Cassazione Civile, Sez. 6, 13 maggio 2014, n. 10302 - Infortunio sul lavoro o malattia comune





REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MAMMONE Giovanni - Presidente -
Dott. FERNANDES Giulio - Consigliere -
Dott. GARRI Fabrizia - Consigliere -
Dott. PAGETTA Antonella - Consigliere -
Dott. TRICOMI Irene - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
ordinanza


sul ricorso 25958/2012 proposto da:
C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VERONA, 30, presso lo studio dell'avvocato GUIDA CRISTIANO, rappresentato e difeso dall'avvocato OREFICE Gennaro giusta mandato in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro INPS - ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l'AVVOCATURA CENTRALE DELL'ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocato CALIULO Luigi, CARCAVALLO LIDIA, PATTERI ANTONELLA, PREDEN SERGIO giusta procura in calce al controricorso;
- controricorrente -
e contro AZIENDA NAPOLETANA MOBILITA' - A.N.M. SPA, in persona dell'Amministratore Unico e legale rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall'avvocato RIZZO Gaetano giusta procura a margine del controricorso;
- controricorrente -
e contro
INAIL - ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO (OMISSIS), in persona del Dirigente con incarico di livello generale, Direttore della Direzione Centrale Prestazioni, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso lo studio dell'avvocato FAVATA EMILIA, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato ROMEO LUCIANA giusta procura speciale in  calce al controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 1815/2012 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI del 27/03/2012, depositata il 04/04/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 01/04/2014 dal Consigliere Relatore Dott. IRENE TRICOMI;
udito l'Avvocato Antonella Patteri difensore del controricorrente (INPS) che si riporta agli scritti.


FattoDiritto


Atteso che è stata depositata relazione dal seguente contenuto.

"La Corte d'Appello di Napoli, con la sentenza n. 1815 del 2012, rigettava l'impugnazione proposta da C.F. nei confronti della Azienda Napoletana Mobilità, l'INPS e l'INAIL, avverso la sentenza del Tribunale di Napoli del 15 aprile 2008.

Il C. aveva adito il Tribunale premettendo di avare lavorato per l'ANM dal 10 aprile 1978 al 24 febbraio 1999 e di avere subito un infortunio sul lavoro in data 20 maggio 1997 con il riconoscimento giudiziale del diritto alla rendita INAIL nella misura del 25% dal 1 ottobre 1997.

Lamentava il mancato pagamento della rendita con condanna dell'INAIL al pagamento della stessa per l'importo da determinarsi con CTU. Lamentava che le assenza dovute alla patologia sviluppatasi a seguito dell'infortunio patito erano state inquadrate dal datore di lavoro e dai due enti previdenziali quali conseguenze di malattia comune e non di astensione da infortunio sul lavoro, con conseguente riduzione della retribuzione. Il C. chiedeva, quindi, la condanna dell'ANM al pagamento, in proprio favore, delle differenze retributive e di fine rapporto scaturenti dall'esatto riferimento delle assenze a patologie per infortunio, nonchè dell'INPS al pagamento della pensione nell'importo ricalcolato alla luce delle differenze retributive, da determinare con CTU. Quale ultima doglianza affermava che l'INPS aveva trattenuto dal 1 maggio 1999 al 30 ottobre 1999 sui ratei di pensione la somma di L. 13.821.500, per conguaglio con indennità di malattia pagata durante il rapporto di lavoro senza che alcunchè gli fosse mai stato contestato dall'istituto, del quale chiedeva la condanna al pagamento dei ratei trattenuti.

Il Tribunale di Napoli aveva dichiarato inammissibile la domanda avente ad oggetto la rendita INAIL, aveva condannato l'INPS al pagamento, in favore del ricorrente, della somma di Euro 7.138,21 ritenendo non giustificata la trattenuta operata dall'INPS che neppure aveva ritenuto di costituirsi in giudizio, rigettava nel resto le domande azionate.

Avverso la sentenza resa in grado di appello ha proposto ricorso per cassazione C.F..

Resistono con autonomi controricorsi l'ANM, l'INAIL e l'INPS. Il ricorso appare manifestamente inammissibile.

Va rilevato che il ricorso, che tratta congiuntamente fatto e diritto, non indica censure con riferimento alla previsione sui motivi di cui all'art. 360 c.p.c., e si articola in una generica rilettura dei fatti di causa, non riferita in modo specifico alla motivazione della sentenza, che non supera il vaglio di autosufficienza.

Le affermazione contenute in ricorso: che l'errore in cui sono incorsi entrambi i giudici dei rispettivi gradi di giudizio, consisterebbe nel non avere ordinato a parte convenuta (ANM e INAIL) il deposito della documentazione medica in loro possesso; che il C., anche se gravemente malato con seri postumi invalidanti avrebbe dovuto presupporre un eventuale danno alla propria persona causato dalla mala fede dei propri datori di lavoro e provvederà alla copia fotostatica dei documenti medici inviati quali prosieguo dell'infortunio e che ciò chiariva perchè lo stesso non fosse in possesso della documentazione medica, appaiono dedotte in modo generico e senza il vaglio critica della motivazione della relativa statuizione della Corte d'Appello.

In particolare, il giudice di secondo grado affermava, facendo corretta applicazione della giurisprudenza di legittimità (i cui principi erano richiamati in sentenza) in materia di contenuto del ricorso introduttivo nel rito del lavoro e di onere probatorio, con congrua motivazione, tra l'altro, che "il Tribunale ha infatti evidenziato come, nel caso in esame, non risulta desumibile dall'atto introduttivo a quali assenze il ricorrente si riferisca, mancando ogni allegazione al riguardo, e che neppure viene indicata la retribuzione spettante, in base al dato contrattuale, per infortunio essendo il trattamento economico per malattia o infortunio rimesso dall'art. 2110 c.c., alla determinazione della retribuzione stabilita in sede di contrattazione collettiva" (...) "l'assunto secondo il quale tutte le assenze relative al periodo successivo al patito infortunio troverebbero giustificazione nei postumi del patito infortunio (trauma cranico a seguito del distacco di una lastra metallica alloggiata in posizione soprastante il conducente con caduta sul capo dello stesso), anche a voler prescindere dall'assoluta indeterminatezza della circostanza, non risulta in ogni caso supportato da qualsivoglia certificazione sanitaria a sostegno, certamente necessaria dal momento che l'INAIL - come affermato dall'ANM e non contestato dal ricorrente - aveva ritenuto di dover qualificare come conseguenza dell'infortunio sul lavoro le sole assenze relative al periodo compreso tra il 20 maggio 1997 ed il 15 luglio 1997, decisione questa espressa a seguito di valutazione medico-legale effettuata dai sanitari INAIL che non risulta essere stata mai impugnata dal ricorrente dinanzi al giudice del lavoro.

Dovendosi pertanto ritenere la persistenza del provvedimento amministrativo dell'INAIL, gravava sull'interessato un rigoroso onere probatorio in ordine alla diversa qualificazione delle assenze effettuate, anche attraverso l'esibizione di adeguata certificazione medica in ordine alle cause sanitarie che dette assenze avevano giustificato onde rendere possibile al giudicante una eventuale verifica a mezzo accertamenti peritali".

Nel ricorso, dunque, non è ravvisabile la prospettazione di vizi di violazione o falsa applicazione di legge, atteso che in materia di procedimento civile, nel ricorso per cassazione il vizio della violazione e falsa applicazione della legge di cui all'art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, giusta il disposto di cui all'art. 366 cod. proc. civ., comma 1, n. 4, deve essere, a pena d'inammissibilità, dedotto non solo con l'indicazione delle norme di diritto asseritamente violate (fermo restando che la Corte possa agevolmente procedere alla corretta qualificazione giuridica del vizio denunciato sulla base delle argomentazioni giuridiche ed in fatto svolte dal ricorrente a fondamento della censura, in quanto la configurazione formale della rubrica del motivo non ha contenuto vincolante, ma è solo l'esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura, Cass., 14026 del 2012), ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l'interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass., ord. n. 16038 del 2013).

Quanto alla diversa valutazione dei fatti di causa operata dal ricorrente, anche a volerla qualificare come prospettazione di un vizio di motivazione, si sostanzia nella richiesta di un riesame nel merito della vicenda processuale inammissibile in sede di legittimità. Ed infatti, La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass., n. 17477 del 2007)".

Il Collegio condivide e fa proprie le considerazioni svolte dal consigliere relatore, che precedono, rilevando come la inammissibilità della prospettazione difensiva del ricorrente, per le ragioni sopra esposte, determina il rigetto del ricorso.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.



P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida per ciascuna delle controricorrenti in Euro millecinquecento per compensi professionali, Euro cento per esborsi, oltre I.V.A. e C.P.A..

Così deciso in Roma, il 1 aprile 2014.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2014