Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. Lav., 20 febbraio 2015, n. 3474  - Mobbing ad un giornalista




 

Fatto


Con sentenza del 19 aprile 2011 la Corte d'appello di Catanzaro ha confermato la sentenza del Tribunale di Cosenza del 6 luglio 2007 che, per quanto rileva in questa sede, aveva accolto la domanda proposta da B.F. nei confronti della RAI Radiotelevisione Italiana s.p.a. intesa ad ottenere il risarcimento di danni subiti nel corso del rapporto di lavoro intercorso fra le parti limitatamente al danno professionale conseguito al demansionamento subito. In particolare il B. aveva dedotto di essersi occupato sino al 1997/98 di cronaca nera e giudiziaria e successivamente, con il capo redattore N. di cronaca politica e ciò fino all'avvento nel maggio 1999 del Capo redattore F. che aveva operato nei suoi confronti un'opera di dequalificazione ed una serie di condotte vessatorie, tali da integrare la fattispecie del mobbing, ed in particolare volte a discreditarlo affidandogli servizi di scarsa rilevanza ed estranei alla cronaca politica ed infine anche riducendolo alla completa inattività e da ultimo, prima del suo trasferimento, escludendolo da incarichi utili a conseguire promozioni. La Corte territoriale ha motivato tale pronuncia di accoglimento limitato al danno da demansionamento, richiamando la sentenza di primo gado che aveva a sua volta richiamato le prove testimoniali dalle quali era risultato provato che il ricorrente, prima addetto alla cronaca politica, con l'avvento del capo-redattore F., era stato addetto a compiti comportanti il progressivo svuotamento del bagaglio professionale prima acquisito.

La Rai s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza affidato a cinque motivi.

Resiste L.F. nella qualità di erede di B. F. deceduto nelle more del giudizio, mentre gli altri eredi B.A. e B.C. sono rimasti intimati.


Diritto


Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 2103 c.c., ex art. 360 c.p.c., n. 3, e omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5. In particolare si deduce che non sarebbe stato applicato correttamente detto art. 2103 c.c., in quanto non sussistono norme interne che assegnino al giornalista particolari incarichi e particolari mansioni da cui far derivare il diritto allo svolgimento di determinati compiti.

Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 11 CCNL giornalisti e dell'art. 5 dell'accordo integrativo RAI - USIGRAI, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, e omessa e insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5. In particolare si assume che, ai sensi della normativa contrattuale richiamata, il giornalista inviato speciale, quando non è impegnato in servizi esterni, è obbligato a prestare servizio in redazione alle dipendenze del capo redattore senza la previsione di incarichi specifici per i quali possa accampare il diritto allo svolgimento.

Con il terzo motivo si lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5, e violazione e falsa applicazione degli artt. 2103 e 2697 c.c., ex art. 360 c.p.c., n. 3.

In particolare si deduce che la sentenza impugnata non motiverebbe adeguatamente l'affermato demansionamento, affermando, anzi, la Corte d'appello che non vi è stato comunque alcun mutamento quantitativo o qualitativo delle mansioni assegnate al dipendente, e, in assenza di una previsione contrattuale di svolgimento di determinate mansioni per l'inviato speciale.

Con il quarto motivo si deduce violazione dell'art. 132 c.p.c., e art. 118 disp. att. c.p.c., e nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4, con riferimento all'assoluta insufficienza della motivazione riguardo al danno all'immagine motivato con il solo richiamo ad una pronuncia della Corte di Cassazione riferite ad un giornalista RAI privato delle mansioni.

Con il quinto motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 2059 c.c., e dei principi in materia di danno non patrimoniale, e violazione dell'art. 2697 c.c., ex art. 360 c.p.c., n. 3; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5. In particolare si deduce che sarebbe stato illegittimamente riconosciuto un danno all'identità professionale sul luogo di lavoro, ed un danno all'immagine, riconoscendone la figura autonoma e distinta da altri danni che sono stati esclusi con la stessa pronuncia.

Il primo, secondo e terzo motivo, da esaminarsi congiuntamente per evidenti ragioni logico - giuridiche, sono infondati dal momento che la sentenza impugnata, dopo avere esaminato le prove testimoniali e le altre risultante processuali, ha ritenuto con una motivazione congrua, non suscettibile di alcuna revisione in questa sede di legittimità, che il B. fosse stato ingiustamente demansionato nel periodo corrente dal luglio 1999 al febbraio 2000, perchè dopo essersi per anni interessato come giornalista di cronaca nera e giudiziaria e poi di cronaca politica, era stato poi assegnato a compiti di scarsa rilevanza e del tutto estranei alla cronaca politica. Nè può affermarsi, al contrario, che nel caso di specie non poteva configurarsi una violazione del disposto dell'art. 2103 c.c., come sostenuto sul dedotto presupposto che ad un redattore inviato speciale possono essere assegnati anche servizi, inchieste o "reportage" che esulano dalla specifica materia o dallo specifico settore per i quali ha operato con continuità, anche perchè nella fattispecie in esame nessuna norma legale o contrattuale, e nessun criterio o regola interna alla redazione prevedeva la ripartizione del lavoro per materie o per arie tematiche di informazione o riconosceva al singolo uno specifico settore di cronaca. Tali argomentazioni non possono però essere condivise. Ed invero assume rilevanza, ai fini del giudizio per violazione del disposto dell'art. 2103 c.c., la considerazione che l'attività del giornalista si può svolgere in numerosi settori e che in ognuno di questi, per la rilevanza che assume detta attività di informazione, è richiesta una specifica competenza suscettibile di accrescersi nel tempo per effetto di una acquisita esperienza, e di una sempre più compiuta riflessione sulle problematiche da affrontare al fine di fornire alla collettività un servizio sempre migliore anche a seguito di nuove conoscenze e di più affinate capacità. Al riguardo va rimarcato come in professioni intellettuali, come quella del giornalista, anche a parità di qualifica e di retribuzione, può verificarsi una violazione del disposto dell'art. 2103 c.c., con conseguente vulnus della "professionalità", come nel caso in esame in cui viene concretizzato un vulnus della sua personalità a seguito di "una cesura dello sviluppo delle professionalità acquisite sino a quel momento della propria carriera lavorativa con conseguente possibile, se provato, risarcimento della sua immagine".

Sono invece fondati il quarto ed il quinto motivo. Nel confermare il risarcimento dei danni a favore del B. nei termini di cui alla decisione di primo grado e nel rigettare le altre domande risarcitorie avanzate dallo stesso B., la sentenza impugnata non ha fornito alcuna congrua e sufficiente motivazione sia in termini di individuazione della loro natura che della loro sussistenza, la cui prova deve essere fornita dal danneggiato nel rispetto dei consolidati principi giurisprudenziali sull'onere della prova di ogni genere di danno anche attraverso presunzioni (cfr. per tutti Cass. 23 marzo 2012 n. 4712; Cass. 17 settembre 2010 n. 19785 ed in precedenza Cass. Sez. Un., 27 marzo 2006 n. 6572, che ha statuito che in tema di demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che asseritamente ne deriva - non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale - non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, della natura e delle caratteristiche del pregiudizio medesimo, e che mentre il risarcimento del danno biologico è subordinato all'esistenza di una lesione dell'integrità psico-fisica medicalmente accettabile, il danno esistenziale - da intendere come ogni pregiudizio oggettivamente accettabile - provocato sul fare non reddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri - va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall'ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni.

La sentenza impugnata viene dunque cassata in relazione ai motiv di ricorso accolti, con rinvio alla Corte d'appello di Reggio Calabria che provvederà alla liquidazione del risarcimento del danno secondo i principi di diritto sopra ricordati, provvedendo anche al regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.


P.Q.M.

La Corte di cassazione rigetta i primi tre motivi del ricorso;

Accoglie il quarto ed il quinto motivo di ricorso;

Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'appello di Reggio Calabria.

Così deciso in Roma, il 19 novembre 2014.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2015