SENATO DELLA REPUBBLICA
XVII LEGISLATURA
Giunte e Commissioni



Resoconto stenografico

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, con particolare riguardo al sistema della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro



Seduta n. 11, martedì 17 febbraio 2015



Audizione dei rappresentanti di R.ETE. Imprese Italia
Audizione dei rappresentanti di Confindustria



Presidenza della presidente FABBRI

Intervengono per R.E TE. Imprese Italia il dottor Sergio Silvestrini (segretario generale CNA), la dottoressa Manuela Maria Brunati (responsabile salute e sicurezza sul lavoro CNA), il dottor Marco Capozi (responsabile relazioni istituzionali, CNA), il dottor Danilo Barduzzi (responsabile area economica, Casartigiani), la dottoressa Stefania Multari (direttore relazioni istituzionali, Confartigianato imprese), il dottor Giorgio Russomanno (responsabile settore ambiente e sicurezza - Direzione relazioni sindacali, Confartigianato imprese), il dottor Luciano Bertozzi (Settore previdenza e assistenza, Confcommercio - Imprese per l'Italia) e la dottoressa Grazia Nuzzi (Confcommercio); intervengono per Confindustria il dottor Pierangelo Albini (direttore lavoro e welfare), il dottor. Fabio Pontrandolfi (Direzione lavoro e welfare) e la dottoressa Martina Dezi (Direzione relazioni esterne).

SULLA PUBBLICITÀ DEI LAVORI

PRESIDENTE
Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata attraverso il resoconto stenografico nonché, ai sensi dell'articolo 13, comma 2, del Regolamento interno, attraverso l'attivazione dell'impianto audiovisivo. Poiché non vi sono obiezioni, così resta stabilito.

PROCEDURE INFORMATIVE
Audizione dei rappresentanti di R.ETE. Imprese Italia

PRESIDENTE
L'ordine del giorno reca lo svolgimento di audizioni.
La prima audizione prevista per oggi è quella dei rappresentanti di R.ETE. Imprese Italia.
Sono presenti il dottor Sergio Silvestrini (segretario generale CNA), la dottoressa Manuela Maria Brunati (responsabile salute e sicurezza sul lavoro CNA), il dottor Marco Capozi (responsabile relazioni istituzionali, CNA), il dottor Danilo Barduzzi (responsabile area economica, Casartigiani), la dottoressa Stefania Multari (direttore relazioni istituzionali, Confartigianato imprese), il dottor Giorgio Russomanno (responsabile settore ambiente e sicurezza - Direzione relazioni sindacali, Confartigianato imprese), il dottor Luciano Bertozzi (settore previdenza e assistenza, Confcommercio - Imprese per l'Italia) e la dottoressa Grazia Nuzzi (Confcommercio).
La Commissione d'inchiesta, insediatasi nel mese di settembre, conclude con quelle oggi previste all'ordine del giorno, un ciclo di audizioni sul tema della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro finalizzate a capire, rispetto alla normativa vigente, quali siano le situazioni positive - ad esempio nel mondo delle imprese oggi qui rappresentato - e quali le eventuali criticità la Commissione potrebbe essere chiamata a correggere nei prossimi mesi..
Cedo quindi la parola ai nostri ospiti.

SILVESTRINI
Signora Presidente, onorevoli senatori, grazie per aver invitato R.ete. Imprese Italia a fornire il proprio contributo su un tema che consideriamo assai importante e impegnativo.
Sin dalla data di emanazione del decreto legislativo n. 626 del 1994 - dalla quale sono ormai trascorsi quasi 21 anni - le piccole imprese italiane sono state fortemente impegnate sui temi della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, contribuendo così ad abbattere il fenomeno infortunistico in maniera continua e costante. Ciò è avvenuto nonostante una legislazione italiana ed europea costruita, tarata e performata sulla grande impresa, anziché a misura delle piccole aziende, che rappresentano - come sappiamo - una parte importante e fondamentale del nostro tessuto produttivo. Servirebbe, al contrario, una legislazione intelligente e moderna che, pur non incidendo sui livelli sostanziali di tutela, promuovesse le azioni concrete a salvaguardia della salute e sicurezza dei lavoratori - e, aggiungo, degli stessi datori di lavoro che, come nel nostro caso, sono impegnati in prima persona nella gestione giornaliera - riducendo al minimo il formalismo e gli adempimenti amministrativi.
L'impegno dell'imprenditore in materia di prevenzione è dimostrato dai dati. Secondo l'INAIL, infatti, gli infortuni sul lavoro nel 2013 sono stati poco meno di 460.000, con una riduzione del 21 per cento rispetto al 2009. Ancora più significativa risulta la diminuzione degli infortuni mortali che nell'ultimo quinquennio è pari al 32 per cento.
Siamo quindi di fronte a una costante diminuzione del fenomeno che naturalmente per le imprese non rappresenta un punto di arrivo, ma solo uno stimolo importante per proseguire nell'impegno di rendere gli ambienti di lavoro sempre più sicuri. Questo è un elemento che equivale, fra l'altro - non passi inascoltata e sotto tono questa mia affermazione - a una maggior efficienza e competitività delle imprese. Legare la sicurezza del lavoro e dei nostri lavoratori, dei nostri dipendenti a una maggiore efficienza, vuol dire trovarsi di fronte a un soggetto sociale che ha capito la qualità e l'importanza del lavoro, in tal senso peraltro questa Commissione ha cominciato da tempo a lavorare per questo le facciamo i migliori auguri.
R.ETE. Imprese Italia ritiene che gli imprenditori vadano sostenuti in questo sforzo con politiche e programmi adeguati, modulando e finanziando linee di intervento a favore delle imprese che investano nel miglioramento della propria attività di prevenzione.
In questo senso va riconosciuto all'INAIL l'impegno profuso per dare attuazione alle disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 81 del 2008 relative al finanziamento da parte dell'istituto di una serie di attività formative e di progetti di investimento in materia di salute e di sicurezza effettuati nelle micro, piccole e medie imprese.
Pur restando in sostanza disatteso il disposto del decreto legislativo n. 38 del 23 febbraio del 2000, dove si dispone la revisione delle tariffe con cadenza almeno triennale, è stata utile negli anni anche la riduzione del tasso medio della cosiddetta tariffa INAIL per tutte le imprese che effettuano investimenti riconosciuti di miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza negli ambienti di lavoro. L'INAIL, tuttavia, - speriamo che questa voce non sia confermata - ha recentemente annunciato un taglio di tale incentivo, che finora ha determinato complessivamente una riduzione dei premi per oltre 300 milioni di euro.
R.ETE. Imprese Italia considera tale scelta negativa, almeno fino a quando non sarà completamente riformato il sistema della determinazione delle tariffe correlandole in maniera diretta all'andamento delle singole gestioni assicurative. D'altra parte, noi riteniamo che questi incentivi andrebbero considerati un investimento per gli istituti e non un onere visto che è finalizzato a ridurre i costi connessi agli infortuni.
Tuttavia, il tema reale più importante è quello di ridurre in maniera consistente il costo del lavoro derivante dall'assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali, ripristinando condizioni di equilibrio tra premi e oneri per la singola gestione. Infatti, le gestioni separate del terziario e dell'artigianato da sempre registrano avanzi di esercizio, costantemente vicino al miliardo di euro ciascuna, contribuendo in maniera determinante all'avanzo di esercizio dell'istituto. Anche nel 2013, secondo l'ultimo bilancio consuntivo INAIL, le predetti gestioni hanno generato un avanzo di oltre 700 milioni di euro ciascuna, confermando il positivo andamento finanziario. Questi dati dimostrano come i premi richiesti alle imprese dei due settori siano strutturalmente sovradimensionati rispetto ai fabbisogni. Sarebbe indispensabile, pertanto, una significativa riduzione dei premi.
In tal senso, il legislatore suddividendo la gestione INAIL nelle quattro sotto gestioni (industria, artigianato, terziario e altre attività) ha previsto la revisione delle tariffe in modo da consentire la riduzione dei premi per le aziende delle gestione in attivo. Tale previsione è tuttavia rimasta di fatto ancora lettera morta. Basti pensare che la legge di stabilità 2014 ha sì disposto una riduzione dei premi per l'importo complessivo di un miliardo per il 2014, di 1,1 miliardi per il 2015 e ha previsto per il 2016 un taglio di 1,2 miliardi; tuttavia, ciò è avvenuto attraverso - come tutti noi sappiamo - un taglio lineare. Tale scelta ha prodotto un risultato opposto allo spirito della norma che, invece, prevede di operare tenendo conto dell'andamento economico, finanziario e attuariale registrato nelle singole gestioni, finendo così, quasi per paradosso, per penalizzare proprio quei settori, come il settore terziario e l'artigianato, strutturalmente caratterizzati da un minor rischio infortunistico.
In coerenza con questa logica R.ETE. Imprese Italia ritiene che il settore a basso rischio debba essere individuato facendo riferimento alla presenza o meno, in determinate lavorazioni, di rischi per i lavoratori che l’esperienza consolidata considera significativi. È infatti necessario superare la logica del solo dato infortunistico e ancora di più dell’utilizzo dei codici merceologici ATECO, che vengono usati normalmente e in maniera intelligente in relazione alla situazione economica del Paese e non a quella infortunistica.
Tener conto della realtà delle imprese italiane significa valutare le soluzioni più semplici e più efficienti che permettano di garantire una prevenzione efficace della salute dei lavoratori in tutti i luoghi di lavoro, indipendentemente dalla dimensione delle imprese in cui essi operano. In particolare, per il miglioramento della prevenzione, è necessario sburocratizzare la materia, definendo modalità semplificate per una applicazione reale e non meramente documentale degli obblighi prevenzionali; occorre, ad esempio, una semplificazione documentale del documento unico di regolarità contributiva (DURC), del documento unico di valutazione dei rischi interferenti (DUVRI), del piano operativo di sicurezza (POS), del piano di sicurezza e coordinamento (PSC) condivisa con le organizzazioni datoriali che rappresentano e conoscono la realtà imprenditoriale.
In tal senso auspichiamo che la delega relativa alla semplificazione in materia di salute e sicurezza contenuta nel jobs act venga esercitata prevedendo: l’introduzione del principio per il quale il recepimento delle direttive comunitarie debba avvenire senza aggravi per le imprese (mai direttiva europea fu disattesa dal nostro Paese); l’eliminazione di comunicazioni e notifiche inutili, qualora i relativi dati siano già in possesso delle pubbliche amministrazioni o, laddove necessarie, prevedere che avvengano in via informatica; la sostituzione di nulla osta e autorizzazioni con l’autodichiarazione del soggetto obbligato; la semplificazione degli adempimenti documentali per la gestione di appalti, servizi e forniture.
Per quanto riguarda il tema della formazione obbligatoria, nel nuovo contesto legislativo questa assume una maggiore importanza; è infatti prevista la formazione per figure aziendali prima non sottoposte ad obblighi formativi e si introducono due importanti concetti, ovvero l’addestramento e l’aggiornamento. Siamo convinti del valore della formazione come strumento strategico per prevenire gli infortuni e le malattie professionali e, proprio per questo, valutiamo quanto sarebbe utile che la regolamentazione in materia fosse guidata da una strategia efficace, con obiettivi e criteri univoci e soprattutto chiari.
La formazione obbligatoria è invece oggi regolata da svariati e non coordinati accordi Stato-Regioni che prevedono, in alcuni casi, ripetizioni di contenuti, criteri diversi per quanto riguarda organizzazione, docenti, percorsi; il tutto rende la loro applicazione estremamente difficoltosa, pure a fronte di un costante e costoso impegno dei datori di lavoro.
Per superare questa impasse è avvertita l’esigenza di pervenire ad una formazione efficace, riferita al reale rischio presente negli ambienti di lavoro e tenendo conto delle necessarie semplificazioni, laddove la prestazione del lavoratore presupponga una permanenza di breve durata nei luoghi di lavoro.
Infine, in merito all’attività di vigilanza in materia, non possiamo che ribadire la necessità di un’attività di vigilanza coordinata, univoca e competente, in grado, ove opportuno, di fornire orientamenti certi a sostegno all’impresa. Purtroppo, attualmente l’attività di vigilanza è frammentata fra numerosi enti, creando non poca perplessità e incertezze: basti pensare che in tema di salute e sicurezza sul lavoro eseguono le verifiche le Regioni, e per esse i servizi ASL, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, l'Amministrazione della giustizia, attraverso i carabinieri e la polizia, le Autorità marittime, aeroportuali, ferroviarie.
Riteniamo necessaria una riorganizzazione complessiva delle attività di controllo che renda le ispezioni più selettive in base al criterio del rischio, valorizzi le imprese che rispettano le norme, promuova il coordinamento tra i vari uffici dell’organismo di controllo, assicuri, infine, un’efficiente comprensione delle regole.
R.ETE. Imprese Italia evidenzia che la legislazione in materia di salute e sicurezza ha modificato negli ultimi anni in maniera sostanziale il sistema istituzionale, gli strumenti di conoscenza del fenomeno e la partecipazione delle parti sociali. In particolare, è stato innovato il sistema istituzionale prevedendo, fra l’altro, un Comitato per l’indirizzo e la valutazione delle politiche attive e per il coordinamento nazionale delle attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Si tratta di un Comitato che avrebbe dovuto stabilire le linee comuni delle politiche nazionali in materia, individuare obiettivi e programmi dell’azione pubblica, programmare il coordinamento dell’attività di vigilanza e individuare le priorità della ricerca in tema di prevenzione. Ad oggi, purtroppo, non si possono apprezzare i contenuti delle sue azioni, né si è configurato un reale e costruttivo coinvolgimento delle parti sociali, sia a livello nazionale, che regionale.
È stato inoltre istituito un Sistema informativo nazionale per la prevenzione (SINP) nei luoghi di lavoro che, nello spirito, avrebbe dovuto consentire l’utilizzo integrato delle informazioni disponibili negli attuali sistemi informativi per programmare, pianificare e valutare l’attività di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali, nonché per indirizzare l’attività di vigilanza. Dopo circa sette anni dall’emanazione del decreto legislativo n. 81 del 2008, neanche questo rilevante strumento per la prevenzione negli ambienti di lavoro ha visto attuazione, né le parti sociali delle quali si prevede il coinvolgimento attivo hanno avuto notizia alcuna del suo funzionamento. R.ETE. Imprese Italia ritiene indifferibile la concreta ed efficace operatività degli strumenti ora richiamati.
Sappiamo che questa Commissione parlamentare d'inchiesta, peraltro di recente istituzione, sta lavorando al meglio e noi vi auguriamo di avere i migliori successi. Vi garantiamo, inoltre, tutto il nostro contributo al riguardo.

PRESIDENTE
Ringrazio il dottor Silvestrini per l'ampia esposizione e lascio la parola ai colleghi.

FUCKSIA
Signora Presidente, ringrazio i nostri ospiti. Condivido tutto quello che è stato detto, dalla prima parola all'ultima, ma vorrei chiedere una puntualizzazione su due piccole questioni.
Nello specifico mi interesserebbe sapere se abbiate stimato il costo medio per la formazione obbligatoria di ogni nuovo lavoratore assunto e se risulti anche a voi che esso ammonti ad almeno un decimo del costo, al riguardo considerando il primo anno di lavoro interamente come un costo, posto che nei primi mesi il lavoratore rappresenta un investimento la cui redditività può essere valutata solo successivamente.
Lasciando da parte gli adempimenti sicuramente inutili e ridondanti, vorrei inoltre sapere se, al di là del dato statistico di riduzione del trend degli infortuni, specialmente di quelli mortali, disponiate delle misure utili a valutare l'efficacia degli interventi effettuati in azienda, anche ai fini della maggiore performance aziendale, considerato che oggi investire nel luogo di lavoro significa investire anche in qualità e competitività, incrementando la motivazione al lavoro dei lavoratori stessi.

COLLINA
Signora Presidente, ringrazio R.ETE. Imprese Italia per le informazioni che ci ha offerto in questa audizione; lo sottolineo perché le vostre imprese rappresentano più del 90 per cento del tessuto produttivo italiano, quindi oggi raccogliere il vostro punto di vista significa molto per noi. Credo anche che dovremmo sempre di più misurare le azioni e l'impatto normativo dei provvedimenti che approviamo in considerazione di questo aspetto.
Mi soffermerò solo su una questione che il nostro ospite ha citato con riferimento ai premi assicurativi. Il tema chiaramente è aperto perché siamo di fronte a un'importante partita economica, c'è un ente pubblico che svolge questa funzione e, quindi, il rapporto con le imprese artigiane e commerciali è assolutamente decisivo. Sotto questo profilo bisogna pertanto cercare di capire come individuare il giusto equilibrio nella gestione di questi aspetti, in relazione ai quali chiederei quindi un approfondimento, visto anche che l'INAIL raccoglie complessivamente 8 miliardi di premi assicurativi.
C'è una gestione che necessita di una revisione e di una riflessione più generale per quanto riguarda il rapporto con chi versa, ma anche complessivamente sulla gestione delle entrate e su come esse possono essere più utilmente gestite e messe a disposizione delle politiche attive per la riduzione degli incidenti sul lavoro.

FAVERO
Ringrazio anch'io per la relazione che ci dà l'opportunità di conoscere la vostra opinione in materia di sicurezza e infortuni.
La mia domanda trae spunto anche dal taglio che questa Commissione ha voluto dare alla propria azione ed alla programmazione, che è fatta anche della cultura della prevenzione dell'infortunio. Chiedo quindi quale iniziativa state attuando ai fini della promozione di questa cultura nell'ambito della quale a nostro giudizio non rientra solo la formazione dei lavoratori, peraltro dovuta, ma anche la sensibilizzazione dell'intera cittadinanza in ordine all'importanza di tenersi in buona salute grazie a corretti stili di vita, e quindi di tutto il tema della prevenzione.
L'ultima domanda richiama il mondo della scuola dal quale provengo e che cito continuamente proprio perché sono convinto che sia utile farlo. I bambini hanno una grande capacità di imparare, sono delle spugne e quindi è opportuno iniziare quanto prima a promuovere presso di loro questa cultura attraverso il gioco o altre modalità. A seguito dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 626 del 1994 e, quindi, dello svolgimento di lezioni in cui si insegna ai bambini come comportarsi, ad esempio in caso di calamità, abbiamo riscontrato che al riguardo i bambini si dimostrano più bravi degli adulti. Secondo il nostro giudizio, anche questa è una strada da percorrere, attraverso magari l'elaborazione di giochi, prevedendo concorsi di idee, bandi, o comunque iniziative che coinvolgano le scuole e che possano effettivamente produrre buoni risultati.

SILVESTRINI
Viva la cultura che punta alla prevenzione! Al riguardo siamo completamente d'accordo. Non sta a noi esattamente promuovere la diffusione di questa cultura presso scuole, tuttavia il rapporto artigianato, commercio e scuola è molto importante e significativo, anzi credo che rappresenti una delle migliori prospettive per il Paese. Per cui, in tal senso, tutto quello che è nelle nostre possibilità lo facciamo, lo stiamo già facendo.
Certamente va osservato, anche in questa sede, che T'attività legislativa frutto della collaborazione del Parlamento, del Governo, delle parti sociali e, soprattutto, degli imprenditori e dei lavoratori, ha avuto quel successo che in fondo non ci si aspettava. La riduzione degli infortuni del 21 per cento rispetto al 2009 e la diminuzione degli infortuni mortali pari al 32 per cento, costituiscono senz'altro un dato significativo che dimostra che stiamo lavorando bene. Non è ancora sufficiente, ma dobbiamo continuare a operare in questa direzione.
In risposta alla questione posta dal senatore Collina a proposito dei premi assicurativi, segnalo che ci siamo battuti come terziario, artigianato e piccole imprese contro una strutturale cronica condizione di asimmetria tra ciò viene versato e ciò che si riceve in contropartita. Su questo versante non abbiamo avuto ancora un risultato pieno, diciamo che abbiamo avuto una parziale soddisfazione. Tuttavia, rispetto a questo tema, riteniamo davvero estremamente utile la presenza della politica e del Parlamento. Confidiamo quindi nell'azione di questa Commissione, nell'interesse precipuo di quel 90 per cento di imprese italiane, richiamato prima dal senatore Collina. Purtroppo, se potessimo dire che abbiamo avuto ragione, lo diremmo in ogni modo e sarebbe un bel giorno e quindi noi confidiamo anche in voi affinché questo accada. Alcuni segnali positivi li abbiamo ricevuti, ma non siamo ancora nella condizione di poter dire che finalmente si sia al cospetto di un cambio di passo e di un nuovo orientamento.
Ripeto, noi confidiamo nel Parlamento. Il rapporto del Parlamento con le imprese del terziario e dell'artigianato, anche rispetto a quello con l'Esecutivo, è sempre stato molto positivo, e questo perché chi è in Parlamento ha una relazione diretta con la sua constituency, con la sua base sociale con la quale mantiene un'interlocuzione importante. Credo pertanto che sia davvero possibile in tempi rapidi operare in questa direzione.
Per quanto riguarda la misurazione dell'efficacia degli strumenti aziendali, lo stimolo e il costo della formazione - a proposito di costo medio per la formazione di ogni nuovo lavoratore assunto la senatrice Fuksia ha parlato di un 10 per cento, dato che non si discosta dalla realtà - lascio la parola a chi ne sa più di me, ovvero alla dottoressa Brunati.

BRUNATI
Non disponiamo del dato preciso relativo al costo medio per la formazione obbligatoria di ogni lavoratore. In tal senso potremmo fare anche un esercizio matematico, pur tuttavia riteniamo che non si tratti solo di un problema di costi - come abbiamo sottolineato nel documento - ma anche di efficacia della formazione. Il percorso formativo consta di formazione iniziale, aggiornamenti e formazione ulteriore, ed è diretto a formare diverse figure che vanno dagli addetti antincendio, agli addetti al primo soccorso, ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, ai preposti ed ai responsabili dei servizi di prevenzione e protezione. Pertanto, in questo ambito calcolare nello specifico i costi è un po' complesso. Come dicevo, le figure della prevenzione sono variegate e bisogna tenere presente che i costi in questo caso si spalmano sull'intera vita lavorativa del lavoratore; ciò detto, la preoccupazione di R.ETE. Imprese Italia non è tanto quella dei costi, quanto quella della efficacia della formazione offerta in correlazione ai rischi aziendali. Ripeto, vi sono rischi aziendali rispetto ai quali i lavoratori devono essere formati in maniera efficace. Spesso in Italia si è intesa la formazione come qualcosa di burocratico in cui rivestono importanza i criteri per i docenti, la data o la firma dell'attestato, laddove la formazione deve invece essere efficace e fare in modo che il lavoratore sappia comportarsi in maniera corretta rispetto ai rischi.
Ciò detto, se alla Commissione interessa conoscere l'importo preciso dei costi, vorrà dire che tenteremo l'esercizio matematico cui facevo prima riferimento e vi faremo avere il dato richiesto che terrà conto della varietà di formazione che nel tempo viene fornita ai lavoratori a partire dall'addestramento, che è obbligatorio e viene effettuato in azienda e di quasi mai calcoliamo il costo visto che consiste nell'affiancare al lavoratore neoassunto una persona esperta. Lungo tutto il corso della sua vita lavorativa il lavoratore segue dei percorsi di formazione, informazione e addestramento.
L'efficacia degli interventi formativi in azienda in genere si misura mediante monitoraggi e check up. Ritengo però che per la Commissione sia anche rilevante un dato, che esiste ed è pubblico, relativo alla quantità di micro e piccolissime imprese che negli ultimi anni hanno fatto domanda di finanziamento all'INAIL per innovazioni. Tutte queste imprese devono partire da un rispetto legislativo di base, cioè presentano queste domande d'investimento in innovazione tecnologica e gestionale, partendo però da un'autodichiarazione di completo rispetto legislativo; si tratta, quindi, di aziende che fanno un passo in più, che vanno oltre il minimo richiesto dalla legge. Il numero di micro, piccole e piccolissime imprese che hanno presentato domanda d'investimento è enorme, questo significa che le aziende hanno voglia di investire in salute e sicurezza e che ottengono risultati, e sono i numeri a dircelo. Ad ogni modo, siamo in attesa che il Sistema informativo nazionale per la prevenzione (SINP), prima o poi, fornisca al riguardo dati più precisi.
Vorrei aggiungere una considerazione per quanto riguarda la cultura in materia di salute e sicurezza. Le organizzazioni di R.ETE. Imprese Italia collaborano con l'Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa (INDIRE) ad un progetto pubblico dedicato alla formazione in materia di salute e sicurezza nelle scuole. Inoltre, per rispondere alla domanda posta dalla senatrice Favero, la formazione e l'informazione non riguardano solo salute e sicurezza negli ambienti di lavoro. Per fare un esempio, noi abbiamo come obbligo legislativo l'informazione sui danni da fumo attivo e passivo; come ben sapete tutti, c'è il divieto del fumo negli ambienti di lavoro, ma i datori di lavoro si devono occupare anche di informare i lavoratori su una serie di materie che attengono alla loro salute, non ultimi i danni da alcool e da tossicodipendenza. Pertanto, si può dire che in termini di materie affrontate in tema di salute e sicurezza la formazione fornita è trasversale. Si consideri inoltre che, quando ha seguito un percorso di formazione efficace, un lavoratore evita gli infortuni anche all'interno della propria abitazione, perché quando si impara a scendere correttamente le scale lo si fa al lavoro e anche a casa. Credo con ciò di aver risposto.

PRESIDENTE
Ringrazio nuovamente i nostri ospiti per la loro disponibilità e per il materiale consegnato e li congedo.

Audizione dei rappresentanti di Confindustria

PRESIDENTE
L'ordine del giorno reca ora l'audizione di rappresentanti di Confindustria. Sono presenti il dottor Pierangelo Albini, direttore lavoro e welfare, il dottor Fabio Pontrandolfi, della Direzione lavoro e welfare, e la dottoressa Martina Dezi, della Direzione relazioni esterne, che ringrazio per la loro presenza.
Vi chiediamo scusa per il leggero ritardo e per il poco tempo a disposizione, in ragione della contemporanea convocazione di altre Commissioni, e vi ringraziamo per la relazione che ci avete consegnato.
Cedo subito la parola al dottor Albini.

ALBINI
Signora Presidente, ringrazio la Commissione per l'opportunità che ci è stata offerta. Avendo lasciato agli atti la nostra documentazione, cercherò di essere brevissimo, anche se in materia di sicurezza, e soprattutto alla luce dell'inchiesta non circoscritta ma a tutto campo che state conducendo, i temi da affrontare sono moltissimi. Cercherò quindi di fare una sintesi, a beneficio della Commissione, di ciò che è contenuto nel documento, anche perché se fosse necessaria un'integrazione più specifica potremmo provvedere volentieri in un momento successivo.
In questo documento abbiamo provato ad affrontare il tema della sicurezza con un approccio pragmatico; un approccio non per principi assoluti, ma che consentisse alla Commissione di avere una rappresentazione il più fedele possibile del modo di pensare del sistema delle imprese rispetto ai temi della sicurezza.
Il documento prende le mosse da una serie di considerazioni, che potete ritrovare anche nell'allegato, riferite all'andamento infortunistico. Dico questo perché partiamo da un dato positivo che conferma un trend in miglioramento in questi anni, che non si giustifica solo per effetto della crisi, ma perché obiettivamente in questi anni - come tentiamo di dimostrare nel documento - le imprese stanno facendo degli sforzi per favorire una reale cultura della sicurezza nei luoghi di lavoro.
Nel merito distinguiamo due temi, quello che attiene sostanzialmente all'infortunio, sul quale dirò brevemente qualcosa, e quello delle malattie professionali, che hanno approcci completamente diversi e sui quali noi intendiamo evidenziare aspetti differenti.
In merito all'andamento degli infortuni vanno considerati tre aspetti.
Il primo è che in questi anni le imprese stanno investendo; ci sono dati - che riportiamo nel nostro documento - secondo i quali anche nel periodo della crisi le imprese hanno continuato a fare investimenti, ancorché in misura piuttosto contenuta rispetto al periodo precedente, sull'innovazione tecnologica. Questo sarà un tema su cui le aziende saranno sempre più chiamate a investire ed è un elemento su cui credo che questa Commissione debba riflettere. Infatti, allungandosi l'età lavorativa, allontanandosi l'età del pensionamento e non potendo più questo Paese trasferire l'anzianità dei lavoratori, con i prepensionamenti o con politiche di esodo incentivato, sul sistema di welfare collettivo, le imprese saranno costrette sempre di più a fare i conti con questo fenomeno e avranno sempre di più la necessità d'investire per rendere la possibilità di continuare a lavorare compatibile, soprattutto nel manifatturiero, con l'avanzamento dell'età. Da questo punto di vista anche in Italia ci sono stabilimenti, operanti nel settore della fabbricazione degli autoveicoli, che hanno avuto dei riconoscimenti anche di carattere internazionale proprio per la quantità degli investimenti fatti in questa direzione, quindi non solo per l'ergonomia, ma anche e soprattutto per la sicurezza.
Il secondo tema sul quale vorrei richiamare l'attenzione della Commissione deriva dalla considerazione che molto spesso gli infortuni discendono dai comportamenti delle persone ed è possibile combattere quelli non corretti attuando una politica d'investimenti molto significativa sulla formazione.
Nel documento che vi consegniamo ci siamo permessi di enfatizzare due aspetti. Il primo è quello per il quale le norme che intervengono in materia di obblighi di formazione sulla sicurezza presentano a nostro avviso elementi di criticità, perché enfatizzano molto gli aspetti formali e molto meno quelli sostanziali. Vi è inoltre una parte del documento in cui sono effettuate sottolineature specifiche, ma su richiesta della Commissione potremmo fornire ulteriori elementi di valutazione.
Il secondo elemento che attiene alla formazione è un invito a considerare che oggi la formazione continua avviene soprattutto attraverso i fondi interprofessionali. Questi ultimi, alimentati da parte delle imprese con una quota obbligatorio dello 0,30 per cento dei contributi versati all’INPS, sono stati considerati in queste ultime congiunture come una sorta di salvadanaio da cui andare a prendere i soldi per pagare le politiche passive per quei settori che non contribuiscono al costo degli ammortizzatori sociali. Se però dobbiamo fare un investimento sulla sicurezza delle persone, non bisogna allora compromettere le fonti con le quali si alimenta questa formazione!
Il terzo aspetto che evidenziamo in questo documento sono le iniziative che Confindustria ha preso su questi fronti perché, come spesso mi piace dire, prima di dire agli altri ciò che devono fare, è importante ricordarsi le cose che siamo tenuti a fare noi e, quindi, le iniziative che Confindustria singolarmente o attraverso gli accordi con le organizzazioni sindacali ha realizzato in questi anni.
Sulle malattie professionali, invece, la riflessione che facciamo non è facilissima da sintetizzare in pochi minuti, tento comunque di farlo così come di seguito. Il tema delle malattie professionali deve portarci a guardare questo tipo di fenomeni con una prospettiva e un respiro temporale molto diverso: mentre l'infortunio è un fenomeno istantaneo, le malattie professionali hanno tempi di incubazione molto differenti. Da questo punto di vista occorrerebbe un approccio un po' più scientificamente rigoroso su ciò che è effettivamente la causa della malattia professionale. Da questo punto di vista enfatizziamo un aspetto legato alla ricerca perché malattie professionali e ricerca sono due temi che non possono essere tra loro disgiunti. Consideriamo il delicato tema dell'amianto rispetto al quale manifestiamo l'auspicio di un approccio più socialmente e collettivamente responsabile e più orientato a risolvere il problema piuttosto che ad accanirsi nell'individuazione del colpevole. Sappiamo tutti che fino al 1992 l'utilizzo dell'amianto non solo era lecito, ma c'erano norme di legge che lo imponevano, tant'è che oggi l'amianto è dappertutto. Vi è quindi il problema della bonifica di interi ambienti. Rispetto a questi temi Confindustria ritiene che l'approccio corretto dovrebbe essere quello di dire che di fronte a una situazione come la presente in cui di fatto, finché non ne abbiamo avuto l'evidenza, tutti abbiamo pacificamente ammesso l'utilizzo dell'amianto - non saprei dire se c'è un colpevole a fronte di uno Stato che imponeva l'utilizzo dell'amianto negli edifici pubblici - la soluzione non può essere trovata nelle aule dei tribunali, ma con un atto di responsabilità collettiva attraverso misure e strumenti che non vadano alla ricerca del colpevole ma, come dicevo, ad una "socializzazione" di questo tipo di problema.
Nel documento sono contenute quattro considerazioni fondamentali nell'approccio di Confindustria a questo tema, considerazioni relative innanzitutto alla certezza del diritto, alla semplificazione e, infine, a due temi che riguardano le competenze istituzionali sulla vigilanza e sulla sorveglianza sanitaria.
Per essere estremamente coinciso - il documento consentirà ai componenti della Commissione una lettura più attenta di questi aspetti - mi limito ad osservare due questioni. La prima riguarda il tema della certezza del diritto. Quando i colleghi mi hanno sottoposto il documento redatto in vista dell'odierna audizione, al punto 5, laddove per l'appunto si parla del tema della certezza del diritto, ho letto attentamente le sei righe ad esso dedicate e che considero di importanza capitale. In quel passaggio noi ricordiamo che la Corte di giustizia, la Commissione europea e la Corte costituzionale italiana hanno giudicato la normativa nazionale e la sua interpretazione, diversa e incompatibile rispetto a quella europea. Questo lo si dice perché la diversità e l'incompatibilità dipendono dal fatto che la normativa nazionale, nell'alternanza tra principi generali e norme specifiche, manca del requisito essenziale della certezza del diritto. Questo è un tema per noi delicatissimo; mi rendo conto che quando si toccano questi argomenti alla fine si finisce sempre per essere abbastanza impopolari, però credo che occorra cercare di realizzare le condizioni perché la sicurezza sia effettivamente garantita nei luoghi di lavoro e non creare le premesse per un sistema legislativo che consenta solo l'individuazione di un colpevole ex post sulla base di previsioni che rimandano sempre a un momento successivo la verifica di comportamenti compiuti a monte.
Anche sulla semplificazione al punto 6 mi limito al prodromo. La semplificazione è infatti un aspetto differente da quello della certezza del diritto, ma ad esso complementare. Al riguardo citiamo il documento conclusivo dell'indagine conoscitiva sulla semplificazione legislativa e amministrativa del 31 marzo 2014 in cui la Commissione parlamentare per la semplificazione ha evidenziato, tra gli altri, due elementi preoccupanti. Il primo è che i risultati raggiunti dall'attività di semplificazione sono complessivamente molto modesti, mentre il quadro normativo e amministrativo è andato complicandosi anziché semplificandosi. Sempre in tale rapporto si legge che è in dubbio che una parte dell'economia poggi sulla complicazione che ha comportato negli ultimi decenni la nascita e il consolidarsi di nuove professioni.
Il secondo elemento di criticità che evidenzio è relativo al passaggio di quel documento conclusivo in cui si afferma che il rapporto tra le norme eliminate dall'ordinamento e le norme che entrano in vigore, secondo i dati forniti dalla Corte dei conti, è di 1,2, ovvero 1,2 norme nuove per ogni norma «abrogata».
In questo senso nel documento che vi abbiamo consegnato, nel ricordare alla Commissione la tipologia del tessuto produttivo di questo Paese, formuliamo un auspicio che nella legge delega sul jobs act si colgano anche queste opportunità. C'è un elenco non completo di temi sui quali vorremmo che si intervenisse per la certezza del diritto e la semplificazione che lasciamo all'attenzione della Commissione.
Infine, il documento sottolinea due aspetti che fanno un po' da corollario al tema della sicurezza, ovvero le competenze istituzionali e la vigilanza. Nel merito le nostre lagnanze riguardano le scelte fatte sul Titolo V della Costituzione.
Inoltre, al punto 8 sono riportate alcune riflessioni sul tema della sorveglianza sanitaria che, dal nostro punto di vista, richiede un'attenzione particolare, considerato che in relazione ad alcuni aspetti si rende necessario rendere il sistema più organico e armonico.
Ho cercato di fare una sintesi del contributo che abbiamo voluto lasciare agli atti della Commissione. Mi scuso per la sommarietà con la quale ho affrontato questi temi, proprio in ragione dell'ampio spettro di argomenti che ritenevamo opportuno affrontare. Ovviamente, siamo a disposizione per ogni chiarimento ed eventuale integrazione della nostra documentazione.

PRESIDENTE
Ringrazio il dottor Albini per la sua relazione e lascio la parola ai colleghi.

D'ADDA
Signora Presidente, vorrei ringraziare i nostri ospiti e porgere loro una domanda.
Il dottor Albini ha fatto riferimento al fatto che la maggior parte degli incidenti sul lavoro avviene per i comportamenti dei lavoratori; vorrei però che al riguardo fornisse un dato preciso, perché, detta in questo modo, la sua è una affermazione che cade nel vuoto e lascia basiti. Se invece foste nella condizione di offrirci un dato preciso, ciò contribuirebbe a fare chiarezza considerato che la sua affermazione è molto pesante, dato che secondo la stessa sarebbero i lavoratori a farsi male da soli, pur avendo a disposizione la formazione e i mezzi atti a scongiurare che ciò accada. Ne consegue che o il dato è preciso, ed allora su quella base impostiamo il lavoro in maniera opportuna, diversamente, c'è qualcosa che non quadra.
Vorrei poi intervenire su un'altra affermazione che mi ha lasciata veramente basita. Sono ormai 40 anni, a partire dagli anni Settanta e soprattutto in Piemonte, che cittadini e lavoratori si sono mobilitati per il problema dell'amianto, per avere giustizia, atteso che già allora veniva riconosciuto l'amianto come una sorta di serial killer per chi era direttamente o indirettamente esposto ad esso. Dopo oltre 20 anni di processi civili e penali, il 27 marzo 1992 è stata finalmente approvata la legge n. 257, recante norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto, che prevedeva il divieto di estrazione, lavorazione, utilizzo e commercializzazione. Fatte queste premesse, venire a dire che fino all'inizio degli anni Novanta si è stati incentivati a utilizzare l'amianto significa avere perso di vista un pezzo della storia di questo Paese e, quindi, di quei sindacati e soprattutto di quei lavoratori e di quelle famiglie che, avendoci rimesso la pelle, hanno portato all'attenzione questo problema, tanto che al riguardo in Commissione lavoro è stato istituito un comitato ristretto e sono stati presentati dei disegni di legge molto precisi rispetto ai quali abbiamo l'intenzione di procedere. Non si tratta di andare a cercare a ogni costo il colpevole, perché ciò che ci preme di più è la messa in sicurezza dei siti attraverso le bonifiche e, soprattutto, intervenire in favore dei lavoratori e delle famiglie che hanno pagato con la vita (e all'interno di certe famiglie con la vita di più persone) per l'esposizione indiretta o diretta all'amianto. Tuttavia, nel momento in cui vengono accertate cause e responsabilità penali da parte di chi non ha adempiuto a quanto gli competeva, queste devono essere perseguite e lo Stato ha sicuramente il dovere, anche attraverso di noi, di portare all'attenzione questo aspetto.
L'amianto o asbesto e tutte le malattie ad esso correlate sono considerate una sorta di serial killer; perché per questo fattore muoiono più persone che per altri incidenti, quindi direi che almeno al riguardo dovremmo metterci d'accordo. Non si può affermare che fino ai primi anni Novanta lo Stato ha spinto per l'utilizzo dell'amianto per poi fermarsi, dal momento che ci sono stati 40 anni di lotte di sindacati, lavoratori e famiglie, che hanno portato al varo di una legge, all'inizio degli anni Novanta, che vieta l'utilizzo dell'amianto. Se ora siamo in queste condizioni, forse non lo dobbiamo a un solo colpevole, certamente però la responsabilità non è dei lavoratori, perché lo Stato, le aziende e chi doveva intervenire non lo hanno fatto.

FUCKSIA
Signora Presidente, mi scuso, ma mi viene da rispondere che se qualcuno, invece di fare sponsorizzazione mediatica, facesse i processi con capi d'imputazione giusti, cioè invece di scegliere la fattispecie del disastro innominato (reato già caduto in prescrizione), avesse optato per l'omicidio colposo, magari ci sarebbe stata più soddisfazione. Dico questo per sottolineare la strumentalizzazione che si fa di queste vicende. Penso invece di interpretare l'osservazione degli auditi in ordine al fatto che oggi, non essendovi più la lavorazione dell'amianto (a parte delle eccezioni), di fatto il rischio è limitato soltanto alla bonifica, quindi quello che ci portiamo dietro è un residuo del passato, perché per legge dal 1992 nessuno lavora e o commercializza più l'amianto.
Non condivido anch'io quanto è stato detto a proposito delle colpe del lavoratore, perché oggi siamo passati dalla colpa dell'individuo a quella dell'organizzazione e del sistema. Noi, diversamente dal resto dell'Europa, ci siamo mossi sempre in un'ottica che tutela anche il possibile errore, in modo da abbattere il rischio, quindi l'incidente e pertanto di ridurre sia la magnitudo che la possibilità di intervento.
Comprendo che il tema è complesso e che il tentativo è quindi quello di una diffusione della cultura della prevenzione, posto che se investiamo sulla formazione e motiviamo in tal senso il lavoratore, di fatto abbattiamo il rischio alla fonte e penso che nessuno voglia aumentare il numero di infortuni e di morti e che tutti abbiamo interesse a che le cose vadano bene.
Ciò detto, vorrei porre una domanda che si inserisce nell'ambito della revisione del Titolo V. A voi capita di avere aziende che svolgono attività produttive in Regioni diverse, inoltre credo vi troviate anche nella necessità di trattare con multinazionali che fanno riferimento ad una normativa completamente diversa dalla nostra, quindi, immagino che quando vi interfacciate con i fornitori dobbiate affrontare questa difficoltà in mancanza di un linguaggio comune.
Nel merito vi chiedo quindi che cosa a vostro avviso sarebbe opportuno fare, stante l'importanza di interfacciarsi parlando lo stesso linguaggio comune, per elevare il livello delle tutele vigenti all'estero, anche perché più aumentiamo le tutele all'estero, più ci livelliamo e meno subiamo la concorrenza che ad oggi è sleale.

BAROZZINO
Signora Presidente, sarò brevissimo perché i due punti che volevo toccare sono stati affrontati dalla senatrice D'Adda che mi ha preceduto. Aggiungo però un'osservazione che mi sta molto a cuore perché ritengo sia stato detto qualcosa di offensivo nei confronti dei lavoratori. A mio avviso chi non vuole fare sicurezza, chi pensa che il costo della sicurezza costituisca un aggravio insostenibile per un'azienda, sostiene una tesi che non rappresenta la realtà; infatti, io che ho fatto l'operaio per tanto tempo trovo veramente offensivo sentir dire che, quando un lavoratore si fa male, nella maggior parte dei casi la colpa è sua.
Forse è opportuno fare una vera ricerca per valutare se gli organi aziendali preposti siano in grado di fare la formazione necessaria a garantire la sicurezza dei lavoratori. Ritengo infatti che questo tema, che più volte mi è capitato di sollevare, sia molto importante, proprio per far sì che la sicurezza non sia vista come un problema, ma come una ricchezza per le aziende, perché il primo soggetto a trarne beneficio è per l'appunto l'azienda.

PAGLINI
Signora Presidente, desidero innanzitutto ringraziare gli auditi. Anche io sono stata anticipata dagli interventi dei colleghi in relazione a due punti, che tengo comunque a precisare. In primo luogo mi dispiace che si sostenga - come abbiamo sentito invece fare - che l'approccio più responsabile per quanto riguarda l'amianto non è quello di accanirsi nella ricerca del colpevole (queste sono state le esatte parole) o di trovare una soluzione nelle aule dei tribunali. Credo che proprio a fronte dei dati e delle problematiche che tutti ben conosciamo in materia di amianto, forse sarebbe stato meglio evitare quest'affermazione
Vorrei anche aggiungere qualche considerazione a proposito di quando affermato dal dottor Albini, secondo il quale gli infortuni spesso dipenderebbero dai comportamenti dei lavoratori.
Al riguardo ho stabilito una relazione veloce: visto che il jobs act che sta portando avanti il Governo si avvale anche di suggerimenti di Confindustria, mi chiedo quale sia il nesso con il controllo a distanza tanto voluto in questa delega. Non vorrei quindi arrivare al punto in cui se la telecamera accerta che un lavoratore che ha inciampato ha la stringa slacciata allora di necessità la colpa è sua; né vorrei che in futuro si creassero dei distinguo tra il lavoratore che viene colto a slacciarsi una stringa e quello a cui cade un motore in testa. Sarebbe aberrante arrivare a una tale discriminazione!

FASIOLO
Mi corre l'obbligo di fare riferimento al caso amianto dei cantieri di Monfalcone, che è sulle pagine dei quotidiani di questa settimana posto che si è in attesa del deposito del disposto delle motivazioni della sentenza presso il tribunale di Gorizia, processo che rischia la prescrizione. Dal 15 ottobre 2013 si attende che venga depositata la sentenza per la condanna di 13 imputati di lesioni colpose nei confronti di 87 lavoratori deceduti. Quello che ci preoccupa di più è che cosa succederà entro il 2020, anno entro il quale è previsto il picco più alto di morti per amianto. Ci interessa senz'altro svolgere un lavoro di prevenzione, sensibilizzazione e di risarcimento delle vittime, ma è assolutamente importante anche l'individuazione del colpevole affinché quanto verificatosi non accada mai più.

COLLINA
Faccio una considerazione incidentale. Se quanto stiamo facendo, ad esempio l'approvazione del jobs act, raccoglie il favore di chi rappresenta circa il 90 per cento delle imprese italiane vuol dire che stiamo facendo qualcosa che ha senso.
Mi soffermo su un'altra questione facendo una brevissima considerazione sul tema della semplificazione e sburocratizzazione. È innegabile che nel tempo le tematiche che si affrontano in termini di sicurezza piuttosto che di tutela dell'ambiente stiano diventando più complesse. La sensibilità odierna al riguardo è molto maggiore di quella di 30 o 40 anni fa. Gestire una maggiore complessità significa avere attenzione per un numero molto maggiore di indicatori e di valori. La realtà, ripeto, si sta rendendo più complessa. A questo non dovrebbe però corrispondere una maggiore complessità nella gestione. Con ciò intendo dire che le norme rispondono alla complessità che aumenta e che poi c'è una gestione che deve essere espletata dalle aziende e dalle amministrazioni per affrontare queste problematiche. Un conto è normare i criteri da tenere in considerazione, un altro è il carico di burocrazia cui si è chiamati per affrontare queste problematiche. Non vorrei che ci fosse una confusione tra la semplificazione e la sburocratizzazione o sul significato che vogliamo dare a queste due azioni.

ALBINI
Quando dico che gli infortuni accadono in conseguenza dei comportamenti delle persone, segnalo un dato facilmente riscontrabile in tutte le rilevazioni dell'INAIL o dell'ISTAT, in base alle quali l'80 per cento degli infortuni che si verificano sono conseguenza di comportamenti. Questo non vuol dire che c'è una colpa, ma che c'è un comportamento ad esito del quale accade un infortunio. E, infatti, coloro che lavorano oggi sull'aspetto dell'antinfortunistica in azienda si occupano dei comportamenti. Per questo ho sottolineato che occorre investire sulla formazione. Affermare che ci si fa male perché si attua un certo comportamento può non voler dire che sono o non sono colpevole, ma che tutto dipende dal fatto che mi abbiano o meno riferito che quella cosa non si doveva fare, oppure che me l'abbiano o meno spiegata correttamente, o, ancora dalla circostanza per la quale io ho fatto delle cose e un altro ne ha fatte altre. Alla fine parlare di comportamenti - torno a ribadire che l'80 per cento degli infortuni è attribuibile a comportamenti - non vuol dire parlare di colpevolezza o di responsabilità, cosa che del resto io non ho fatto.
Faccio una seconda precisazione: la legge che vieta la produzione e l'utilizzo dell'amianto è del 1992; fino a quella data anche negli appalti pubblici tale utilizzo era imposto. Capisco, e l'ho detto in premessa, che quando si discute di certe problematiche, essendoci questioni pendenti davanti alla giustizia e persone che hanno sofferto in conseguenza dell'amianto, si vada a toccare un tema particolarmente delicato, ciò detto, non credo però di aver affermato che Confindustria abbia un atteggiamento pregiudizialmente contrario alla individuazione di coloro che dopo una certa data si sono resi responsabili di condotte penalmente rilevanti.
Segnalo però che, dal momento che sulla base della letteratura scientifica, i periodi di incubazione di questi fenomeni sono mediamente intorno ai 40 anni, in tal senso si rende allora necessaria una riflessione. Dopodiché, se avrete la bontà di leggere il documento, potrete riscontrare che noi indichiamo una soluzione proprio di questo tipo, perché prima del 1992 immagino non si conoscesse la pericolosità di certe situazioni o anche nel caso si fosse consapevoli della stessa la legge non vietava l'uso di amianto, ma lo imponeva. A questo punto, quindi, il tema è rimediare - laddove possibile - ai danni prodotti nell'ambiente e nelle persone. Noi infatti proponiamo questo tipo di responsabilità sociale. Con ciò non intendo asserire che chi si è reso responsabile di fatti penali non debba essere penalmente perseguito - nel merito valgono le considerazioni che ho sentito fare e che condivido totalmente - tengo però a sottolineare che si tratta di due profili diversi. La giustizia penale deve quindi fare il suo corso, ma noi ci stiamo rivolgendo ad una Commissione parlamentare che credo si debba porre a 360 gradi rispetto a questi temi e francamente, come Confindustria, ho ritenuto di esprimere questo tipo di richiesta. Questo è un problema che va affrontato e perciò noi proponiamo l'istituzione di fondi.
Il tema della formazione è fondamentale. C'è un problema anche di questa natura in relazione alla riforma del Titolo V e le multinazionali fanno fatica a capirlo.
Infine, consentitemi due battute chiarissime riportate nel documento che abbiamo lasciato agli atti. Mi scuso perché forse la sintesi che ne ho fatta ha provocato questo risveglio di emotività forse esagerata. Leggendo tuttavia tale documento si comprenderà che anche noi distinguiamo, dal momento che anche noi riteniamo che la complessità debba portare a una definizione di strumenti normativi e regolamentari corretti in ragione della garanzia sostanziale dei problemi e non dell'aspetto formale. Nel documento si cita un caso che ci è stato segnalato, quello di una Regione che regola il peso della carta sulla quale devono essere scritte le certificazioni, ebbene francamente forse questo è eccessivo.
Infine vorrei fare un'ultima battuta sul jobs act. So che una parte della letteratura ritiene che in qualche modo il Governo, nello scrivere alcune parti di questo provvedimento, si sia ispirato o guardi con interesse a documenti o posizioni di Confindustria; questo non lo so, quello che però posso dire è che in quella legge ci sono molte cose che ci piacciono e molte altre che ci piacciono molto meno, ma questo non ha niente a che vedere con il controllo a distanza dei lavoratori.
Peraltro, credo che Confindustria non abbia mai fatto una richiesta in questo senso, neanche nel 1992, quindi si tratta di due temi differenti.

(Commenti della senatrice Fucksia).

PRESIDENTE
Ringrazio nuovamente i nostri ospiti e dichiaro concluse le audizioni all'ordine del giorno.


Testi non rivisti dagli oratori.
Fonte: senato.it