Categoria: Cassazione penale
Visite: 13560

Cassazione Penale, Sez. 4, 05 giugno 2013, n. 24764 - Lavori nella cava e responsabilità di un preposto


 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SIRENA Pietro Antonio - Presidente -
Dott. ROMIS Vincenzo - rel. Consigliere -
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Consigliere -
Dott. ESPOSITO Lucia - Consigliere -
Dott. MONTAGNI Andrea - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da:
B.G. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 2980/2011 CORTE APPELLO di GENOVA, del 19/07/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/04/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO ROMIS;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Vincenzo Geraci, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito, per la parte civile, l'Avv. Persiani Francesco, che ha depositato nota spese, chiedendo il rigetto del ricorso;
Udito il difensore Avv. MARGARA ROBERTO che ha concluso riportandosi ai motivi di ricorso, chiedendone l'accoglimento.


Fatto

Con sentenza in data 19/11/2010 il Tribunale di Massa - Sezione distaccata di Carrara - affermava la penale responsabilità di M.D. e B.G. in ordine alla seguente imputazione: reato di cui agli artt. 113 e 590 terzo e ultimo comma e. p., in relazione al D.P.R. n. 128 del 1959, art. 160, D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 21, comma 1, lett. C), e art. 22, comma 2, lett. A), D.P.R. n. 547 del 1955, art. 8, e D.Lgs. n. 624 del 1996, art. 39, perchè, in qualità il M. di datore di lavoro e B. di sorvegliante di cava, in cooperazione tra loro, cagionavano a P.S. lo schiacciamento della gamba sinistra dal quale derivava l'amputazione di tale arto; in particolare presso l'ingresso sotterraneo della cava (OMISSIS), consentivano alla persona offesa di assistere alle operazioni di movimentazione di blocchi di marmo cosicchè una scaglia di marmo cadeva sulla persona offesa schiacciandole la gamba sinistra; colpa consistita In negligenza, imperizia, imprudenza e nell'inosservanza delle sopra indicate norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, per non aver adibito due lavoratori alle predette operazioni; non avere informato la persona offesa dei rischi specifici cui era esposta; non avere segnalato alla persona offesa la zona di pericolo. In (OMISSIS).

In fatto, osservava il primo giudice che il giorno (OMISSIS), P.S. era stato assunto dalla F. s.r.l. (di cui il M. era amministratore unico, mentre il B. rivestiva il ruolo di sorvegliante-capo cava), come operaio generico di cava (giusta la deposizione della persona offesa e del perito D.). Alla luce della deposizione del teste C. doveva poi ritenersi che la vittima era stata invitata ad acquistare dimestichezza con la ruspa, dato che successivamente avrebbe dovuto prendere il posto dello stesso C., gruista in forza alla società, prossimo alla cessazione da tale incarico, e proprio il precedente sabato mattina, in effetti, la persona offesa aveva condotto in prova tale mezzo. Il lunedì successivo, sempre a detta del C., il P. (su disposizione del B., a detta della persona offesa medesima) si era recato, insieme ai C. stesso, in cantiere, per assistere all'operazione di "sfornamento", vale a dire di rimozione di un blocco di marmo del fronte superiore di avanzamento, oggetto di taglio nei giorni precedenti. Il C., sempre secondo la sua deposizione, a bordo della pala meccanica, aveva iniziato la predetta operazione di "sfornamento", indicando al P. (a terra) un punto di sicurezza, ove collocarsi, per osservare l'attività del mezzo da lui condotto. Peraltro, aveva aggiunto il gruista, mentre si trovava a circa 10 metri dalla "bancata" (dopo aver estratto il blocco di marmo per circa 20 cm.), al fine di effettuare lo scambio tra "le forche" e la "benna" della pala meccanica, aveva notato la persona offesa che si stava avvicinando troppo alla bancata, nell'atto di raccogliere i cunei caduti da sotto il blocco (destinati a facilitarne l'estrazione dalla parete rocciosa che lo circondava), al momento della parziale estrazione dello stesso. Aveva riferito ulteriormente il C. che, accortosi di tale imprudente comportamento del P., aveva incominciato a suonare il clacson della pala, che peraltro non era stato percepito dall'altro, presumibilmente per il rumore del motore del mezzo meccanico, e successivamente aveva sentito un tonfo ed aveva visto per terra il P. (colpito da una grossa scaglia di marmo caduta da dietro il masso da una altezza di circa 3 metri, che aveva causato lo schiacciamento della gamba sinistra dell'uomo, con necessaria successiva amputazione chirurgica di parte dell'arto stesso). Così descritti i fatti all'origine del sinistro, riteneva il Tribunale la penale responsabilità di entrambi gli imputati, sulla base innanzitutto del disposto del D.P.R. n. 128 del 1959, art. 160, affermante il divieto di impiegare in lavori sotterranei operai in prima assunzione o non pratici del cantiere, se non in compagnia di altra persona esperta, fino al raggiungimento di sufficiente pratica da parte del neo assunto. Ancora, il primo giudice richiamava il disposto del D.P.R. n. 626 del 1994, artt. 21 e 22, relativamente alle informazioni da fornire, da parte del datore di lavoro, ai lavoratori, in ordine a rischi e sicurezza del lavoro, ed all'obbligo, riguardante sempre il datore di lavoro, ma anche dirigenti e preposti, di fornire sufficiente ed adeguata formazione in materia di sicurezza e salute, a ciascun lavoratore: il giudicante precisava che dall'istruttoria dibattimentale era emerso che il P. (di anni 30), aveva dichiarato che, prima di essere assunto dalla F., aveva lavorato solo saltuariamente in una cava a cielo aperto, utilizzando una pala meccanica, di non essere assolutamente a conoscenza del lavoro in galleria per cui non aveva ricevuto alcuna specifica istruzione, ma solo la generica raccomandazione: "stai attento, sii prudente, fai attenzione", e che il giorno del sinistro doveva seguire l'operazione di sbancamento e recuperare, se possibile, i cunei di ferro. Riteneva il Tribunale la veridicità delle dichiarazioni della persona offesa, in quanto non contraddittorie (il teste aveva invero precisato di nulla ricordare al momento dell'incidente) e suffragate da quanto rilevato dal perito (che aveva accertato, tramite la A.S.L., l'assenza, nel cantiere in questione, dei necessari corsi di formazione e approfondimento all'atto dell'assunzione di nuovi lavoratori, indipendentemente dalla loro precedente formazione). Riteneva quindi il primo giudice che l'affermazione di penale responsabilità di entrambi gli imputati derivasse dalla circostanza che il P. era stato inviato, un solo giorno dopo la sua assunzione, senza alcuna preventiva formazione ed informazione, in un cantiere, sito in galleria, ove in precedenza non era mai stato, per assistere all'estrazione di un blocco di marmo, senza essere in compagnia di una persona esperta.

Quanto alla presenza del C., il perito D. aveva affermato che la stessa non era certo sufficiente, in quanto il palista era impegnato nella manovra con la macchina operatrice, talchè di fatto la vittima era rimasta senza sorveglianza. In ordine alla responsabilità del B., il Tribunale la faceva discendere dal fatto che destinatari delle prescrizioni antinfortunistiche in argomento vi sarebbe anche il "preposti", mentre le disposizioni relative alle "escavazioni sotterranee" richiamavano anch'esse la figura del sorvegliante. Quanto al trattamento sanzionatorio, veniva inflitta a ciascun imputato la pena della multa di Euro 1.000,00.

Relativamente infine alle statuizioni civili, gli imputati ed il responsabile civile (citato in manleva dalla Difesa dei primi) società F., venivano condannati, in solido tra loro, al risarcimento del danni (da liquidarsi in separata sede) a favore della parte civile costituita, cui veniva riconosciuta una provvisionale immediatamente esecutiva di Euro 150.000,00.

A seguito di rituale gravame degli imputati,la Corte d'Appello di Genova confermava l'impugnata decisione e, in risposta alle deduzioni difensive, e per la parte che in questa sede rileva, con specifico riferimento alla posizione del B., dava conto del proprio convincimento richiamando integralmente le argomentazioni svolte dal primo giudice, in quanto ritenute pienamente condivisibili, e precisava ulteriormente quanto segue: a) come dichiarato dal teste BU.Ar. (ritenuto particolarmente affidabile, in quanto citato dalla difesa M.), il P. aveva si lavorato in precedenza quale palista in una cava, ma a cielo aperto, limitandosi a radunare e caricare su un camion i detriti di marmo residui delle lavorazioni, ed escludendo assolutamente, su domanda del difensore della parte civile, che la parte civile avesse mai effettuato operazioni di escavazione nel cantiere in questione, aggiungendo icasticamente: "Con l'estrazione del blocco non c'ha niente a che fare"; lo stesso perito D. aveva testualmente affermato: "Ma il P. era esperto in quanto lavorava in una cava a cielo aperto su detrito, non era esperto in quanto lavorava già precedentemente come palista all'interno di un cantiere in sotterraneo e a sfornare blocchi, sono due tipologie di esperienze diverse, perchè le posso dire avvocato che la pala la so guidare anch'io, ma non sono mica un palista da tirare fuori un blocco a sfornare un blocco, sono due cose diverse", aggiungendo ancora "C'è scritto nel 160: è vietato impiegare in lavori sotterranei operai di prima assunzione e non pratici del cantiere; il P. sicuramente non era pratico del cantiere, era il primo giorno che ci andava"; b) quanto all'obbligazione gravante sul B., lo stesso perito D. aveva dichiarato che "il neo assunto dev'essere affiancato da persona esperta e l'affiancamento deve rimanere finchè il neo assunto non assume l'esperienza da poter svolgere il proprio ruolo da solo, lo dice il 160, non lo dico io" ed aveva ancora aggiunto che, sulla base della documentazione da lui esaminata, in assenza del titolare della ditta operante nella cava, M., quantomeno quel giorno il cantiere era "gestito" dal B., precisando che se quella mattina la vittima fosse stata affiancata da un operaio esperto, ciò avrebbe consentito di evitare il sinistro e sottolineando poi ulteriormente che se il P. fosse stato un operaio esperto non si sarebbe avvicinato alla bancata, "perchè non ci si avvicina ad un fronte che è oggetto di estrazione"; c) la responsabilità del B. (in linea con l'imputazione di cui alla rubrica, e dovendo correggersi quindi sul punto la motivazione dell'impugnata sentenza quanto ai richiami normativi nella stessa contenuti) era ricollegabile alla circostanza che l'imputato, su cui, quel giorno, nella cava, gravava, pacificamente, la responsabilità di sovrintendere alla lavorazioni di "sfornamento" del masso di marmo, non aveva destinato almeno un soggetto esperto, non impegnato altrimenti (come il C., impiegato in prima persona nella manovra suddetta) ad impedire che, data l'acclarata inesperienza del P., quest'ultimo potesse tenere appunto il comportamento indubbiamente imprudente che lo contraddistinse nell'occasione; se infatti nessuno dei testi escussi aveva confermato quanto dichiarato al dibattimento dal P. - e cioè che gli sarebbe stato espressamente ordinato dal B. di recuperare i cunei caduti da sotto al masso - era tuttavia vero che nessuno dei soggetti all'uopo espressamente interrogati aveva dichiarato che era stato ingiunto al P. di non tenere tale specifico comportamento; d) anche ammesso che il P., di sua iniziativa, potesse essersi mosso per recuperare i cunei, la circostanza che il capo cava (all'uopo specificamente deputato) lo avesse fatto assistere al lavoro di "sfornamento", raccomandandogli semplicemente di non muoversi, non valeva ad escludere la di lui responsabilità a titolo di cooperazione colposa nel sinistro, non avendo affiancato, al neo assunto, altro soggetto idoneo che ne prevenisse eventuali comportamenti imprudenti (da esso spettatore inesperto non potuti ravvisare come tali); e) appariva equa la non differenziazione sanzionatoria dei due imputati, attesa la concreta diretta incidenza del B. sul sinistro; e) relativamente alle questioni civili, non si riteneva ravvisabile alcun concorso di colpa nel comportamento della persona offesa, ed apparivano condivisibili le conclusioni della relazione medico-legale della parte civile, e la documentazione INAIL prodotta dalla difesa M. dimostrava la congruità (rispetto al totale dovuto) della provvisionale liquidata dal Tribunale.

Ricorre per cassazione il B. deducendo motivi di censura che possono sintetizzarsi come segue -

1^ MOTIVO: Erronea interpretazione della normativa, perchè al B. risultava affiancato un secondo lavoratore, esattamente il C., e quindi in base all'assunto dei giudici di merito sarebbe stata necessaria la presenza di una terza persona, contrariamente a quanto previsto dalla norma di riferimento; i giudici di merito avrebbero in sostanza addebitato al B. l'assenza di un tutor, figura introdotta dal T.U. sulla sicurezza del 2008, non in vigore al momento del fatto; in mancanza della specifica violazione di legge, un addebito a titolo di colpa generica avrebbe richiesto un maggiore approfondimento ed avrebbe comunque comportato il mutamento del titolo di colpa con violazione del diritto di difesa;

2^ MOTIVO - 4^ MOTIVO: con il secondo ed il quarto motivo il ricorrente svolge argomentazioni a sostegno della denuncia di violazione di legge, con specifico riferimento all'asserito mutamento del titolo del reato ed alla prospettata inosservanza degli artt. 521 e 522 c.p.p., laddove la Corte territoriale ha individuato la posizione di garanzia del B. nella figura del "preposto" prevista invece dalla L. n. 626 del 1994, art. 90, - norma non presente nel capo di imputazione ed introdotta dai giudici di secondo grado con un'operazione di asserita correzione del capo di imputazione - figura priva di definizione prima del T.U. sulla sicurezza del 2008;

3^ MOTIVO: asserita idoneità delle raccomandazioni di attenzione e prudenza rivolte dal B. al P. con invito a non muoversi; la situazione di contingente pericolo avrebbe dovuto essere percepita dal lavoratore C. al quale incombeva l'onere, secondo la prospettazione del ricorrente, di verificare che la normativa antinfortunistica venisse attuata;

5^ MOTIVO: omessa valutazione delle precisazioni del perito secondo cui non vi sarebbero stati motivi per interdire la zona di lavoro in cui era presente il P.;

6^ MOTIVO: erroneamente sarebbe stato condannato il B. a titolo di cooperazione colposa, non potendo ravvisarsi alcun legame psicologico tra le condotte del M. e del B. il quale non aveva alcuna consapevolezza dell'altrui condotta delittuosa;

7^ MOTIVO: erronea valutazione delle acquisizioni probatorie e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta esclusione di qualsiasi concorso di colpa da parte del P., la cui condotta è stata peraltro definita dagli stessi giudici "imprudente".

 

Diritto


Il ricorso deve essere rigettato per le ragioni di seguito indicate.

Quanto alla prima doglianza, il ricorrente ha insistentemente posto l'accento sulla presenza sul posto di lavoro, insieme al P., di altro lavoratore esperto, il C., circostanza che avrebbe comportato il rispetto della D.P.R. 9 aprile 1959, n. 128, art. 160, (comma 2), in forza del quale "è vietato impiegare in lavori sotterranei operai di prima assunzione o non pratici del cantiere se non in compagnia di altra persona esperta e ciò fino a quando non abbiano acquisito sufficiente pratica". L'assunto difensivo non può essere condiviso in relazione alle peculiari condizioni e circostanze in cui si verificò l'infortunio che ne occupa. Vero è che insieme al P. vi era sul posto di lavoro anche un altro operaio, ed "anche esperto", e cioè il C.; ma è altresì vero che quest'ultimo era impegnato alla guida del mezzo meccanico, intento alla materiale operazione di "sfornamento" del masso di marmo, e quindi non in grado di assistere il P. da vicino onde poterne controllare azioni e movimenti ed essere in grado di fronteggiare qualsiasi pericolo per quest'ultimo. Lo scopo preventivo della disposizione di legge in esame - la cui "ratio" è all'evidenza quella di assicurare in concreto assistenza e condizioni di sicurezza al lavoratore inesperto e di prima assunzione - non poteva ritenersi quindi adeguatamente soddisfatto: prova ne sia che, accortosi del pericolo che stava concretizzandosi per il P., il C. non fu in grado di intervenire tempestivamente nè riuscì ad allertare il P. con il clacson del motomezzo da lui manovrato perchè i rumori dell'ambiente non consentirono al P. di percepire quel suono: ed è significativo che il perito si sia espresso proprio in tal senso. In ogni caso sarebbero ravvisabili a carico del B. per il ruolo da lui ricoperto (sorvegliante di cava) - profili di colpa generica - contestata con il capo di imputazione con lo specifico riferimento a negligenza, imperizia, imprudenza - per le evidenti contingenti condizioni di pericolo per il P., vale a dire il secondo lavoratore impegnato in un'attività lavorativa che non consentiva di assicurare al lavoratore P. stesso un'adeguata assistenza. Nè può trovare condivisione la tesi del ricorrente secondo cui un addebito a titolo di colpa generica avrebbe richiesto un maggiore approfondimento ed avrebbe comunque comportato il mutamento del titolo di colpa con violazione del diritto di difesa. Come detto, con il capo di imputazione erano stati addebitati al B. anche profili di colpa generica; orbene, è sufficiente evocare il consolidato orientamento affermatosi nella giurisprudenza di questa Corte che risulta efficacemente compendiato e sintetizzato nel seguente principio così enunciato: "Nei procedimenti per reati colposi, quando nel capo d'imputazione siano stati contestati elementi generici e specifici di colpa, la sostituzione o l'aggiunta di un profilo di colpa, sia pure specifico, rispetto ai profili originariamente contestati non vale a realizzare una diversità o mutazione del fatto, con sostanziale ampliamento o modifica della contestazione. Difatti, il riferimento alla colpa generica evidenzia che la contestazione riguarda la condotta dell'imputato globalmente considerata in riferimento all'evento verificatosi, sicchè questi è posto in grado di difendersi relativamente a tutti gli aspetti del comportamento tenuto in occasione di tale evento, di cui è chiamato a rispondere" (in termini, Sez. 4, n. 38818 del 04/05/2005 Ud. - dep. 21/10/2005 - Rv. 232427). Del pari inconferente è il richiamo del ricorrente alla sentenza CEDU Drassich contro Italia: la situazione oggetto di detta pronuncia - quanto alla correlazione tra imputazione e sentenza - era del tutto diversa posto che vi era stata condanna per un reato, la corruzione in atti giudiziari, che non risultava menzionato nel rinvio a giudizio dell'imputato ed a questi non era stato comunicato in nessuna fase del procedimento. Ma vi è di più. E' emersa palese dall'istruzione dibattimentale - come evidenziato dalla Corte territoriale - la mancanza di qualsiasi formazione ed adeguata informazione nei confronti del P. circa le modalità del lavoro al quale era stato chiamato a partecipare ed i rischi connessi: violazione ancor più grave - ed eziologicamente legata all'infortunio in maniera rilevante - ove si consideri che il P. era stato assunto appena il giorno prima dell'infortunio e non aveva mai lavorato in una cava sotterranea. Non può certo ritenersi esaustivo l'invito generico rivolto dal B. al P. a "stare attento" e "non muoversi", in mancanza di una previa adeguata e puntuale informazione sui rischi in concreti collegati a quella specifica attività lavorativa.

Le censure di cui al secondo e quarto motivo di ricorso riguardano la posizione di garanzia del B., negata da quest'ultimo muovendo dal rilievo che non potrebbero ravvisarsi in relazione al ruolo da lui ricoperto i requisiti ed i presupposti richiesti per assumere la figura del "preposto", prevista dalla L. n. 626 del 1994, art. 90, norma non presente nel capo di imputazione ed introdotta dai giudici di secondo grado con un'operazione di asserita correzione del capo di imputazione che avrebbe invece comportato la modifica del capo di imputazione con conseguente violazione degli artt. 521 e 522 c.p.p.. La tesi difensiva non può trovare accoglimento. E' dato incontrovertibile che il B. svolgeva il ruolo di "sorvegliante di cava" e che fu lui, il giorno dell'infortunio, a dare le disposizioni di lavoro al P. raccomandandogli anche di "stare attento". Orbene, è jus receptum nella giurisprudenza di questa Corte che "in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il conferimento della qualifica di preposto deve essere attribuita, più che in base a formali qualificazioni giuridiche, con riferimento alle mansioni effettivamente svolte nell'impresa. Ne consegue che chiunque abbia assunto, in qualsiasi modo, posizione di preminenza rispetto agli altri lavoratori, così da poter loro impartire ordini, istruzioni o direttive sul lavoro da eseguire, deve essere considerato, per ciò stesso, tenuto a norma del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 4, all'osservanza ed all'attuazione delle prescritte misure di sicurezza ed al controllo del loro rispetto da parte dei singoli lavoratori" (in termini, "ex plurimis", Sez. 3, n. 11406 del 06/07/1999 Ud. (dep. 07/10/1999) Rv. 215065); ed è stato ulteriormente precisato che "in tema di infortuni sul lavoro, l'esatta individuazione del preposto, più che attraverso la formale qualificazione giuridica, va fatta con riferimento alle mansioni effettivamente svolte nell'ambito dell'impresa" (Sez. 4, n. 16409 del 26/10/1990 Ud. (dep. 13/12/1990) Rv. 186001). Non vi è chi non veda poi che il ruolo di "sorvegliante di cava" ben può essere equiparato - avuto riguardo alle funzioni in concreto svolte dal B. - al "capo cantiere"; di tal che, anche sotto tale aspetto appare evidente la funzione di garanzia assunta dal B. alla luce del principio secondo cui "in tema di prevenzione degli infortuni, il capo cantiere, la cui posizione è assimilabile a quella dei preposto, assume la qualità di garante dell'obbligo di assicurare la sicurezza del lavoro, in quanto sovraintende alle attività, impartisce istruzioni, dirige gli operai, attua le direttive ricevute e ne controlla l'esecuzione sicchè egli risponde delle lesioni occorse ai dipendenti. (Fattispecie nella quale è stata ritenuta la responsabilità del capo-cantiere in ordine al reato di omicidio colposo per non aver impedito l'uso di un escavatore ribaltatosi per l'elevata pendenza dei luoghi)" Sez. 4, n. 9491 del 10/01/2013 Ud. (dep. 27/02/2013) Rv. 254403.

Continuando il vaglio delle doglianze racchiuse complessivamente nel secondo e quarto motivo di ricorso, va rilevata la insussistenza della denunciata violazione degli artt. 521 e 522 c. p. p., laddove i giudici del merito hanno riconosciuto al B. il ruolo di "preposto". La decisione impugnata ha fatto corretto impiego del reiterato insegnamento di questa Corte, anche a Sezioni Unite (Sent. N. 16, Di Francesco, del 22.10.1996),e quindi sempre ripetuto dalla giurisprudenza successiva in tema di difetto di correlazione, circa la differenza tra fatto ritenuto in sentenza e contestazione, e di valutazione della reale sussistenza di lesione del diritto di difesa;

basti al riguardo citare, tra le tante, Sez. 3, n. 35225 del 28/06/2007 Ud. (dep. 21/09/2007) Rv. 237517 (Imputato: Dimartino) secondo cui "il principio di correlazione tra imputazione e sentenza risulta violato quando nei fatti, rispettivamente descritti e ritenuti, non sia possibile individuare un nucleo comune, con la conseguenza che essi si pongono, tra loro, non in rapporto di continenza, ma di eterogeneità. (Fattispecie in cui l'imputato, citato a giudizio per avere ammesso al lavoro un minore di anni quindici, era stato ritenuto responsabile, in assenza di modifica dell'imputazione, del reato di assunzione di adolescente di età superiore ai quindici anni, ma inferiore ai diciotto, che non aveva adempiuto all'obbligo scolastico)"; nello stesso senso si pone Sez. 5, n. 7583 del 11/06/1999 (Ud. 06/05/1999 n. 01019) Rv. 213645 (Imputato: Grossi L ed altri), che così si è espressa: "la mancata correlazione tra contestazione e fatto ritenuto in sentenza si verifica solo quando si manifesti radicale difformità tra i due dati, in modo che possa derivarne assoluta incertezza sull'oggetto della imputazione, con conseguente pregiudizio dei diritti della difesa. Pertanto, l'indagine volta ad accertare la eventuale sussistenza di tale violazione non può esaurirsi in un'analisi comparativa, meramente letterale, tra imputazione e sentenza, dal momento che il contrasto non sarebbe ravvisabile se l'imputato, attraverso l'iter del processo, fosse comunque venuto in concreto a trovarsi in condizione di difendersi in ordine all'oggetto della contestazione". Va osservato che, nel caso di specie, l'imputato è venuto a trovarsi nella condizione di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione. Di tal che, non può certo argomentarsi che il principio di correlazione tra reato contestato e fatto ritenuto in sentenza risulti violato giacchè non è a discutersi di assoluta incompatibilità tra due dati, tale che la pronuncia dei giudice di merito debba ritenersi relativa ad un fatto del tutto nuovo rispetto alla ipotesi di accusa.

Le doglianze esposte nel terzo e quinto motivo - quali sopra riportate nella parte narrativa e da intendersi qui richiamate - attengono ancora alla posizione di garanzia del B., alle raccomandazioni di attenzione rivolte da questi al P. ed alla presenza sul posto di lavoro, insieme, a quest'ultimo, di un secondo lavoratore (il C.); tali censure trovano dunque risposta nelle argomentazioni già in precedenza svolte nell'esaminare i motivi concernenti globalmente l'affermazione di colpevolezza del B.: argomentazioni alle quali si rimanda onde evitare superflue ripetizioni.

Privo di fondamento è l'assunto difensivo di cui al sesto motivo di ricorso secondo cui erroneamente sarebbe stato condannato il B. a titolo di cooperazione colposa, muovendo dall'asserito rilievo che non potrebbe ravvisarsi alcun legame psicologico tra le condotte del M. e del B. il quale non avrebbe avuto alcuna consapevolezza dell'altrui condotta delittuosa. Ed invero, essendo stato comunque accertato il comportamento colposo del B. - e correttamente ritenuto sussistente il nesso eziologico tra tale condotta e l'evento - è sufficiente in proposito evocare il seguente principio condivisibilmente enunciato da questa Corte: "non costituisce violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza la condanna a titolo monosoggettivo per delitto colposo, a fronte dell'imputazione a titolo di cooperazione colposa, purchè venga comunque riconosciuta la rilevanza causale della condotta colposa dell'imputato, come delineata nell'imputazione" (Sez. 4, n. 14505 del 14/01/2010 Ud. (dep. 15/04/2010) Rv. 247125. In ogni caso, quanto ai presupposti per la configurabilità della cooperazione colposa (quale contestata al B. con la formulazione del capo di imputazione) questa Corte ha avuto modo di precisare che "ai fini del riconoscimento della cooperazione nel reato colposo non è necessaria la consapevolezza della natura colposa dell'altrui condotta, nè la conoscenza dell'identità delle persone che cooperano, ma è sufficiente la coscienza dell'altrui partecipazione nello stesso reato, intesa come consapevolezza da parte dell'agente che dello svolgimento di una determinata attività (nella specie in una struttura sanitaria) anche altri sono investiti" (Sez. 4, n. 6215 del 10/12/2009 Ud. (dep. 16/02/2010) Rv. 246420): il B. era certamente consapevole della posizione di garanzia assunta ovviamente anche dal M.D. quale datore di lavoro.

Il ricorrente si duole infine (settimo motivo di ricorso) della ritenuta esclusione di qualsiasi concorso di colpa da parte del P. nonostante la condotta di questi sia stata definita dai giudici di merito "imprudente". Anche tale doglianza è priva di giuridico fondamento. E' sufficiente invero ricordare il consolidato orientamento affermatosi nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui il destinatario delle norme antinfortunistiche è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme (Sez. 4, n. 40164 del 03/06/2004 Ud. - dep. 13/10/2004 - Rv. 229564, imp. Giustiniani); dovendosi considerare "abnorme" il comportamento che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all'applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro (Sez. 4, n. 2614 del 26/10/2006 Ud. (dep. 25/01/2007); orbene, nel caso di specie non può certo definirsi abnorme il comportamento del P., giacchè deve definirsi imprudente il comportamento del lavoratore che sia stato posto in essere da quest'ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - oppure rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzagli e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (in tal senso, "ex plurimis", Sez. 4, n. 25532 del 23/05/2007 Ud. (dep. 04/07/2007) Rv. 236991; la Corte distrettuale ha, con congruità, motivato nel senso che la condotta tenuta dal P. in occasione del sinistro non era affatto eccentrica nè disfunzionale rispetto alla normale attività lavorativa. Se è vero, infine, che destinatari delle norme di prevenzione, contro gli infortuni sul lavoro, sono non solo i datori di lavoro, i dirigenti e i preposti, ma anche gli stessi operai, giova ricordare, tuttavia, che l'inosservanza di dette norme da parte dei datori di lavoro, dei dirigenti e dei preposti ha valore assorbente rispetto al comportamento dell'operaio, la cui condotta può assumere rilevanza ai fini penalistici solo dopo che da parte dei soggetti obbligati siano adempiute le prescrizioni di loro competenza (cfr. Sez. 4, n. 10121 del 23/01/2007 Ud. - dep. 09/03/2007 - Rv. 236109 imp.: Masi e altro).

Conclusivamente, per tutto quanto precede, il ricorso proposto nell'interesse del B. - globalmente considerato - deve essere rigettato, con la conseguente condanna dello stesso al pagamento delle spese processuali; il ricorrente deve essere altresì condannato a rimborsare alla parte civile P.S. le spese sostenute per questo giudizio che si liquidano in complessivi Euro 2.500,00 oltre I.V.A. e C.P.A..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, P.S., liquidate in complessivi Euro 2.500,00 oltre I.V.A. e C.P.A..

Così deciso in Roma, il 17 aprile 2013.

Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2013