Cassazione Penale, Sez. 4, 27 maggio 2015, n. 22361 - Infortunio mortale ad uno stampatore: prassi nei casi di incaglio dei pezzi nello stampo


 

 

Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE Relatore: FOTI GIACOMO Data Udienza: 29/01/2015

 

 

Fatto


-1- Con sentenza del 6 marzo 2012, il Gup del Tribunale di Busto Arsizio ha ritenuto R. Emilio, R. Marco, P.R. e T.F. colpevoli del reato di omicidio colposo, aggravato dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in pregiudizio di S.G. e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sull'aggravante contestata, applicata la diminuente del rito abbreviato, li ha condannati, ciascuno, alla pena, dichiarata sospesa, di un anno di reclusione.
Il S.G. era un dipendente della "R. s.p.a.", ove era stato assunto nell'anno 2001 con la qualifica di stampatore. Nella giornata dell'8 febbraio 2010, mentre nel reparto Forgia dello stabilimento era intento alle lavorazioni di stampaggio sul maglio DIGEP 3200 KGM (del tipo a contraccolpo, cioè fornito di due mazze, una superiore l'altra inferiore che, azionate da una leva di comando, mettendosi in movimento, si incontrano a metà strada), era accaduto che un pezzo oggetto di lavorazione si era attaccato alla parte superiore dello stampo. Per risolvere l'inconveniente, il S.G. aveva posizionato sullo stampo inferiore un tassello in ferro del peso di tre chilogrammi e della grandezza di circa dieci centimetri, aveva quindi azionato la discesa della parte superiore dello stampo su quella inferiore, con il risultato che, il contraccolpo, invece di provocare il distacco del pezzo, aveva fatto schizzare via il tassello, che aveva colpito al petto l'operatore provocandogli un violento trauma toracico con shock emorragico e tamponamento cardiaco, cui era seguita la morte.
Secondo il tribunale, della morte del S.G. dovevano essere ritenuti responsabili, per colpa generica e specifica, i quattro imputati, nelle rispettive qualità: i due R., di rappresentanti legali della"R. s.p.a." e datori di lavoro della vittima, il P.R., di dirigente delegato in materia di sicurezza e responsabile del reparto stampaggio della società, il T.F., di "preposto". In particolare, per quanto oggi interessa, i primi due non avevano adeguatamente valutato i rischi derivanti dalle operazioni di disincastro dei pezzi dallo stampo del maglio, avevano così omesso di prevedere procedure specifiche per il caso di incaglio nello stampo di pezzi aventi forma diversa da quella circolare (per i quali era l previsto l'uso di appositi anelli che consentivano di disincastrare i pezzi in sicurezza) e non avevano quindi prevenuto il rischio che l'uso dei tasselli potesse, a seguito di contraccolpo, colpire l'operatore; il P.R. non aveva fornito al dipendente corretta informazione ed adeguata formazione circa i rischi e i pericoli connessi con le operazioni di disincastro di pezzi aventi forma diversa da quella circolare e non aveva segnalato al datore di lavoro le carenze antinfortunistiche.
-2- Proposto appello da tutti gli imputati, la Corte d'Appello di Milano, con sentenza del 19 novembre 2013, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha assolto T.F. per non aver commesso il fatto, confermando, nei confronti degli altri imputati, la decisione di condanna.
-3- Avverso detta sentenza, ricorrono per cassazione R. Emilio, R. Marco e P.R., che congiuntamente deducono:
3.1 Nullità della sentenza impugnata per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nonché per violazione degli arti 40, 41 e 43 cod. pen,. con riguardo alla ritenuta sussistenza della colpa e del nesso causale tra l'evento e le condotte omissive contestate agli imputati.
Sostengono i ricorrenti che, nei motivi d'appello e con note successive di udienza, era stato evidenziato che, già al tempo dell'incidente, era prevista una precisa regola cautelare idonea ad impedire l'evento; regola che era stata disattesa dal lavoratore deceduto. Su tale tematica, essenziale ai fini della individuazione dei profili di responsabilità, la corte d'appello nulla avrebbe osservato, essendosi limitata a sostenere che non risultavano fornite "indicazioni complete in merito ai pezzi incastrati". Ciò, secondo i ricorrenti, rende, sul punto, immotivata la sentenza e quindi illogica la decisione, oltre che erronea in diritto.
In particolare, si precisa nel ricorso che era stata prevista una procedura volta ad eliminare in sicurezza l'inconveniente rappresentato dall'incastrarsi del pezzo lavorato all'interno dello stampo. Tale procedura era contenuta nel documento, del 1997 (allegato alla nota dell' ASL di Varese del 31.3.10 e consegnato al S.G. al momento dell'assunzione, come da dichiarazione dallo stesso sottoscritta ad allegata alla stessa nota dell'ASL), denominato: "Procedure operative di sicurezza", nel quale era previsto che, se nel corso delle operazioni di stampaggio un pezzo fosse rimasto attaccato allo stampo superiore, l'operatore avrebbe dovuto; a) sospendere immediatamente la lavorazione fermando la macchina, b) staccare il pezzo, utilizzando attrezzature a disposizione (tenaglie o leve), e riposizionarlo nello stampo inferiore; nel caso di bloccaggio insistente del pezzo, era previsto che l'operatore dovesse: a) procedere al riscaldo del pezzo mediante cannello, b) posizionare l'anello o gli spessori per effettuare il contraccolpo al fine di ottenere il distacco del pezzo utilizzando l'apposito riparo.
L'operazione di apposizione degli spessori (utilizzati sugli stampi diversi da quelli rotondi) era l'ultimo intervento richiesto all'operatore, poiché la successiva operazione di contraccolpo avrebbe dovuto essere svolta alla presenza del capo reparto o del capo turno. Nel citato documento, infatti, si disponeva che tale ultima operazione doveva essere tassativamente eseguita alla presenza del responsabile del reparto e si specificava che chiunque avesse agito in maniera da non garantire la sicurezza, propria o altrui, ne sarebbe stato personalmente responsabile. In sostanza, davanti all'insistente bloccaggio del pezzo, l'operatore, nel rispetto di tali regole, avrebbe solo dovuto posizionare gli spessori, senza eseguire il contraccolpo, al quale avrebbe dovuto provvedersi solo alla presenza, con l'autorizzazione e secondo le direttive del capo reparto. Le modalità per disincagliare il pezzo e per procedere al contraccolpo, si soggiunge nel ricorso, non erano descritte perché spettava al capo reparto fornire le necessarie istruzioni; e d'altra parte, si domandano i ricorrenti, in una situazione in cui l'operaio non aveva rispettato delle regole scritte, cosa sarebbe cambiato se anche tale ultima operazione fosse stata indicata per iscritto
Su tali importanti temi nulla avrebbe osservato la corte territoriale.
Era inoltre emerso dagli atti (dichiarazioni del teste C., oltre che del P.R.) che l'uso, da parte degli operatori, dei tasselli in assenza del capo turno di reparto, aveva provocato l'immediata reazione della società, come nel caso del lavoratore P., al quale era stata inviata una precisa contestazione disciplinare.
3.2 Nullità della sentenza impugnata per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nonché per violazione degli artt. 40, e 43 cod. pen,. con riguardo alla ritenuta sussistenza della colpa e del nesso di causa tra l'evento e le condotte omissive contestate all'imputato P.R.. Premesso che il profilo di colpa a carico del P.R. è stato dalla corte territoriale individuato nel fatto che non aveva fornito ai lavoratori, nel caso di specie al S.G., una completa formazione sui rischi e pericoli relativi all'operazione di disincastro dei pezzi, né aveva segnalato al datore di lavoro le relative carenze antinfortunistiche, si sostiene nel ricorso che non vi è prova che il S.G. non fosse stato formato, avendo egli partecipato a numerosi corsi, come emergerebbe dalla documentazione allegata agli atti, ed essendogli state consegnate e spiegate le procedure. Non vi sarebbe prova, né la indica la corte territoriale, che il S.G. non fosse a conoscenza della regola che imponeva, nelle operazioni di disincaglio, la presenza del capo reparto. Illogica sarebbe altresì la decisione impugnata, laddove non ha considerato che le ragioni che hanno indotto il giudice del gravame ad assolvere T.F. avrebbero dovuto comportare l'assoluzione anche del P.R..
3.3 Nullità della sentenza impugnata per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nonché per violazione dell'art. 40 cod. pen,. con riguardo alla riconosciuta posizione di garanzia in capo a R. Emilio.
Si osserva in proposito nel ricorso che i giudici del merito hanno riconosciuto a quest'ultimo una posizione di garanzia sulla base di una visura camerale dalla quale risultava una posizione paritaria dei due nella società. Ciò, tuttavia, senza considerare quali in realtà fossero i poteri in effetti conferiti ai due R., in relazione ai quali la visura rinvia ad una scrittura privata autenticata da un notaio rilasciata poco prima degli ordini di servizio (di cui era stata chiesta alla corte territoriale l'acquisizione con memoria contenente motivi nuovi). E sarebbe proprio in tali ordini di servizio che emergerebbero i diversi e disgiunti poteri conferiti ai due imputati, risultando che Emilio R. è il direttore commerciale e non ha alcuna funzione o delega in materia di sicurezza, mentre è Marco R. il direttore dello stabilimento e, in quanto tale, a lui erano stati attribuiti i poteri e le responsabilità in materia di sicurezza. Emilio R., dunque, è solo il direttore commerciale e la procura a suo tempo rilasciata dal presidente della "R." tale nomina gli aveva conferito, attribuendogli le responsabilità con riguardo agli acquisti ed alle vendite in Italia ed all'estero ed alle politiche aziendali.
Errata sarebbe quindi l'osservazione dei giudici del gravame, secondo cui si tratterebbe di una suddivisione di compiti di comodo e senza alcun valore ai fini della normativa antinfortunistica. A dimostrazione dell'erroneità di tale valutazione e della netta separazione di poteri e responsabilità prevista per i due R., nel ricorso si segnala che in nessuno degli atti concernenti la sicurezza compare il nome di Emilio R.; vi compare, invece, Marco R. che viene indicato come "datore di lavoro". Ciò emergerebbe dalla documentazione allegata alla nota dell'ASL del 31.3.2010. Marco R., dunque, è l'unico, tra i due, ad essere titolare dei poteri e dei doveri concernenti il tema della sicurezza, è il datore di lavoro, nei termini descritti dall'art. 2 del D.Lgs n. 81/08 sub lett. b). Emilio R. ha, viceversa, altri compiti ed altre responsabilità.
La corte territoriale non avrebbe eseguito alcun accertamento ai fini della individuazione delle funzioni attribuite ai due imputati ed alla identificazione, quindi, delle rispettive responsabilità, essendosi affidata ad una semplice visura camerale.
3.4 Nullità della sentenza per mancata assunzione di prova decisiva e per vizio di
motivazione sul punto. Il riferimento è alla richiesta di rinnovazione del dibattimento,
avanzata con motivi nuovi, per l'acquisizione: a) delle dichiarazioni manoscritte da S.S.; b) di due ordini di servizio risalenti al 1991, concernenti i poteri e le funzioni attribuite ai due R.. Documenti che i ricorrenti ritengono rilevanti, l'uno, per chiarire meglio le modalità dell'incidente, gli altri, per individuare i poteri e le funzioni attribuiti ai due R..
Concludono i ricorrenti chiedendo l'annullamento, senza o con rinvio, della sentenza impugnata.

Diritto


Il ricorso è infondato.
-1- Con il primo dei motivi proposti, i ricorrenti, ribadendo argomentazioni già poste all'attenzione della corte territoriale, insistono nell'individuare quale causa esclusiva del mortale infortunio la condotta della stessa vittima, che aveva disatteso la regola cautelare, pur prevista dall'azienda, per i casi di incaglio dei pezzi nello stampo, e lamentano, inoltre, che la stessa corte abbia a tale proposito omesso di pronunciarsi.
Orbene, osserva la Corte che le censure svolte nel ricorso sono del tutto infondate.
Non risponde al vero, anzitutto, che il giudice del gravame abbia omesso di considerare le difese degli imputati concernenti il comportamento della vittima e le previsioni di rischio riguardanti le procedure di disincaglio dei pezzi. In realtà, lo stesso giudice ha affrontato tale tematica ed ha sostenuto, dopo avere ricordato che l'incastro dei pezzi nello stampo è il rischio tipico della lavorazione alla quale era addetto il S.G., che, mentre per i pezzi aventi forma circolare era stata prevista una minuziosa procedura di disincaglio, non ne era stata prevista alcuna, altrettanto precisa e valida, per i casi di incastro di pezzi aventi forma diversa da quella circolare. Solo in seguito all'infortunio, ha soggiunto il giudice del gravame, l'azienda ha provveduto ad individuare, attraverso istruzioni operative a tal fine emanate, specifiche e dettagliate procedure da seguire nei casi di bloccaggio di pezzi, distinte secondo il tipo, rettangolare o circolare, di stampo.
In sostanza, sostiene il giudice del gravame che, così come era stato individuato e previsto il rischio di incaglio di pezzi circolari ed erano state indicate precise modalità di intervento, lo stesso avrebbe dovuto avvenire per i pezzi aventi forma diversa da quella circolare, per i quali avrebbero dovuto essere analizzati i relativi specifici rischi e formalizzate ulteriori ed adeguate modalità di intervento, viceversa lasciate, secondo quanto si sostiene nel ricorso, all'apprezzamento del capo reparto ed alle sue estemporanee direttive, quanto meno con riguardo alla fase finale e più delicata della procedura, cioè all'esecuzione del contraccolpo. Direttive dai contenuti evanescenti ed ancora oggi non indicati, a dimostrazione della genericità, e quindi della superficialità dell'approccio dell'azienda rispetto ai gravi rischi che le operazioni di disincaglio comportavano, che avrebbero dovuto indurre i responsabili della società a fornire indicazioni complete ed esaurienti su tutte le fasi della procedura, che fossero ben note a tutti i lavoratori, e non affidarle al capo reparto.
E probabilmente proprio tale superficiale approccio al problema e la mancata codificazione delle procedure di disincastro aveva deresponsabilizzato gli stessi operatori, e comunque, secondo il coerente giudizio del giudice del gravame, certamente aveva consolidato una prassi pericolosa, cioè quella del contraccolpo con l'utilizzazione, per il disincastro, di uno o due spessori a discrezione dell'operatore. Prassi che lo stesso giudice ha tratto dalle concordi testimonianze rese da vari compagni di lavoro della vittima.
Il rischio che tale sistema potesse determinare la proiezione dello spessore fuori dallo stampo era, peraltro, noto da tempo, se è vero che, come ricordano gli stessi ricorrenti, l'incidente si era verificato in passato (quattro anni prima dell'infortunio al S.G.) per due volte, allorché lo spessore posizionato sullo stampo da P. Giovanni era schizzato fuori a causa del contraccolpo, per fortuna senza danni per il lavoratore. Vicenda che, ben lungi dall'assumere, come si sostiene nel ricorso, rilievo in termini difensivi (per l'invio al lavoratore di una nota di contestazione disciplinare), assume, secondo quanto giustamente osservato dalla corte di merito, significati in termini d'accusa, poiché ribadisce il superficiale approccio al problema da parte dei responsabili dell'azienda che, pur davanti ad episodi che avrebbero dovuto indurli ad intervenire tempestivamente ed efficacemente, formalizzando, dopo attenta analisi del rischio, procedure di sicurezza idonee ad eliminarlo (come è stato poi tardivamente fatto, dopo l'incidete a causa del quale ha perso la vita il S.G.), hanno continuato ad affidarsi a procedure generiche ed inidonee, e, per la fase finale e più rischiosa delle operazioni di disincaglio, alle estemporanee e mai chiarite direttive del capo reparto.
La stessa vicenda appare significativa sotto altro profilo: quello della presenza, all'atto del contraccolpo, del capo reparto, invocata dai ricorrenti quale elemento salvifico rispetto all'infortunio patito dal S.G. e di riscontro dell'indebita condotta della vittima. Sebbene non sia stato chiarito se il capo reparto nella vicenda P. fosse stato o no presente, le possibilità sono evidentemente solo due: o era presente o non lo era. Nel primo caso, si avrebbe conferma della sostanziale e colpevole assenza, malgrado la presenza del capo reparto, di valide procedure di disincaglio, capaci di eliminare il rischio di infortuni; nel secondo, avrebbe conferma quantomeno il disimpegno dei responsabili dell'azienda e della sicurezza rispetto ad una pericolosa prassi operativa che prescindeva da quella presenza e che permetteva al lavoratore di intervenire a suo piacimento. Prassi che certamente metteva a grave rischio gli operatori ed alla quale si era adeguato il S.G. al quale, anche per questo, sembra quantomeno azzardato attribuire la responsabilità dell'incidente.
Quanto al tema del nesso causale, peraltro solo accennato nel ricorso, sembra alla Corte del tutto evidente che, se fossero state previste specifiche misure di sicurezza (come quelle individuate dopo l'infortunio, che prevedono anche, secondo quanto si legge nella sentenza di primo grado, la realizzazione di uno schermo di protezione scorrevole appositamente dimen-sionato ai fini della sicurezza della macchina), l'infortunio non si sarebbe certamente verificato.
-2- Infondato è anche il secondo motivo di ricorso, con il quale viene presa in esame la specifica posizione di P.R., delegato per la sicurezza.
Che il S.G. non fosse stato informato dei rischi specifici che correva durante le operazioni di disincastro sembra chiaro, ove si consideri che gli stessi rischi non erano stati oggetto di valutazione da parte dell'imputato e dei responsabili dell'azienda. Né, a prova del contrario, può richiamarsi la partecipazione della vittima ai corsi da questa predisposti, anche perché non viene precisato se in taluni di tali corsi si sia fatto specifico riferimento al rischio conseguente alle procedure di disincaglio di pezzi aventi forma diversa da quella circolare, e non essendo evidentemente sufficiente la regola che imponeva la presenza del capo reparto ed il rispetto delle sue ignote direttive.
Chiaro, inoltre, si presenta il secondo profilo di colpa contestato all'imputato, concernente la mancata segnalazione delle gravi carenze antinfortunistiche che caratterizzavano la macchina manovrata dal S.G.. Mentre del tutto impropria appare la pretesa di omologare la posizione del P.R. a quella del capo reparto T.F., alla luce delle funzioni di responsabile del reparto e di delegato in materia di sicurezza allo stesso attribuite.
-3- Ugualmente infondata è la censura, proposta da R. Emilio con il terzo motivo di ricorso, con il quale si contesta la posizione di garanzia allo stesso riconosciuta dai giudici del merito sulla base del dato formale emergente dalla visura camerale, alla quale è stato attribuito valore decisivo, trascurando quanto risulta dai documenti allegati ai "nuovi motivi" prodotti davanti alla corte d'appello.
Orbene, osserva la Corte che quanto emerso dall'esame della visura camerale della società, priva di amministratore delegato, e cioè la paritaria posizione dei due amministratori, R. Marco e R. Emilio, entrambi procuratori dotati dei medesimi poteri, non è smentito in alcun modo dai contenuti dei citati documenti, costituiti da due ordini di servizio, datati 1° ottobre 1991, a firma del presidente, al tempo, della società.
Invero, in tali ordini di servizio, esaminati dalla Corte per verificare la fondatezza della doglianza, non era contenuta alcuna specifica delega alla sicurezza, ma solo una ripartizione, tra i due dirigenti del tempo ( i due R.), delle materie di rispettiva competenza: gli acquisti e le vendite Italia Estero per Emilio R., la produzione e la gestione finanziaria per Marco R.. E' vero che nella delega a quest'ultimo si fa riferimento alla sicurezza, è tuttavia altrettanto vero che a tale generica indicazione non può attribuirsi il valore di una formale delega in materia, attesto che: 1) essa non presenta la forma ed i contenuti della delega, come richiesti dalla concorde giurisprudenza di questa Corte, che pretende che la stessa sia consacrata in un atto formale di investitura da cui risulti l'affidamento dell'incarico a persona competente ben individuata e che lo abbia accettato, consapevole dei doveri di cui si fa carico, cioè di rispettare e far rispettare la normativa di sicurezza; 2) detto documento, a firma del presidente del tempo della società, non risulta essere stato confermato dalla nuova amministrazione societaria, meno ancora, correttamente formulato nei termini sopra indicati.
Neanche rilevanti si presentano le ulteriori considerazioni svolte nel ricorso per affermare l'assenza di una posizione di garanzia in capo ad Emilio R. in ragione della indicazione di quest'ultimo, in una serie di documenti, quale "datore di lavoro". In realtà, tale circostanza non vale a superare le considerazioni sopra svolte né il dato formale contenuto nella visura camerale, anche perché trattasi di riferimento non coerente rispetto a quanto sostenuto nella sentenza impugnata (e non contestato dai ricorrenti) circa la sottoscrizione, da parte di R. Emilio, della delega conferita al P.R.. Circostanza che attesta come ambedue i presidenti di amministrazione svolgessero le mansioni tipiche dell'amministratore.
E dunque, sotto ogni profilo corretta si presenta la decisione impugnata che, anche sulla base della visura camerale, ha attribuito, data l'assenza di specifica delega in capo a R. Marco, la paritaria posizione di amministratori responsabili, e quindi di datori di lavoro ad ambedue i R., alla cui congiunta responsabilità ha giustamente attribuito l'evento determinatosi.
Decisione, peraltro, anche in linea con la giurisprudenza di questa Corte secondo cui, nei casi di imprese gestite da società di capitali, gli obblighi relativi alla sicurezza gravano su tutti i componenti del consiglio di amministrazione, non potendo, in ogni caso, essere trasferiti i doveri di controllo concernenti l'andamento della gestione.
-4- Manifestamente infondato è, infine, l'ultimo dei motivi proposti, atteso che, contraria-mente a quanto si sostiene nel ricorso, la corte territoriale, se anche non ha formalmente disposto la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, ha tuttavia, di fatto, acquisito ed ha preso in esame la documentazione allegata ai "motivi nuovi" di cui si è detto. Certamente sono stati presi in esame, in particolare, i due ordini di servizio del 1° ottobre 1999, sui cui contenuti è stato legittimamente espresso dalla stessa corte un giudizio di sostanziale irrilevanza; così come sulla dichiarazione di S.S., sia pure implicitamente, alla luce dell'altrettanta evidente irrilevanza delle stesse alla stregua del complessivo contesto motiva-zionale della sentenza.
-5- Il ricorso deve essere, in conclusione, rigettato ed i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2015.