Cassazione Civile, Sez. Lav., 23 dicembre 2014, n. 27364 - Incidente alla guida dell'auto aziendale: non esiste una responsabilità oggettiva, la colpa datoriale va provata


 

 

 

 

Presidente Lamorgese – Relatore Amendola

Fatto

1.- G.M., con atto di citazione notificato in data 20 luglio 1999, conveniva innanzi al Tribunale di Cosenza la C. Spa, di cui era dirigente, per sentirla condannare al risarcimento dei danni subiti in occasione di un incidente stradale verificatosi il 4 gennaio 1995 mentre era alla guida di un'auto per ragioni di lavoro.
Dedotto che all'epoca del sinistro era operante una polizza stipulata dalla C. Spa con la RAS Spa "contro gli infortuni professionali delle persone appartenenti alla categoria ", in diritto reclamava l'operatività di detta copertura assicurativa da attuarsi da parte della società datrice di lavoro mediante richiesta di autorizzazione a chiamare in causa la compagnia.
Instauratosi il contraddittorio, su istanza della convenuta veniva autorizzata la chiamata in garanzia della RAS Spa, che resisteva opponendo la non indennizzabilità dell'infortunio a termini di polizza; inoltre veniva disposto il mutamento del rito ai sensi dell'art. 426 c.p.c. ed assegnata la causa alla sezione lavoro del tribunale.
All'esito il primo giudice rigettava il ricorso ritenendo che il M. avesse, per il ristoro dei danni patiti, azione diretta nei confronti della compagnia assicuratrice.
In sede di gravame, la Corte di Appello di Catanzaro, con sentenza dell'8 novembre 2012, ha respinto l'appello del lavoratore, argomentando che, nel caso in esame, "nessun profilo di responsabilità risulta allegato dal ricorrente di primo grado che si è limitato ad evidenziare la circostanza pacifica di aver patito un incidente mentre si trovava alla guida di vettura aziendale, per lavoro". Ha avallato poi la decisione del tribunale nella parte in cui aveva ritenuto legittimata passiva la compagnia assicuratrice che si era assunta contrattualmente l'obbligo di risarcire i danni da infortunio.
2.- Per la cassazione di tale sentenza G.M. ha proposto ricorso con quattro motivi, illustrati da memoria. Non hanno svolto attività difensiva la C. Sta e la RAS Spa intimate.
3.- I motivi di ricorso possono essere come di seguito sintetizzati:
con il primo mezzo di impugnazione si lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 1917 c.c. nonché difetto assoluto di motivazione della sentenza impugnata per avere ritenuto che il mancato esercizio di una inesistente azione diretta nei confronti della compagnia assicuratrice giustificasse il rigetto della domanda risarcitoria proposta dal lavoratore nei confronti della datrice di lavoro;
con il secondo motivo si denuncia ancora violazione dell'art. 1917 c.c. nonché difetto di motivazione perché erroneamente i giudici di appello avrebbero attribuito azione diretta al danneggiato sulla base del contratto di assicurazione stipulato tra la C. Spa e la RAS spa;
con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 2087 c.c., in relazione all'art. 106 c.p.c., nonché difetto assoluto di motivazione per avere escluso la riconducibilità dell'infortunio cd. in itinere, quale denunciato dal M. a presupposto di fatto della domanda risarcitoria avanzata nei confronti del datore di lavoro, alla responsabilità di quest'ultimo;
con l'ultima censura si denuncia illogicità e contraddittorietà manifesta della motivazione per avere la Corte territoriale prima disposto, in grado d'appello, una compiuta attività istruttoria sull'an e sul quantum dei danni derivanti dall'infortunio e poi deciso la causa sulla base di un preteso difetto di allegazione del profilo di responsabilità.
4.- Per ragioni di ordine logico occorre innanzi tutto esaminare il terzo motivo di ricorso che impugna la decisione dei giudici di appello nella parte in cui ha escluso la responsabilità datoriale in relazione al sinistro stradale denunciato.
Con esso il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione dell'art. 2087 c.c., in relazione all'art. 106 c.p.c., nonché difetto assoluto di motivazione della sentenza gravata per aver respinto l'appello sulla considerazione che "nessun profilo di responsabilità risulta allegato dal ricorrente di primo grado che si è limitato ad evidenziare la circostanza pacifica di aver patito un incidente mentre si trovava alla guida di vettura aziendale, per lavoro".
A sostegno della censura deduce che, "in tema di infortunio in itinere, il requisito della implica la rilevanza di ogni esposizione a rischio, indipendentemente dal grado maggiore o minore di questo, e presuppone il nesso eziologico tra lavoro, rischio ed evento che costituisce fonte di responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c.".
Il motivo è infondato.
Come noto l'art. 2087 c.c. costituisce una norma di chiusura del sistema antinfortunistico che fa obbligo al datore di lavoro di adottare sul luogo di lavoro tutte le misure idonee ad assicurare la tutela dell'integrità fisica e della personalità morale dei prestatori di lavoro, in relazione allo specifico tipo di attività esercitata, anche al di là delle particolari misure tassativamente imposte dalle varie leggi speciali sulla prevenzione degli infortuni.
La disposizione, nella sua onnicomprensività ed elasticità, è idonea ad assicurare adeguato presidio alla "integrità fisica" ed alla "personalità morale" del prestatore di lavoro, qualificando la condotta offensiva non in base al suo contenuto, ma in considerazione del bene protetto.
Il riferimento all'art. 2087 c.c. consente di qualificare il fenomeno come inadempimento contrattuale del datore di lavoro, con ogni conseguenza di regime giuridico, anche in relazione al riparto degli oneri di allegazione e prova secondo le indicazioni fornite dal fondamentale arresto contenuto nella sentenza n. 13533 del 2001 delle Sezioni unite di questa Corte.
Per consolidato orientamento di legittimità l'art. 2087 c.c. non configura una ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento (v., ex plurimis, tra le ultime, Cass. n. 2038 del 2013).
Pur sussistendo diversità di opinioni sulla necessità o meno che il lavoratore debba specificamente indicare le misure che avrebbero dovuto essere adottate in prevenzione (tra le altre, Cass. n. 8855 del 2013; n. 19826 del 2013; n. 4184 del 2006; n. 14469 del 2000, affermano tale esigenza, mentre la negano: Cass. n. 3788 del 2009; n. 21590 del 2008; n. 9856 del 2002; n. 1886 del 2000; n. 3234 del 1999), è invece assolutamente univoco l'insegnamento di questa Corte secondo il quale incombe sul lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno, l'onere di provare l'esistenza di tale danno, come pure la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso di causalità tra l'una e l'altra, mentre spetta al datore di lavoro dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno (v., oltre tutte le sentenze testé citate, più risalenti: Cass. n. 10361 del 1997; n. 12661 del 1995; n. 11351 del 1993).
Allegare e provare la nocività dell'ambiente di lavoro significa che dalla fonte dell'obbligo altrui che il creditore di sicurezza invoca deve scaturire l'indicazione del comportamento che il debitore avrebbe dovuto tenere, nel senso che dalla descrizione del fatto materiale deve quanto meno potersi evincere una condotta del datore contraria o a misure di sicurezza espressamente imposte da una disposizione normativa che le individua concretamente ovvero a misure di sicurezza che, sebbene non individuate specificamente da una norma, siano comunque rinvenibili nel sistema dell'art. 2087 c.c..
In un ambito analogo in cui operano obblighi di protezione della persona umana come è il settore dei cd. contratti di spedalità, le Sezioni unite hanno ritenuto che "l'inadempimento rilevante nell'ambito dell'azione di responsabilità per risarcimento del danno nelle obbligazioni così dette di comportamento non è qualunque inadempimento, ma solo quello che costituisce causa (o concausa) efficiente del danno. Ciò comporta che l'allegazione del creditore non può attenere ad un inadempimento, qualunque esso sia, ma ad un inadempimento, per così dire, qualificato, e cioè astrattamente efficiente alla produzione del danno. Competerà al debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è proprio stato ovvero che, pur esistendo, non è stato nella fattispecie causa del danno" (Cass. SS.UU. n. 577 del 2008).
La sentenza impugnata si è attenuta ai principi innanzi espressi ritenendo che la responsabilità del datore di lavoro non potesse essere affermata sulla sola deduzione che il M. aveva "patito un incidente mentre si trovava alla guida della vettura aziendale, per lavoro".
Infatti, tali scarne circostanze di fatto sono del tutto inidonee a consentire l'individuazione della condotta inadempiente addebitabile alla società.
Ritenere che il datore di lavoro fosse responsabile dei danni subiti dal dipendente per il solo fatto che questi si trovasse alla guida di una autovettura per motivi di lavoro significherebbe scivolare in una ipotesi di responsabilità oggettiva, come detto sempre negata da questa Corte.
Gli è che parte ricorrente sembra confondere i presupposti per l'azionabilità della tutela prevista dall'assicurazione infortuni e malattie professionali garantita dall'INAIL e quelli necessari per l'accertamento di una responsabilità contrattuale del datore di lavoro ai sensi dell'art. 2087 c.c..
Non a caso invoca l' "occasione di lavoro" e deduce l'esistenza di un "infortunio in itinere", ma solo il meccanismo assicurativo prescinde dall'accertamento della colpa e si fonda sulla mera occasione di lavoro, cioè su di una condizione di collegabilità, anche indiretta, dell'evento all'attività lavorativa, sicché l'indennizzo può essere riconosciuto finanche per eventi verificatisi nel percorso fatto dal dipendente per recarsi al lavoro.
Mentre in un giudizio risarcitorio proposto nei confronti del datore di lavoro è indispensabile fornire al giudice ed alla controparte tutti gli elementi fattuali necessari affinché sia apprezzabile, anche solo in ipotesi, un colpevole inadempimento, non potendo il lavoratore limitarsi a dedurre di avere riportato un danno in occasione o durante la prestazione lavorativa.
5.- Parimenti infondato il connesso ultimo motivo di ricorso con cui si denuncia illogicità e contraddittorietà manifesta della motivazione che ha escluso la responsabilità della società, avendo la Corte territoriale prima disposto, in grado d'appello, una compiuta attività istruttoria sull'an e sul quantum dei danni derivanti dall'infortunio e poi deciso la causa sulla base di un preteso difetto di allegazione del profilo di responsabilità.
Non può sussistere il vizio di cui al novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., applicabile alla sentenza impugnata emessa in data 8 novembre 2012, laddove si lamenti una contraddittorietà tra attività istruttoria compiuta e decisione della causa, atteso che, secondo le Sezioni unite di questa Corte, oramai l'anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all'esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di sufficienza, nella mancanza assoluta dei motivi sotto l'aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile
fra affermazioni inconciliabili, nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile (Cass. SS.UU. n. 8053 del 2014).
6.- Una volta ritenuta legittima l'esclusione di una responsabilità per danni della C. Spa, così come accertata dalla Corte territoriale, consegue l'infondatezza dei due primi motivi di gravame, con i quali parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 1917 c.c. nonché difetti di motivazione.
Infatti, esclusa la condanna al risarcimento del danno della società datrice di lavoro non poteva prodursi alcun effetto di rivalsa nei confronti della compagnia assicuratrice chiamata in garanzia.
I motivi in esame non colgono così l'autonoma ratio decidendi con cui la Corte di Appello ha respinto la domanda di accertamento della responsabilità della C. Spa, di per sé sola idonea a sorreggere l'intera decisione, peraltro inadeguatamente censurando - al di fuori dei ristretti limiti di cui al novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., innanzi richiamato - l'accertamento di fatto dei giudici del merito che ha ravvisato nel contratto tra datore di lavoro ed assicurazione la fonte dell'azione diretta del danneggiato, in conformità con quella giurisprudenza di legittimità secondo la quale "nell'assicurazione contro gli infortuni a favore di un terzo - cui si applica la disciplina dell'assicurazione sulla vita - la norma contenuta nell'art. 1920 c.c., secondo cui il terzo acquista un diritto proprio ai vantaggi dell'assicurazione, va intesgnel senso che il diritto all'indennità nasce in suo favore dal contratto, sì che egli può rivolgersi direttamente al promittente (assicuratore) per ottenere la prestazione" (Cass. n. 4851 del 1980; Cass. n. 9388 del 1994; Cass. n. 6062 del 1998; Cass. n. 15407 del 2000).
7.- Conclusivamente il ricorso deve essere respinto.
In difetto di costituzione delle parti intimate, nulla per le spese del giudizio di legittimità.
Poiché il ricorso per cassazione risulta proposto in data 23 ottobre 2013 occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui all'art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall'art. 1, co. 17, 1. n. 228 del 2012.

P.Q.M.



La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.
Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.