Cassazione Penale, Sez. 4, 16 gennaio 2015, n. 2176  - Movimentazione delle rotoballe di fieno e infortunio mortale di un datore di lavoro. Quando la responsabilità diventa del lavoratore


 

Fatto

 


1. L.A. veniva tratto a giudizio per rispondere del reato di omicidio colposo secondo la seguente contestazione: per aver cagionato, mediante la propria condotta colposa, la morte di Z.B.; in particolare, nell'eseguire all'interno dell'Azienda Agricola Fontanarosa di Z.B., per la quale prestava la propria attività lavorativa, lavori di movimentazione di rotoballe in fieno - valendosi di un mezzo di sollevamento meccanico Manitou Telescopico HLT 940-120 - aveva determinato, attraverso lo spostamento delle rotoballe di una fila, la caduta delle rotoballe della fila vicina che erano andate a colpire Z.B., agendo con colpa per aver eseguito la manovra con imperizia - consistita nell'aver determinato la caduta di alcune rotoballe - e con imprudenza, avendo effettuato l'operazione nonostante la presenza di un'altra persona nell'area delle operazioni, la quale poteva essere interessata dall'eventuale caduta delle balle movimentate;

così cagionando a Z.B. gravi lesioni personali che ne avevano determinato il decesso (fatto avvenuto in (OMISSIS)).

2. Con sentenza del Gup del Tribunale di Vigevano in data 20 novembre 2009 il L., all'esito di giudizio celebrato con il rito abbreviato, veniva assolto perchè il fatto non costituisce reato. In punto di fatto, e sulla base dell'informativa preliminare della competente ASL, era risultato quanto segue: Z.B., titolare dell'omonima azienda agricola, aveva programmato la movimentazione delle rotoballe di fieno, stoccate in colonne da cinque unità ciascuna con un'altezza complessiva di mt. 6, adibendo all'operazione il L., il quale mediante un trattore dotato di forche, e partendo da quelle superiori, doveva portare le rotoballe al piano, così da consentire allo Z., posizionato a ridosso delle file di rotoballe, di slegarle prima dell'utilizzo; nel corso dell'operazione il L. aveva deciso di prelevare la terza e la quarta delle rotoballe impilate nella fila centrale delle tre stoccate in quella zona - altre due erano in altra zona - e, durante la manovra di movimentazione per depositarle a terra, la fila esterna di destra aveva ceduto inclinandosi verso la zona di lavoro dello Z., il quale era stato colpito da una delle rotoballe del peso di circa 190 kg.

2.1. Osservava il GUP che: a) l'oggettiva caduta delle rotoballe non dimostrava, di per sè, la scorrettezza della manovra, che, peraltro, indubbiamente aveva determinato uno stato di precarietà nell'equilibrio delle file rimaste, di tal che certamente sussisteva il nesso di causalità tra la condotta e l'evento; b) tuttavia, la velocità del trattore era risultata assolutamente congrua e non era emerso che, nell'operazione, fosse stata urtata la fila delle rotoballe poi cadute; c) sotto il profilo della prevedibilità ed evitabilità dell'evento, la caduta all'esterno e non verso il centro, dove si era creato il vuoto, costituiva un evento non governabile ed evitabile mediante una scelta diversa, essendo verosimile che un'eventuale condotta diversa - come il prelevare dapprima la fila esterna - avrebbe comunque determinato la perdita di equilibrio della fila immediatamente precedente; d) quanto alla contestata condotta imprudente, per aver operato in presenza di altra persona che poteva essere interessata dall'eventuale caduta delle pesanti rotoballe, la loro movimentazione era tale da determinare una situazione indubbiamente pericolosa, con conseguente necessità di escludere altre presenze: era stato tuttavia lo Z. a decidere ed imporre modalità e tempistiche diverse nell'esecuzione solita del lavoro, e, a fronte di un'autonoma scelta organizzativa da parte del datore di lavoro, sicuramente errata e tale da porlo in pericolo stante la sua vicinanza alla zona di movimentazione, il L., tra l'altro lavoratore in prova, non aveva alcun concreto potere di intervento e di sindacato, potendo inoltre fare ragionevole affidamento sull' esperienza e autoresponsabilità del proprio datore di lavoro nell'attuare comunque quelle cautele necessarie per evitare che la pericolosa attività da lui stesso decisa potesse provocargli delle conseguenze dannose.

3. Interponeva gravame il Procuratore Generale distrettuale, il quale chiedeva l'affermazione di responsabilità dell'imputato e la sua condanna alla pena da richiedersi in udienza. Lamentava l'appellante l'omessa considerazione di dati fattuali comprovanti l'imperita condotta dell'imputato: il primo giudice aveva infatti trascurato la circostanza per la quale, per evidente imperizia, il L. ad un certo punto, invece di procedere prelevando da ciascuna delle tre file stoccate una rotoballa per volta, aveva arbitrariamente deciso di prelevare, per di più nella fila centrale delle tre stoccate, non una sola, ma la terza e la quarta rotoballa, così togliendo sostegno al sistema di stoccaggio in altezza, ed indebolendo il fermo supporto che una fila costituiva per le altre file; ne era conseguita l'inevitabile instabilità della fila di destra, ancora integra, e la caduta a terra di quattro rotoballe; tale conseguenza era prevedibile ed evitabile con l'adozione dell'accortezza di movimentare in modo graduale le rotoballe una per volta, prelevandole da una fila per volta, non alterando il sistema di stoccaggio in altezza e garantendo che ciascuna fila conservasse durante le operazioni lo stesso numero di rotoballe in altezza; in altri termini, l'evento si era verificato in quanto all'imprudenza di movimentare le rotoballe posizionate al centro, la cui fila faceva da sostegno a quelle laterali, si era aggiunta l'ulteriore e grave imprudenza dello spostamento non graduale del numero delle rotoballe prelevate; non risultava, d'altro canto, che lo Z. fosse in qualche modo intervenuto nella scelta operata in completa autonomia dal L., in modo improvviso e non giustificato, senza prevedere la conseguenza inevitabile della caduta.

4. La Corte d'Appello di Milano, in accoglimento del proposto gravame, ed in riforma dell'impugnata sentenza, affermava la colpevolezza del L. condannandolo alla pena di mesi otto di reclusione, con la concessione delle attenuanti generiche e la diminuzione per la scelta del rito.

4.1. La Corte territoriale riteneva che le argomentazioni della Pubblica Accusa apparivano assolutamente condivisibili, emergendo dalle risultanze processuali dati di fatto inequivocabilmente convergenti nel provare l'assoluta superficialità, imprudenza ed imperizia del L. nel movimentare le rotoballe di fieno;

profili di colpa, questi, certamente evidenti posto che l'imputato, se pure assunto solo in prova e da poco tempo presso l'azienda agricola dello Z., per quanto dallo stesso riferito, lavorava comunque nel settore agricolo come trattorista da circa 5 anni, sì da non essere sicuramente, come anche ammesso, alla sua prima esperienza in quella specifica attività; occorreva evidenziare, così svalutando il rilievo attribuito dal primo giudice a modalità e tempistiche diverse dall'abituale operatività, che l'usuale organizzazione del lavoro, se pure modificata per decisione di Z., riguardava solo la fase successiva del posizionamento a terra delle rotoballe, risultando infatti dalle dichiarazioni del figlio della vittima, Z.L., che la normale procedura prevedeva la collocazione delle rotoballe nel luogo preventivamente individuato di tutte quelle necessarie al fabbisogno giornaliero prima di procedere alla loro slegatura; l'infortunio si era verificato nella fase precedente, relativa al prelievo delle rotoballe, stoccate, secondo prassi, in colonne di 5/6 unità ciascuna e di altezza pari a circa 6 metri; ed in detta fase di movimentazione dello stabile sistema di stoccaggio in tre colonne, il L., nel contesto di un'operazione che indubbiamente presentava profili di rischio per la presenza dello Z. - così da esigere l'osservanza delle più elementari cautele - aveva deciso di asportare dalla colonna centrale non una singola rotoballa ma due contemporaneamente, e non secondo un graduale livellamento in altezza ma prelevando contemporaneamente, dalla fila centrale, la terza e la quarta della colonna, come riferito da Z.L.;

la scelta di quella movimentazione era stata conseguenza di una autonoma iniziativa del L., il quale aveva giustificato tale decisione asserendo testualmente "prevedevo che un'eventuale caduta delle rotoballe confinanti sarebbe avvenuta al centro, verso il vuoto da me creato" (verbale s.i.t. 25.8.08); già l'iniziale scelta era stata quindi percepita da L. come possibile causa di sbilanciamento della "struttura" e delle colonne adiacenti, peraltro con valutazione assolutamente soggettiva di una loro "scontata" caduta verso l'interno, ed appariva di tutta evidenza che l'ulteriore, altrettanto autonoma, decisione di asportare contestualmente ben due rotoballe insieme, per di più dalla parte intermedia della colonna di centro, così da alterare e compromettere il sostegno che rappresentavano per l'intero sistema di stoccaggio in altezza, era tale da rendere assolutamente prevedibile il concretizzarsi di quella situazione di squilibrio e di conseguente instabilità delle colonne laterali ancora integre - cui quella centrale garantiva supporto - che aveva causato il cedimento verso l'esterno della fila di destra e la caduta del materiale impilato; a conferma della consapevolezza del L. di determinare con il proprio agire una situazione di oggettiva precarietà nell'equilibrio delle colonne rimaste integre, vi era la circostanza che l'imputato aveva riferito di aver "verificato" che, dopo aver tolto le rotoballe, il tutto "sembrava" stabile e che le rotoballe a fianco non avevano avuto alcuna oscillazione, tanto che egli si era avviato "con tranquillità", per portare quelle asportate verso Z.:

in quel mentre si era verificata la caduta; si era trattato dunque di una scelta immotivata ed arbitraria, non certo "condizionata", per quel che risultava, da direttive o sollecitazioni da parte dello Z., impegnato nell'operazione di slegatura del materiale già a terra, ed esclusiva causa delle prevedibili conseguenze poi verificatesi, posto che l'assoluta anomalia dell'autonoma decisione del L. aveva eliso l'efficienza causale del volontario porsi di Z. in una situazione a rischio; conseguenze indubbiamente addebitabili alla grave imperizia del contestuale spostamento non graduale delle rotoballe - sia nel numero che nel loro originario posizionamento - che avrebbero potuto essere agevolmente evitate con l'accortezza di movimentare singolarmente le balle di fieno e senza alterare in termini così consistenti il sistema di stoccaggio in altezza: vale a dire, movimentando una rotoballa per volta, prelevandola da una fila per volta in successione, e garantendo, nel corso delle operazioni, un intervento graduale e paritetico sull'altezza di ciascuna colonna.

5. Quanto alla pena da infliggere all'imputato, la Corte distrettuale riteneva il L. meritevole delle attenuanti generiche in considerazione dell'esistenza a carico dello stesso di un unico precedente penale di modesta entità, e, nel determinare la pena base, evidenziava tuttavia l'entità del fatto e la gravita della colpa.

6. Ricorre per cassazione l'imputato, con atto sottoscritto personalmente, deducendo vizio di motivazione nella valutazione delle risultanze probatorie, con censure che possono così riassumersi: a) il rapporto tecnico aveva evidenziato la riconducibilità dell'infortunio alla condotta dello Z., avendo costui disposto e diretto le operazione e le modalità di movimentazione delle rotoballe, al punto che il rapporto stesso si era concluso con una proposta di archiviazione; la Corte territoriale avrebbe reso una motivazione in contrasto con il materiale probatorio in atti, compendiato nell'evocato rapporto tecnico e nelle dichiarazioni dei testimoni riversate in atti; b) insussistenza del nesso causale, essendo state del tutto trascurate le concause che, al di là della condotta del L., avrebbero effettivamente cagionato l'evento: le rotoballe non sarebbero state toccate dal L. nè durante la loro movimentazione nè successivamente, ed erano cadute quale conseguenza del naturale evolversi della statica e dinamica delle rotoballe di fieno, caratterizzate da una stabilità non durevole, ed intrinsecamente mutevoli nel tempo al pari di tutti i prodotti biologici: dunque, la caduta delle rotoballe si sarebbe comunque verificata, e l'evento sarebbe in definitiva ascrivibile alla condotta imprudente ed autonoma del datore di lavoro che aveva determinato una situazione di ulteriore pericolo nell'ambito di un'attività da considerarsi già di per sè pericolosa.

5.1. il ricorrente si duole poi del trattamento sanzionatorio essendo stata irrogata una pena non nel minimo edittale senza alcuna motivazione.




Diritto




1. Il ricorso deve essere rigettato per le ragioni di seguito indicate.

2. Il primo giudice - sottolineando comunque la scorrettezza della manovra del L. che aveva determinato condizioni di precarietà nell'equilibrio delle file di rotoballe, creando una situazione di pericolo tenuto conto della presenza di altra persona (lo Z.) a terra nelle immediate vicinanze delle file di rotoballe da movimentare con il mezzo meccanico manovrato dal L. stesso - aveva escluso la penale responsabilità dell'imputato muovendo sostanzialmente dai seguenti rilievi: 1) pur sussistendo il nesso di causalità tra la condotta del L. e l'evento, non apparivano però ravvisabili profili di colpa posto che la velocità del mezzo con il quale venivano movimentate le rotoballe era adeguata; 2) doveva considerarsi evento non governabile la caduta della rotoballa verso l'esterno anzichè verso l'interno, nel senso che doveva considerarsi ben verosimile che un'eventuale condotta diversa (come il prelevare le rotoballe dapprima dalla fila esterna e non da quella centrale) avrebbe determinato ugualmente condizioni di precario equilibrio e la caduta a terra delle pesanti rotoballe; 3) il L. stava svolgendo il lavoro secondo le modalità preventivamente indicate dal datore di lavoro Z.B. il quale aveva deciso di posizionarsi nelle immediate vicinanze delle rotoballe ancora impilate e da movimentare per essere collocate a terra onde procedere poi al loro slegamento; 4) il lavoratore non aveva quindi nessun potere concreto di intervenire sulle scelte organizzative del suo datore di lavoro ed eventualmente sindacarle.

La Corte distrettuale, viceversa, avuto riguardo alla dinamica dell'infortunio quale ricostruita secondo le cadenze fattuali richiamate dal Tribunale prima e dalla Corte stessa poi, quali sopra riportate nella parte narrativa e comunque del tutto pacifiche, ha valorizzato, come decisivo e rilevante profilo di colpa, la condotta del L. laddove questi, con scelta autonoma e non riconducibile a disposizione impartita dal datore di lavoro - ed in presenza di una oggettiva situazione di concreto pericolo, di immediata percezione, vale a dire la presenza dello Z. a terra nelle vicinanze delle rotoballe accatastate - prelevò non una sola rotoballa, ma, contemporaneamente, due rotoballe, rimuovendole dalla fila centrale e senza rispettare alcuna gradualità nell'operazione, così determinando una situazione di chiara instabilità, la cui pericolosità era certamente palese, stante, come detto, la vicinanza dello Z. e la pesantezza di ciascuna rotoballa, la cui caduta era dunque evento assolutamente prevedibile. La Corte territoriale, a riprova della prevedibilità dell'evento - quale poi in concreto verificatosi - ha richiamato la dichiarazione resa dal L. il quale aveva riferito di aver "verificato" che, dopo aver tolto le rotoballe, il tutto "sembrava" stabile e che le rotoballe a fianco non avevano avuto alcuna oscillazione, tanto da avviarsi "con tranquillità" per portare quelle asportate verso Z.; dunque l'imputato, avendo avvertito la necessità di una "verifica", era ben consapevole della pericolosità della sua condotta: ed in effetti, proprio in quel momento si verificò la caduta della rotoballa che investì lo Z..

Le censure di vizio motivazionale dedotte dal ricorrente - incentrate sulle tesi della riconducibilità del comportamento del L. alle scelte operative dello Z., e della insussistenza del nesso causalità sull'asserito rilievo che le rotoballe sarebbero cadute ugualmente per il naturale evolversi della statica e dinamica delle stesse - sono prive di pregio.

Come costantemente affermato nella giurisprudenza di questa Corte (Cass. 27.6.1995 n. 8009; Cass. 16.12.1994 n. 1381; Cass. 9.6.1994 n. 9425; Cass. 9.2.1990 n. 4333), in relazione al vizio di legittimità previsto dall'art. 606 c.p.p., lett. e), il giudice di appello è libero, nella formazione del suo convincimento, di attribuire alle acquisizioni probatorie il significato ed il peso che egli ritenga giusti e rilevanti ai fini della decisione, ma ha tuttavia l'obbligo di spiegare, con motivazione priva di vizi logici o giuridici, le ragioni del suo convincimento; obbligo che, in caso di decisione difforme da quella del giudice di primo grado, impone anche l'adeguata confutazione delle ragioni poste a base della sentenza riformata. Infatti, l'alternatività della spiegazione di un fatto non attiene al mero possibilismo, quale esercitazione astratta del ragionamento disancorata dalla realtà processuale, ma a specifici dati fattuali che rendano verosimile la conclusione di un iter logico cui si perviene senza affermazioni apodittiche. Nel caso di contrasto (come nella specie, totale) tra due decisioni di merito in ordine allo stesso fatto, e cioè tra la sentenza di primo grado e quella di appello, il giudice di secondo grado deve analizzare congruamente ed analiticamente le argomentazioni della sentenza appellata, e spiegare perchè ritenga che le ragioni ivi addotte non siano condivisibili, ed altro sia il ragionamento in direzione della verità. Il giudice di legittimità, in tale situazione di contrasto da parte dei giudici di merito, ben può esaminare la sentenza di primo grado e valutare se il secondo giudice, nel sostituire il proprio modo di vedere a quello risultante dalla sentenza appellata (sorretta, fino a quel momento, da una presunzione di giustizia), abbia tenuto nel debito conto, sia pure per disattenderle, le argomentazioni esposte da quest'ultima: la valutazione del giudice di secondo grado, soprattutto se la difformità concerne l'affermazione o l'esclusione della responsabilità dell'imputato, non può essere infatti superficiale o arbitraria, e tale invece si rivelerebbe qualora disattendesse in modo irragionevole o se omettesse persino di prendere in esame i contrari argomenti del primo giudice. Trattasi di principio autorevolmente avallato dalle Sezioni Unite di questa Corte che hanno avuto modo di precisare quanto segue: "In tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato" (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005 Ud. - dep. 20/09/2005 - Rv. 231679).

Ciò posto, occorre ora verificare se, nel caso in esame, la Corte distrettuale, nel ribaltare il verdetto del primo giudice, abbia adempiuto all'onere motivazionale quale precisato da questa Corte con i principi teste ricordati.

La risposta è affermativa.

La Corte distrettuale ha offerto una diversa lettura del compendio probatorio già vagliato dal Tribunale, svolgendo considerazioni rigorosamente ancorate a quanto accertato circa la dinamica dell'infortunio. E ciò ha fatto, non solo vagliando e confutando quanto sostenuto dal primo giudice, laddove, in particolare, ha espressamente sottolineato come la decisione del L., di prelevare contemporaneamente due rotoballe, nulla aveva a che vedere con le modalità operative del lavoro quali indicate dal datore di lavoro, trattandosi di una specifica scelta operativa autonomamente attuata dal L.; ma evidenziando, altresì, la decisiva circostanza fattuale, trascurata dal Tribunale, della movimentazione, ad opera del L., di due rotoballe contemporaneamente, e non di una sola per volta, in presenza di una situazione di evidente e concreta pericolosità - ben percepita dal L. stesso - che avrebbe richiesto la massima attenzione per assicurare il perdurare delle condizioni di stabilità ed equilibrio delle file di rotoballe nella fase operativa della loro movimentazione. Il ragionamento seguito dai giudici di seconda istanza risulta dunque assolutamente ineccepibile, in quanto sviluppato attraverso un percorso motivazionale che non presenta alcuna connotazione di incongruità - rispetto all'ipotesi formulata dal Tribunale - ed offre una chiave di lettura del tutto in sintonia, sul piano logico, con il compendio probatorio acquisito.

3. Parimenti infondata è la doglianza relativa al trattamento sanzionatorio.

Ed invero la Corte, concedendo peraltro al L. le attenuanti generiche considerando di modesta entità il precedente penale a carico del medesimo, ha proceduto alla dosimetria della pena - determinata comunque tra il minimo ed il medio edittale - sottolineando esplicitamente l'elevato grado di colpa dell'imputato e l'entità del fatto. Orbene, trattasi di motivazione del tutto aderente al consolidato principio enunciato da questa Corte secondo cui, in tema di commisurazione della pena, quando questa (come nella concreta fattispecie) non si discosti di molto dai minimi edittali ovvero venga compresa tra il minimo ed il medio edittale, il giudice ottempera all'obbligo motivazionale adoperando espressioni come "pena congrua", "pena equa", oppure richiamandosi alla gravita del reato o alla personalità del reo, ovvero ai criteri direttivi indicati nell'art. 133 c.p., (in tal senso, "ex plurimis", Sez. 6^, N. 8156/96, RV. 205540; Sez. 6^, N. 7251/90, RV. 184395; Sez. 1^, N. 1059/97, RV. 207050).

4. Al rigetto del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2014.

Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2015