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Cassazione Penale, Sez. 4, 18 dicembre 2014, n. 52658 - Infortunio mortale di un lavoratore colpito da una escavatrice guidata dal padre non regolarmente assunto. Responsabilità


 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FOTI Giacomo - Presidente -
Dott. BLAIOTTA Rocco - Consigliere -
Dott. VITELLI CASELLA Luca - Consigliere -
Dott. PICCIALLI P. - rel. Consigliere -
Dott. MONTAGNI Andrea - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da:
C.G. N. IL (Omissis);
P.D. N. IL (Omissis);
avverso la sentenza n. 2726/2011 CORTE APPELLO di L'AQUILA, del 03/04/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/10/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Policastro Aldo, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.
udito il difensore avv. Marconi G. del foro di Teramo, per entrambi i ricorrenti, che ha concluso per l'accoglimento dei ricorsi.

Fatto

Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di L'Aquila ha confermato, quanto al giudizio di responsabilità, quella in primo grado con la quale C.G. e P.D. erano stati condannati di reato di omicidio colposo nei confronti del lavoratore M.D., riformando in melius la pena, esclusivamente nei confronti del secondo, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante.

Le imputazioni avevano riferimento ad un infortunio sul lavoro occorso in data 26 novembre 2008 all'interno di un cantiere edile, a seguito del quale era deceduto M.D., socio e dipendente della ditta EDIL M. snc, alla quale la ELG Costruzioni s.r.l., amministrata dalla C. aveva subappaltato le operazioni di scavo per la recinzione del cantiere. Dagli accertamenti svolti a seguito dell'infortunio, era emerso che il M. era stata colpito dalla benna dell'escavatrice, condotta dal padre, pensionato e non assunto dalla medesima ditta M., in assenza di sbarramenti e segnaletica di sicurezza intorno all'area di azione della escavatrice.

La C. ed il P. erano stati chiamati a risponderne in qualità, rispettivamente, di committente e direttore dei lavori edili in questione, essendosi ravvisati a loro carico profili di colpa, sia generica, sub specie dell'imprudenza e della negligenza, sia specifica. Quanto alla prima, il profilo di colpa specifica è stato fondato sulla violazione del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 93, avendo la stessa omesso di verificare l'osservanza degli obblighi da parte del direttore dei lavori e del coordinatore per l'esecuzione. Quanto al secondo, gli è stato contestato di avere colposamente cooperato nella causazione dell'evento, consentendo che l'anziano M., pensionato e non assunto dalla medesima ditta M., eseguisse quel tipo di operazioni in assenza di sbarramenti e segnaletica di sicurezza intorno all'area di azione della escavatrice.

Avverso la predetta decisione propongono ricorso per cassazione gli imputati, articolando i seguenti motivi.

Con il primo motivo, partendo dalla premessa di un travisamento del fatto da parte dei giudici di merito, i ricorrenti rimarcano che la ELG Costruzioni s.r.l., di cui la C. è legale rappresentante, non era la committente dei lavori nei confronti della M. snc, della quale era socio e responsabile del servizio di prevenzione l'operaio deceduto, in quanto le opere di scavo erano state appaltate a quest'ultima dalla M. srl, di cui era amministratore lo stesso M.D..

Alla luce di questo inquadramento della vicenda, si sostiene che i giudici di merito avevano erroneamente fatto ricadere la responsabilità dell'evento sui ricorrenti, estranei alla situazione di rischio posta in essere dalla stessa vittima.

Con il secondo motivo deducono un travisamento del fatto con riferimento alla definizione da parte dei giudici di merito del ruolo svolto in azienda dall'autore materiale della condotta illecita che agiva in realtà, come emergeva dalle plurime dichiarazioni testimoniali, come amministratore di fatto della società e referente esclusivo delle opere di scavo, ciò escludendo che fosse possibile individuare da parte degli imputati una posizione irregolare dello stesso all'interno dell'azienda e ritenere esigibile da parte degli stessi un intervento interdittivo nei suoi confronti. In ogni caso, eventuali irregolarità nella fase della lavorazione avrebbero dovuto essere segnalate dal coordinatore per l'esecuzione, il quale aveva l'obbligo di correlarsi con il suo committente, ossia con la vittima.

Con il terzo motivo lamentano che la Corte di appello, in violazione del principio di correlazione dell'accusa ed in assenza di specifico motivo di impugnazione, aveva attribuito al P., in assenza di elementi probatori emergenti in tal senso, la qualifica di preposto, modificando quella di direttore di cantiere contenuta nel capo di imputazione. Si sostiene che tale qualificazione del ruolo contrasta con il dettato del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 16, secondo il quale il preposto è un delegato del datore di lavoro, mancando nel caso in esame qualsiasi atto di delega e risultando da certificazione INAIL che il P. non aveva avuto alcun specifico compito in materia di sicurezza del lavoro. Con il quarto motivo si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 118 sul rilievo che l'apprestamento di misure di prevenzione e la formazione ed informazione delle maestranza spettava, nel caso in esame, all'appaltatore ed al subappaltatore, oltre che all'autore del fatto, non avendo il committente una posizione attiva nello svolgimento dei lavori. In proposito si richiama il contenuto dell'art. 26 del citato Testo unico, secondo il quale spetta al committente promuovere il coordinamento e predisporre il documento di valutazione dei rischi, realizzato dalla committente attraverso la nomina del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione, al quale spettava la verifica e l'adeguamento del POS in fase di avanzamento dei lavori e l'eventuale esercizio di poteri impeditivi in situazioni di pericolo grave ed imminente e di segnalazione di tale situazione al committente, mai effettuata, limitandosi lo stesso a dare atto, in un verbale, dell'ingresso dell'escavatore in cantiere.

Si sostiene, infine, che la decisione impugnata aveva omesso ogni approfondimento circa la causalità della colpa in assenza di ogni indagine sulla possibilità che il rispetto della normativa prevenzionale sulla segnalazione della situazione di pericolo attraverso le transenne avrebbe evitato il verificarsi dell'evento mortale.


Diritto


I ricorsi sono fondati.

Il percorso motivazionale seguito nella sentenza in esame è assolutamente carente essendosi limitato il giudicante ad affermare in via apodittica la responsabilità del committente e del preposto sulla base di mere affermazioni di principio, svincolate dal contesto in cui l'evento letale si è realizzato.

La responsabilità della C., in particolare, è stata fondata sulla posizione di garanzia dalla stessa assunta, nella qualità di datore di lavoro, e sulla omessa vigilanza concretizzatasi nel consentire l'inizio dei lavori in presenza di situazioni di fatto pericolose. La responsabilità del P. è stata, invece, ricondotta alla posizione di garanzia rivestita dal medesimo nella qualità di preposto - così modificando l'attribuzione allo stesso della qualifica di dirigente contenuta nel capo di imputazione - ed è stato individuato quale profilo di colpa l'omessa segnalazione al coordinatore per l'esecuzione ed al direttore dei lavori della messa in atto da diversi giorni all'interno del cantiere delle operazioni di scavo da parte di soggetto non assunto dalla ditta appaltatrice ed in condizioni di assoluta insicurezza per gli addetti, in assenza di sbarramenti e segnaletica di sicurezza intorno all'area di azione dell'escavatrice.

L'unico dato che emerge con certezza dalla descrizione del fatto contenuta nella sentenza impugnata è che l'evento letale è stato determinato da una manovra errata e pericolosa, non conforme alle prescrizioni di sicurezza, del conducente della escavatrice, padre della vittima, la cui posizione era irregolare nel cantiere, in quanto non risultava ritualmente assunto.

Rimane, invece, del tutto incerta la situazione dei rapporti tra le ditte presenti nel cantiere ed i rapporti con quella committente e tale situazione di incertezza rende la motivazione della sentenza del tutto carente.

E' vero, infatti, che nel caso di contratto di appalto non può essere posta in dubbio la posizione di garanzia del committente, il quale ha l'obbligo di accertare la "idoneità tecnico professionale" dell'impresa appaltatrice, quello di fornire alla stessa dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui questa è destinata ad operare (sono i rischi derivanti dalla peculiarità dell'ambiente di lavoro, che solo il titolare può conoscere appieno) e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività, nonchè l'ulteriore obbligo di promuovere la "cooperazione" ed il "coordinamento" ai fini dell'attuazione delle misure precauzionali, attraverso l'elaborazione di un unico documento di valutazione dei rischi (da allegare al contratto di appalto e, secondo il nuovo testo del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 26, comma 3, come innovato dal D.Lgs. n. 106 del 2009, art. 16, da adeguare "in funzione dell'evoluzione dei lavori, servizi e forniture") che indichi le misure adottate per eliminare o, ove ciò non è possibile, ridurre al minimo i rischi da interferenze.

La violazione dei suindicati obblighi comportamentali può fondare una (cor)responsabilità (anche) del datore di lavoro/committente per infortuni che abbiano riguardato i lavoratori dipendenti dell'appaltatore, purchè non si verta in ipotesi di "rischi specifici" propri dell'attività dell'appaltatore (cfr. D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 26, comma 3, ultimo periodo).

Va anzi ricordata, a dimostrazione del più impegnativo ruolo di garanzia ormai posto a carico del datore di lavoro/committente, anche la disciplina dettata dal art. 26, comma 4, laddove, dopo essersi richiamata (e mantenuta ferma) la responsabilità solidale del datore di lavoro/committente per il mancato pagamento delle retribuzioni e dei contributi previdenziali e assicurativi, si prevede la responsabilità del datore di lavoro/committente "in solido" con l'appaltatore, per tutti i danni per i quali il lavoratore dipendente dall'appaltatore non risulti indennizzato ad opera dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) o dell'Istituto di previdenza per il settore marittimo (IPSEMA).

Anche in questo caso, ovviamente, la responsabilità solidale non è senza limiti, non operando rispetto ai danni conseguenza dei rischi specifici propri dell'attività dell'impresa appaltatrice (art. 26, comma 4, ultimo periodo).

Si tratta, come si vede, di una normativa molto rigorosa, che dimostra con chiarezza l'intendimento di assicurare al massimo livello un ambiente di lavoro sicuro, con conseguente "estensione" dei soggetti onerati della relativa "posizione di garanzia" nella materia prevenzionale allorquando l'omessa adozione delle misure antinfortunistiche prescritte risulti la conseguenza del rilevato omesso coordinamento.

Deve, pertanto, affermarsi il principio di diritto secondo il quale il committente è corresponsabile qualora l'evento si colleghi casualmente anche alla sua colposa omissione ed in quei casi in cui l'omessa adozione delle misure di prevenzione prescritte sia immediatamente percepibile cosicchè il committente medesimo sia in grado di accorgersi dell'inadeguatezza delle stesse senza particolari indagini; in questa evenienza, ad escludere la responsabilità del committente, non sarebbe sufficiente che questi abbia impartito le direttive da seguire a tale scopo, essendo comunque necessario che ne abbia controllato, con prudente e continua diligenza, la puntuale osservanza (v. Sezione 4, 29 aprile 2008, n. 22622, Barzagli ed altro, non massimata sul punto).

Come emerge dalla lettera della norma (in particolare, il D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 26, comma 2, lett. a), il tema più delicato, rilevante ai fini della decisione, è certamente quello della delimitazione dell'"obbligo di coordinamento" imposto al datore di lavoro/committente.

Su tale tema questa Corte è intervenuta in più occasioni, precisando che la cooperazione - da intendere nel senso che ciascuno deve contribuire attivamente, dall'una e dall'altra parte, a predisporre ed applicare le misure di prevenzione e protezione necessarie - non può interpretarsi come obbligo per il committente di "intervenire in supplenza" dell'appaltatore tutte le volte in cui costui ometta, per qualsiasi ragione, di adottare le misure di prevenzione prescritte a tutela soltanto dei suoi lavoratori, poichè la cooperazione, se così la si intendesse, si risolverebbe in un'inammissibile "ingerenza" del committente nell'attività propria dell'appaltatore al punto di stravolgere completamente la figura dell'appalto.

In particolare, è stato precisato che il dovere di sicurezza, con riguardo ai lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto o di prestazione d'opera, è riferibile, oltre che al datore di lavoro (di regola l'appaltatore, destinatario delle disposizioni antinfortunistiche), anche al committente. Detto principio non può, però, applicarsi automaticamente, non potendo esigersi dal committente un controllo pressante, continuo e capillare sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori. Ne consegue che, ai fini della configurazione della responsabilità del committente, occorre verificare in concreto quale sia stata l'incidenza della sua condotta nell'eziologia dell'evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell'appaltatore o del prestatore d'opera, alla sua ingerenza nell'esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d'opera, nonchè alla agevole ed immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo (v. sul punto, Sezione 4, 18 gennaio 2012, n. 3563, Marangio ed altri, rv. 252672). Tale conclusione è fondata sulla considerazione che il rapporto tra committente e appaltatore va apprezzato tenendo conto dell'indicazione legislativa secondo cui "i datori di lavoro cooperano all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto" (v. l'articolo sopra citato), di guisa che l'obbligo della cooperazione tra committente ed appaltatore è limitato all'attuazione delle misure prevenzionali rivolte ad eliminare i pericoli che, per effetto dell'esecuzione delle opere appaltate, vanno ad incidere sia sui dipendenti dell'appaltante/committente sia su quelli dell'appaltatore.

In altri termini, la cooperazione deve ritenersi doverosa per eliminare o ridurre i "rischi comuni" ai lavoratori delle due parti, mentre, per il resto, ciascun datore di lavoro deve provvedere autonomamente alla tutela dei propri prestatori d'opera subordinati, assumendosene la relativa responsabilità.

Nel caso in esame, come già indicato in premessa, non risultano chiariti i rapporti tra la ditta appaltatrice e quella subappaltatrice, dei quali il ricorso propone una lettura mai affrontata dai giudici di merito (in realtà, neanche nel capo di imputazione, nel quale si fa riferimento al subappalto ma non all'appalto).

La sentenza non affronta neanche il tema della eventuale responsabilità dell'appaltatore, il quale, pur in presenza di subappalto, è anch' egli titolare di una posizione di garanzia, in quanto destinatario delle disposizioni antinfortunistiche, qualora abbia assunto il rischio inerente all'esecuzione dei lavori e la responsabilità d'organizzare il cantiere con propri mezzi e con personale da lui assunto.

Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte (v., tra le altre, Sezione 4, 15 dicembre 2005, n. 5977,Cimenti, rv. 233245, 233246 e, più di recente, tra le altre, Sezione 3, 24 ottobre 2013, n. 50996, Gema, rv. 258299), infatti, in caso di subappalto dei lavori, ove questi si svolgano nello stesso cantiere predisposto dall'appaltatore, in esso inserendosi anche l'attività del subappaltatore per l'esecuzione di un'opera parziale e specialistica, e non venendo meno l'ingerenza dell'appaltatore e la diretta riconducibilità (quanto meno anche) a lui dell'organizzazione del (comune) cantiere (non cessando egli di essere investito dei poteri direttivi generali inerenti alla propria predetta qualità), sussiste la responsabilità di entrambi tali soggetti in relazione agli obblighi antinfortunistici, alla loro osservanza ed alla dovuta sorveglianza al riguardo. Una esclusione di responsabilità dell'appaltatore è configurabile, invece, solo nel caso in cui al subappaltatore sia affidato lo svolgimento di lavori, ancorchè determinati e circoscritti, che, però, svolga in piena ed assoluta autonomia organizzativa e dirigenziale rispetto all'appaltatore, non nel caso in cui la stessa interdipendenza dei lavori svolti dai due soggetti escluda ogni estromissione dell'appaltatore dall'organizzazione del cantiere (la Corte in quella occasione aveva altresì precisato che, nella ricorrenza delle anzidette condizioni, trattandosi di norme di diritto pubblico che non possono essere derogate da determinazioni pattizie, non potrebbero avere rilevanza operativa, per escludere la responsabilità dell'appaltatore, neppure eventuali clausole di trasferimento del rischio e della responsabilità intercorse tra questi e il subappaltatore).

Neanche risulta dalla sentenza se il conducente dell'escavatrice sia stato ritenuto responsabile dell'evento infausto.

Risulta, invece, che la C., nella qualità di committente, aveva proceduto, in conformità alla normativa vigente, alla nomina del coordinatore per l'esecuzione dei lavori, il quale deve assicurare, nel caso della effettuazione dei lavori, il collegamento tra impresa appaltatrice e committente al fine di realizzare la migliore organizzazione ed ha il compito di adeguare il piano di sicurezza in relazione alla evoluzione dei lavori, di vigilanza sul rispetto del piano stesso e di sospendere, in caso di pericolo grave ed imminente, le singole lavorazioni, segnalando al committente o al responsabile dei lavori, le inosservanze alle disposizioni di cui al citato decreto.

Del tutto apodittica risulta l'attribuzione al P. della qualità di preposto, in assenza di indicazione delle circostanze di fatto dalle quali desumere l'assunzione di tale ruolo da parte dell'imputato, diverso da quello indicato nel capo di imputazione.

Tale valutazione non è stata supportata da congrua motivazione e, prima ancora, si pone in evidente violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, come correttamente sostenuto con il primo motivo di ricorso.

Sul punto va ricordato che secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte ( v. da ultimo, Sezione 3, 10 ottobre 2013, n. 43943, Sabatini ed altro) si ha violazione del principio di correlazione tra sentenza ed accusa contestata solo quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi rispetto a quello contestato in rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale, nel senso che si sia realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell'addebito.

La verifica dell'osservanza del principio di correlazione va, invero, condotta in funzione della salvaguardia del diritto di difesa dell'imputato cui il principio stesso è ispirato.

Ne consegue che la sua violazione è ravvisabile soltanto qualora la fattispecie concreta - che realizza l'ipotesi astratta prevista dal legislatore e che è esposta nel capo di imputazione - venga mutata nei suoi elementi essenziali in modo tale da determinare uno stravolgimento dell'originaria contestazione, onde emerga dagli atti che su di essa l'imputato non ha avuto modo di difendersi.

Non sussiste, pertanto, violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza soltanto quando nella contestazione, considerata nella sua interezza, siano contenuti gli stessi elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza, in quanto l'immutazione si verifica solo nel caso in cui tra i due episodi ricorra un rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale per essersi realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell'addebito nei confronti dell'imputato, posto, così, a sorpresa di fronte ad un fatto del tutto nuovo senza aver avuto nessun possibilità d'effettiva difesa.

Si ha, invece, violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, come nel caso in esame, se il fatto contestato sia mutato nei suoi elementi essenziali in modo tanto determinante da comportare un effettivo pregiudizio ai diritti della difesa, trattandosi di una trasformazione sostanziale dei contenuti dell'addebito, tale da impedire di apprestare la difesa in ordine al fatto ritenuto in sentenza.

Non è, invece condivisibile la censura proposta - ma ciò non incide sulle conclusioni di questa Corte - laddove sostiene che la diversa qualificazione del ruolo contrasta con il dettato del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 16, secondo il quale il preposto è un delegato del datore di lavoro, mancando nel caso in esame qualsiasi atto di delega e risultando da certificazione INAIL che il P. non aveva avuto alcun specifico compito in materia di sicurezza del lavoro.

Sul punto va precisato che i poteri e le responsabilità del preposto (oltre che del dirigente) non nascono necessariamente da una delega.

Al contrario, le figure dei garanti sopra indicati hanno una originaria sfera di responsabilità che non ha bisogno di deleghe per essere operante, ma deriva direttamente dall'investitura o dal fatto.

La delega è, invece, qualche cosa di diverso: essa, nei limiti in cui è consentita dalla legge, opera la traslazione dal delegante al delegato di poteri e responsabilità che sono proprie del delegante medesimo (v. da ultimo, Sezioni unite, 24 aprile 2014, n. 38343, Espenhahn ed altri).

In conclusione, la motivazione della sentenza impugnata, laddove non affronta il problema delle ingerenze della ditta committente nelle competenze specifiche di altri, si palesa, all'evidenza, carente, come anche nella parte in cui attribuisce al P. la qualifica di preposto, in contrasto con gli elementi probatori agli atti ed in violazione del principio di correlazione, non risultando che nel corso del giudizio l'imputato abbia avuto la possibilità di difendersi sul punto.

Si impone, pertanto, l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata per nuovo esame, alla luce dei principi di diritto sopra enunciati.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Perugia per nuovo esame.

Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2014.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2014