Cassazione Penale, Sez. 4, 12 novembre 2014, n. 46820 - Caduta dalla scala durante i lavori di banchinaggio: i 30 anni di carriera non escludono l'obbligo formativo. Ruolo di consulenza del RSPP


 

 

Presidente Brusco – Relatore Izzo

 


Fatto


1. Con sentenza del 7/5/2012 la Corte di Appello di Milano confermava la condanna inflitta in primo grado a B.A. per il delitto di lesioni colpose aggravate in danno dell'operaio S.F. (acc. in (omissis) ). Veniva inoltre confermata la condanna al risarcimento del danno da liquidare in separato giudizio civile.
All'imputato era stato addebitato che, in qualità di legale rapp.te della s.p.a. "B. Costruzioni", in violazione degli artt. 21 e 22 del d.lgs. 626 del 1994, non aveva adeguatamente formato ed informato il lavoratore S., carpentiere dedito all'armatura del primo solaio di una palazzina in costruzione, sul corretto utilizzo di una scala durante i lavori di banchinaggio; sicché detto lavoratore, utilizzando la scala senza nessun ancoraggio e su terreno sconnesso e scivoloso, cadeva dall'altezza di mt. 2,50, riportando lesioni che ne determinavano la incapacità alle ordinarie occupazioni per oltre quaranta giorni.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell'imputato, lamentando:
2.1. la erronea applicazione della legge penale ed il difetto di motivazione in ordine alla pronuncia di condanna. Invero il giudice di merito, partendo dalla esplicita affermazione della impossibilità di ricostruire in modo certo la dinamica dell'incidente, era giunto a conclusioni errate, basando la sua decisione più sulle deposizioni dei testi non presenti al fatto, piuttosto che su quella dell' unico teste presente (il K. ), oltre la vittima. La incerta ricostruzione dell'incidente non aveva consentito di valutare la plausibile ipotesi ricostruttiva che l'infortunio fosse stato frutto di una condotta avventata ed imprevedibile dello stesso S. , il quale si era esposto ad un c.d. "rischio elettivo" al quale una lavoratore come lui, esperto (operaio specializzato dal 1980), non doveva esporsi. Pertanto con motivazione basata sul travisamento dei fatti ed, in ogni caso illogica e contraddittoria, il giudice di merito aveva ritenuto la inidoneità della scala all'uso non aveva tenuto conto che la condotta del lavoratore era stata in contrasto con le disposizioni impartite dal responsabile della sicurezza.
2.2. La erronea applicazione della legge ed in particolare degli artt. 21 e 22 del d.P.R. 626 del 1994. Invero circa l'attività informativa, andava valutato che il S. , assunto il giorno prima dell'incidente, era un operaio specializzato dal 1980, con oltre 30 anni di carriera, pertanto come carpentiere non doveva avere una particolare informazione e formazione sull'utilizzo di una scala. Inoltre per il cantiere teatro dell'incidente, era stato stipulato un contratto tra la "B. " s.p.a. e la s.a.s. "C." con la nomina del geometra E.L. , della C., quale addetto al Servizio di Prevenzione e Protezione dei rischi. Tale incarico costituiva una vera e propria delega, conferita all'E. , che mandava esente l'imputato dagli oneri che gli erano stati addebitati come omessi. In ogni caso, essendo la "B. " un'azienda di grandi dimensioni, era onere del giudice di merito valutare che nell'organigramma non vi fosse di fatto delegata ai compiti che, certamente, non potevano gravare sull'amministratore delegato. Infine, tenuto conto della genericità della formulazione della disposizione sulla formazione dettata del d.P.R. 626, ben poteva ritenersi che in relazione ad un operaio specializzato, non esposto a rischi nuovi, la formazione doveva ritenersi già effettuata.

 

Diritto



1. Il ricorso è infondato.
2. La Corte di merito ha confermato la pronuncia di condanna sulla base delle seguenti considerazioni:
- l'istruttoria svolta non aveva chiarito se l'infortunio si fosse verificato mentre il S. utilizzava la scala per svolgere il banchinaggio, ovvero se l'infortunio si era verificato mentre stava scendendo dal solaio;
- in ogni caso esso era riconducibile all'uso improprio della scala, che essendo ad un solo tronco, doveva essere ancorata in alto attraverso un filo di ferro, non essendo sufficiente l'ausilio di altro operaio dal basso, in quanto quest'ultimo poteva essere distolto dal compito di mantenere ferma la scala in occasione del passaggio a mano di attrezzi o materiali;
- l'adozione di cautele era vieppiù doverosa, tenendo conto che il terreno sconnesso e scivoloso esponeva a rischi e non consentiva l'utilizzo di altri mezzi quali il trabattello con ruote di movimentazione;
- se è vero che il compito di ancoraggio poteva essere svolto dallo stesso S. (assunto da due giorni), tale incombenza gli sarebbe venuta alla mente se fosse stato informato sui rischi e formato all'uso degli strumenti di lavoro; invece il datore di lavoro era venuto meno a tale onere, così violando esplicite norme prevenzionali;
- né era provato che tali incombenze fossero state delegate ad altri, difettando l'allegazione di una specifica delega scritta, o dell'esistenza di una struttura organizzata con specifica ripartizione dei ruoli e che, in ogni caso, avesse svolto attività di sorveglianza.
Sulla base di tali valutazioni, la corte di appello confermava la condanna di primo grado.
3. Ciò premesso circa la ricostruzione dell'incidente operata dal giudice di merito, va osservato che quest'ultimo non ha dubbi circa il fatto che l'infortunio si sia verificato per il mancato ancoraggio della scala, l'incertezza di cui si discorre in sentenza riguarda solo il momento in cui la caduta è avvenuta: o durante l'utilizzo della scala per il "banchinaggio" oppure durante la discesa. L'accertamento preciso di tale circostanza è stato ritenuto irrilevante, perché pur sempre l'origine dell'incidente era la stessa e cioè l'anomalo utilizzo della scala.
La difesa dell'imputato ritiene che responsabilità dell'infortunio vada ricondotta alla esclusiva colpa della stessa vittima, la quale, come lavoratore esperto, non doveva "scegliere" di espletare le proprie mansioni con modalità pericolose.
Sul punto va ricordato come questa Corte ha più volte ribadito che, in materia di infortuni sul lavoro, la condotta incauta del lavoratore infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l'evento quando sia comunque riconducibile all'area di rischio propria della lavorazione svolta: in tal senso il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore, e le sue conseguenze, presentino i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive di organizzazione ricevute (ex plurimis, Cass.4, n. 21587/07, rie. Pelosi, rv. 236721). Nel caso di specie, il S. ha patito l'infortunio mentre svolgeva la sua ordinaria attività di lavoro utilizzando mezzi di lavoro messigli a disposizione dall'azienda.
Pertanto la circostanza che la persona offesa, presa dalla routine del lavoro e da un eccesso di sicurezza, abbia utilizzato la scala senza un ancoraggio, non costituisce comportamento abnorme idoneo ad interrompere il nesso causale tra la condotta omissiva del datore di lavoro e l'evento, condotta connotata da colpa, tenuto conto che le cautele omesse era proprio preordinate ad evitare il rischio specifico (lesione alla mano sinistra) che poi concretamente si è materializzato nell'infortunio in danno del S. . Ne consegue che anche tale motivo di censura è infondato.
4. Ma vi è di più. La configurazione anche una minima colpa in capo alla vittima, presuppone che questi conoscesse perfettamente i rischi del lavoro a cui era occupato ed il corretto utilizzo dei mezzi fornitigli. Ma la contestazione a carico del B. è proprio costituita, come indicato nel capo di imputazione, dal deficit formativo ed informativo.
Va ricordato che l'art. 21 del d.lgs. 626 del 1994 (ora artt. 36 e 37 d.lgs. 81 del 2008), prevede che il datore di lavoro provveda affinché ciascun lavoratore riceva un'adeguata informazione su i rischi per la sicurezza e la salute connessi all'attività dell'impresa in generale e sulle le misure e le attività di protezione e prevenzione adottate in azienda.
Inoltre, ai sensi dell'art. art. 22, deve garantire che il lavoratore riceva una formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza, con particolare riferimento al proprio posto di lavoro ed alle proprie mansioni. Tale formazione deve avvenire in occasione dell'assunzione e del trasferimento o cambiamento di mansioni.
Nel caso che ci occupa il giudice di merito ha evidenziato come il S. , assunto da due giorni, non avesse ricevuto alcuna informazione e formazione, adempimenti questi necessari e non superflui, tenuto conto che l'utilizzo della scala doveva essere effettuato in un contesto di cantiere pericoloso, per la presenza di terreno di appoggio sconnesso e scivoloso.
Né risulta che il B. abbia delegato altri di tali incombenze.
Invero, come rilevato dal giudice di merito, nessuna delega scritta è presente in atti, né l'attribuzione di tali compiti si desume dall'organizzazione aziendale.
Inoltre, tale delega non può ritenersi attribuita al geometra E.L. , addetto al Servizio di Prevenzione e Protezione, considerato che tale carica attribuisce un mero ruolo di consulenza, tanto che questa Corte di legittimità ha affermato che gli obblighi di vigilanza e di controllo gravanti sul datore di lavoro non vengono meno con la nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, il quale ha una funzione di ausilio diretta a supportare e non a sostituire il datore di lavoro nell'individuazione dei fattori di rischio nella lavorazione, nella scelta delle procedure di sicurezza e nelle pratiche di informazione e di formazione dei dipendenti (cfr. Cass. Sez. 4, Sentenza n. 50605 del 05/04/2013 Ud. (dep. 16/12/2013), Rv. 258125).
In ogni caso, anche in presenza di una delega, a carico del datore di lavoro permane sempre l’obbligo di vigilare e di controllare che il delegato usi correttamente la delega, secondo quanto la legge prescrive (cfr. Cass. Sez. 4, Sentenza n. 39158 del 18/01/2013 Ud. (dep. 23/09/2013), Rv. 256878). Nel caso di specie i controlli sulla sicurezza sono stati assolutamente carenti, considerato che nel corso delle indagini è emersa la generale inadeguatezza della sicurezza del cantiere e la presenza di lavoratori assunti “in nero”.
Alla luce di quanto esposto il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
Segue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed a quelle sostenute dalla parte civile, che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.



Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processali oltre alla rifusione delle spese in favore della parte civile che liquida in complessivi Euro 2.500,00 oltre accessori come per legge.