Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. Lav., 30 aprile 2015, n. 8782 - Mobbing e difetto di allegazioni


 


Presidente: LAMORGESE ANTONIO Relatore: DORONZO ADRIANA Data pubblicazione: 30/04/2015

 

Fatto


1. T.B., dipendente della Banca Santi Pietro e Paolo di credito cooperativo con la qualifica di funzionario di primo grado (FI), successivamente passato alle dipendenze della Banca di credito cooperativo di Roma, a seguito della cessione, da parte della prima alla seconda, delle attività e passività, nonché del rapporto di lavoro di alcuni dipendenti, tra cui lo stesso ricorrente, conveniva in giudizio la Banca di credito cooperativo di Roma (di seguito, solo Banca), chiedendo che fosse dichiarata l'illegittimità del suo trasferimento presso l'agenzia di Castel di Sangro; che fosse accertata la condotta demansionante e mobbizzante posta in essere dalla Banca nei suoi confronti, con la condanna della stessa al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali cagionati; che fosse altresì accertata l'illegittimità della riduzione del trattamento retributivo disposto dalla Banca partire dal 1/11/1999.
1.2. Il Tribunale di Roma, con sentenza del 27/4/2004, accoglieva parzialmente la domanda; condannava la Banca al pagamento, in favore del ricorrente, della speciale indennità prevista dall'art. 30 del C.C.N.L. del Personale direttivo delle banche di credito cooperativo fino al 13/12/1999; dichiarava l'illegittimità dello ius variarteli in ordine alle mansioni attribuite al ricorrente a far tempo dal 27/3/2000 e condannava la Banca a risarcirgli il danno; condannava altresì la convenuta al pagamento, in favore del suddetto, del trattamento retributivo come previsto dagli artt. 67 e 68 del C.C.N.L.; dichiarava l'illegittimità della sanzione disciplinare irrogata al ricorrente in data 22/11/2000 e condannava la Banca alla restituzione della somma trattenuta a tale titolo. La sentenza veniva appellata da entrambe le parti.
2. Nelle more del giudizio d'appello, il ricorrente proponeva altro ricorso con cui chiedeva che fosse dichiarata l'illegittimità di un nuovo trasferimento disposto dalla Banca dalla sede di Castel di Sangro a quella di Avezzano; che la Banca fosse condannata a riconoscergli il trattamento economico relativo al trasferimento da Roma a Castel di Sangro ex art. 61 C.C.N.L. per il periodo successivo a quello già riconosciuto dalla sentenza del Tribunale del 27/4/2004, nonché gli ulteriori rimborsi ed emolumenti conseguenti al nuovo trasferimento; che fosse accertato il demansionamento proseguito anche nel periodo successivo alla sentenza del Tribunale, con la condanna della società a reintegrarlo nel posto di lavoro in precedenza occupato (Roma), ad assegnargli mansioni riconducibili alla qualifica di funzionario (FI), a risarcirgli il danno subito per effetto del demansionamento, nonché a corrispondergli l'intero trattamento retributivo relativamente al periodo successivo a quello dedotto nel giudizio conclusosi con la sentenza del Tribunale di Roma; chiedeva altresì la condanna della Banca al risarcimento del danno conseguente al mobbing.
Questo secondo giudizio si concludeva con la sentenza del Tribunale di Roma del 28/11/2006 che accoglieva le domande del ricorrente, limitatamente alla condanna della società al pagamento degli emolumenti (quantificati in € 7164,07) previsti dal C.C.N.L. per il trasferimento ad altra sede. Riteneva assorbita la domanda riconvenzionale proposta dalla Banca.
2.1. Anche questa sentenza veniva appellata da entrambe le parti.
La Corte d'appello di Roma, riuniti gli appelli principali e, decidendo anche su quelli incidentali, con sentenza depositata in data 28 aprile 2011, riconosceva il diritto del T.B. alla speciale indennità di cui all'art. 30 C.C.N.L. fino al 13/12/1999; dichiarava il diritto del ricorrente al trattamento retributivo di cui agli artt. 67 e 68 C.C.N.L.; condannava la Banca al pagamento della somma di € 7164,07 a titolo di emolumenti per il trasferimento ad altra sede; dichiarava l'illegittimità del trasferimento presso la sede di Castel di Sangro, nonché del successivo trasferimento ad Avezzano; ordinava alla Banca di reintegrare il lavoratore nel precedente posto di lavoro presso gli uffici di Roma; riconosceva l'avvenuto demansionamento del ricorrente e, a titolo di risarcimento del danno biologico pari al 9% conseguente alla condotta inadempiente della datrice di lavoro, condannava quest'ultima al pagamento di € 12.494,52. Rigettava ogni altra domanda proposta delle parti e compensava per un terzo le spese di lite, ponendo i restanti due terzi a carico della Banca.
3. Contro la sentenza, il T.B. propone ricorso per cassazione sostenuto da otto motivi, cui resiste con controricorso la Banca, la quale, a sua volta, propone ricorso incidentale fondato su cinque motivi. Entrambe le parti depositano memorie ex art. 378 c.p.c.

Diritto

I ricorsi devono essere riuniti, ai sensi dell'art. 335 c.p.c, essendo stati proposti contro la medesima sentenza.
1. Con il primo motivo il T.B. denuncia la falsa applicazione dell'art. 30 del C.C.N.L. 5/6/1992, la violazione e/o falsa applicazione degli art. 1362, 1363 e 1366 cc, nonché dell'art. 2103 cc, in ordine al diritto a percepire l'indennità speciale. Assume che tale diritto trovava la sua fonte nel contratto individuale di lavoro, stipulato in data 29/9/1997, e non era subordinato allo svolgimento di specifiche mansioni, come quella di vice direttore, mai di fatto assegnategli.
1.1. Il motivo non può essere accolto.
1.2. Esso infatti è inammissibile nella parte in cui viola i principi ripetutamente affermati da questa Corte, secondo cui ove, in sede di legittimità, si denunci il difetto di motivazione sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, la parte ha l'onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare (e, quindi, delle prove stesse) che, per il principio dell'autosufficienza del ricorso per cassazione, la Suprema Corte deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell'atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (ex plurimis, Cass., 30 luglio 2010, n. 17915). Accanto a questo onere è necessario che il ricorrente indichi l'esatta allocazione del documento (o dell'atto) della cui erronea valutazione si duole nel fascicolo d'ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità (Cass., 6 novembre 2012, n. 19157; Cass., 23 marzo 2010, n. 6937; Cass. civ. 12 giugno 2008, n. 15808; Cass. civ. 25 maggio 2007, n. 12239).
1.2.1. Tale specifica indicazione difetta nel caso di specie, in cui il ricorrente pone a fondamento del suo assunto, circa l'asserita erronea interpretazione da parte del giudice del merito del contatto individuale di lavoro, una lettera denominata "impegno di assunzione" del 25/7/1997, senza peraltro specificare dove e quando tale lettera, di cui non vi è cenno nella sentenza impugnata, sarebbe stata prodotta nelle precedenti fasi di merito e dove sarebbe attualmente rinvenibile nel presente giudizio, al fine di verificare la tempestività e quindi l'ammissibilità della sua produzione.
1.2.2. Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione non è rispettato anche con riferimento alle dichiarazioni attribuite al teste Falcone, poste pure a base del motivo in esame, di cui la parte omette di indicare gli elementi per il suo rinvenimento questa sede. Al riguardo, deve rammentarsi che le Sezioni unite di questa Corte hanno precisato che l'onere di produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, "gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda" è soddisfatto, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, mediante la produzione dello stesso, e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d'ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione, presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto ai sensi dell'art. 369 c.p.c, comma 3, ferma restando, in ogni caso, l'esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366 c.p.c, n. 6, del contenuto degli atti e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché dei dati necessari al loro reperimento (Cass., Sez. Un., 3 novembre 2011,n. 22726).
1.3. Il motivo è in ogni caso infondato, poiché la premessa di fatto da cui muove, ovvero il non aver mai svolto le mansioni di vicedirettore, è smentita dall'accertamento compiuto dal giudice di prime cure e condiviso dalla Corte territoriale, che ha attribuito valore alla deposizione del teste Gandolfo, il quale ha riferito che, all'indomani della cessione e fino al 31/12/1999, epoca del conferimento al T.B. del successivo incarico presso la direzione affari, questi aveva continuato a svolgere i compiti di vice direttore di sede.
1.4. Correttamente, pertanto, la Corte ha ritenuto che l'indennità prevista dall'art. 30 C.C.N.L. - che, sotto la rubrica "Speciale indennità" così prevede: "Ai direttori, ai vicedirettori, con il ruolo di cui all'art. 23 ed ai preposti a Dipendenze, di cui all'art. 19, compete inoltre una speciale indennità nella misura prevista dalla tabella A allegata al presente contratto - in quanto trattamento aggiuntivo legato all'espletamento di determinate mansioni, non necessariamente connaturate all'inquadramento del dipendente come funzionario di prima categoria, non spettasse più al ricorrente una volta venuta meno la sua responsabilità nella vicedirezione o, comunque, cessato l'incarico di sovrintendente di determinati settori.
2. Con il secondo motivo il T.B. denuncia la violazione degli artt. 1362, 1363 e 1366 ce, dell'art. 2103 cc. in relazione alla voce retributiva "anzianità convenzionale", nonché dell'art. 13 del C.C.N.L. 5/6/1992. In particolare, censura la decisione impugnata nella parte in cui ha escluso il suo diritto alla voce retributiva "anzianità convenzionale", pure prevista nel contratto individuale di lavoro, ritenendo che la stessa trovasse la sua disciplina nell'art. 13 del C.C.N.L., con effetto "ai soli fini del trattamento per malattia e infortuni", così dando rilievo esclusivo al nomen juris indicato nel contratto e non invece alla volontà delle parti che, con la detta voce, avevano inteso riservare al dipendente un trattamento economico più favorevole, per compensare sia la pregressa anzianità di servizio presso la banca di provenienza sia gli scatti di anzianità maturati e perduti a seguito della cessazione del rapporto con quest'ultima.
2.1. Il motivo è fondato. Sul punto, la Corte ha confermato il giudizio di primo grado circa l'assoluta carenza di allegazioni in ordine ai presupposti sui quali si fonderebbe il diritto al riconoscimento dell'anzianità convenzionale, ed ha sostanzialmente aderito alla tesi difensiva della convenuta, secondo cui l'anzianità convenzionale, ai sensi dell'art. 13 del C.C.N.L. di categoria, ha effetto ai soli fini del trattamento per malattia e infortunio.
2.2. Tuttavia, nel pervenire a tale affermazione, i giudici del merito trascurano di considerare ed interpretare il contenuto del contratto individuale di lavoro -integralmente trascritto nel presente ricorso e ad esso allegato, in ossequio al principio di autosufficienza -, da cui emerge il riconoscimento al ricorrente, a titolo di anzianità convenzionale, di una determinata somma (L. 16.254.187). Siffatta quantificazione mal si concilia con il contenuto dell'art. 13 del C.C.N.L., il quale sotto la rubrica "Anzianità convenzionali" si limita ad individuare i criteri per determinare periodi di anzianità di servizio non corrispondenti ad effettivi periodi di lavoro, ma meramente virtuali [ "a) tre anni a chi abbia conseguito o consegua dopo l'assunzione ... una o più lauree;... b) il 50% del periodo trascorso qualche combattente in reparti impiegati in zone di operazioni...; c) un anno ai decorati al valore militare o civile ....; d) il 100% del tempo trascorso prestando servizio nell'ambito di organismi destinatari del presente contratto di categoria; e) il 50% del tempo trascorso prestando servizio presso aziende di credito...], validi ai soli fini dei trattamenti di malattia ed infortuni ( "ai soli effetti del trattamento per malattie ed infortuni", così l'art. 13), senza prevedere un'esatta quantificazione economica della prestazione o criteri per la sua determinabilità.
2.3. A fronte di questo dato, che omette del tutto di considerare, la Corte territoriale non indica (né è dato di desumerlo dal contesto motivazionale) quale criterio di ermeneutica contrattuale abbia utilizzato e privilegiato per pervenire ad una lettura del contratto individuale di lavoro nel senso anzidetto e, quindi, al rigetto della pretesa del ricorrente. La sua motivazione si presenta così inadeguata, tanto da non consentire la ricostruzione dell'iter logico seguito per giungere ad attribuire all'atto negoziale quel determinato contenuto, e ciò la rende censurabile in sede di legittimità (Cass., 20 gennaio 2003, n. 732; Cass., 2 marzo 2004, n. 4261; Cass., 7 luglio 2004, n. 12468).
3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia l'insufficiente e contraddittoria motivazione sulla domanda di risarcimento del danno derivante dall'illegittimità del duplice trasferimento. In particolare lamenta che la Corte, pur avendo ritenuto illegittimi i trasferimenti, non gli avrebbe riconosciuto il diritto al risarcimento del danno, da quantificarsi in misura equitativa e, comunque, non inferiore ai canoni ed alle spese accessorie sostenute per effetto degli illegittimi trasferimenti dalla data del 1/1/2001 fino all'effettiva reintegra, avvenuta con decorrenza dal 21/3/2011.
3.1. Il motivo, - a sostegno del quale il ricorrente sembra sovrapporre due questioni, una inerente al risarcimento del danno per la ritenuta illegittimità del trasferimento, in quanto avrebbe comportato una sua "emarginazione decennale dal contesto familiare, sociale e lavorativo della città di Roma", e l'altra inerente, sempre a titolo risarcitorio, al danno emergente costituito dalle spese sostenute, e in particolare dai canoni di locazione e dalle spese accessorie, dalla data dell'illegittimo trasferimento a Castel di Sangro (1/1/2001), fino all'effettiva reintegra (21/3/2011), - è inammissibile.
3.2. È inammissibile sotto il profilo del danno alla persona conseguente alla dedotta "emarginazione decennale". Si tratta invero di questione di cui non v'è cenno nella sentenza impugnata e che pertanto difetta di autosufficienza, essendo onere della parte ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l'avvenuta sua deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, le ragioni del rigetto o del suo mancato integrale accoglimento da parte del giudice di merito e i motivi di doglianza proposti al giudice d'appello, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass., 18 ottobre 2013, n. 23675).
3.3. Deve peraltro aggiungersi, per completezza di motivazione, che con riferimento alle ritenute illegittimità dei due trasferimenti, la Corte romana ha escluso il diritto al risarcimento del danno, collegato al demansionamento e alla perdita della professionalità - non già al mero fatto del trasferimento - , ritenendo che sotto tale profilo il ricorso introduttivo del giudizio fosse affetto da carenza di adeguate allegazioni, laddove la lesione all'integrità psicofisica era stata già riconosciuta in termini di danno biologico, pari al 9%, ed il relativo danno liquidato.
3.4. Tali argomentazioni, che appaiono coerenti ed esaustive, sono in linea con i principi affermati da questa Corte secondo cui, in caso di licenziamento illegittimo, il lavoratore, per conseguire oltre alla reintegrazione nella sede di provenienza, anche una condanna sul piano economico del datore di lavoro, deve dimostrare di aver subito un danno, patrimoniale o non patrimoniale, a causa del trasferimento illegittimo (v. Cass., 26 marzo 2010, n. 7350), non potendo ritenersi che esso sia in re ipsa, come invece erroneamente assume il ricorrente.
3.3. Quanto all'ulteriore aspetto della censura, relativo agli esborsi sostenuti per canoni e oneri accessori, anch'esso è inammissibile sia con riferimento al segmento del rapporto che va dall'1/1/2001 fino al trasferimento al 31/12/2003 (ovvero per il periodo successivo a quello già riconosciuto dalla sentenza del Tribunale di Roma n. 8245/2004), sia con riferimento al periodo successivo (ovvero dal trasferimento da Castel di Sandro ad Avezzano fino alla reintegrazione presso la sede di Roma), per le stesse carenze di autosufficienza su rilevate, non essendovi cenno della questione nella sentenza gravata. Per il vero, la Corte territoriale, e prima ancora il Tribunale, si sono sì occupate della domanda di rimborso delle spese sostenute, ivi compresi i canoni di locazione e le spese accessorie, ma solo sotto il profilo, affatto diverso, della domanda di pagamento fondata sulle previsioni della contrattazione collettiva, non già a titolo risarcitorio, e l'hanno (parzialmente) rigettata con decisione che, a luce di quanto in seguito si dirà con riferimento al sesto motivo di ricorso, non merita alcuna censura.
4. Con il quarto motivo il T.B. censura la sentenza per violazione e falsa applicazione dei principi giurisprudenziali in tema di risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale da demansionamento. Lamenta che erroneamente la Corte territoriale avrebbe riconosciuto solo il danno biologico, non anche il danno non patrimoniale da demansionamento, per la ritenuta carenza di allegazioni. Le allegazioni vi erano e potevano trarsi dalla lettura di entrambi i ricorsi, nonché degli atti di gravame.
4.1. Il motivo non può essere accolto. Esso è infatti tutto incentrato sulla ricostruzione dell'attività professionale svolta dal ricorrente, sulle mansioni dequalificanti a lui assegnate (e tali ritenute dai giudici del merito) senza tuttavia che si rilevino allegazioni dirette a dimostrare in che cosa sia consistito il danno all'immagine, alla professionalità, nonché alla vita di relazione che il ricorrente assume di aver patito in conseguenza della condotta illegittima della datrice di lavoro.
4.2. La giurisprudenza di questa Corte, a partire da Sezioni Unite 24 marzo 2006, n. 6572, afferma infatti che "In tema dì demansionamento e di dequalifìcazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che asseritamente ne deriva -non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale -non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo; mentre il risarcimento del danno biologico è subordinato all'esistenza di una lesione dell'integrità psico-fisica medicalmente accertabile, il danno esistenziale - da intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare areddittuale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all'espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno - va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall'ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni, per cui dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti (caratteristiche, durata, gravità, conoscibilità all'interno ed all'esterno del luogo di lavoro dell'operata dequalifìcazione, frustrazione di precisate e ragionevoli aspettative di progressione professionale, eventuali reazioni poste in essere nei confronti del datore comprovanti l'avvenuta lesione dell'interesse relazionale, effetti negativi dispiegati nelle abitudini di vita del soggetto) - il cui artificioso isolamento si risolverebbe in una lacuna del procedimento logico - si possa, attraverso un prudente apprezzamento, coerentemente risalire al fatto ignoto, ossia all'esistenza del danno, facendo ricorso, ai sensi dell'art. 115 cod. proc. civ., a quelle nozioni generali derivanti dall'esperienza, delle quali ci si serve nel ragionamento presuntivo e nella valutazione delle prove (v. explurimis, Cass., 17 settembre 2010, n.19785; Cass., 30 settembre 2009, n. 20980; Cass., 19 dicembre 2008, n. 29832).
4.3. Da tali principi la Corte territoriale non si è discostata, laddove con le sue censure il ricorrente ripropone la questione di un danno ex se, sul presupposto che il demansionamento mobbizzante, accompagnato da duplice trasferimento geografico "non possono non aver prodotto effetti negativi..." così palesando un'inammissibile sovrapposizione tra il danno- evento e il danno-conseguenza. Né è possibile confondere il danno biologico, che è stato riconosciuto e liquidato dal giudice del merito senza che sul punto siano state sollevate censure di sorta, con altre categorie di danno, come la perdita di professionalità o di chance o il danno esistenziale.
4.4. Diverso è il problema della liquidazione equitativa, la quale tuttavia suppone, per regola generale, che siano forniti gli elementi di prova idonei a comprovare la sussistenza del danno (v. Cass., 6 dicembre 2005, n. 26666; Cass., 19 dicembre 2008, n. 29832; Cass., 17 settembre 2010, n. 19785; Cass., 19 marzo 2013, n. 6797). Nel caso di specie, la Corte territoriale ha motivato adeguatamente le ragioni del rigetto, in considerazione del difetto di allegazioni sulla natura e le caratteristiche del pregiudizio subito dal ricorrente, sicché non vi è spazio per alcuna liquidazione, neppure in via equitativa.
5. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia l'insufficienza e contraddittorietà della motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, costituito dal mobbing e dal danno conseguente.
5.1. La Corte territoriale ha anche in tal caso adeguatamente motivato le ragioni del rigetto della domanda riguardante il mobbing. In particolare, ha affermato che il ricorrente non ha offerto adeguate allegazioni in ordine alla sussistenza di un complesso sistematico di condotte legate da intento persecutorio nei suoi confronti. Al contrario, dalla prova orale era emerso un atteggiamento collaborativo e non pregiudizialmente ostile nei confronti del dipendente, concretatosi nella ricerca di soluzioni alternative e concordate, prima di procedere al trasferimento del lavoratore presso la sede di Castel di Sangro. Quanto alle fotografie prodotte in giudizio, esse non erano rivelatrice della collocazione del T.B. in ambienti indecorosi e inadeguati, mentre nessun rilievo e comunque nessun riscontro avevano trovato le affermazioni rese dal ricorrente in sede di libero interrogatorio. Il giudizio della Corte è completo ed esaustivo e non si ravvisa in esso alcuna contraddittorietà.
6. Con il sesto motivo il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell'art. 61 del C.C.N.L. 7/12/2000 in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c. e censura la sentenza nella parte in cui, nonostante la copiosa documentazione allegata e la corrispondenza intercorsa tra le parti, la Corte non avrebbe riconosciuto integralmente gli emolumenti previsti dall'art. 61 del C.C .N.L.

6.1. Anche questo motivo è infondato. Sul punto, la Corte territoriale ha condiviso il ragionamento del primo giudice che ha escluso, per difetto di prova, la domanda di rimborso delle spese di viaggio, trasporto e quelle di perdita di pigione previsto dall'art. 61 C.C.N.L. citato, alle lettere a), b) e e). Ha invece riconosciuto la diaria di cui alla lettera d) dell'art, citato, nonché il diritto una tantum nel minimo previsto, in assenza di prova dell'esistenza di familiari indicati nella clausola. Quanto alle altre voci richieste, ne ha escluso il diritto alla ripetizione in considerazione della tardività della documentazione prodotta dal ricorrente in corso di causa. Ha tuttavia aggiunto che, circa la pretesa di ripetizione del canone di locazione, non era stata censurata l'affermazione del primo giudice secondo cui era necessario che il dipendente indicasse le caratteristiche del nuovo alloggio rispetto a quello precedente: tale affermazione è del tutto rispettosa del disposto dell'art. 61, di cui pertanto non sussiste la dedotta violazione. Appare poi generica l'asserzione del ricorrente secondo cui "l'acquisizione da parte della Banca del nuovo contratto di locazione" avrebbe consentito di desumere le caratteristiche del nuovo alloggio, in mancanza di una qualsivoglia precisazione, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, circa il tempo e il luogo della produzione del nuovo contratto di locazione nelle pregresse fasi di merito, specificazione necessaria a fronte della pronuncia di inammissibilità per tardività della produzione documentale affermata dai giudici del merito. Quanto alle spese accessorie di cui al C.C.N.L., la sentenza ha affermato che esse erano solo quelle connesse al canone di locazione di cui all'art. 61, comma 9°, C.C.N.L., non apparendo sorretta dal tenore del testo della norma citata la pretesa di rimborso delle spese per consumo di acqua, nettezza urbana ecc., considerato altresì che si trattava di consumi attinenti alle normali esigenze e non connessi con gli oneri propri del trasferimento. Si è in presenza di affermazioni tutte pertinenti, coerenti ed esaustive, rispetto alle quali le censure non fanno altro che riproporre quanto già confutato con motivazione compiuta e priva di errori logici o di diritto dalla Corte territoriale.
7. Con il settimo motivo il ricorrente denuncia la "violazione e/o falsa applicazione della giurisprudenza delle Sezioni Unite in tema di inammissibilità della produzione documentale nel corso del giudizio. Violazione dell'art. 421 cpc." Ritiene che la produzione di detta documentazione (da pag. 81 a pag. 97 del ricorso per cassazione), si era resa necessaria in conseguenza dell'asserzione della Banca di non aver ricevuto la raccomandata dell'I 1/2/2004. In ogni caso erano stati sollecitati i poteri istruttori ex art. 421 c.p.c, sul cui mancato esercizio il giudice dell'appello non aveva motivato.
7.1. Il mezzo di impugnazione è inammissibile perché replica quanto già sostenuto in sede di appello e puntualmente esaminato e rigettato dalla Corte territoriale che, in merito alle sopravvenute esigenze difensive idonee a giustificare la produzione tardiva, le ha escluse, ritenendo, con un ragionamento che non è stato affatto censurato, che la domanda riconvenzionale della Banca riguardava altra questione, nient'affatto connessa con la domanda di rimborso, alla cui prova la documentazione prodotta tardivamente era finalizzata. Nella sentenza impugnata non vi è alcun riferimento ad una necessità difensiva collegata all'assunto della Banca di non aver ricevuto la raccomandata dell'11 febbraio 2004, sicché sotto tale profilo il motivo si presenta pure inammissibile per difetto di autosufficienza, non avendo indicato il ricorrente dove e quando, nelle pregresse fasi del processo, vi sarebbe stata la produzione della raccomandata suindicata e dove e quando la Banca ne avrebbe contestato la ricezione.
7.2. Quanto al mancato esercizio dei poteri istruttori ex artt. 421 e 437 c.p.c. e alla mancanza di motivazione in ordine al mancato esercizio degli stessi, la censura si palesa inammissibile per difetto di autosufficienza, alla stregua dei principi ripetutamente affermati da questa Corte, secondo cui, quando si denuncia la violazione di una norma anche processuale, il ricorrente è tenuto ad indicare gli elementi fattuali in concreto condizionanti gli ambiti di operatività di detta violazione. Siffatto onere sussiste anche allorquando il ricorrente lamenti che il giudice del gravame non abbia - pur in presenza di una sua istanza al riguardo -esercitato il suo potere-dovere istruttorio ex artt. 421 e 437 cod. proc. civ. con la conseguenza che, in tale ipotesi, il ricorrente medesimo è tenuto ad indicare le modalità e la ritualità della sua istanza istruttoria nonché ad evidenziare la tempestività della censura mossa in ordine all'inerzia o al mancato accoglimento da parte del giudice delle sue richieste (Cass., 19 aprile 2006, n. 9076). Tale onere non risulta adempiuto dal ricorrente, il quale si è limitato a richiamare la data del verbale di udienza in cui la sua richiesta sarebbe stata riportata, senza trascriverne il contenuto e senza fornire i dati necessari per il suo reperimento nei fascicoli d'ufficio o di parte prodotti in cassazione.
8. Con l'ottavo e ultimo motivo il ricorrente censura la sentenza per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1324, 1362 e 1988 cc, con riguardo alle raccomandate del 5/2/2004, dell'11/2/2004 e del 23/2/2004, intercorse tra le parti, che configurerebbero una promessa di pagamento o una ricognizione di debito relativamente agli emolumenti richiesti dal lavoratore.
Il motivo è inammissibile attese, da un lato, la genericità della censura, in difetto di specificazioni circa il canone di ermeneutica contrattuale che sarebbe stato violato dal giudice di merito, dall'altra la violazione del principio di autosufficienza del ricorso, non avendo indicato dove e quando le due raccomandate del 5/2/2004 e del 23/2/2004, di cui non vi è cenno nella sentenza impugnata, sarebbero state prodotte. Valgono peraltro le osservazione già fatte con riferimento al sesto motivo di ricorso, rimarcando la necessità di tale indicazione alla luce del giudizio di tardività della produzione documentale formulato dai giudici di merito.
9. Con il primo motivo del ricorso incidentale la Banca censura la sentenza per violazione e falsa applicazione dell'art. 2112 cc. e dell'art. 54 r.d.l. n. 375/1936, per aver configurato il trasferimento delle attività e passività dalla Banca Santi Pietro e Paolo, società in liquidazione, alla Banca di credito cooperativo come una cessione di azienda, in assenza dei presupposti previsti dalle norme citate, e in particolare in assenza di trasferimento di un'entità dotata di una propria autonomia ed identità.
9.1. Il motivo è inammissibile, perché con esso si intende rimettere in discussione un accertamento tipicamente fattuale compiuto dal giudice di merito, il quale ha ritenuto che, in relazione al tipo di impresa esercitata, all'avvenuta cessione delle attività e delle passività, del personale dipendente e della clientela, nonché del grado di analogia tra le attività esercitate, si è realizzata una vera e propria cessione di azienda rilevante sensi dell'art. 2112 ce. Non si ravvisa pertanto alcuna violazione delle norme sulle indicate, avendo la Corte territoriale correttamente sussunto la fattispecie concreta, come accertata con ragionamento che non è stato censurato sotto il profilo del vizio di motivazione, sotto la specie normativa citata.
10. Con il secondo motivo la Banca censura la sentenza per violazione e falsa applicazione dell'art. 437 c.p.c. e dell'art. 2103 cc. in relazione al trasferimento del dipendente a Castel di Sangro, sul presupposto che, sotto un primo profilo, il T.B. non avrebbe mai proposto una domanda di annullamento del detto trasferimento, ma anzi aveva chiesto in relazione ad esso l'erogazione delle competenze previste dagli artt. 67 e 68 C.C.N.L.; sotto un secondo profilo, erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto di desumere l'illegittimità del trasferimento dal demansionamento del lavoratore, operato presso la nuova sede, laddove la valutazione circa l'esistenza delle ragioni tecniche, organizzative e produttive, idonee a sorreggere il trasferimento, andava effettuata con riferimento al momento del trasferimento stesso e non già ad un momento successivo.
10.1. La censura è, sotto il primo profilo, inammissibile per difetto di autosufficienza, non avendo il ricorrente incidentale trascritto, neppure nelle parti ritenute più rilevanti, il ricorso introduttivo del giudizio dal quale dovrebbe desumersi la mancata proposizione della domanda in questione, nonché la sua memoria difensiva in grado di appello in cui avrebbe dovuto eccepire la novità della questione; la Banca non indica neppure dove detti atti sarebbero attualmente rinvenibili nel presente giudizio, e ciò in violazione delle regole imposte dagli artt. 366, comma 1, n. 6, c.p.c, e 369 comma 2, n. 4, c.p.c, che consacrano il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (Cass., Sez. Un., 3 novembre 2011, n. 22726; Cass., 6 novembre 2012, n. 19157; Cass., 23 marzo 2010, n. 6937; Cass., 12 giugno 2008, n. 15808; Cass. civ. 25 maggio 2007, n. 12239; Cass., 19 aprile 2006, n. 9076).
10.2. Sotto il secondo profilo, la censura è infondata perché attribuisce alla sentenza un'interpretazione diversa da quella che emerge dalla sua piana lettura. La Corte territoriale non ha, infatti, espresso la sua valutazione circa l'illegittimità del trasferimento sulla base del successivo demansionamento del lavoratore, bensì ha posto l'attenzione sul diverso piano dell'onere probatorio, ritenendo che la Banca non avesse provato l'esistenza delle ragioni tecniche, organizzative e produttive poste a base del trasferimento. Solo per corroborare l'affermazione di una siffatta carenza probatoria, la Corte ha posto in evidenza come le mansioni assegnate al T.B., e per le quali era stato disposto il trasferimento, in quanto sottodimensionate da un punto di vista qualitativo e quantitativo rispetto al suo profilo professionale, confermavano l'insussistenza di ragioni idonee a legittimarlo. Tale ragionamento risulta coerente e, per altro, non risulta affatto censurato sotto il profilo dell'insufficienza o della contraddittorietà della motivazione.
11. Con il terzo motivo la Banca censura la sentenza per omessa motivazione in relazione alla ritenuta illegittimità del trasferimento ad Avezzano, avendola fatta discendere in modo pressoché automatico dalla ritenuta illegittimità del trasferimento da Roma a Castel di Sangro.

11.1. Anche questo motivo è inammissibile, nella parte in cui pone a suo unico fondamento le deposizioni dei testi Omissis, trascrivendo solo per stralci le loro dichiarazioni e senza peraltro indicare dove sarebbero attualmente rinvenibili i verbali di causa in cui esse sarebbero state raccolte. Ciò in palese violazione dei principi di autosufficienza su richiamati. Va peraltro ricordato che la motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l'obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già quando, invece, vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un'inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest'ultimo, tesa all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass., sez. un. 25 ottobre 2013, n.24148).
12. Con il quarto motivo, la Banca denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 2103 cc, nella parte in cui la sentenza ha ritenuto sussistente la dequalificazione, laddove le mansioni affidate al dipendente erano conformi al suo profilo professionale e non furono espletate solo per il rifiuto opposto dallo stesso.
12.1. Al di là del profilo di inammissibilità costituito dal fatto che il mezzo d'impugnazione è posto sotto la specie della violazione di legge, in luogo del vizio motivazionale, in cui invece esso si sostanzia, valgono le considerazioni su esposte in ordine all'esaustività del ragionamento del giudice del merito, fondato su pertinenti e specifiche evidenze processuali, correttamente e coerentemente apprezzate. La censura impinge direttamente dal fatto e sollecita una sua revisione, inammissibile in questa sede.
12.2. La censura peraltro difetta di autosufficienza per le ragioni sue esposte con riguardo alle deposizioni testimoniali ed ai documenti posti a fondamento della censura medesima e che non sarebbero stati valutati o ben interpretati dal giudice del merito, dei quali tuttavia la ricorrente incidentale non riporta il contenuto, né indica la loro attuale allocazione nel giudizio di cassazione.
13. Con il quinto e ultimo motivo la Banca denuncia la violazione dell'art. 112 c.p.c. con riferimento al diritto del ricorrente al risarcimento del danno biologico, che, secondo il suo assunto, non sarebbe mai stato richiesto nel giudizio di primo grado con riferimento alla dequalificazione professionale, bensì solo con riferimento al presunto mobbing, con la conseguenza che, esclusa la sussistenza di questa condotta lesiva, il risarcimento del danno biologico avrebbe dovuto essere negato.
13.1. Anche questo motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza per le stesse ragioni su espresse con riferimento al secondo motivo del ricorso incidentale, riguardante la pretesa omessa domanda di declaratoria dell'illegittimità del primo trasferimento.
14. In definitiva, va accolto solo il secondo motivo del ricorso principale, mentre vanno rigettati tutti gli altri motivi del medesimo ricorso nonché il ricorso incidentale della Banca. In relazione alla censura accolta, la sentenza deve dunque essere cassata con rinvio al giudice del merito indicato in dispositivo, perché riesamini la questione alla luce dei criteri interpretativi dei contratti dettati, secondo i criteri di gradualità, dagli artt. 1362 e ss. c.p.c. e provveda a regolare le spese anche del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il secondo motivo del ricorso principale rigetta gli altri motivi del medesimo ricorso e l'incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione. Così deciso in Roma, 27 novembre 2014