Cassazione Penale, Sez. 4, 27 gennaio 2015, n. 3774 - Ingresso pericoloso nell'area di cantiere. Obblighi di sicurezza anche nei confronti dei terzi


Fatto


1. Il Tribunale di Alessandria, con sentenza del 24/3/2011, assolse perchè il fatto non costituisce reato C.L., legale rappresentante della ditta E. di C.I. G. C, appaltatrice di lavori di riattamento di talune cisterne della B. s.p.a., poste all'interno dell'area dello stabilimento di (OMISSIS), dall'avere, per colpa, procurato lesioni comportanti un'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo superiore ai 40 giorni ai danni di O.L., operaio dipendente di quest'ultima società (l'infortunato era precipitato all'interno di una cisterna interrata la cui copertura era stata in parte rimossa).

1.1. La Corte d'appello di Torino, con sentenza del 10/12/2012, giudicando a seguito dell'impugnazione della P.C., in riforma della statuizione di primo grado, dichiarato il C. civilmente responsabile nella misura del 50%, condannò il medesimo al risarcimento dei danni da liquidarsi in serata sede.

1.2. La non conformità delle due determinazioni giudiziali di merito consiglia, sia pure in termini di necessaria concisione, riprendere le ragioni fondanti delle due contrapposte valutazioni.

Il Tribunale giunse alla formula assolutoria valorizzando la circostanza che l' O., come si è anticipato, operaio della B., era abusivamente entrato all'interno dell'area cantierata, con la conseguenza che al C. non avrebbe potuto rimproverarsi alcuna colpa specifica, avendo proceduto ad organizzare il cantiere secondo le esigenze derivanti dai lavori che aveva avuto appaltati.

La Corte territoriale, dopo aver riscontrato profilo di colpa specifica nel "non aver predisposto mezzi adeguati a rendere inaccessibile a chiunque, dunque anche ai dipendenti della B. che, per ragioni di lavoro abitualmente transitavano nei presso dello stesso, il cantiere, sito all'interno del piazzale della B.", pur riconoscendo un cospicuo concorso colposo del lavoratore (il quale, invece che seguire percorso esterno al cantiere per raggiungere il luogo ove era chiamato a svolgere un controllo dipendente dalla sua attività lavorativa, aveva preferito passare per il cantiere), aveva identificato la condotta colpevole dell'imputato, fonte dell'infortunio, nell'aver creato "una via d'accesso al cantiere" non presidiata fisicamente, sottovalutando il pericolo derivante dallo scoperchiamento delle cisterne, di cui una apparentemente coperta da precarie assi di legno.

2. Il C. ricorre per cassazione prospettando unitaria, articolata censura, con la quale denunzia vizio motivazionale in questa sede rilevabile sotto i seguenti profili: a) la Corte di merito aveva apoditticamente asserito, senza spiegare la ragione di un tale convincimento, che l'apposizione dei cartelli standard di segnalazione del pericolo non poteva considerarsi idonea ad inibire l'accesso agli estranei; b) non si era dato conto che al momento dell'infortunio il C. era presente nel cantiere, seppure intento all'opera di sabbiatura e che l'espletamento della detta attività aveva reso inevitabile la rimozione del "bancale", che aveva dato vita al varco; c) non era vero che le assi di legno, poste obliquamente sull'apertura della cisterna, potevano fungere da camminamento, avendo la funzione, invece, come ben riconosciuto dal primo Giudice, di far da base alla strumentazione da impiegare nella sabbiatura; d) la Corte torinese non aveva rilevato che il cantiere era stato predisposto dalla società committente medesima (la B.), ivi inclusa l'apertura dei varchi nelle cisterne diverso tempo prima, cosa nota allo stesso infortunato, che in precedenza aveva avuto modo di verificare i luoghi; e) la zona ove si era verificato l'infortunio non avrebbe dovuto costituire luogo di passaggio, con la conseguenza che "La volontà della persona offesa di trasgredire coscientemente le norme di sicurezza pienamente rispettate, interrompe, come sostenuto nella sentenza di primo grado, il nesso causale"; f) il cantiere, ritagliato all'interno dell'area di pertinenza di una grande industria, era accessibile solo agli operai "i quali erano tenuti all'obbligo del rispetto della normativa antinfortunistica".

Diritto


3. Il ricorso non è fondato.

Non è controverso che l' O. in compagnia di altro operaio della B. si era introdotto all'interno del cantiere, la cui recinzione, costituita da rete e bancali, presentava un varco, al fine di visionare il posizionamento delle valvole collocate all'apice di talune bonze, quindi per ragioni di lavoro; che in precedenza, in assenza dell'apertura, il predetto controllo era stato effettuato giungendo sul luogo attraverso un percorso più lungo, esterno al cantiere; che all'interno del cantiere l'apertura delle cisterne, resa necessaria dai lavori in corso, non era stata protetta con griglie o altri sistemi anticaduta, che garantissero la sicurezza e, allo stesso tempo, l'areazione delle cisterne medesime, sottoposte a sabbiatura; che erano stati apposti i segnali standard di pericolo, pur non essendo stata impartita alcuna specifica istruzione.

3.1. L'obbligo di garantire la sicurezza dei luoghi di lavoro non è posto a sola tutela dei soggetti intranei (gli operai e coloro che, a qualsiasi titolo, sono coinvolti nel processo produttivo o, comunque, lavorativo), ma anche dei terzi (Cass., Sez. 4, n. 2343 del 27/11/2013, Rv. 258435; ma già, Cass. Sez. 4, n. 8351 del 12/05/1981, Rv. 150236) che, a qualsiasi titolo si vengano a trovare all'interno dei luoghi predetti. Fatta la sola eccezione nel caso in cui la presenza del soggetto passivo estraneo all'attività ed all'ambiente di lavoro, nel luogo e nel momento dell'infortunio non rivesta carattere di anormalità, atipicità ed eccezionalità tali da fare ritenere interrotto il nesso eziologico tra l'evento e la condotta inosservante, e la norma violata miri a prevenire l'incidente verificatosi (Cass., Sez. 4, n. 2343 del 27/11/2013, Rv. 258435).

Nella condotta dell'infortunato, pur imprudente, non è dato rinvenire quelle caratteristiche di d'imprevedibile singolarità, abnormità, inconsulta bizzarria, che avrebbero posto la medesima al di fuori della sfera di governabilità del garante del rischio con la consequenziale degradazione della violazione cautelare a mera occasione dell'evento, e interruzione del nesso di casualità. Non si pone al di fuori della ordinaria capacità di previsione da parte del garante, da identificarsi con l'agente modello, ipotizzare che lasciando un varco incustodito (nè custodia poteva garantire il C., impegnato com'era, a suo stesso dire, nell'attività lavorativa) taluno dei dipendenti della B., che per ragioni di lavoro dovevano regolarmente recarsi a controllare le bonze di cui s'è detto, piuttosto che aggirare dall'esterno il cantiere, affrontando un percorso più lungo, avrebbe preferito passare all'interno dell'area di lavoro, resa pericolosa dallo scoperchiamento delle cisterne e, ancor più insidiosa, dall'apparenza che una d'esse, posta proprio sull'itinerario, fosse transitabile in quanto protetta da assi di legno.

3.2. Quanto sopra affermato non trova contrasto nel fatto che fossero stati apposti i cartelli di pericolo previsti dalla legge, nè che l' O. conosce i luoghi e sapesse dei lavori di sabbiatura. Le predette circostanze, certo idonee a rappresentare una situazione di astratto pericolo, perciò stesso non potevano costituire specifico e risolutivo strumento dissuasivo proprio a riguardo di soggetti, come la P.C., che sicuri di conoscere i luoghi, risultano, nell'occorso, "traditi" dall'immutazione dei luoghi in parola.

4. All'epilogo consegue condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al rimborso di quelle sostenute dalla parte civile, siccome liquidate, vista la notula, in dispositivo.

P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile per questo giudizio di cassazione liquidate in Euro 2.500,00 oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2014.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2015