Cassazione Penale, Sez. 3, 17 aprile 2014, n. 17012 - Omessa nomina del RSPP. Estinzione delle contravvenzioni in materia di prevenzione infortuni ed igiene del lavoro


 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TERESI Alfredo - Presidente -
Dott. GRILLO Renato - Consigliere -
Dott. ORILIA Lorenzo - Consigliere -
Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere -
Dott. SCARCELLA Alessio - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da:
B.S., n. (OMISSIS);
avverso la sentenza del GUP tribunale di MASSA in data 14/02/2013;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. IZZO Gioacchino, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
udite, per il ricorrente, le conclusioni dell'Avv. F. Mandrella, non comparso.




Fatto


1. B.S. ha proposto tempestivo ricorso avverso la sentenza del GUP tribunale di MASSA del 14/02/2013, depositata in data 25/02/2013, con cui il medesimo è stato condannato, in esito al giudizio abbreviato richiesto e previo riconoscimento delle attenuanti generiche, alla pena di Euro 3.000,00 di ammenda per il reato di cui al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 17, comma 1, lett. b) e art. 55, comma 1, lett. b), perchè, nella sua qualità di titolare dell'omonima impresa individuale, con sede in (OMISSIS), esercente attività di estrazione di marmo presso la cava (OMISSIS), sita nel bacino marmifero di (OMISSIS) nel comune di Carrara, non provvedeva alla nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione della cava; in (OMISSIS), accertato in tale data.

2. Ricorre avverso la predetta sentenza l'imputato personalmente, proponendo un unico motivo di ricorso, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..

2.1. Deduce il ricorrente, con tale motivo, la nullità della sentenza per violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. c), in relazione al D.Lgs. n. 758 del 1994, art. 24.

Rileva il ricorrente come il tardivo adempimento del pagamento della sanzione amministrativa non sia stato determinato da negligenza dell'imputato, ma dalle esposizioni debitorie da questi assunte prima dell'ammissione al pagamento dell'oblazione amministrativa, prontamente corrisposta non appena possibile, donde il tardivo pagamento non era attribuibile ad una condotta fraudolenta, intenzionale e neppure negligente dell'imputato; ne discende, secondo la prospettazione del ricorrente, che il tardivo pagamento non può essere considerato irrilevante, il quale dev'essere quantomeno imputabile al reo; diversamente, sostiene il ricorrente, non potrebbe spiegarsi la ragione per la quale la legge (D.Lgs. n. 758 del 1994, art. 24, comma 3) consenta di accedere ad un'oblazione agevolata nel caso di ritardo dell'adempimento delle prescrizioni purchè la regolarizzazione avvenga in un tempo considerato congruo, mentre nulla prevede in caso di tardivo pagamento della sanzione amministrativa, che ove incolpevole, non vale a giustificare l'irrogazione della sanzione penale; tale soluzione, ad avviso del ricorrente, s'imporrebbe proprio alla luce dell'attuale momento di crisi e recessione economica.

Infine, la censura del ricorrente si appunta sull'assenza di motivazione in ordine al mancato accoglimento della richiesta, formulata in via subordinata al giudice di merito, quanto alla salvezza del diritto dell'imputato a vedersi restituito quanto inutilmente versato, con l'effetto quindi, di consentirgli l'applicazione di una sorta di compensazione tra la somma di Euro 1.600,00, già versata ancorchè tardivamente, e quanto questi è tenuto a versare in forza della sentenza di condanna, determinandosi, diversamente, una disparità di trattamento non giustificabile, laddove non si tenesse conto dell'intervenuto pagamento, equiparando, quindi, la posizione dell'odierno imputato che ha adempiuto alla prescrizione ed al pagamento, con quella di colui che ha omesso qualunque pagamento.



Diritto


3. Il ricorso dev'essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza.

4. Le ragioni argomentative prospettate dal ricorrente, pur suggestive, non tengono conto del percorso motivazionale dell'impugnata sentenza. La questione del pagamento tardivo dovuto alla prospettata crisi di liquidità che avrebbe impedito il tempestivo pagamento dell'oblazione, è infatti adeguatamente affrontata nella motivazione del giudice di merito il quale, in particolare, ha evidenziato che il reo non avesse fornito alcuna giustificazione in ordine al pagamento tardivo. La questione relativa alla impossibilità di adempiere tempestivamente per la dichiarata crisi di liquidità, dunque, è stata sollevata per la prima volta davanti a questa Corte di legittimità e, pertanto, imponendo un inammissibile (in questa sede) vaglio di merito, costituisce questione di fatto, non prospettabile davanti alla Corte di Cassazione.

In diritto, peraltro, dev'essere, anzitutto osservato che trattandosi di contravvenzione punibile anche a titolo di colpa, non rileva la buona fede in riferimento alla tardività del pagamento medesimo in conseguenza del procedimento seguito, mancando espressa previsione di legge sul punto. Anche a seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, (cosiddetto Testo Unico sulla Sicurezza), ciò che rileva - nel rispetto delle condizioni indicate dal D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758, art. 24, comma 3, ai fini dell'estinzione delle contravvenzioni in materia di prevenzione infortuni e di igiene del lavoro - è il solo adempimento tardivo delle prescrizioni impartite dall'organo di vigilanza (Sez. 3^, n. 38942 del 28/09/2011 - dep. 27/10/2011, Del Basso, Rv. 251323), ma non il tardivo pagamento dell'oblazione, atteso che la speciale causa estintiva delle contravvenzioni in materia di prevenzione infortuni ed igiene del lavoro, contemplata dal richiamato D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758, art. 24, non opera nel caso in cui il pagamento della somma determinata a titolo di oblazione amministrativa avvenga oltre il previsto termine di giorni trenta, che ha natura perentoria e non ordinatoria (v., tra le tante: Sez. F, n. 33598 del 23/08/2012 - dep. 03/09/2012, Tedesco, Rv. 253324).

In ogni caso, tuttavia, non v'è nessuna lesione del principio costituzionale evocato dal ricorrente di cui all'art. 3 Cost., in quanto - come avvenuto nel caso in esame - il tardivo pagamento è stato oggetto di valutazione da parte del giudice ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. E' evidente, dunque, che ad analogo approdo (ossia, nel senso del riconoscimento dell'art. 62 bis c.p.) non si sarebbe pervenuti da parte del decidente nel caso in cui la somma prevista a titolo di oblazione non fosse stata pagata. Il giudice, infatti, non essendo previsto dal D.Lgs. n. 758 del 1994, art. 24, comma 3, ha attribuito al tardivo pagamento valenza "attenuante" nel determinare il trattamento sanzionatorio. Nessuna disparità di trattamento è, dunque, ravvisabile.

5. Quanto, poi, alla subordinata richiesta difensiva, l'infondatezza della stessa discende dall'ovvia considerazione per la quale il giudice di merito non ha motivato espressamente sul punto in quanto non rientrava nei suoi poteri quello di adottare un provvedimento non espressamente contemplato dalla legge (quale la pronuncia di "salvezza del diritto dell'imputato a vedersi restituito quanto inutilmente versato"), essendo infatti il giudice legittimato esclusivamente ad adottare quelle statuizioni previste dal codice di rito o contemplate dalla legge. Un provvedimento che tale statuizione contenesse, anzi, andrebbe ritenuto, perciò solo, abnorme, non essendo inquadrabile nel sistema processuale ed avente efficacia precostituiva di un diritto, esulando dai contenuti propri della decisione, con la quale il giudice si pone come garante della legalità in ordine all'attuazione della pretesa punitiva statuale e non come risolutore di interessi contrapposti.

6. Segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, non emergendo ragioni di esonero, al pagamento a favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di somma che si stima equo fissare, in Euro 1000,00 (mille/00).


P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2014.

Depositato in Cancelleria il 17 aprile 2014