Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 05 maggio 2014, n. 18436 - Disarmo del solaio e caduta mortale: responsabilità datoriale e esclusione di responsabilità del coordinatore per la sicurezza


 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Presidente -
Dott. D'ISA Claudio - Consigliere -
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Consigliere -
Dott. ESPOSITO Lucia - rel. Consigliere -
Dott. MONTAGNI Andrea - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da:
A.G. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 1615/2010 CORTE APPELLO di LECCE, del 18/06/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 03/12/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCIA ESPOSITO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. FRATICELLI Mario che ha concluso per ed il rigetto del ricorso.
Udito, per la parte civile, l'Avv. Quarta Ivana Maria, in sostituzione dell'Avv. Luigi Maria Provenzano, che formula conclusioni scritte.



Fatto

 

1. Con sentenza del 18/6/2012 la Corte d'Appello di Lecce confermava la sentenza del giudice di primo grado che aveva ritenuto A. G., nella qualità di amministratore unico della AA. Ap. s.r.l., responsabile del reato di cui all'art. 589 c.p., commesso con violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro, e lo condannava alla pena di giustizia e al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, parenti della vittima.

In fatto era accaduto che il (OMISSIS) R.R.C., operaio dipendente della AA. Ap. s.r.l., mentre era intento a lavorare presso un cantiere edile sito in (OMISSIS), cadeva dall'alto e decedeva il giorno successivo per le gravissime lesioni riportate.

Gli accadimenti erano ricostruiti dai giudici di merito in modo difforme rispetto alle testimonianze addotte dal datore di lavoro. In particolare, il Tribunale giungeva a individuare in capo all'imputato profili di specifica violazione delle regole cautelari del settore e, in particolare, del D.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164, art. 16, art. 24, comma 1, e art. 10, sulla scorta delle dichiarazioni rese da una teste avente l'abitazione confinante con il cantiere, delle dichiarazioni dei tecnici Spesal, delle notazioni tecniche dei consulenti e dei periti. Specificamente, a seguito di ricostruzione fondata sulle risultanze acquisite, i giudici del merito accertavano che la caduta del lavoratore era avvenuta in occasione delle operazioni di disarmo del solaio del primo piano dell'immobile, le quali erano in corso di esecuzione già da qualche settimana prima del fatto, in corrispondenza di un punto dell'impalcato sfornito di protezioni e corrispondente al lato del fabbricato prospiciente non già con la strada, come riferito nell'immediatezza dal figlio dell'imputato, ma con l'abitazione confinante con il fabbricato.

Accertavano, altresì, che le barriere presenti al momento del sopralluogo lungo il perimetro dell'impalcato medesimo erano state realizzate nelle ore intercorrenti tra il fatto e l'ispezione degli organi preposti. Rilevavano che l'affermazione della responsabilità dell'imputato poggiava un giusto equilibrio tra l'obbligo di informazione preventiva e l'obbligo di sorveglianza sui dipendenti, entrambi gravanti sul datore di lavoro. Quest'ultimo, infatti, era tenuto non solo ad adottare tutte le opportune misure di sicurezza, ma anche a curare l'effettiva predisposizione di queste e il controllo, continuo ed effettivo, circa la concreta osservanza delle misure predisposte e l'utilizzo in termini di sicurezza degli strumenti di lavoro e dello stesso processo di lavorazione.

2. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l'imputato.

2.1. Deduce, con il primo motivo, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione e violazione di legge in relazione agli artt. 192 e 546 c.p.p.. Si duole della mancata risposta alle prospettazioni di parte circa la portata decisiva delle risultanze probatorie atte a escludere che la vittima quel giorno stesse effettuando operazioni di disarmo delle impalcature.

2.2. Con il secondo motivo deduce manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione e violazione di legge in relazione all'art. 40 c.p., comma 2, con riferimento al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 5, e art. 2087 c.c.. Rileva che i giudici del merito avevano accolto una lettura troppo rigida e ideologica dell'obbligo datoriale di sicurezza, ravvisando una pretesa di vigilanza assoluta sul contegno del lavoratore ed escludendo dal determinismo causale ogni valutazione dell'incidenza comportamentale della vittima. In tal modo erano giunti all'applicazione di un criterio di responsabilità oggettiva in contrasto con il principio della responsabilità personale.

2.3. Deduce, ancora, con il terzo motivo, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione e violazione di legge in relazione all'art. 41 c.p.. Rileva che la Corte di merito aveva esaminato assai sbrigativamente l'analisi del profilo causale del contegno dell'operaio, nel quale poteva ravvisarsi un'ipotesi di rischio elettivo.

2.4. Con l'ultimo motivo, infine, deduce manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione e violazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 494 del 1996, artt. 4 e 5, osservando che la Corte aveva errato nella interpretazione delle norme relative ai compiti attribuiti al coordinatore per la progettazione ed esecuzione dei lavori, omettendo di rilevare le anomalie della condotta dell'arch. M., che tale qualità rivestiva. In tal modo reputava unico titolare della posizione di garanzia il datore di lavoro, trascurando di considerare che se più sono i garanti, ciascuno è per intero destinatario dell'obbligo di garanzia.


Diritto


1. In ordine al primo motivo di ricorso, va rilevato che la doglianza mira a proporre, mediante il rilievo della mancata considerazione delle risultanze probatorie a proprio favore, una lettura alternativa delle ricostruzioni fattuali compiute dai giudici di merito, atta a interpretare come riferibile a colpa esclusiva del lavoratore e non a violazione di obblighi prevenzionali le contestazioni mosse dal ricorrente alla sentenza impugnata. Essa si risolve, in sostanza, in una censura concernente apprezzamenti di merito, tendente a una diversa valutazione delle risultanze processuali. In proposito, va sottolineato che, come affermato dalla Suprema Corte anche a Sezioni Unite (v. Cass. S.U. 24-11-1999-Spina; 31-5-2000- Jakani; 24-9-2003 - Petrella), esula dai poteri della Corte di Cassazione quello della rilettura dei dati di fatto posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al Giudice del merito, nonchè dell'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti. D'altro canto i giudici di merito (di primo e secondo grado) hanno fornito una corretta ricomposizione del fatto, fondata su un'adeguata acquisizione ed interpretazione degli elementi probatori disponibili ed un'esaustiva analisi complessiva di essi sulla base di canoni logici e coerenti.

Quanto alla omessa considerazione di elementi emergenti dal processo favorevoli alla tesi dell'imputato, va richiamato il principio affermato più volte nella giurisprudenza di legittimità in forza del quale "nella motivazione della sentenza il giudice del gravame di merito non è tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo. Ne consegue che in tal caso debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata" (Sez. 6^, Sentenza n. 49970 del 19/10/2012 Rv. 254107).

2. Il secondo e il terzo motivo possono essere trattati congiuntamente stante l'intima connessione. Gli stessi risultano entrambi infondati, ove si rilevi che l'obbligo datoriale violato è stato ravvisato in primo luogo nella omessa predisposizione delle necessarie misure di sicurezza, prime tra tutte le opere provvisionali previste per gli impalcati e i ponteggi, essendo stato acclarato che quelle esistenti al momento del sopralluogo erano state realizzate dopo l'evento. Si tratta di violazioni rispetto alle quali non risulta pertinente la tesi difensiva fondata sulla censura di un'affermata pretesa di vigilanza assoluta sul contegno del lavoratore, tanto più ove si consideri che alcuno specifico profilo causale del contegno della vittima è stato addotto, neppure in termini di mera allegazione, nel corso delle fasi del processo di merito, come sottolineato a pg. 5 della sentenza d'appello, con affermazione non specificamente censurata.

3. Quanto all'ultimo motivo di ricorso, lo stesso palesa la mancanza di interesse del proponente, posto che l'eventuale sussistenza di profili di colpa gravanti su altro soggetto destinatario di obblighi prevenzionali non varrebbe a escludere quelli specificamente affermati e gravanti sulla componente datoriale. Può al riguardo aggiungersi che nella specie la rilevanza di eventuali manchevolezze attribuibili al coordinatore per la sicurezza è stata esclusa in radice, in ragione dell'accertata ripresa dei lavori dopo la sospensione dei medesimi senza preventiva comunicazione all'architetto che tale ruolo rivestiva, con conseguente carenza in concreto di una posizione di garanzia in capo alla menzionata figura prevenzionale.

Per tutte le ragioni indicate il ricorso va respinto. Ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute in questo processo di cassazione dalle parti civili, liquidate come da dispositivo.



P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre alla rifusione delle spese in favore delle parti civili che liquida in Euro 3.000,00 per R.R. G. e R.R.S.L. e in Euro 3.000,00 per R.R.A. e R.G.G., oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2013.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2014