Cassazione Penale, Sez. 4, 08 aprile 2015, n. 14167 - Valutazione del rischio di scivolamento dell'agente di scorta dal posto di guida del mezzo di lavoro alzabinari


 

 

Presidente: ROMIS VINCENZO Relatore: DOVERE SALVATORE Data Udienza: 12/03/2015

Fatto


1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Milano ha parzialmente riformato quella emessa dal Tribunale della medesima città con la quale M.M. era stato riconosciuto responsabile dell'infortunio occorso ad A.G., lavoratore dipendente della società per azioni Rete Ferroviaria Italiana RFI, della quale il M.M. era all'epoca del sinistro direttore di sede con delega di legale rappresentate.
La Corte di appello, infatti, ha riconosciuto all'imputato le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante e per l'effetto ha rideterminato la pena inflitta dal primo giudice, pervenendo a quella di mesi due di reclusione, che ha sostituito con euro 2.280 di multa, disponendo altresì la revoca della sospensione condizionale della pena e concedendo il beneficio della non menzione.
2. Secondo la ricostruzione operata nei gradi di merito il 17 ottobre 2008 l'A.G. stava svolgendo i compiti di agente di scorta del mezzo denominato "alzabinari" in proprietà della ditta V., impegnata presso la stazione ferroviaria Rogoredo in operazioni di manutenzione della linea ferroviaria che le erano state appaltate, quando salito sulla pedana di guida del predetto mezzo, ove trovavasi anche il conduttore, scivolava dalla medesima e rimaneva con il piede destro incastrato tra il ruotino ed il binario, riportando lesioni personali che giungevano a determinare l'amputazione di quattro dita del piede.
La Corte di appello ha ascritto al M.M., in qualità di datore di lavoro dell'A.G., di aver omesso di valutare il rischio di scivolamento dell'agente di scorta dal posto di guida del mezzo di lavoro alzabinari, avendo accertato l'esistenza di una prassi operativa secondo la quale l'addetto alla scorta era uso salire sul mezzo scortato, il quale ancorché omologato, presentava una pedana priva di tavola fermapiedi e di parapetti.
3. Avverso tale decisione ricorre per cassazione l'imputato a mezzo del difensore di fiducia, avv. Omissis.
3.1. Con un primo motivo deduce violazione di legge in relazione agli artt. 17 d.lgs. n. 81 del 2008 e 41, comma 1, 590 cod. pen., nonché vizio motivazionale.
Rileva il ricorrente che la Corte d'appello ha erroneamente interpretato il menzionato articolo 17, ritenendo che la valutazione dei rischi dovesse comprendere anche il rischio di scivolamento dell'agente di scorta dal mezzo alzabinari; in tal modo viene attribuito all'articolo 28, comma 2, lett. a) del d.lgs. n. 81/2008 un contenuto tale da imporre una "esasperata disamina della casistica delle molteplici situazioni in cui possa svolgersi attività lavorativa", laddove la normativa impone la completezza di analisi in relazione alla tipologia dei rischi durante l'attività lavorativa e non fa riferimento alle singole modalità con cui può essere svolta l'attività da ogni singolo lavoratore in ogni particolare intervento. Tenuto conto di tali premesse in diritto l'esponente rimarca come il documento di valutazione dei rischi redatto fosse del tutto in linea con le previsioni normative contenendo le misure prevenzionali necessarie nel caso di specie, le quali risultavano nient'affatto generiche (si fa riferimento al riguardo alla "Istruzione per la circolazione dei carrelli", parte integrante della DVR e alla scheda "Lavorazione: scorte e condotte"), diversamente da quanto ritenuto alla Corte di appello. Conclude l'esponente che il rischio di scivolamento risulta non solo previsto ed oggetto di valutazione ma anche gestito ed affrontato con misure di natura comportamentale che nella loro concreta descrizione sono di immediata percepibilità ed attuazione nella varietà di situazioni che possono verificarsi in sede ferroviaria. Né potrebbe attribuirsi all'articolo 17 un significato incompatibile con la funzione programmatica e di indirizzo del documento di valutazione dei rischi, che per poter essere assolta deve poter fare riferimento a norme comportamentali valide per più situazioni. Se ne deriva che nel caso di specie manca la violazione della regola di cautela da parte dell'imputato.
3.2. Con un secondo motivo si lamenta che la Corte di appello abbia affermato l'esistenza di una prassi secondo la quale sul mezzo in questione salivano sempre due persone per poi concludere per la conoscibilità ed anzi la conoscenza da parte del M.M. dell'esistenza di una situazione di rischio che avrebbe dovuto essere valutata. Tale affermazione infatti è per l'esponente operata senza che vi sia alcun riscontro processuale del fatto che il M.M. fosse a conoscenza di tale prassi. L'esponente fa riferimento, al proposito, alle dichiarazioni dell'A.G., del C., dell'U. e del LP..
Assume inoltre l'esponente che all'imputato sarebbe possibile rimproverare di essere stato negligente nel giudizio di prevedibilità del rischio - che conseguentemente non è stato valutato - solo ove risultasse affermato che il M.M. era a conoscenza o che potesse sospettare che il mezzo in questione non fosse adeguato, anche in rapporto al particolare utilizzo fattone dall'agente di scorta; che il M.M. dovesse dubitare della omologazione del mezzo e della scelta di tale mezzo operata dal coordinatore per la sicurezza del cantiere.
3.3. Con "motivi nuovi ex art. 611 c.p.p." il ricorrente si duole che la Corte di appello sia pervenuta a conclusioni che attribuiscono a puntuali norme di comportamento, formalmente adottate con il documento di valutazione dei rischi, la valenza di una omessa valutazione dello specifico rischio, senza però indicare quale altro tipo di prescrizione si sarebbe dovuta fornire. Si insiste sul fatto che erano stati imposti divieti specifici diretti ad allontanare il pericolo che l'agente di scorta potesse subire infortuni nell'utilizzo di macchine di lavoro, indebitamente usate quali mezzi di trasporto; si ribadisce a tal proposito la valenza della scheda di elaborazione più volte già evocata. Rileva l'esponente che lamentare, come fa la Corte di appello, la mancata efficacia dell'attività di formazione, il sottolineare una sostanziale accettazione del rischio di scivolamento, fare riferimento all'adozione successiva di un diverso mezzo, sono aspetti che non attengono alla valutazione del rischio ma alla sua gestione. Inoltre, poiché è la stessa Corte di appello a dare conto dell'esistenza di un articolato sistema di ripartizione delle funzioni, si pone il quesito in ordine alla responsabilità di altri soggetti, chiamati a svolgere funzioni di natura operativa e di controllo; e comunque rimane ribadita la insussistente conoscibilità della problematica gestionale da parte dell'imputato. Infine si ribadiscono gli assunti proposti con il secondo motivo di ricorso.

Diritto


4. Il ricorso è fondato, nei termini di seguito precisati.
4.1. Con il primo motivo si assume che la Corte di Appello abbia dato un'errata interpretazione dell'art. 17 d.lgs. n. 81/2008; questione di diritto certamente ammissibile in questa sede, a differenza dell'ulteriore rilievo con il quale si contesta il giudizio reso dalla Corte distrettuale, di insussistenza di una valutazione del rischio per essere quella redatta completa rispetto al paradigma normativo, trattandosi di censura in fatto.
Orbene, va in primo luogo rilevato che risalendo il tempo di commissione del reato al 17.10.2008, non all'art. 17 d.lgs. n. 81/2008 deve eventualmente guardarsi ma all'art. 4 d.lgs. n. 626/1994. Infatti, ai sensi dell'art. 306, co. 2 d.lgs. n. 81/2008, la previsione dell'art. 17, co. 1 lett. a) citato (così come quelle dell'art. 28 e le altre disposizioni in tema di valutazione dei rischi che ad esse rinviano) trova applicazione a far tempo dal 1.1.2009 e sino a tale data continuano a trovare applicazione le disposizioni previgenti, ancorché abrogate dall'articolo 304 d.lgs. n. 81/2008.
Tanto sul piano dei referenti normativi; sul piano sostanziale nel caso in esame ciò non determina alcun significativo effetto, stante la corrispondenza contenutistica delle disposizioni succedutesi (cfr. Sez. 4, n. 42018 del 12/10/2011 - dep. 15/11/2011, Marsiletti, Rv. 251932 per la quale sussiste continuità normativa tra l'art. 4 D.Lgs. n. 626 del 1994 (concernente gli obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto) - ancorché formalmente abrogato dall'art. 304 D.Lgs. n. 81 del 2008 (Testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro) - e la vigente normativa antinfortunistica, considerato che il contenuto delle predette disposizioni risulta recepito dagli artt. 28 e 29 D.Lgs. n. 81 del 2008, in relazione ai rischi aziendali ed alle modalità di effettuazione della relativa valutazione, disposizioni che tutelano penalmente le predette cautele antinfortunistiche].
Orbene, la questione di diritto posta dal ricorrente, che potrebbe riassumersi nell'interrogativo "quale caratteri ha il rischio oggetto di valutazione?", presuppone in realtà la previa identificazione dello specifico oggetto della valutazione alla quale era chiamato nel caso concreto il M.M. nella qualità di legale rappresentante di RFI. Infatti, solo dopo aver dato risposta a questo preliminare quesito é possibile verificare se egli avesse o meno l'obbligo di valutare ciò che, con qualche improprietà, é stato definito Vischio di scivolamento'.
4.2. Sotto tale profilo assume rilievo la circostanza che la Corte di Appello, in ciò distinguendosi dal primo giudice, abbia richiamato le disposizioni del d.lgs. n. 494/1996. Infatti, nell'ambito dei cantieri temporanei o mobili (alla cui disciplina era appunto dedicato il menzionato provvedimento legislativo, esso pure abrogato dall'art. 304 d.lgs. n. 81/2008), la gestione della sicurezza del lavoro é suscettibile di concretizzarsi in più documenti programmatici, la cui adozione non é posta indistintamente in capo a tutti gli attori del processo produttivo; all'inverso, la legislazione distingue i diversi adempimenti ed i relativi obbligati. Inoltre, il quadro é ulteriormente articolato ove i cantieri temporanei o mobili vengano in essere in esecuzione di un cd. appalto endoaziendale, poiché quest'ultimo conosce una peculiare disciplina, che risale all'art. 7 d.lgs. n. 626/94 ed oggi si rinviene nell'art. 26 d.lgs. n. 81/2008. Anche tale disposizione, infatti, prevede la redazione di particolari documenti valutativi.
Pertanto é assolutamente essenziale identificare correttamente la situazione venutasi a determinare, in modo da riferire ad essa la disciplina che le compete.
Una pronuncia di questa Corte ha puntualizzato che sotto la vigenza del d.lgs. n. 626/1994, in caso di contratto d'appalto, d'opera o di somministrazione l'obbligo di elaborare il documento di valutazione dei rischi - denominato come piano di sicurezza e coordinamento - era posto in capo a tutti i datori di lavoro; quindi sia al datore di lavoro committente che ai datori di lavoro delle imprese appaltatrici (giova rammentare che la medesima decisione ha concluso nel senso che, a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 26 d. Lgs. n. 81 del 2008, l'omessa valutazione del rischio interferenziale é divenuto reato proprio del committente e non può pertanto più essere imputata anche al datore di lavoro appaltatore: Sez. 3, n. 2285 del 14/11/2012 - dep. 16/01/2013, Formentini, Rv. 254836; proprio in ragione dell'obbligo gravante sul datore di lavoro committente si é precisato anche che in sede di valutazione del rischio di cui all'art. 26 D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, questi deve tener conto della presenza di ditte o di lavoratori autonomi terzi operanti all'interno dell'ambiente di lavoro in concomitanza dell'espletamento dei lavori affidati in appalto: Sez. 4, n. 5857 del 11/11/2014 -dep. 09/02/2015, Bellinato e altro, Rv. 262246).
Qualora, poi, i lavori da eseguirsi siano costituiti da quei lavori edili o di ingegneria civile che rappresentano il campo di applicazione della disciplina prevenzionistica in tema di cantieri temporanei o mobili, la valutazione del rischio é atto sia dei datori di lavoro delle imprese esecutrici e viene adempiuto da questi attraverso l'accettazione del piano di sicurezza e di coordinamento di cui all'art. 12 e la redazione del piano operativo di sicurezza (art. 9, co. 2 d.lgs. n. 494/1996 ed ora art. 96, co. 2 d.lgs. n. 81/2008); sia del coordinatore per la progettazione, il quale é tenuto a redigere il menzionato piano di sicurezza e di coordinamento (cfr. artt. 4 e 12, comma 1 d.lgs. n. 494/1996 ed ora art. 91, co. 1 lett. a) d.lgs. n. 81/2008). Adempimento sul quale il committente é chiamato solo a svolgere compiti di vigilanza (in tal senso non si condivide quanto affermato da Sez. 4, n. 37738 del 28/05/2013 - dep. 13/09/2013, Gandolla e altri, Rv. 256636, per la quale la nomina del coordinatore per la progettazione o per l'esecuzione dei lavori non esonera il committente ed il responsabile dei lavori da responsabilità per la redazione del piano di sicurezza e del fascicolo per la protezione dai rischi, almeno se si intende l'affermazione come richiedente al committente la diretta esecuzione del compito e non piuttosto, come segnala l'art. 93, co. 2, la verifica dell'adempimento da parte del coordinatore).
Il convivere dei diversi assetti disciplinari, aventi ambiti di applicazione apparentemente di chiara autonomia, pone in realtà questioni di non semplice soluzione. Come si é visto, il committente di lavori edili non elabora un documento di valutazione: di tale compito é gravato il coordinatore per la progettazione. Non così il datore di lavoro-committente, cioè l'imprenditore committente, in caso di appalto ed. interno.
Va quindi ricostruito il quadro giuridico cui fare riferimento in caso di lavori dati in appalto, riconducibili ad una o più categoria tra quelle previste già previste dall'art. 2, co. 1 lett. a) d.lgs. n. 494/1996 ed oggi dall'art. 89 d.lgs. n. 81/2008, da eseguire all'interno dell'azienda del datore di lavoro committente.
Occorre prendere le mosse dalla considerazione che l'art. 7 d.lgs. n. 626/1994 aveva un ambito di applicazione assai vasto, trovando applicazione in tutti i casi di affidamento di lavori all'interno dell'azienda ovvero dell'unità produttiva ad imprese appaltatrici o a lavoratori autonomi. Secondo l'interpretazione prevalente, la norma si applicava a tutti i lavori dati in appalto purché da eseguirsi all'interno dell'azienda.
Il d.lgs. n. 494/1996 diede tuttavia autonomo risalto e specifica disciplina all'appalto di opere edili o di ingegneria civile, cori una regolamentazione i cui rapporti con quella recata dall'art 7 cit. furono definiti dall'art. 1, co. 2 d.lgs. n. 494/1996. Tale disposizione prevedeva l'applicazione delle disposizioni del d.lgs. n. 626/1994 anche nei cantieri temporanei o mobili "fatte salve le disposizioni specifiche contenute nel presente decreto legislativo".
Si può quindi affermare che allorquando un cantiere temporaneo o mobile viene in essere all'interno del processo produttivo di un'impresa, in forza dell'art. 1, co. 2 d.lgs. n. 494/1996 trovano applicazione le norme del d.lgs. n. 626/1994 sempre che l'oggetto non sia regolamentato da disposizioni specifiche recate dal d.lgs. n. 494/1996. Ne deriva che, oltre alla valutazione dei rischi di cui (oggi) all'art. 17 d.lgs. n. 81/2008, il datore di lavoro committente é tenuto:
- nel caso di appalto interno conferito ad una sola impresa o a un singolo lavoratore autonomo, a redigere il documento di valutazione dei rischi di cui all'art. 26, co. 3, il quale ha ad oggetto specificamente i rischi da interferenza;
- nel caso in cui i lavori contemplino l'opera di più imprese o lavoratori autonomi, anche in successione tra loro, é tenuto alla nomina del coordinatore per la progettazione, il quale deve redigere il PSC che ha valore di documento di valutazione del rischio interferenziale.
4.3. Tenuta presente la breve ricostruzione appena operata, emerge che già riguardo all'impegno preliminare ad una esatta identificazione della disciplina da applicare al caso concreto la sentenza impugnata appare motivata in modo carente e persino illogico.
Il Tribunale aveva condiviso l'impostazione dell'accusa, facente riferimento alla violazione degli artt. 17, co. 1 e 28 d.lgs. n. 81/2008, ed aveva ritenuto 'fuorviante' il richiamo difensivo all'art. 26 e al rischio interferenziale. Detto altrimenti, per il primo giudice il M.M. aveva omesso di valutare il rischio connesso all'attività lavorativa dell'agente di scorta in qualità di datore di lavoro dello stesso.
La Corte di Appello, per contro, ha dato conto del fatto che al momento del sinistro la lavorazione "si stava svolgendo seconda una regolare predisposizione di appalti e subappalti" e che la difesa aveva fatto correttamente riferimento alla disciplina del d.lgs. n. 494/1996, aggiungendo che la I. spa - che su incarico di RFI 'governava' (questo il termine utilizzato dalla Corte distrettuale) un ampio contratto di appalto - aveva nominato un coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione (ing. Ulian) e predisposto il PSC (piano di sicurezza e di coordinamento). Ne risulta che la Corte di Appello ha continuato ad ascrivere al M.M. di non aver adempiuto agli obblighi che su di lui gravavano in qualità di datore di lavoro dell'A.G., pur facendo intendere che quale legale rappresentante della RFI egli fosse anche il committente dell'opera, con ogni evidenza qualificata dalle parti interessate come concernente lavori di ingegneria civile (ed effettivamente tale, trattandosi di opere ferroviarie: cfr. art. 89 ed All. X d.lgs. n. 81/2008), tanto da provvedersi - ma I. spa - alla nomina del Coordinatore per la sicurezza nella fase di esecuzione, figura tipica e caratteristica dei lavori nei cantieri temporanei o mobili nei quali sia prevista la partecipazione anche asincrona di più imprese (cfr. art. 3, co. 3 d.lgs. n. 494/1996 ed oggi l'art. 90, co. 3 d.lgs. n. 81/2008).
In un simile contesto l'evocazione di una violazione all'obbligo di valutazione di tutti i rischi, secondo la previsione degli artt. 17 e 28 d.lgs. 81/2008 (rectius: dell'art. 4 d.lgs. n. 626/1994) appare appunto contraddittoria e sinanco illogica, perché non si accompagna alla attenta ricostruzione ed evidenziazione del ruolo effettivamente assunto dalla RFI e quindi dal M.M. quale suo legale rappresentante e neppure alla analisi del rischio venutosi a concretizzare, ovvero all'accertamento se esso risultasse o meno di tipo interferenziale (come lascia sospettare la circostanza che l'attività lavorativa dell'agente di scorta fosse fisiologicamente associata all'attività dei dipendenti della ditta V.).
4.4. La necessità di svolgere compiutamente il tema sin qui evidenziato emerge con ogni evidenza quando si consideri che la compiutezza e l'adeguatezza della valutazione del rischio non può affermarsi prima di averne definito con nitore l'oggetto imposto dal legislatore.
Nel caso che occupa non vi è alcun dubbio in ordine alla avvenuta elaborazione della valutazione dei rischi e alla redazione del relativo documento; così come non vi è dubbio che in esso erano contemplate misure astrattamente riferibili anche all'attività lavorativa dell'A.G.. Ne dà atto implicitamente lo stesso giudice di secondo grado laddove parla di misure 'generiche'.
E tuttavia é evidente che ogni conclusione non é adeguatamente motivata ove non si sia chiarito se quell'attività desse luogo ad un rischio interferenziale (come escluso dal primo giudice ed invece affermato dalla Corte di Appello, sia pure entrambi senza particolare analisi). Ed infatti, solo affermando l'esistenza di un rischio interferenziale può esigersi che la valutazione dei rischi preveda che l'agente di scorta possa venire a contatto con il mezzo d'opera di altra impresa, e di conseguenza che identifichi i diversi rischi da ciò derivanti e le relative misure di necessario apprestamento. Di qui l'errore prospettico denunciato dall'attenzione posta - soprattutto dal ricorrente - al 'rischio di scivolamento'; non si tratta di tener conto della minuta 'casistica' ma di analizzare il rischio derivante dalla convergenza di articolazioni di aziende diverse verso il compimento di una unitaria opera (la manutenzione della linea ferroviaria in condizioni di sicurezza per la circolazione).
Solo dopo può essere affrontato il tema della compiutezza e della adeguatezza delle misure previste nel documento di valutazione dei rischi, sempre che debba guardarsi davvero a quello redatto dal datore di lavoro ai sensi dell'art. 4 d.lgs. n. 626/1994. Adeguatezza che più o meno esplicitamente la Corte di appello esclude (ritenendo che le previsioni contenute nel documento di valutazione dei rischi fossero "non solo generiche, ma costituivano di fatto una omessa valutazione dello specifico rischio connesso alla prassi operativa del cosiddetto lavoro di 'scorta'"), tuttavia facendo riferimento ai contenuti del PSC redatto dal Coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione ing. U..
Anche in ciò si manifesta la continua oscillazione tra differenti discipline normative e adempimenti gravanti su soggetti diversi.
5. Il secondo motivo é inammissibile, poiché si risolve nell'indirizzare alla sentenza impugnata censure di merito, rispetto alla valutazione della prova in ordine alla esistenza di una prassi secondo la quale l'agente di scorta era uso salire sul mezzo 'alzabinari' prendendo posto accanto al conducente.
Giova rammentare che compito di questa Corte non è quello di ripetere l'esperienza conoscitiva del Giudice di merito, bensì quello di verificare se il ricorrente sia riuscito a dimostrare, in questa sede di legittimità, l'incompiutezza strutturale della motivazione della Corte di merito; incompiutezza che derivi dalla presenza di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica, o fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti alla collettività, o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro ovvero dal non aver il decidente tenuto presente fatti decisivi, di rilievo dirompente dell'equilibrio della decisione impugnata, oppure dall'aver assunto dati inconciliabili con "atti del processo", specificamente indicati dal ricorrente e che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l'intero ragionamento svolto, determinando al suo interno radicali incompatibilità cosi da vanificare o da rendere manifestamente incongrua la motivazione (Cass. Sez. 2, n. 13994 del 23/03/2006, P.M. in proc. Napoli, Rv. 233460; Cass. Sez. 1, n. 20370 del 20/04/2006, Simonetti ed altri, Rv. 233778; Cass. Sez. 2, n. 19584 del 05/05/2006, Capri ed altri, Rv. 233775; Cass. Sez. 6, n. 38698 del 26/09/2006, imp. Moschetti ed altri, Rv. 234989).
Le valutazioni di questa Corte potrebbero arrestarsi qui, anche per l'evidente assorbimento dei restanti rilievi in ciò che si è indicato come radicale vizio della sentenza in esame. Tuttavia giova puntualizzare, quanto all'accento posto sulla necessità di previa conoscenza di una prassi quale quella accertata nel processo, che nella fattispecie in esame il tema è in realtà quello della prevedibilità del rischio. Non viene quindi in rilievo la conoscenza di una prassi in grado di eludere le misure predisposte dal datore di lavoro; ipotesi che implica la verifica dell'osservanza da parte del datore di lavoro dei doveri di formazione e informazione del lavoratore e di adeguata vigilanza (cfr. Sez. 4, n. 18638 del 16/01/2004 - dep. 22/04/2004, Policarpo, Rv. 228344).
Quel che davvero è richiesto accertare nella vicenda che occupa è la prevedibilità di un rischio connesso all'attività dell'agente di scorta al mezzo 'alzabinari'. Prevedibilità che non va colta dal punto di vista dell'agente concreto ma dalla prospettiva dell'agente modello di riferimento; la prevedibilità va quindi valutata sulla scorta degli elementi di conoscenza e delle capacità di intervento che sono attribuibili all'agente modello, salvo che l'agente concreto sia in possesso di conoscenze ulteriori, atteso che l'intero impianto prevenzionistico tende all'eliminazione alla riduzione dei rischi esistenti, nei limiti dell'esigibile.
La insistita attenzione riservata al tema della conoscenza della ricordata prassi é quindi poco giustificata, essendo rilevante unicamente che nel rischio connesso all'attività dell'agente di scorta rientrasse o meno anche quello derivante dall'uso indebito del mezzo 'alzabinari' quale mezzo di trasporto, sì da dover essere valutato. Nel caso di specie non è quindi decisivo che vi fosse una prassi secondo la quale l'agente di scorta prendeva posto sulla pedana del conduttore del mezzo 'alza binari', ma il fatto, ben evidenziato anche dalla Corte di appello, che le modalità di svolgimento della lavoro assegnato all'agente di scorta, il quale doveva percorrere diversi chilometri a piedi affiancando un veicolo che precedeva lentamente, ben poteva indurre un malaccorto lavoratore a servirsi dello stesso per ridurre la fatica dello spostamento, specie nella tragitto di ritorno.
6. In conclusione, la sentenza impugnata va annullata, con rinvio ad altra sezione della alla Corte di Appello di Milano per nuovo esame.

P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano per nuovo esame.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12/3/2015.