Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 28 maggio 2015, n. 22815 - Appalto e subappalto: caduta dall'alto e responsabilità


 

Di recente questa Corte ha chiarito che il legale rappresentante della ditta subappaltante acquisisce una posizione di garanzia nei confronti dei dipendenti del subappaltatore, anche con riferimento a rischi non da interferenza, cioè propri di quest'ultimo. Ciò avviene ogni qual volta si sia in presenza di situazioni di pericolo - per la salute, la vita o l'integrità fisica - di immediata evidenza per chiunque, anche se sfornito di conoscenze tecniche specifiche, nonché quando il subappaltante si ingerisce nell'attività del subappaltatore (cfr. Sezione III, 24 febbraio- 24 marzo 2015, n. 12228, Cicuto).
Non rileva qui il tema della negligenza del lavoratore.
Basta ricordare, con riflessi qui di immediato rilievo, che, in caso di infortunio sul lavoro, non è consentito al datore di lavoro invocare a propria discolpa, per farne discendere l'interruzione del nesso causale (articolo 41, comma 2, c.p.), la legittima aspettativa della diligenza del lavoratore, allorquando lo stesso datore di lavoro versi in re illicita per non avere, per propria colpa, impedito l'evento lesivo cagionato dallo stesso infortunato, consentendogli di operare sul luogo di lavoro in condizioni di pericolo (ciò che qui è indiscutibile, quanto meno in ragione del non utilizzo degli strumenti di protezione, forniti o meno) (cfr. Sezione IV, 25 marzo 2011, D'Acquisto).
Con l'ulteriore rilievo che, in caso di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale esclusiva, per escludere la responsabilità del datore di lavoro, può essere attribuita al comportamento imprudente del lavoratore infortunato realizzato nello svolgimento delle proprie mansioni (ciò che qui è parimenti non revocabile in dubbio) (Sezione feriale, 12 agosto 2010, Mazzei ed altri).


 

Presidente: BIANCHI LUISA Relatore: PICCIALLI PATRIZIA Data Udienza: 21/04/2015




Fatto


T.S. ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, confermando quella di primo grado, lo ha riconosciuto colpevole del reato di cui all'articolo 590 c.p., commesso in violazione della normativa antinfortunistica [in danno del lavoratore M.]; fatto per il quale in primo grado era stato condannato anche il coimputato Omissis [qui non ricorrente]
Per quanto interessa, è risultato accertato che il lavoratore infortunato era dipendente della società del coimputato che operava in un cantiere edile in forza di un contratto di subappalto stipulato con la società del T.S., il quale a sua volta operava in virtù di altro contratto di subappalto.
L'addebito era basato sul rilievo che il lavoratore infortunato eseguiva la propria opera senza l'ausilio di cinture di sicurezza e senza alcuna protezione e ciò aveva provocato l'infortunio, in forza di caduta dall'alto.
Si era accertato che l'obbligo di garantire la sicurezza - in forza di apposita pattuizione contrattuale - era a carico della società del T.S., il quale, peraltro, risultava [con il riscontro di dichiarazione testimoniale] essere stato avvertito del fatto che gli operai non infrequentemente operavano senza i mezzi di protezione.
La Corte di merito, richiamando le considerazioni del primo giudice, valorizzava per fondare la posizione di garanzia del T.S. il contenuto del subappalto, che conservava in carico al medesimo l'obbligo dell'osservanza di tutte le norme antinfortunistiche, mentre, sotto il profilo della colpa, considerava irrilevante il tema controverso della dotazione dei mezzi di protezione, ritenendo sufficiente il dato probatoriamente accertato [in forza di specifica indicazione testimoniale] che il T.S. fosse consapevole del mancato utilizzo di tali mezzi di protezione da parte dei lavoratori, comportamento quest'ultimo certamente non abnorme e tale da recidere il nesso con il comportamento omissivo [sub specie, dell'obbligo di vigilanza] del titolare della posizione di garanzia.
Il giudice riteneva inaccoglibile la richiesta di concessione delle attenuanti generiche, perché l'imputato era gravato di precedente specifico.
Corretta era stata infine la determinazione del primo giudice in punto di determinazione del quantum risarcibile alla parte civile, basata in quella sede sugli esiti di una perizia medico-legale che aveva quantificato l'inabilità e l'invalidità, quest'ultima permanente.
Con il ricorso, si censura il giudizio di responsabilità, sostenendo la contraddittorietà degli elementi testimoniali afferenti la dotazione dei mezzi di protezione.
La circostanza che i lavoratori risultavano non utilizzare comunque detti mezzi di protezione, viene valorizzata per farne discendere la colpa del lavoratore stesso infortunatosi.
Viene inoltre ribadita l'assenza della posizione di garanzia nei confronti del lavoratore infortunatosi.
Si censura il diniego delle generiche e l'eccessività della pena.
Si censura infine il punto della sentenza relativo al risarcimento del danno, che si assume immotivato, per carenza di prova del danno subito, conseguendone l'illegittimità comunque della subordinazione del beneficio della sospensione condizionale al risarcimento del danno.

Diritto


Il ricorso è manifestamente infondato.
La censura sulla responsabilità è tipicamente di merito a fronte di una duplice conforme statuizione di responsabilità, laddove risultano adeguatamente ricostruiti il fatto, gli addebiti di colpa, il nesso causale, in termini qui non rinnovabili.
Il ricorrente, del resto sofferma l'attenzione su un profilo non decisivo [quello della dotazione dei mezzi di sicurezza], mentre risulta argomentato il giudizio di responsabilità, decisivamente, sul mancato utilizzo di questi; mentre il tema della posizione di garanzia è assorbentemente risolto [e sul punto la questione è di fatto e non può essere qui sottoposta] sull'apposita pattuizione contrattuale.
Del resto, la doglianza senz'altro generica, è comunque inammissibile perché mira a proporre una rinnovazione dell'apprezzamento del compendio probatorio concordemente sviluppato nei due gradi di giudizio. Tra l'altro, senza rappresentare di circostanze non valutate e considerate in quella sede.
Va in ogni caso ricordato, pur a fronte del già rilevato carattere decisivo della pattuizione contrattuale, che anche di recente questa Corte ha chiarito che il legale rappresentante della ditta subappaltante acquisisce una posizione di garanzia nei confronti dei dipendenti del subappaltatore, anche con riferimento a rischi non da interferenza, cioè propri di quest'ultimo. Ciò avviene ogni qual volta si sia in presenza di situazioni di pericolo - per la salute, la vita o l'integrità fisica - di immediata evidenza per chiunque, anche se sfornito di conoscenze tecniche specifiche, nonché quando il subappaltante si ingerisce nell'attività del subappaltatore (cfr. Sezione III, 24 febbraio- 24 marzo 2015, n. 12228, Cicuto).
Mentre non rileva qui il tema della negligenza del lavoratore.
Basta ricordare, con riflessi qui di immediato rilievo, che, in caso di infortunio sul lavoro, non è consentito al datore di lavoro invocare a propria discolpa, per farne discendere l'interruzione del nesso causale (articolo 41, comma 2, c.p.), la legittima aspettativa della diligenza del lavoratore, allorquando lo stesso datore di lavoro versi in re illicita per non avere, per propria colpa, impedito l'evento lesivo cagionato dallo stesso infortunato, consentendogli di operare sul luogo di lavoro in condizioni di pericolo (ciò che qui è indiscutibile, quanto meno in ragione del non utilizzo degli strumenti di protezione, forniti o meno) (cfr. Sezione IV, 25 marzo 2011, D'Acquisto).
Con l'ulteriore rilievo che, in caso di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale esclusiva, per escludere la responsabilità del datore di lavoro, può essere attribuita al comportamento imprudente del lavoratore infortunato realizzato nello svolgimento delle proprie mansioni (ciò che qui è parimenti non revocabile in dubbio) (Sezione feriale, 12 agosto 2010, Mazzei ed altri).
Incensurabile è anche il trattamento sanzionatorio, a fronte del resto di doglianza asseriva e generica: anche in questa sede non sono spiegati i motivi per cui il giudice avrebbe dovuto mutare le determinazioni assunte in primo grado, mentre, sul punto, il giudice di appello ha soffermato adeguatamente il proprio convincimento sul precedente specifico.
Risulta poi motivato per relationem al giudizio di primo grado, la determinazione assunta in punto di risarcimento del danno: la doglianza è tipicamente di merito, oltre che apodittica e pretensiva.

P. Q. M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende. Così deciso in data 21 aprile 2015