Cassazione Penale, Sez. 4, 28 novembre 2014, n. 49725 - Macchina reggiatrice e crollo del telaio. Ruolo di un preposto


 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D'ISA Claudio - Presidente -
Dott. MASSAFRA Umberto - Consigliere -
Dott. VITELLI CASELLA Luca - Consigliere -
Dott. MONTAGNI Andrea - Consigliere -
Dott. DELL'UTRI M. - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da:
T.G. n. il (Omissis);
M.R. n. il (Omissis);
Tr.Mi. n. il (Omissis);
Ma.De. n. il (Omissis);
avverso la sentenza n. 2755/2010 pronunciata dalla Corte d'appello di Bologna il 27/6/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita nell'udienza pubblica del 6/11/2014 la relazione fatta dal Cons. Dott. DELL'UTRI Marco;
udito il Procuratore Generale, in persona del Dott. POLICASTRO A., che ha concluso per l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, limitatamente alle disposizioni penali, per essere il reato estinto per prescrizione, con la conferma delle statuizioni civili;
udito per le parti civili l'avv.to Lorenzo G. del foro di Roma, che ha concluso per la dichiarazione d'inammissibilità dei ricorsi;
udito, per l'imputato Ma., l'avv.to Zazza R. del foro di Roma, che ha concluso per l'annullamento della sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione;
udito per gli imputati T., M. e Tr., l'avv.to Tucci A. del foro di Roma, che ha concluso per l'annullamento della sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione.


Fatto

1. Con sentenza resa in data 27/6/2013, la corte d'appello di Bologna ha integralmente confermato la decisione in data 12/10/2009 con la quale il tribunale di Modena ha condannato Ma.De., T.G., M.R. e Tr.Mi. (unitamente ad A.A.) alla pena di tre mesi di reclusione, oltre al risarcimento del danno, in solido con i responsabili civili, in favore delle parti civili costituite, in relazione al reato di lesioni colpose gravissime commesso, in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai danni di H.S., in (Omissis).

In particolare, agli imputati era stata originariamente contestata la violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro per aver omesso di cooperare, ciascuno nelle rispettive qualità, all'attuazione delle misure di tutela del lavoratore infortunato il quale, nel quadro dei lavori eseguiti in appalto dalla C. s.r.l. su committenza della S. s.p.a. (quest'ultima datrice di lavoro del prestatore infortunato), allo scopo di rimettere in funzione un impianto per il confezionamento e la pallettizzazione dei laterizi prodotti dalla società datrice di lavoro (impianto che si era bloccato a causa del disassamento di una fila di mattoni già pallettizzati che aveva fermato in posizione sopraelevata il telaio della macchina reggiatrice), nell'utilizzare impropriamente una pertica in metallo casualmente rinvenuta in loco, allo scopo di rompere la colonna di mattoni disassata, aveva causato la caduta del telaio verso il basso, rimanendo schiacciato sotto lo stesso, così provocandosi gravissime lesioni con schiacciamento e frattura vertebrale e paraplegia agli arti inferiori.

Avverso la sentenza d'appello hanno proposto ricorso per cassazione tutti e quattro gli imputati.

2. Ma.De. propone ricorso sulla base di due motivi d'impugnazione. Con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per vizio di motivazione, per avere i giudici del merito, in violazione del principio di correlazione tra imputazione e sentenza, ascritto all'imputato (responsabile della produzione della S. S.p.A., ditta committente) la violazione del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, a dispetto della contestazione, contenuta nel capo d'imputazione, relativa alla violazione del solo art. 7 del medesimo decreto legislativo.

Quanto a tale ultima norma, osserva il ricorrente come la stessa non riguardasse il Ma., avendo quest'ultimo nella specie rivestito, non già la qualifica di responsabile per la sicurezza sul lavoro, bensì solo quella di preposto, come tale estranea all'ambito di applicazione del richiamato art. 7.

Sulla base di tali premesse, non avendo l'accusa mai menzionato la violazione di obblighi propri del preposto, nessun rimprovero poteva essere sollevato in capo al ricorrente per l'evento allo stesso erroneamente ascritto, essendo propriamente mancata alcuna specifica contestazione con riguardo alla colpa del preposto.

Nè al Ma. sarebbe stato possibile imputare alcuna mancanza nella cooperazione tra soggetto appaltante e appaltatore, attesa la radicale estraneità delle competenze dello stesso Ma. nella gestione dell'appalto.

Con il secondo motivo, il ricorrente si duole della violazione di legge e del vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata laddove, nell'adombrare un'ipotesi di colpa generica a carico dell'imputato, ha omesso di rilevare l'improcedibilità dell'azione penale per difetto di querela.

3.1. T.G., M.R. e Tr.Mi.

(componenti del consiglio di amministrazione della C. s.r.l., ditta appaltatrice), a mezzo del comune difensore, hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di sette motivi di impugnazione.

Con il primo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per vizio di motivazione, avendo la corte territoriale omesso di rilevare il difetto di correlazione tra accusa e sentenza, con particolare riguardo alla pretesa sussistenza dell'obbligo della ditta appaltatrice C. s.r.l. (che aveva contrattualmente assunto l'impegno di provvedere al trasferimento, nella nuova sede della S. s.p.a., dell'impianto di pallettizzazione) di curare l'informazione e la formazione del personale della S. s.p.a. in ordine all'uso degli impianti trasferiti, ovvero alla pretesa sussistenza del potere degli imputati di impedire ai dipendenti della S. s.p.a. l'utilizzazione dell'impianto di confezionamento non ancora completato e collaudato, presso il quale si era verificato l'infortunio del lavoratore della S. s.p.a..

Al riguardo, gli imputati si dolgono della contraddittorietà della sentenza d'appello, nella parte in cui, nel respingere il motivo d'appello relativo al difetto di correlazione tra accusa e sentenza, ha negato l'avvenuta contestazione della mancata formazione dei lavoratori della S. s.p.a., da parte degli imputati, in contrasto con quanto sul punto espressamente sancito dal primo giudice; e nella parte in cui ha rilevato l'assenza di misure di protezione della macchina reggiattrice, a dispetto dell'assoluta irrilevanza di tali protezioni, siccome previste per il caso dell'uso della macchina in movimento e non già in relazione ad attività del lavoratore effettuate (nella specie, del tutto imprudentemente) a macchina ferma.

3.2. Con il secondo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per vizio di motivazione, avendo la corte territoriale giudicato erroneamente generica la considerazione dei rischi lavorativi contenuta nella documentazione depositata in giudizio dagli imputati (integrata da taluni verbali di sopralluogo e dal disciplinare del contratto di appalto), in contrasto con il contenuto analiticamente dettagliato di detta documentazione, attraverso le quali le parti avevano specificamente analizzato il rischio di schiacciamento per caduta della macchina reggiatrice e regolato convenzionalmente l'impegno delle aziende di provvedere ad applicare le disposizioni antinfortunistiche al fine di prevenire i rischi dei propri dipendenti.

3.3. Con il terzo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per la mancata assunzione di una prova decisiva, consistente nella perizia descrittiva della macchina e dell'impianto presso il quale era avvenuto l'infortunio oggetto di giudizio, nonchè della relativa dinamica: mezzo di prova attraverso il quale sarebbe emerso in maniera più evidente la causa dell'infortunio, nella specie derivato, non già dalla modificazione delle modalità di utilizzazione della macchina reggiatrice, bensì dalla mancata utilizzazione del dispositivo di sicurezza della stessa.

3.4. Con il quarto motivo, i ricorrenti si dolgono del vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata nel riconoscere la responsabilità degli imputati per aver affiancato gli operai della S. s.p.a. (tra cui il lavoratore infortunato) a quelli della C. s.r.l., laddove nessun potere di comando era stato attribuito ai dirigenti di quest'ultima sui lavoratori della ditta committente.

3.5. Con il quinto motivo i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per vizio di motivazione, avendo la corte territoriale del tutto travisato i fatti di causa, non comprendendo con esattezza la scansione del processo causale ch'ebbe a determinare l'infortunio oggetto di giudizio, con particolare riguardo al funzionamento della reggiatrice e del dispositivo di sicurezza destinato a impedire la caduta del ponte e gli eventuali infortuni per schiacciamento.

3.6. Con il sesto motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per vizio di motivazione, avendo i giudici del merito erroneamente attribuito a tutti gli imputati la responsabilità per la mancata conclusione di un contratto d'appalto a norma di legge, nonostante l'avvenuta conclusione di tale contratto ad opera dell'amministratore delegato della C. s.r.l., Tr.Mi., senza alcuna ulteriore contestazione, a carico degli altri due imputati, dell'asserita violazione dell'obbligo di "controllare" l'avvenuta redazione di un contratto d'appalto a norma di legge: con la conseguente violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza.

3.7. Con il settimo e ultimo motivo d'impugnazione, i ricorrenti invocano l'accertamento dell'avvenuta estinzione del reato agli stessi contestato, per l'avvenuta integrale decorrenza del termine di prescrizione.

Diritto

4. Il ricorso proposto dal Ma. e infondato.

Diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, la corte d'appello di Bologna ha del tutto correttamente ascritto, all'incontestata qualità di preposto rivestita dall'imputato, il dovere di prendere cognizione della compatibilità del patrimonio di conoscenze professionali vantate dal lavoratore infortunato, rispetto alle mansioni allo stesso in concreto assegnate, eventualmente provvedendo a dotarlo di tutte le informazioni necessarie al fine di impedire l'adozione, da parte dello stesso, di comportamenti rischiosi per la propria incolumità.

Varrà, sul punto, richiamare il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il preposto è, in quanto tale e nell'ambito delle proprie competenze e attribuzioni, destinatario iure proprio dei precetti antinfortunistici che gravano sul datore di lavoro (cfr. Cass., Sez. 4^, Sentenza n. 19712 del 03/02/2009, Rv. 243637) e, in particolare, del dovere di adibire i lavoratori a compiti coerenti con le proprie capacità e condizioni, fornendo agli stessi i necessari e idonei mezzi di protezione e prendendo le appropriate misure affinchè solo i lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni accedano alle zone che li espongono a un rischio grave e specifico (cfr. D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4).

In piena coerenza con tali premesse, la corte territoriale ha sottolineato come il Ma. fosse, all'epoca del fatto, perfettamente al corrente della generica e insufficiente preparazione professionale del lavoratore infortunato e della circostanza che il macchinario sul quale era stato destinato non era stata ancora collaudata, avendo subito talune modificazioni tali da esporto a nuovi e inediti pericoli.

In particolare, la corte territoriale ha sottolineato, in conformità alle indicazioni contenute nel capo d'imputazione sollevato nei relativi confronti, la grave mancanza dell'imputato consistita nell'aver abbandonato a se stesso il lavoratore alle prese con una macchina dallo stesso non conosciuta, senza preoccuparsi di assicurarne l'affiancamento con altri preposti capaci di intervenire in caso di evenienze problematiche relative alla sicurezza.

Del tutto correttamente, pertanto, la corte territoriale ha correlato le disposizioni del D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 4 e 7, (trattandosi di attività lavorative svolte nel quadro di un contratto di appalto), evidenziando, aldilà delle formali indicazioni normative contenute nel capo d'imputazione, come l'imputato fosse stato sin dall'origine posto in condizione di conoscere la natura del rimprovero allo stesso sollevato, con particolare riguardo al relativo imprudente allontanamento dai luoghi di lavoro senza assicurarsi che in sua assenza rimanesse un preposto di riferimento per gestire qualsiasi evenienza legata al prosieguo dell'attività (v., in termini, l'atto di accusa sollevato nei confronti del Ma.).

La motivazione su tali punti dettata dalla corte territoriale deve ritenersi pienamente coerente sul piano logico e corretta in termini giuridici, si da sfuggire integralmente alle censure al riguardo sollevate dall'odierno ricorrente.

Del tutto priva di fondamento deve inoltre ritenersi la doglianza sollevata dal ricorrente con riguardo all'asserito mancato rilievo dell'improcedibilità dell'azione penale per difetto di querela, essendosi trattato, nel caso di specie, di lesioni personali determinate dalla violazione di norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (reato perseguibile d'ufficio, ai sensi dell'art. 590 c.p.) rispetto alla cui causazione nessuna rilevanza può essere ascritta all'eventuale fonte formale o sociale delle norme cautelari eventualmente inosservate dal responsabile, e dunque alla natura specifica o generica della conseguente colpa di questi.

5. Il primo, il secondo, il quarto e il quinto motivo del ricorso proposto dagli imputati T., M. e Tr. (congiuntamente esaminabili in ragione dell'intima connessione delle questioni dedotte) sono infondati.

La corte territoriale ha correttamente escluso il ricorso di alcun difetto di correlazione tra accusa e sentenza con riguardo alle posizioni dei ricorrenti, avendo sottolineato come gli imputati della C. s.r.l. non fossero stati ritenuti affatto responsabili per la violazione degli obblighi di formazione dei dipendenti della S. s.p.a., bensì (in piena coerenza con le indicazioni dei capi di imputazione formalizzati) per aver omesso di cooperare con la S. s.p.a. nel coordinamento, nella gestione e nella previsione dei rischi specifici connessi all'utilizzo della macchina reggiatrice, in particolare, secondo la nuova utilizzabilità della stessa come consentita a seguito della modificazione dell'impianto.

In modo del tutto coerente e lineare, sul piano argomentativo, la corte territoriale ha riconosciuto la responsabilità degli imputati per aver omesso, nelle rispettive qualità di amministratori della C. s.r.l., di contemplare in modo specifico ed espresso i rischi connessi alle attività che gli stessi dipendenti C. s.r.l. erano chiamati a svolgere con il coinvolgimento (non già sotto il relativo comando) dei lavoratori della S. s.p.a..

Proprio la modificazione dell'impianto collegato alla macchina reggiatrice e la conseguente creazione di un inedito rischio di schiacciamento (connesso alla penetrabilità della macchina al di sotto del telaio) avrebbe imposto l'espressa previsione di tale pericolo, che viceversa i documenti ancora in questa sede richiamati dagli imputati (peraltro neppure materialmente allegati al ricorso ai fini della relativa autosufficienza) avevano preso in esame in modo del tutto generico, in ogni caso senza alcun riferimento ai meccanismi di blocco e di sblocco della macchina reggiatrice in caso di sospensioni delle lavorazioni, la cui mancata previsione aveva specificamente posto le premesse per l'infortunio oggetto dell'odierno esame.

Del tutto prive di fondamento devono ritenersi le doglianze degli imputati in ordine alla pretesa irrilevanza delle misure di protezione in esame in relazione alla causazione dell'evento lesivo (che, viceversa, i giudici del merito risultano aver adeguatamente ricostruito con esattezza), avendo la corte territoriale correttamente sottolineato la decisività del meccanismo di blocco della macchina reggiatrice, la cui attivazione (o lo spegnimento dell'impianto in caso di sospensione delle lavorazioni, con eventuale raccomandazione ai lavoratori Stabila s.p.a. di procedere al blocco della macchina in caso di interventi a fermo sulla stessa) avrebbe con certezza impedito l'evento verificatosi proprio in conseguenza del crollo del telaio della reggiatrice sulla persona del lavoratore infortunato.

Al riguardo, la corte d'appello ha correttamente escluso alcun profilo di abnormità nella condotta nella specie seguita dal lavoratore infortunato, essendosi in thema puntualmente allineata al consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale la circostanza del ricorso di un'eventuale imprudenza o negligenza del lavoratore infortunato nell'esercizio delle incombenze affidategli, non vale in ogni caso a escludere la responsabilità del datore di lavoro, dovendo ritenersi ricompreso, entro l'ambito delle responsabilità di quest'ultimo, l'obbligo di prevenire anche l'ipotesi di una condotta imprudente o negligente del lavoratore, al fine di scongiurare la verificazione delle prevedibili evenienze riconducibili all'ordinario sviluppo delle lavorazioni oggetto d'esame.

Il datore di lavoro, infatti, in quanto destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità quando il comportamento del dipendente, rientrante nelle mansioni che gli sono proprie, sia assolutamente abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia consistito in qualcosa di radicalmente e ontologicamente diverso dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nell'esecuzione del lavoro (Cass., Sez. 4^, n. 7267/2009, Rv. 246695).

Questa stessa corte ha avuto recentemente modo di sottolineare come l'errore sulla legittima aspettativa che non si verifichino condotte imprudenti dei lavoratori non è invocabile da parte del datore di lavoro, il quale, per la sua posizione di garanzia, risponde dell'infortunio, sia a titolo di colpa diretta, per non aver negligentemente impedito l'evento lesivo ed eliminato le condizioni di rischio, che a titolo di colpa indiretta, per aver erroneamente invocato a sua discriminante la responsabilità altrui qualora le misure di prevenzione siano state inadeguate (Cass., Sez. 4^, n. 16890/2012, Rv. 252544).

6. Prive di fondamento devono, infine, ritenersi le censure argomentate dai ricorrenti con il terzo e sesto motivo di ricorso.

Ritiene in primo luogo la corte di evidenziare l'inconferenza della doglianza sollevata dai ricorrenti con riguardo alla pretesa mancata assunzione di una prova decisiva (tale asseritamente essendo la perizia invocata nel corso del giudizio), valendo al riguardo il richiamo all'insegnamento di questa giurisprudenza di legittimità secondo cui deve ritenersi "prova decisiva", ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. d), quella sola prova che, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale da dimostrare che, ove esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia (Cass., Sez. 2^, n. 16354/2006, Rv. 234752; Cass., Sez. 6^, n. 14916/2010, Rv. 246667), ovvero quella prova che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la struttura portante (Cass., Sez. 3^, n. 27581/2010, Rv. 248105).

Con particolare riguardo al procedimento peritale, peraltro, questa stessa corte di legittimità ha ripetutamente statuito il principio, consolidatosi nel tempo, in forza del quale la perizia non può farsi rientrare nel concetto di "prova decisiva", giacchè la sua disposizione, da parte del giudice, in quanto legata alla manifestazione di un giudizio di fatto, ove assistito da adeguata motivazione, è insindacabile ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. d) (v. Cass., Sez. 5^, n. 12027/1999, Rv. 214873 e successive conformi fino a Cass., Sez. 4^, n. 14130/2007, Rv. 236191).

Nel caso di specie, la corte territoriale ha adeguatamente motivato, in termini di coerenza logica e congruità argomentativa, la decisione di non disporre la perizia invocata dalla difesa, avendo evidenziato come non vi fosse spazio per procedere alla richiesta rinnovazione dell'istruttoria, stante la completezza del dibattimento celebrato in primo grado, idoneo a consentire un'adeguata ricostruzione del funzionamento, sia dell'impianto nel suo complesso, sia della macchina reggiatrice nello specifico (v. p. 23 della sentenza d'appello).

Quanto infine alla contestata estensione, alle persone del T. e del M., della responsabilità penale (eventualmente propria del solo Tr., quale autore della stipulazione del contratto di appalto), del tutto correttamente la corte territoriale ha evidenziato la rimproverabilità, nei confronti dei primi due, dell'omesso controllo circa l'avvenuta redazione di un contratto d'appalto comprensivo delle dovute analitiche specificazioni in tema di tutela antinfortunistica, trovando sul punto applicazione il principio (costantemente ribadito da questa corte di legittimità) in forza del quale, nelle società di capitali, gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni posti dalla legge a carico del datore di lavoro gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione, salvo il caso (nella specie neppure adeguatamente allegato) di delega validamente conferita della posizione di garanzia (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 4^, Sentenza n. 49402 del 13/11/2013, Rv. 257673; Cass., Sez. 4^, Sentenza n. 6280 del 11/12/2007, Rv. 238958).

7. L'accertata infondatezza di tutti i motivi di ricorso in questa sede avanzati dagli imputati non esime peraltro il collegio (in accoglimento del settimo motivo del ricorso proposto dagli imputati T., M. e Tr.) dal rilievo dell'intervenuta prescrizione del reato per il quale gli stessi sono stati tratti a giudizio, trattandosi di un'ipotesi di lesioni colpose commessa alla data del 5/3/2006.

Al riguardo, occorre sottolineare, in conformità all'insegnamento ripetutamente impartito da questa Corte, come, in presenza di una causa estintiva del reato, l'obbligo del giudice di pronunciare l'assoluzione dell'imputato per motivi attinenti al merito si riscontri nel solo caso in cui gli elementi rilevatori dell'insussistenza del fatto, ovvero della sua non attribuibilità penale all'imputato, emergano in modo incontrovertibile, tanto che la relativa valutazione, da parte del giudice, sia assimilabile più al compimento di una "constatazione", che a un atto di "apprezzamento" e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (v. Cass., n. 35490/2009, Rv. 244274).

E invero il concetto di "evidenza", richiesto dell'art. 129 c.p.p., comma 2, presuppone la manifestazione di una verità processuale così chiara e obiettiva, da rendere superflua ogni dimostrazione, concretizzandosi così in qualcosa di più di quanto la legge richiede per l'assoluzione ampia, oltre la correlazione a un accertamento immediato (cfr. Cass., n. 31463/2004, Rv. 229275).

Da ciò discende che, una volta sopraggiunta la prescrizione del reato, al fine di pervenire al proscioglimento nel merito dell'imputato occorre applicare il principio di diritto secondo cui "positivamente" deve emergere dagli atti processuali, senza necessità di ulteriore accertamento, l'estraneità dell'imputato a quanto allo stesso contestato, e ciò nel senso che si evidenzi l'assoluta assenza della prova di colpevolezza di quello, ovvero la prova positiva della sua innocenza, non rilevando l'eventuale mera contraddittorietà o insufficienza della prova che richiede il compimento di un apprezzamento ponderato tra opposte risultanze (v. Cass., n. 26008/2007, Rv. 237263).

Tanto deve ritenersi certamente non riscontrabile nel caso di specie, avendo questa Corte positivamente riscontrato l'infondatezza di tutte le doglianze avanzate da tutti gli odierni ricorrenti avverso la sentenza di condanna pronunciata nei relativi confronti.

Ne discende che, al sensi del richiamato art. 129 c.p.p., la sentenza spugnata va annullata senza rinvio, ai fin, penali, per essere il reato contestato agi, imputati estinto per prescrizione.

La rilevata infondatezza dei motivi di ricorso avanzati dagli imputati - di là dall'annullamento della sentenza impugnata, limitatamente alla condanna penale pronunciata a carico degli stessi a causa dell'intervenuta prescrizione - impone peraltro la conferma delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili in conformità alle previsioni di cui all'art. 578 c.p.p., con la condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese In favore delle parti civili, che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, annulla ai fini penali, senza rinvio, la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione;

conferma le statuizione civili e condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili che liquida in complessivi Euro 3.000,00 oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 novembre 2014.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2014