata proiettata violentemente all'esterno ed aveva colpito l'occhio sinistro del lavoratore, provocando al dipendente le refertate lesioni.

4.3 Il terzo motivo di ricorso è infondato.

In riferimento alla posizione di garanzia assunta dal M., rispetto allo stabilimento di (OMISSIS), ove Ma. era semplice rappresentante dei lavoratori e il D. mero capo officina, la Corte di Appello ha considerato che l'affermazione dell'imputato, il quale aveva riferito di avere incaricato il capo officina D., della sorveglianza delle lavorazioni nel predetto stabilimento, non consentiva di ritenere esonerato il prevenuto dagli obblighi impeditivi, in materia di sicurezza. Ciò in quanto, ha rilevato il Collegio, gli ufficiali di polizia giudiziaria, sul punto di interesse, avevano chiarito che M. non aveva rilasciato alcuna delega, in materia di sicurezza. Orbene, la valutazione effettuata dalla Corte di Appello risulta del tutto conforme all'orientamento interpretativo ripetutamente espresso dalla Corte regolatrice, in tema di trasferimento degli obblighi impeditivi che gravano sul datore di lavoro. Si è infatti chiarito che, in tema di infortuni sul lavoro, l'esistenza sul cantiere di un preposto - salvo che non vi sia la prova rigorosa di una delega espressamente e formalmente conferitagli, con pienezza di poteri ed autonomia decisionale, e di una sua particolar competenza - non comporta il trasferimento in capo allo stesso degli obblighi e delle responsabilità incombenti sul datore di lavoro (cfr. Cass. Sez. 4, Sentenza n. 24055 del 01/04/2004, dep. 26/05/2004, Rv. 228587). E la Suprema Corte ha pure precisato che in materia di violazione della normativa antinfortunistica, gli obblighi di cui è titolare il datore di lavoro possono essere trasferiti ad altri sulla base di una delega che deve però essere espressa, inequivoca e certa, non potendo la stessa essere invece implicitamente presunta dalla ripartizione interna all'azienda dei compiti assegnati ai dipendenti o dalle dimensioni dell'impresa (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 8604 del 29/01/2008, dep. 27/02/2008, Rv. 238970).

4.4 Il quarto motivo di ricorso non ha pregio.

Richiamati i limiti propri del sindacato di legittimità, sopra evidenziati analizzando il secondo motivo di ricorso, deve osservarsi che il percorso motivazionale sviluppato dai giudici di merito risulta immune dalle dedotte censure, anche in riferimento alla valutazione che è stata effettuata rispetto al profilo di colpa, oggetto di specifico addebito nei confronti del M., relativo alla mancanza di controllo, in riferimento all'utilizzo di occhiali protettivi, da parte dei dipendenti. Invero, la Corte di Appello, dopo aver ricostruito la dinamica del sinistro nei termini sopra riferiti, ha del tutto conferentemente osservato che, in concreto, i profili di negligenza riferibili all'imputato, relativi alla prassi aziendale di far operare i dipendenti con il blocco di sicurezza dei torni disinserito ed alla mancata dotazione di occhiali protettivi, erano risultati causalmente efficienti, rispetto alla ferita all'occhio riportata dal dipendente Z..

4.5 In tali termini si introduce la disamina del quinto motivo di ricorso, con il quale l'esponente deduce la mancanza di motivazione, rispetto al profilo di colpa relativo all'inosservanza degli obblighi formativi ed informativi, in materia di sicurezza, nei confronti dei dipendenti.

Deve osservarsi che non sussiste la dedotta carenza di motivazione, atteso che la Corte di Appello si è specificamente soffermata sul tema dirimente, relativo alla formazione antinfortunistica erogata dal M. in materia di sicurezza, rispetto alle lavorazioni in concreto delegate ai dipendenti.

Invero, la Corte territoriale ha chiarito che, nel caso di specie, vi era stata una specifica attività formativa, pianificata dal M. e realizzata all'interno della azienda, in favore dello Z., consistita nell'affiancamento ad un lavoratore esperto. Con la precisazione che al dipendente era stato insegnato a lavorare ai torni con il sistema di sicurezza costantemente disinserito, grazie all'utilizzo della chiave sopra ricordata, al fine di garantire un risparmio di tempo, nel caso di lavorazione su due macchine contemporaneamente. Proprio nel contenuto di tali istruzioni, la Corte territoriale ha quindi individuato il profilo di colpa, riferibile al M. quale primo garante della sicurezza dei lavoratori, relativo alla insufficiente informazione impartita ai dipendenti, in materia di sicurezza e salute. E deve altresì osservarsi, conclusivamente sul punto, che i giudici di merito hanno pure riferito che, soltanto all'indomani dell'infortunio occorso allo Z., i dipendenti avevano trovato il tornio con il sistema di blocco del portello regolarmente inserito, nel corso del ciclo della lavorazione.

4.6 Il sesto motivo di doglianza è manifestamente infondato.

La Corte di Appello ha sostituito la pena inflitta, pari ad un mese di reclusione, con la pena pecuniaria della specie corrispondente, in ragione di Euro 100 per ciascun giorno di pena detentiva.

Si osserva che, con riguardo alla data di commissione del fatto ((Omissis)), l'art. 135 cod. pen. fissava in Euro 38 la misura del ragguaglio tra pene pecuniarie e pene detentive. Nella fattispecie, peraltro, occorre considerare che viene in rilievo l'istituto della sostituzione delle pene detentive brevi, come disciplinato dalla L. n. 689 del 1981, art. 53,; l'ora citato art. 53, comma 2, a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 134 del 2003 prevede, infatti, che ai fini della sostituzione della pena detentiva, il valore giornaliero, tenuto conto della condizione economica complessiva dell'imputato, non possa essere inferiore alla somma indicata dall'art. 135 cod. pen. e non possa superare di dieci volte tale ammontare.

Orbene, nel caso di specie, la Corte di Appello, si è discostata dalla somma minima di cui all'art. 135 cod. pen., all'epoca del fatto fissata in Euro 38, sostituendo la pena detentiva in ragione di un valore giornaliero pari ad Euro 100. Il Collegio ha giustificato la richiamata valutazione sul criterio di ragguaglio, in ragione delle condizioni economie minime di un imprenditore titolare di una azienda meccanica con vari dipendenti e due stabilimenti, quale il M.. Si tratta di un apprezzamento conforme ai criteri indicati dalla L. n. 689 del 1981, art. 53, comma 2 laddove è stabilito che il giudice, nella determinazione del valore giornaliero ai fini della sostituzione della pena detentiva, tiene conto della condizione economica complessiva dell'imputato.

Le riferite evenienze inducono, allora, ad escludere la sussistenza della denunciata carenza motivazionale. E' poi appena il caso di rilevare che, a seguito delle modifiche introdotte dalla L. 15 luglio 2009, n. 94, inapplicabili al caso di specie "ratione temporis", l'art. 135 cod. pen. stabilisce oggi che il ragguaglio tra pene pecuniarie e pene detentive abbia luogo calcolando Euro 250, o frazione di Euro 250, di pena pecuniaria per un giorno di pena detentiva.

5. Esclusa la ricorrenza delle condizioni per una pronuncia assolutoria di merito, in considerazione delle conformi valutazioni rese dai giudici di primo e secondo grado in ordine all'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, sopra esaminate; e rilevato che il presente ricorso non risulta inammissibile, per le spiegate ragioni, deve osservarsi che sussistono i presupposti, discendenti dalla intervenuta instaurazione di un valido rapporto processuale di impugnazione, per rilevare e dichiarare l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione, a norma dell'art. 129 c.p.p., comma 1, essendo spirato il relativo termine di prescrizione massimo in data 21.08.2013, come sopra evidenziato.

5.1 Si impone, pertanto, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, per essere il reato estinto per prescrizione; ed il rigetto del ricorso ai fini civili, con conferma delle relative statuizioni.


P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il reato è estinto per prescrizione; conferma le disposizioni della sentenza concernenti gli interessi civili.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2014.

Depositato in Cancelleria il 13 febbraio 2014