Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. Lav., 28 aprile 2015, n. 8590 - Mobbing: mancanza di prova del nesso eziologico tra il demansionamento ed il perturbamento


 

Presidente: STILE PAOLO Relatore: NAPOLETANO GIUSEPPE Data pubblicazione: 28/04/2015

 

Fatto


La Corte di Appello di Campobasso, parzialmente riformando la sentenza del Tribunale d'Isernia, accoglieva in parte la domanda di G.D., proposta nei confronti di Neuromed Istituto Neurologico Mediterraneo IRCSS della quale era dipendente con le mansioni di tecnico di neurofisiopatologia, avente ad oggetto l'accertamento di demansionamento e mobbing con conseguente condanna di controparte al risarcimento dei danni.
La Corte del merito, per quello che interessa in questa sede, accoglieva la domanda limitatamente al demansionamento concernente la sottrazione dell'attività di docenza per la quale riconosceva un risarcimento del danno quantificato in € 6000,00. Rigettava, invece, la predetta Corte il capo della domanda relativo al risarcimento del danno biologico sul presupposto della mancanza di prova del nesso eziologico tra il demansionamento ed il perturbamento addotto dalla G.D. e rigettava, altresì, il capo della domanda, afferente il mancato affidamento del monitoraggio (EEG) in sala operatoria sul' rilievo che tanto trovava giustificazione nella inadempienza registratasi durante un intervento operatorio, oggetto di sanzione disciplinare divenuta definitiva, e nella sopravvenuta indisponibilità del medico operante ad avvalersi della collaborazione tecnica della G.D..
Avverso questa sentenza la G.D. ricorre in cassazione sulla base di due censure.
Resiste con controricorso la parte intimata che , in via preliminare, deduce l'inammissibilità del ricorso per violazione dell'art. 366 bis cpc.
- Vengono depositate memorie illustrative.

Diritto


Con la prima censura la ricorrente, denunciando violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2013 cc e dell'art. 7 della legge n. 300 del 1970, pone i seguenti quesiti :"costituisce violazione dell'art. 2013 cc l'affermazione che la sottrazione o il non affidamento di mansioni connesse con la specifica professionalità del dipendente, da questi lungamente svolte e suscettibili di evoluzione e affinamento con il loro svilupparsi, può trovare adeguata giustificazione in un comportamento disciplinarmente rilevante dello stesso, già sanzionato alla luce delle norme contrattuali e/o aziendali in materia?";
"costituisce falsa applicazione dell'art. 7 dello Statuto dei Lavoratori l'aver ricondotto una fattispecie di tal natura alla dialettica e funzione delle sanzioni disciplinari in particolare mancando qualsiasi prova del collegamento tra la sottrazione delle mansioni predette ed esigenze di tipo, organizzativo e funzionale?".
La critica è infondata.
Invero la Corte del merito non qualifica come sanzione disciplinare il mancato affidamento di attività lavorativa in sala operatoria, ma giustifica il comportamento datoriale sul rilievo fondante che, a causa di una precedente inadempienza, registratasi durante un intervento operatorio per la quale la G.D. era stata sanzionata disciplinarmente, il medico della sala operatoria si era reso indisponibile ad avvalersi della collaborazione tecnica della G.D.. Tanto comporta che la Corte territoriale ha fondato il suo dictum sulla sostanziale considerazione che ragioni organizzative e funzionali imponevano una diversa distribuzione dei compiti e tanto in ragione del comportamento della stessa G.D. che aveva determinato una non affidabilità da parte del medico della sala operatoria ad avvalersi della sua collaborazione ( V. Cass. 8 giugno 2009 n. 13173 e Cass. 26 gennaio 2010 n. 1575 in materia di limiti allo ius variandi del datore di lavoro).
Né del resto è allegato dalla ricorrente che, a seguito di questa diversa organizzazione del lavoro, le sono state attribuite mansioni non equivalenti a quelle proprie della qualifica rivestita o alle ultime svolte.
Con il secondo motivo la ricorrente deduce "omessa e/o insufficiente motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti e rettamente deciso in prime cure".
Il motivo è inammissibile per violazione dell'art. 366 bis cpc applicabile ratione temporis.
Infatti trattandosi di sentenza di appello pubblicata il 3 ottobre 2008 trova applicazione, ex art. 27, comma 2, del Divo 2 febbraio 2006, n.40, la richiamata norma di rito secondo la quale nei casi previsti dall'art. 360, primo comma, numeri 1, 2, 3 e 4 cpc l'illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena d'inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto e nel caso previsto dall'art. 360, primo comma, n.5 cpc l'illustrazione del motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.
Né ratione temporis è applicabile l'art. 47, comma 1°, lett. d) della legge 18 giugno 2009 n. 69 che ha abrogato il precitato art. 366 bis cpc, trovando tale norma, ai sensi dell'art. 58, comma 5°, della predetta legge 18 giugno 2009 n. 69,applicazione relativamente alle controversie nelle quali il provvedimento impugnato con il ricorso per cassazione è stato pubblicato successivamente ( ossia dal 4 luglio 2009) alla data di entrata in vigore della stessa legge n.69 del 2009 ( Cass. 24 marzo 2010 n. 7119).
Nella specie difetta la chiara indicazione delle ragioni per le quali la dedotta omessa e insufficiente e/o contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata la rende inidonea a giustificare la decisione: tale indicazione deve consistere infatti in una parte del motivo, la quale si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata. Di modo che non è possibile ritenere rispettato questo requisito allorquando, come nella specie, solo la lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli, all'esito di un'attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da parte del ricorrente, il determinato fatto controverso, riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione e quali sono le, ragioni per cui la motivazione sarebbe conseguentemente inidonea sorreggere la decisione (V. da ultimo per tutte Cass. S.U. 5 luglio 2011 n. 14661). Né può sottacersi che comunque la ricorrente, ancorché denunci il mancato esame di documenti la cui considerazione, si assume, avrebbe condotto ad un diverso esito del giudizio, non specifica, a norma dell'art. 366 n. 6 cpc, in quale atto processuale sono stati prodotti detti documenti, né tanto meno deposita, ai sensi dell'art. 369 n. 4 cpc, i documenti sui quali il ricorso si fonda (Cass. S.U. 2 dicembre 2008 n.28547, Cass. 23 settembre 2009 n.20535, Cass. S.U. 25 marzo 2010 n. 7161 e Cass. S.U. 3 novembre 2011 n. 22726).
"Parallelamente va sottolineato, e sotto altro profilo, che la ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza, non trascrive nel ricorso, almeno nella parte che interessa, il testo di tutti i documenti richiamati, impedendo in tal modo a questa giudice di legittimità di valutare la decisività della censura (per tutte Cass. 19 maggio 2006 n.11886 e Cass. 9 aprile 2013 n. 8569). Inoltre, e per completezza motivazionale, va sottolineato che, comunque, la Corte del merito con accertamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità in quanto sorretto da congrua motivazione, esclude che dalle emergenze istruttorie possa evincersi la dimostrazione di un nesso eziologico "tra la vicenda de qua ed il perturbamento della G.D.".
Il ricorso in conclusione va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in E. 100,00 per esborsi ed E. 3500,00 per compensi oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 28 gennaio 2015