Cassazione Penale, Sez. 4, 11 novembre 2014, n. 46438 - Lavoratore schiacciato da lastre di vetro: pericolosa operazione di smaltimento


 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Presidente -
Dott. PICCIALLI Patrizia - rel. Consigliere -
Dott. ZOSO Liana Maria T. - Consigliere -
Dott. GRASSO Giuseppe - Consigliere -
Dott. IANNELLO Emilio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da:
L.S. N. IL (Omissis);
avverso la sentenza n. 1709/2009 CORTE APPELLO di ANCONA, del 05/03/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/09/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Iacoviello Francesco Mauro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.



Fatto

Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Ancona confermava il giudizio di responsabilità di L.S. per il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione di norme antinfortunistiche (ex art. 589 c.p., commi 1 e 2) e, concesse le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, lo condannava alla pena di anni uno di reclusione.

L'infortunio mortale era occorso in data 28.9.2005 in danno del dipendente B.V. che mentre procedeva allo smaltimento di alcune casse contenenti del vetro da rottamare, durante le operazioni di schiodatura, veniva investito all'interno del cassone scarrabile dal crollo delle lastre di vetro e rimaneva bloccato contro le pareti del cassone, riportando lesioni gravissime che lo conducevano a morte.

A carico di L.S., nella qualità di legale rappresentante della ditta "N. Vetro" e dunque quale datore di lavoro erano stati ravvisati profili di colpa, sia generica, sia specifica - fondata quest'ultima sulla inosservanza del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, comma 7, per avere omesso di aggiornare il documento di valutazione del rischio aziendale in relazione alla fase di lavoro di smaltimento delle lastre e del cit. Decreto, art. 22, comma 3, per avere omesso di provvedere alla formazione del lavoratore sui rischi presenti nell'azienda.

Il giudice di primo grado aveva fondato la decisione sulla ricostruzione dei fatti operata dal perito in base all'esame degli atti del fascicolo ed all'assunzione di informazioni presso terzi.

Rigettava altresì le eccezioni formulate dalla difesa di inutilizzabilità dell'elaborato peritale e di illegittimità della revoca dei testi già ammessi, sui seguenti rilievi: la revoca era giustificata dalla sopravvenuta superfluità; la raccolta di informazioni è consentita al perito, così come l'esame degli atti contenuti nel fascicolo del PM; nessuna inutilizzabilità si era prodotta, essendosi formato il convincimento giudiziale sugli esiti della perizia svolta.

La Corte di merito in via preliminare affermava che le questioni prospettate dal difensore sulla utilizzazione del materiale informativo esaminato raccolto dal perito e confluito nella decisione di primo grado, erano in astratto fondate, trattandosi di materiale inutilizzabile ai fini della decisione, traducendosi la violazione di detti limiti di utilizzabilità fissati dall'art. 228 c.p.p in una violazione del principio del contraddittorio nell'assunzione della prova. Tuttavia non era configurabile la nullità della sentenza, avendo il giudice "valutato un atto istruttorio valido e certamente non affetto da intrinseca inutilizzabilità, dovendosi eventualmente considerare da parte di questa Corte la necessità di acquisire ritualmente in questo grado le dichiarazioni dei soggetti a cui in vari passaggi dell'elaborato peritale si fa riferimento". Escludeva, però, la necessità di tale acquisizione poichè ogni elemento utile ai fini della decisione era fornito sia dagli atti legittimamente acquisiti al fascicolo del dibattimento. (In particolare, l'elaborato del consulente tecnico nominato dal PM e la consulenza medico legale, dei quali il primo giudice aveva correttamente ritenuto la utilizzabilità per la provenienza dal fascicolo formato in sede di udienza preliminare e per la mancanza di tempestiva eccezione) sia dal contributo ricostruttivo offerto dalla relazione peritale.

Nel merito, i giudici di appello confermavano la ricostruzione della dinamica dell'infortunio operata dal giudice di primo grado, esponendo che il B. era stato schiacciato dalle lastre di vetro precipitategli addosso mentre era intento all'interno del cassone a completare le operazioni di apertura del contenitore in legno con i vetri. Alla luce di tale svolgimento dei fatti, che aveva portato alla logica conclusione che l'infortunio si era verificato quando il B. era ormai salito sul cassone, riteneva superflua l'audizione del soggetto presente sul posto al momento dell'incidente, in quanto afferente a profili marginali del fatto (in particolare il momento della recisione delle reggette metalliche della cassa) rispetto al nucleo fondamentale dello stesso come pure quella di altri testi.

Confermavano, pertanto, la valutazione del primo giudice in ordine alla violazione da parte dell'imputato dei doveri di formazione ed informazione rispetto al rischio specifico, rappresentato dalle operazioni di smaltimento del vetro, evidenziando che, contrariamente all'assunto difensivo secondo il quale l'apertura delle casse non corrispondesse ai compiti propri della società Novavetro, l'allestimento del carroponte all'interno dello stabilimento, documentato dalle fotografie e dall'accertata destinazione del dipendente a quell'operazione, deponevano all'evidenza per la conclusione che lo smaltimento avvenisse riversando all'interno del cassone le lastre liberate dall'involucro, come dimostrato anche dalla circostanza che l'operaio era dotato di un piede di porco per eventuali manovre di forzatura. L'ingresso del B. nel cassone non poteva, pertanto, configurarsi quale condotta abnorme interruttiva del nesso causale .

Avverso la predetta decisione propone ricorso per cassazione L.S., articolando due motivi.

Con il primo motivo lamenta che la Corte di merito aveva posto a fondamento della decisione atti erroneamente inseriti al fascicolo del dibattimento (la consulenza del tecnico ingegnere nominato dal PM e la consulenza medico legale), pur a fronte del motivo di impugnazione avverso l'ordinanza del 19.3.2009 con la quale il giudice di primo grado aveva rigettato la richiesta di stralcio dal fascicolo del dibattimento dei predetti atti per la tardività dell'eccezione.

Su tale motivo di impugnazione la Corte di merito non aveva fornito alcuna risposta e, contrariamente al primo giudice - il quale aveva ritenuto assorbentemente la rilevanza ai fini della decisione degli accertamenti peritali - aveva tratto ogni elemento utile ai fini della decisione dai predetti atti, ritenuti irripetibili, contenuti nel fascicolo dell'udienza preliminare, la cui richiesta di stralcio era intervenuta tardivamente. Si deduce sul punto la violazione dell'art. 431 c.p.p. sul rilievo che, contrariamente a quanto sostenuto dal PM, la consulenza tecnica del PM non è atto irripetibile acquisibile al fascicolo del dibattimento e del cit. articolo, comma 2 e dei principi elaborati dalla giurisprudenza, secondo i quali l'acquisizione al fascicolo del dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del P.M. deve risultare da una inequivoca manifestazione di consenso, nella fattispecie mai espresso. La mancata conoscenza del momento dell'inserimento dei predetti atti nel fascicolo del dibattimento non deponeva per la mancata tempestività dell'eccezione sollevata, alla luce del disposto dell'art. 491 c.p.p., comma 2.

Con il secondo motivo si lamenta la violazione dell'art. 228 c.p.p. avendo i giudici di merito posto a fondamento della responsabilità penale dell'imputato la ricostruzione della dinamica del sinistro operata secondo le informazioni assunte dal perito nei confronti dei soggetti coinvolti, elevate a fonte di prova in luogo della testimonianza dei medesimi soggetti, in violazione delle norme sul contraddicono e formazione della prova. Si deduce che la difesa era stata così espropriata di ogni contributo processuale, con particolare riferimento alle dichiarazione della persona, presente sul posto al momento dell'incidente, titolare della ditta cui erano affidate le operazioni di smaltimento dei vetri.

Diritto

Il ricorso è infondato.

L'eccezione di inutilizzabilità delle dichiarazioni raccolte dal perito ai fini del giudizio di responsabilità era stata già sollevata dinanzi al giudice di primo grado ed è stata riproposta con i motivi di impugnazione in appello.

In quella sede, la Corte territoriale ha affermato la fondatezza dell'eccezione ed ha richiamato il disposto dell'art. 228 c.p.p., comma 3, secondo il quale, qualora ai fini dello svolgimento dell'incarico il perito richieda notizia all'imputato, alla persona offesa o ad altre persone, gli elementi in tal modo acquisiti possono essere utilizzati solo al fine dell'accertamento peritale.

Tuttavia il giudicante ha ritenuto di escludere ogni nullità, oltre, all'evidenza, della perizia, anche della sentenza, sul rilievo che ogni elemento utile ai fini della decisione era fornito dagli atti acquisiti al fascicolo del dibattimento o in quanto atti irripetibili o perchè inseriti nel fascicolo formato all'esito dell'udienza preliminare - tra i quali l'elaborato del consulente tecnico nominato dal pubblico ministero e la consulenza medico legale - essendo stata rigettata, in quanto ritenuta intempestiva, l'eccezione formulata ex art. 491 c.p.p., comma 2.

A fondamento della decisione veniva, altresì, posto il contributo offerto dalla relazione peritale nella disamina dei documenti, fotografici e documentale, dalla stessa acquisiti.

Prima di affrontare tale questione, va esaminata, in quanto preliminare, l'altra prospettata nel primo motivo di ricorso, con il quale il difensore lamenta la mancanza di motivazione sul motivo di impugnazione afferente l'utilizzazione ai fini della decisione anche dell'elaborato del consulente tecnico nominato dal PM e la consulenza del medico legale.

Sul punto, rileva il Collegio che la relativa eccezione non reca alcun elemento di sostegno a fondamento dell'asserita tempestività, onde può ritenersi agevolmente che la Corte territoriale, argomentando come sopra indicato, l'abbia implicitamente disattesa.

Tale conclusione è fondata sulla consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo la quale in sede di legittimità, non è censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando risulti che la stessa sia stata disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata (v. Sezione 1, 22 maggio 2013, Camello ed altri, rv. 256340).

Ciò detto, va innanzitutto condivisa la valutazione di inutilizzabilità, ai fini della decisione, delle dichiarazioni rese da terzi al perito.

Si tratta di una inutilizzabilità che mira a tutelare l'esigenza che il perito sia messo nella condizione di svolgere nella maniera più completa il suo incarico e quindi di fare in modo che le notizie siano fornite al perito - eventualmente anche dall'imputato o dalla persona offesa - senza reticenze o falsità, non sussistendo timore dell'eventuale utilizzo ai fini della perizia.

In secondo luogo, va rilevato che in sede di legittimità allorchè con il ricorso per cassazione, sia eccepita l'illegale assunzione di una prova, è consentito procedere alla c.d. prova di resistenza, ossia valutare se tali elementi di prova acquisiti illegittimamente abbiano avuto un peso reale nella decisione del giudice, mediante il controllo della struttura della motivazione, al fine di stabilire se la scelta di una determinata soluzione sarebbe stata la stessa pur senza la utilizzazione di quegli elementi, per la presenza di altre prove ritenute di per sè sufficienti a giustificare quel convincimento (v. Sezione 4, 16 ottobre 2013, Foti, rv. 258178).

Nella specie, la Corte territoriale, in conformità al primo giudice, ha ricostruito la dinamica dell'infortunio alla luce delle circostanze di fatto poste in evidenza dal perito, secondo la quale il B. è stato schiacciato dalle lastre di vetro precipitategli addosso mentre era intento all'interno del cassone a completare le operazioni di apertura del contenitore in legno con i vetri. In questa prospettiva, del tutto irrilevante, come logicamente evidenziato in sentenza, è l'accertamento in fatto, richiesto dalla difesa, attraverso la deduzione di prova testimoniale, sulle cause che hanno determinato la caduta delle lastre. Ciò che rileva è che il lavoratore è entrato nel cassone per completare le operazioni di smaltimento del vetro ed all'interno dello stesso ha utilizzato il piede di porco per forzare la cassa.

Va, poi, sottolineato che la verificata inutilizzabilità delle dichiarazioni rese in sede di sommarie informazioni da parte di soggetti coinvolti nelle operazioni lavorative non attinge, la ricostruzione della dinamica del sinistro e la sua riconducibilità alla mancata ottemperanza, da parte del datore di lavoro all'obbligo di mettere a disposizione dei lavoratori attrezzature di lavoro adeguate all'attività da svolgere ed idonea a tutelare la sicurezza e la salute dei medesimi.

Il nucleo della colpa addebitata all'imputato è stato correttamente individuato nella non appropriata organizzazione aziendale, che trascurava la sicurezza dei lavoratori con riguardo alla situazione di pericolo determinata dalla pericolosa operazione di smaltimento dei vetri, originariamente neanche menzionata nel documento di valutazione dei rischi e nell'omesso aggiornamento della formazione dei lavoratori sui rischi presenti in azienda.

E' significativo in tal senso quanto sottolineato nella sentenza impugnata sulla circostanza che fino al momento del sinistro i documenti di valutazione elaborati dall'impresa non contenevano alcun riferimento al rischio specifico legato alle attività di smaltimento dei vetri con movimentazione del carico mediante carroponte, laddove era prevista, invece, solo una procedura regolamentata, di carattere generico, per la movimentazione dei carichi con detto attrezzo.

In tale situazione, la lacuna motivazionale sopra evidenziata, manca di decisività rispetto al complesso del tessuto argomentativo, che, in ossequio al principio di resistenza, consente di apprezzare un satisfattivo compendio probatorio sviluppato dal giudice di merito per fondare in capo al L. la responsabilità dell'evento per non avere informato il lavoratore dei rischi connessi alla pericolosa operazione di smaltimento del vetro e non avere adottato tutte le precauzioni per evitare le situazioni di pericolo derivanti dall'esecuzione dei lavori.

In proposito è stato ritenuto (v. di recente, Sezione 4, 25 maggio 2014, Civicchioni) che, in materia di infortuni sul lavoro, il D.Lgs. n. 626 del 1994 (v. ora il D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81) se da un lato prevede anche un obbligo di diligenza del lavoratore, configurando addirittura una previsione sanzionatoria a suo carico, non esime il datore di lavoro, e le altre figura ivi istituzionalizzate, e, in mancanza, il soggetto preposto alla responsabilità ed al controllo della fase lavorativa specifica, del debito di sicurezza nei confronti dei subordinati. Questo consiste, oltre che in un dovere generico di formazione ed informazione, anche in forme di controllo idonee a prevenire i rischi della lavorazione che tali soggetti, in quanto più esperti e tecnicamente competenti e capaci, debbono adoperare al fine di prevenire i rischi, ponendo in essere la necessaria diligenza, perizia e prudenza, anche in considerazione della disposizione generale di cui all'art. 2087 c.c., norma di "chiusura del sistema", da ritenersi operante nella parte in cui non è espressamente derogata da specifiche norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro.

Come è noto, in forza della disposizione generale di cui all'art. 2087 c.c. e di quelle specifiche previste dalla normativa antinfortunistica, il datore di lavoro è costituito garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro, con l'ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l'evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo reattivo previsto dall'art. 40 c.p., comma 2.

Ne consegue che il datore di lavoro, ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici e del fatto che il lavoratore possa prestare la propria opera in condizioni di sicurezza, vigilando altresì a che le condizioni di sicurezza siano mantenute per tutto il tempo in cui è prestata l'opera (v. Sezione 4, 27 giugno 2012, Battafarano, rv. 254365).

In conclusione, ciò che era legittimo pretendersi dal L. era l'informazione completa fornita al lavoratore ed il dovere di vigilanza dell'attività lavorativa, eventualmente anche a mezzo di un preposto.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 26 settembre 2014.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2014