Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 3, 16 dicembre 2013, n. 50597 - Datore di lavoro - conduttore: luoghi di lavoro non conformi ai requisiti di buono stato di conservazione


 

 

 

La circostanza che il locale - luogo di lavoro non conforme ai requisiti di buono stato di conservazione ed efficienza sia di proprietà di terzi non esclude comunque la responsabilità del locatore - datore di lavoro salvo non si dimostri che l'adeguamento è stato reso impossibile dal comportamento del proprietario; in particolare, va escluso che il rifiuto o l'inerzia del proprietario dei locali a far sì che le irregolarità siano eliminate esima il datore di lavoro dal dovere, impostogli, come visto, per legge, di effettuare il necessario adeguamento, per il tramite di opere, ordinariamente consentite, di piccola manutenzione e di riparazione urgente salvo, evidentemente, rivalersi, quanto agli esborsi economici sopportati, sul proprietario del luogo di lavoro.


 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TERESI Alfredo - Presidente -
Dott. MARINI Luigi - Consigliere -
Dott. GRAZIOSI Chiara - Consigliere -
Dott. ANDREAZZA Gastone - Consigliere -
Dott. ANDRONIO Alessandr - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da:
R.C., n. a (OMISSIS);
avverso la sentenza del Tribunale di Roma in data 23/12/2011;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Andreazza Gastone;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dr. Policastro Aldo, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
udite le conclusioni dell'Avv. Blasi I., in sostituzione degli Avv.ti Biffa M. e De Zordo D., difensori di fiducia, che ha chiesto l'accoglimento e, in subordine, l'annullamento senza rinvio della sentenza per intervenuta prescrizione.

Fatto


1. Con sentenza del 23/12/2011 il Tribunale di Roma ha condannato R.C., quale legale rappresentante della Cr Market Srl, alla pena di Euro 1.200,00 di ammenda per il reato di cui al D.P.R. n. 547 del 1955, art. 374 e art. 389, lett. b) per non avere mantenuto in buono stato di conservazione ed efficienza i luoghi di lavoro.

2. Ha proposto ricorso per cassazione tramite il difensore l'imputato lamentando, con un primo motivo, l'erronea applicazione della legge penale e la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione. Dopo avere premesso che il giudice dell'impugnata sentenza non avrebbe richiamato le fattispecie sanzionatoria in vigore successivamente all'intervenuta abrogazione del D.Lgs. n. 547 del 1955, si duole in particolare del fatto che la sentenza, pur dando atto dei tentativi posti in essere dall'imputato di risolvere i problemi della pavimentazione del locale contattando la proprietà dello stesso, ha affermato contraddittoriamente che quanto affermato dal teste B., secondo cui per la Cr Market era impossibile assolvere alle prescrizioni, non era sufficientemente documentato;

lamenta inoltre che la stessa sentenza non abbia considerato che la problematica effettiva di tali lavori era emersa anche in sede di assegnazione di proroga dei termini per l'adempimento, essendosi dato atto, nel verbale relativo, che per l'esecuzione degli stessi dovevano essere coinvolti la proprietà dei locali e il condominio soprastante. Inoltre le zone del pavimento rovinate erano state comunque transennate con conseguente mancanza di pericolo.

Diritto


3. Il primo motivo, con cui si contesta la rimproverabilità della non conformità a norma del pavimento del locale - supermercato gestito dalla società dell'imputato, è manifestamente infondato.

Secondo quanto previsto dal D.P.R. n. 547 del 1955, art. 389, lett. b), vigente all'epoca dei fatti, e secondo quanto previsto anche, attualmente, dal D.P.R. n. 81 del 2008, art. 64, comma 1, (con riferimento al cit. D.P.R., art. 63, comma 1) succeduto, in termini di continuità normativa, al previgente disposto, il soggetto tenuto a provvedere affinchè i luoghi di lavoro siano conformi ai requisiti di buono stato di conservazione ed efficienza è il datore di lavoro.

Ne consegue che la circostanza che il locale - luogo di lavoro non conforme a tali requisiti sia di proprietà di terzi non esclude comunque la responsabilità del locatore - datore di lavoro salvo non si dimostri che l'adeguamento è stato reso impossibile dal comportamento del proprietario; in particolare, va escluso che il rifiuto o l'inerzia del proprietario dei locali a far sì che le irregolarità siano eliminate esima il datore di lavoro dal dovere, impostogli, come visto, per legge, di effettuare il necessario adeguamento, per il tramite di opere, ordinariamente consentite, di piccola manutenzione e di riparazione urgente salvo, evidentemente, rivalersi, quanto agli esborsi economici sopportati, sul proprietario del luogo di lavoro.

Quand'anche pertanto sì ritenesse, nella specie, essere emersa tale inerzia del proprietario, pur sollecitato dal conduttore dei locali, ciò non verrebbe ad incidere, per quanto appena detto, a fronte della mancata prospettazione di lavori impossibili da eseguirsi se non con il consenso e del locatore, sulla configurabilità del reato a carico dell'imputato, tanto più avendo la sentenza impugnata posto in rilievo che la società conduttrice ebbe a detenere i locali, nella condizione di irregolarità, ancora per parecchi anni dalla contestazione del fatto sì da escludere che solo a causa della mancata ottemperanza del proprietario a porre in regola la pavimentazione, l'imputato abbia deciso di risolvere il contratto di locazione. Nè lo stesso ricorrente adduce insuperabili circostanze, impeditive, appunto, come già detto, di una condotta regolarizzatrice.

4. Il secondo motivo è anch'esso manifestamente infondato;

quand'anche si recepisse l'argomentazione in fatto, e pertanto già di per sè inammissibile, secondo cui il pavimento era stato transennato, va ricordato che la natura formale del reato contestato, per la cui sussistenza è sufficiente, da parte dell'agente, l'omissione che costituisce l'elemento materiale della fattispecie, esclude che sia necessaria anche una situazione di pericolo per l'incolumità (cfr., in generale, Sez. 3, n. 9216 del 06/07/2000, Monticelli, Rv. 217471; Sez. 3, n. 2105 del 13/10/1981, Rv. 152539).

5. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile. L'inammissibilità del ricorso per motivi originari in conseguenza della sua manifesta infondatezza preclude il rilievo delle cause di non punibilità, ivi compresa l'estinzione del reato per prescrizione, maturate successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata, essendo, come già enunciato da questa Corte a Sezioni Unite, detto ricorso inidoneo ad instaurare validamente il rapporto di impugnazione (per tutte, Sez. U., n. 32 del 22/11/2000, De Luca). Ne segue la condanna del ricorrente al pagamento delle processuali e, non essendovi ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", quella al versamento della somma, determinata in Euro 1.000,00, in favore della Cassa delle Ammende.


P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 28 novembre 2013.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2013