Cassazione Civile, Sez. Lav., 19 gennaio 2015, n. 777 - Appalto e infortunio sul lavoro: risarcimento del danno biologico


 

 

 

Presidente Roselli – Relatore Manna

Fatto



Con sentenza del 12.5.06 il Tribunale di Torino - per quel che rileva nella presente sede - condannava in solido I.A. e F. , quali soci illimitatamente responsabili della cessata S.n.c. Nuova E., la O. S.n.c. di P.M. e P.A. quale società appaltatrice, nonché la Ed. di C.O. S.a.s., quale subappaltatrice, a pagare in favore di A.A.A.A.S. il risarcimento dei danni patiti da costui per infortunio sul lavoro occorsogli il (…), a seguito del quale aveva riportato un'invalidità dell'85%. Tali danni venivano liquidati in Euro 27.000,00 per danno biologico temporaneo e in Euro 114.204,00 per danno morale.
Il primo giudice negava la liquidazione anche del danno biologico differenziale e di quello esistenziale, danni che - invece - venivano riconosciuti dalla Corte d'appello di Torino con sentenza depositata il 16.6.08, che liquidava il primo in Euro 290.367,00 e il secondo in Euro 300.000,00.
Per la cassazione di quest'ultima sentenza ricorre C.O. , in proprio e in qualità di liquidatore della Ed. di C.O. S.a.s. in liquidazione, affidandosi a due motivi.
A.A.A.A.S. resiste con controricorso.
La S.n.c. Nuova E., la O. S.n.c. di P.M. e P.A. e costoro personalmente, I.A. e F. , la Nuova E. S.n.c, la Aurora Assicurazioni S.p.A. e la Nuova Tirrenia S.p.A., tutti soggetti che hanno partecipato ai gradi di merito, sono rimasti intimati.

Diritto

 

1- Con il primo motivo il ricorso lamenta violazione e/o falsa applicazione dell'art. 13 d.lgs. n. 38/2000 in relazione all'art. 2059 c.c., per avere l'impugnata sentenza ritenuto liquidabile il danno biologico differenziale pur in assenza di condanna penale per l'infortunio patito dal lavoratore e in assenza di prova specifica di danno ulteriore rispetto a quello coperto dall'INAIL.
Il motivo è infondato.
Nell'attuale regime, che all'art. 13 cit. d.lgs. prevede l'estensione della copertura assicurativa obbligatoria gestita dall'INAIL anche al danno biologico, le somme eventualmente erogate dall'istituto non esauriscono il diritto al risarcimento del danno biologico in capo all'assicurato.
Invero, lo stesso art. 13 cit., dopo aver premesso che le disposizioni in esso contenute si pongono nell'ottica della "attesa della definizione di carattere generale di danno biologico e dei criteri per la determinazione del relativo risarcimento", definisce il danno biologico solo "in via sperimentale" e ai soli "fini della tutela dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali".
Tali puntualizzazioni dimostrano che la prospettiva della norma non è quella di fissare in via generale ed omnicomprensiva gli aspetti risarcitoli del danno biologico, ma solo quella di definire i meri aspetti indennitari agli specifici ed unici fini dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali.
Infatti, l'erogazione effettuata dall'INAIL è strutturata in termini di mero indennizzo, indennizzo che, a differenza del risarcimento, è svincolato dalla sussistenza di un illecito (contrattuale od aquiliano) e, di conseguenza, può essere disposto anche a prescindere dall'elemento soggettivo di chi ha realizzato la condotta dannosa e da una sua responsabilità.
Si tenga altresì presente che, anche riguardo al consolidamento degli effetti patrimoniali in capo all'avente diritto, l'indennizzo INAIL si struttura in modo diverso da un risarcimento del danno, dal momento che la rendita cessa con la morte del lavoratore (e non passa nell'asse ereditario), mentre il diritto al risarcimento, una volta consolidatosi, entra a far parte del patrimonio dell'avente diritto e si trasferisce agli eredi (come del resto si era ritenuto in giurisprudenza anche nell'ipotesi di lesioni che avessero determinato la morte del danneggiato solo in un secondo momento).
Sempre a conferma delle notevoli divergenze strutturali tra l'indennizzo erogato dall'INAIL e il risarcimento del danno biologico, si consideri altresì che mentre quest'ultimo trova titolo nell'art. 32 Cost., l'indennizzo INAIL è invece collegato all'art. 38 Cost. e risponde alla funzione sociale di garantire mezzi adeguati alle esigenze di vita del lavoratore.
In breve, la differenza strutturale e funzionale tra l'erogazione INAIL ex art. 13 cit. e il risarcimento del danno biologico preclude di poter ritenere che le somme eventualmente a tale titolo versate dall'istituto assicuratore possano considerarsi integralmente satisfattive del diritto al risarcimento del danno biologico in capo al soggetto infortunato od ammalato, nel senso che esse devono semplicemente detrarsi dal totale del risarcimento spettante al lavoratore.
Ritenere il contrario significherebbe attribuire al cit. art. 13 la finalità non già di apprestare un arricchimento di tutela in favore del lavoratore ma, al contrario, un suo secco situazione anteriore (come formatasi in virtù di giurisprudenza ormai consolidata) e un trattamento deteriore - quanto al danno biologico - del lavoratore danneggiato rispetto al danneggiato non lavoratore.
Ulteriore conferma del fatto che il cit. art. 13 d.lgs. n. 38/2000 non possa integrare una limitazione di tutela del lavoratore danneggiato, ma debba, anzi, costituire il contrario, si evince dalla giurisprudenza della Corte cost. che, fin dalla sentenza n. 87/91, pur dichiarando inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 2, 3 e 74 d.P.R. 30.6.65 n. 1124, in riferimento agli artt. 3, 32 co. 1, 35 co. 1 e 38 co. 2 Cost., sollevata in ragione della mancata indennizzabilità del danno biologico da parte dell'INAIL, ebbe tuttavia a rilevare che: "... indubbiamente, l'esclusione dell'intervento pubblico per la riparazione del danno alla salute patito dal lavoratore in conseguenza di eventi connessi alla propria attività lavorativa non può dirsi in sintonia con la garanzia della salute come diritto fondamentale dell'individuo e interesse della collettività (art. 32 Cost.) e, ad un tempo, con la tutela privilegiata che la Carta costituzionale riconosce al lavoro come valore fondante della nostra forma di Stato (artt. 1, primo comma, 4, 35 e 38 Cost.), nel quadro dei più generali principi di solidarietà (art. 2 Cost.) e di eguaglianza, anche sostanziale (art. 3 Cost.). È vero che il danno biologico, in sé considerato, deve ritenersi risarcibile da parte del datore di lavoro secondo le regole che governano la responsabilità civile di quest'ultimo. Tuttavia, le stesse ragioni, che hanno indotto a giudicare non soddisfacente la tutela ordinaria e ad introdurre un sistema di assicurazione sociale obbligatoria contro il rischio per il lavoratore di infortuni e malattie professionali capaci di incidere sulla sua attitudine al lavoro, inducono a ritenere che anche il rischio della menomazione dell'integrità psico-fisica del lavoratore medesimo, prodottasi nello svolgimento e a causa delle sue mansioni, debba per se stessa, e indipendentemente dalle sue conseguenze ulteriori, godere di una garanzia differenziata e più intensa, che consenta, mediante apposite modalità sostanziali e procedurali, quella effettiva, tempestiva ed automatica riparazione del danno che la disciplina comune non è in grado di apprestare".
In definitiva, anche alla stregua di una doverosa interpretazione costituzionalmente orientata, deve escludersi che le prestazioni eventualmente erogate dall'INAIL esauriscano di per sé e a priori il ristoro del danno patito dal lavoratore infortunato od ammalato (v. altresì, in motivazione, Cass. n. 18469/12).
Obietta parte ricorrente che il risarcimento del danno differenziale è stato accordato pur in assenza di condanna penale per l'infortunio patito dal lavoratore e in assenza di prova specifica di danno ulteriore rispetto a quello coperto dall'INAIL.
Ma a tale riguardo va rilevato che, per costante giurisprudenza, l'esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per i danni occorsi al lavoratore infortunato e la limitazione dell'azione risarcitoria di quest'ultimo al cosiddetto danno differenziale nel caso di esclusione di detto esonero per la presenza di responsabilità di rilievo penale, a norma dell'art. 10 d.P.R. n. 1124 del 1965 e delle inerenti pronunce della Corte cost., riguarda l'ambito della copertura assicurativa, cioè il danno patrimoniale collegato alla riduzione della capacità lavorativa generica.
Invece - in armonia con i principi ricavabili dalle sentenze della Corte cost. n. 356 e 485 del 1991 e con il conseguente orientamento della giurisprudenza ordinaria sui limiti della surroga dell'assicuratore - tale esonero non riguarda il danno alla salute o biologico e il danno morale di cui all'art. 2059 c.c., entrambi di natura non patrimoniale, al cui integrale risarcimento il lavoratore ha diritto ove sussistano i presupposti della relativa responsabilità del datore di lavoro (cfr., ex aliis, Cass. n. 8182/2001 e successive conformi).
2- Con il secondo motivo il ricorso denuncia violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2059 c.c., nella parte in cui la Corte territoriale ha liquidato il danno esistenziale a prescindere da allegazioni e prova a riguardo, ritenendolo in re ipsa.
Il motivo non è conferente perché, in realtà, l'impugnata sentenza non ha ritenuto il danno in re ipsa, ma in sostanza lo ha desunto ex art. 115 cpv. c.p.c. da massime di comune esperienza, considerata la giovane età dell'odierno controricorrente (che aveva appena 25 anni al momento dell'infortunio per cui è causa, che lo ha ridotto su una sedia a rotelle) e la gravità delle conseguenze del non poter più avere capacità di procreazione e di vita sessuale, di fare sport e/o altre analoghe attività e, in sintesi, di avere una normale vita di relazione così come gli altri suoi coetanei.
È appena il caso di ricordare che l'uso di massime di comune esperienza a fini di riconoscimento del danno non patrimoniale è perfettamente conforme all'insegnamento di Cass. S.U. n. 26972/08.
È pur vero che il danno esistenziale non è un'autonoma posta di danno, ma solo un criterio di liquidazione della più generale posta di danno non patrimoniale risarcibile ex art. 2059 c.c., ma il sostanziale tenore della motivazione della sentenza impugnata dimostra che in tal senso l'ha inteso considerare la Corte di merito.
3- In conclusione, il ricorso è da rigettarsi.
Le spese del giudizio di legittimità dovute al controricorrente, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. Non è dovuta pronuncia sulle spese nei confronti dei soggetti rimasti intimati.

P.Q.M.



La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 100,00 per esborsi e in Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge.