Cassazione Civile, Sez. Lav., 23 ottobre 2014, n. 22544 - Infortunio e riduzione dell'attitudine al lavoro: valutazione di preesistenti inabilità




 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIDIRI Guido - Presidente -
Dott. BANDINI Gianfranco - Consigliere -
Dott. NOBILE Vittorio - Consigliere -
Dott. NAPOLETANO Giuseppe - Consigliere -
Dott. LORITO Matilde - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso 12246-2013 proposto da:
M.M.C. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DORA 1, presso lo studio dell'avvocato CERULLI IRELLI VINCENZO, rappresentata e difesa dall'avvocato
BUZZELLI TULLIO, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro I.N.A.I.L - ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, (C.F. (OMISSIS)), in persona del legale  rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso lo studio degli avvocati ROMEO LUCIANA e TERESA OTTOLINI, che lo rappresentano e difendono giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 1053/2012 della CORTE D'APPELLO di L'AQUILA, depositata il 14/11/2012 r.g.n. 975/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/07/2014 dal Consigliere Dott. MATILDE LORITO;
udito l'Avvocato BUZZELLI TULLIO;
udito l'Avvocato OTTOLINI TERESA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto del ricorso.



Fatto



Con atto del 3 giugno 2002 I.N.A.I.L. proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di L'Aquila, con cui l'Istituto era stato condannato a costituire la rendita per infortunio sul lavoro a favore di M.M.C. nella misura dell'85%.

Con sentenza 8 gennaio 2004 la Corte d'Appello di L'Aquila respingeva l'impugnazione. Il giudicante, condividendo il parere del consulente tecnico d'ufficio, affermava che la M., nel sollevare un oggetto di 10 Kg, aveva compiuto uno sforzo causa di emorragia papillare e successivo distacco della retina, fatto che aveva aggravato la preesistente patologia (miopia degenerativa in ambedue gli occhi), determinando la riduzione del visus. A seguito di ricorso per Cassazione spiegato dall'Inail, la Suprema Corte con sentenza 2 febbraio 2007 n. 2259 accoglieva l'unica censura con la quale l'Istituto aveva denunciato violazione e falsa applicazione del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 79 alla cui stregua il grado di riduzione dell'attitudine al lavoro causata da infortunio, che risulti aggravata da preesistenti inabilità derivanti da fatti estranei al lavoro, deve essere rapportato all'attitudine ridotta per effetto di queste preesistenti inabilità.

Osservava la Corte che nel caso in esame, la preesistenza d'una patologia (miopia degenerativa di entrambi gli occhi) era stata accertata attraverso la consulenza tecnica d'ufficio che aveva anche segnalato il potenziale rapporto di causalità fra questa patologia e l'evento in controversia. Ed in presenza di questa preesistente patologia, non era stato osservato quanto prescritto dall'indicata disposizione. La causa veniva quindi rinviata alla Corte d'appello di Campobasso affinchè procedesse alla applicazione dell'indicato principio, ma nessuna delle parti procedeva alla riassunzione.

M.M.C. si rivolgeva nuovamente al Tribunale di L'Aquila onde conseguire una corretta quantificazione della rendita ma il giudice adito, all'esito dell'espletamento di CTU medico legale che negava valore causale o concausale all'infortunio subito, respingeva la domanda con pronuncia che veniva confermata dalla Corte d'appello con sentenza 14/11/12.

Nel pervenire a tali conclusioni la Corte territoriale rimarcava l'estinzione del processo per effetto della omessa riassunzione del giudizio di rinvio e la novità del giudizio instaurato dalla infortunata, nel cui contesto erano stati espletati nuovi accertamenti medico-legali che avevano escluso l'esistenza di danni derivanti dall'infortunio.

Avverso tale decisione interpone tempestivo ricorso per Cassazione la M. affidandosi a tre motivi cui l'Inail resiste con controricorso illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c..


Diritto


Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2909 c.c. e artt. 324, 393 e 310 c.p.c. ed insufficiente, contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Lamenta la ricorrente che la Corte territoriale abbia disatteso i consolidati principi invalsi nella giurisprudenza di legittimità alla cui stregua nel caso di estinzione del giudizio di rinvio per mancata o tardiva riassunzione, deve ritenersi comunque applicabile il disposto dell'art. 310 c.p.c. con la conseguenza che nel nuovo processo instaurato mediante la riproposizione della domanda, conservano efficacia tutte le statuizioni di merito su cui si sia formato il giudicato, ivi comprese le sentenze di merito passate solo parzialmente in giudicato per essere stati accolti i motivi di ricorso solo relativamente ad alcuni capi della sentenza, in virtù del principio della formazione progressiva del giudicato.

Si duole, quindi, del mancato rilievo circa l'intangibilità della pronuncia emessa nel corso del pregresso giudizio nel cui contesto era stata acclarata l'eziologia professionale della riduzione del visus, ed il diritto a percepire la rivendicata rendita infortunistica.

Con il secondo mezzo di impugnazione, si denuncia violazione degli artt. 384 - 393 c.p.c. ed insufficiente, contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere la Corte di merito tralasciato di considerare il dettato normativo di cui all'art. 393 c.p.c. in base al quale la sentenza della Corte di Cassazione conserva il suo effetto vincolante anche nel nuovo processo che sia instaurato con la riproposizione della domanda, di guisa che il giudice di rinvio è tenuto ad uniformarsi al principio di diritto enunciato dai giudici di legittimità, ferma restando la valutazione dei fatti così come accertati nel giudizio di appello.

I due motivi, da esaminarsi congiuntamente per ragioni di logica connessione, vanno rigettati perchè privi di fondamento. Esigenze di chiarezza espositiva, inducono a formulare talune premesse di ordine sistematico sulla questione sottoposta allo scrutinio di questa Corte.

La linea giurisprudenziale seguita sulla tematica del processo riproposto a seguito di estinzione ex art. 393 c.p.c., muove da posizioni in origine attestate sul versante della salvezza del principio di diritto enunciato nella sentenza rescindente (vedi Cass. 9 marzo 2006 n. 5104), nonchè dei capi di pronuncia non cassati che acquistano autorità di cosa giudicata, sottraendosi così al travolgimento della attività processuale ex art. 393 c.p.c. (vedi Cass. 5 settembre 1997 n. 8592).

Sulla dibattuta questione, peraltro, si è soffermata la dottrina affrontando anche il rapporto fra l'ambito del giudizio di rinvio e quello del processo riproposto ex art. 393 c.p.c. e pervenendo a soluzioni più sfumate che muovono dal presupposto in base al quale, venuta meno la possibilità di definire la lite nell'ambito di un processo unico, il vincolo promanante dal principio di diritto nell'ambito del processo riproposto, è meno intenso di quello cui va soggetto il giudice di rinvio.

Nell'ottica descritta, è stato affermato che il nuovo giudice, a differenza di quello del rinvio, non è vincolato dal precedente giudizio in punto di fatto, essendo libero nella ricostruzione della fattispecie concreta, e si è chiarito in tal modo che la statuizione ha un'efficacia meno vincolante rispetto a quella esplicata nel giudizio di rinvio, potendo il giudice ad quem sottrarsi alla normatività della sentenza, attraverso una diversa ricostruzione dei fatti.

In una meno rigida interpretazione dei rapporti fra sentenza rescindente e nuovo giudizio instaurato a seguito di estinzione ex art. 393 c.p.c. si colloca, quindi, Cass. 30 agosto 2012 n. 14723 secondo cui l'efficacia vincolante del principio di diritto enunciato dalla sentenza della Corte di Cassazione non impedisce alle parti di formulare, nel processo riproposto ai sensi della seconda parte dell'art. 393 c.p.c. domande od eccezioni nuove, non operando la preclusione, stabilita invece dall'art. 394 c.p.c., comma 3, con riguardo al procedimento in sede di rinvio, di prendere conclusioni diverse da quelle prese nel processo in cui fu pronunciata la sentenza cassata.

Questa Corte ritiene di condividere il secondo dei riportati indirizzi giurisprudenziali in ragione di una diversità delle fattispecie processuali cui i summenzionati indirizzi hanno fatto riferimento.

Siffatta opzione si fonda sull'assunto che il dato normativo porta a giustificare una minore vincolatività in un "nuovo processo", delle statuizioni pronunciate nel corso di un processo dichiarato estinto, rispetto a quella vincolatività dei dieta della Corte di Cassazione cui è astretto il giudice di rinvio nella prosecuzione di uno "stesso processo".

Considerazione questa supportata dalla normativa che legittima nel "nuovo processo" la riproposizione della domanda (art. 393 c.p.c., u.p.), mentre solo in sede di rinvio si precisa che le parti conservano la stessa posizione processuale che avevano nel procedimento in cui fu pronunciata la sentenza cassata (cfr. art. 394 c.p.c., comma 2).

In tale ottica, in dottrina è stato ritenuto che il giudice nel giudizio eventualmente riproposto, non incontra preclusione e a differenza del giudice di rinvio, non è vincolato dal precedente giudizio in punto di fatto, essendo libero nella ricostruzione della fattispecie concreta.

Le premesse enunciate consentono di procedere agevolmente alla disamina della fattispecie in esame.

Con la sentenza n. 2259 del 2007 citata nello storico di lite, la Corte di legittimità ha devoluto al giudice di rinvio il compito di accertare se alla stregua del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 79, il grado di riduzione permanente dell'attitudine al lavoro causata da infortunio, quando fosse risultata aggravata (così come nella specie), da inabilità preesistente derivante da fatti estranei al lavoro, dovesse essere rapportata non alla normale attitudine al lavoro, ma a quella ridotta per effetto della preesistente inabilità secondo la cosiddetta formula Gabrielli, senza che avesse rilievo la circostanza che l'inabilità preesistente e quella da infortunio incidessero sullo stesso apparato anatomo - funzionale (Cass. 30 luglio 2003 n. 11703). Il giudice di legittimità, peraltro, ha enunciato tale principio dopo avere dato atto che nella controversia il consulente tecnico d'ufficio aveva segnalato il potenziale rapporto di causalità fra la patologia in concreto riscontrata e l'evento in controversia.

Orbene, non può tralasciarsi di considerare che nel contesto motivazionale della sentenza di rinvio, il principio della eziologia professionale della riduzione del visus, ampiamente rimarcato dalla M., risulta sensibilmente attenuato, ove si consideri che la Corte remittente, dopo aver accertato la preesistenza di una patologia (miopia degenerativa ad entrambi gli occhi), ha sottolineato che il consulente medico "aveva anche segnalato il (pur non normativamente necessario) potenziale rapporto di causalità fra questa patologia e l'evento in controversia".

La Corte ha, quindi, introdotto la considerazione di un elemento extralavorativo nella eziologia della patologia insorta in capo alla lavoratrice, lasciando apprezzabili margini di valutazione nell'ambito dell'istruttoria da espletare nel giudizio riproposto ex art. 393 c.p.c., secondo il metodo di computo della riduzione permanente dell'attitudine al lavoro sancito dal dettato normativo di cui al D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 79.

Pertanto - al di là della assorbente considerazione che in questa sede le statuizioni della sentenza della Corte di Cassazione nel processo poi estintosi non ostano, se correttamente interpretate, ad una libera valutazione dei fatti in esame e delle prove - è sufficiente, ai fini del rigetto del ricorso, ribadire che per il più recente indirizzo giurisprudenziale, al quale questo Collegio ha inteso aderire, le suddette statuizioni dei giudici di legittimità assumono nel presente nuovo giudizio riproposto ex art. 393 c.p.c. una attenuata vincolatività, consentendo anche la formulazione di nuove eccezioni e di nuove prove e domande.

Corollario di quanto ora affermato è che la sentenza impugnata risulta pienamente rispettosa dei principi giuridici sinora enunciati perchè la consulenza d'ufficio ha rimarcato come il danno che si assume da parte ricorrente derivare dall'infortunio sul lavoro non si riscontra nello specifico, di guisa che, pur applicando - in osservanza dei principi fissati in sede di cassazione con rinvio - il metodo Gabrielli, il ricorso della M. non poteva trovare accoglimento, non derivando dal suddetto infortunio il grado di invalidità necessario per avere diritto alla richiesta rendita.

Il terzo motivo di censura concerne l'omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nonchè violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. per avere la Corte di merito omesso di motivare in ordine alla eccepita inutilizzabilità in giudizio della certificazione medica in data 12/2/93, non ritualmente acquisita agli atti, e, ciò nondimeno, posta dal consulente medico d'ufficio a fondamento dell'elaborato peritale. Esso va rigettato alla stregua della nuova formulazione dell'art. 360 c.p.c., n. 5 come novellato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134 applicabile ratione temporis.

Nella interpretazione resa dalle sezioni unite di questa Corte alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 preleggi (vedi Cass. S.U. 7 aprile 2014 n. 8053), la disposizione va infatti letta in un'ottica di riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione, di talchè è stata ritenuta denunciabile in cassazione, solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente alla esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, esaurendosi nelle ipotesi di "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile fra motivazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile" esclusa qualsiasi rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione.

Nello specifico la motivazione, nel riferirsi agli accertamenti peritali espletati dagli esperti interpellati, medico legale ed oculista, i quali si erano pronunciati accertando l'assenza totale di danno ascrivibile all'infortunio, appare congrua ed esente da vizi suscettibili di rilievo in virtù del dettato normativo di cui al novellato art. 360 c.p.c., n. 5 sottraendosi, pertanto, alle censure formulate sul punto, dalla ricorrente.

Nè, può ritenersi meritevole di accoglimento la censura sotto il profilo della prospettata violazione dell'art. 112 c.p.c. avendo la ricorrente chiaramente vulnerato il principio di autosufficienza che governa il giudizio di cassazione, per non aver allegato l'avvenuta deduzione della relativa questione innanzi al giudice di merito, nè indicato in quale atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, debitamente riportandone il contenuto rilevante ai fini della decisione, onde consentire alla Corte il controllo ex actis della veridicità di tale asserzione, prodromico alla disamina della questione medesima (vedi fra le tante, Cass. 19 giugno 2012 n. 1003).

Consegue dalle considerazione sinora svolte che la sentenza impugnata va confermata per avere anche essa ritenuta infondata la domanda della attuale ricorrente.

Nulla per spese nei rapporti tra la ricorrente e l'Inail, considerato che al giudizio in esame non è applicabile "ratione temporis" l'art. 152 disp. att. c.p.c. come sostituito dal D.L. n. 269 del 2003, art. 42 convertito nella L. n. 326 del 2003.


P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 2 luglio 2014.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2014