Cassazione Penale, Sez. 4, 25 giugno 2015, n. 26993 - "Colui che cooperi con propria condotta agevolatrice alla produzione dell'evento é chiamato a risponderne": responsabilità di un RSPP


 

Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE Relatore: DOVERE SALVATORE Data Udienza: 17/03/2015

Fatto


1. Il 10 marzo 2007 J.B., dipendente della 'Fattoria di C. s.r.l.', era alla guida di un trattore Fiat 605 al quale era attaccato l'attrezzo denominato "raccoglisarmenti" quando era caduto con il mezzo d'opera in un dirupo durante una manovra eseguita in prossimità del ciglio dello stesso ed era rimasto schiacciato dal trattore, riportando lesioni personali gravissime.
Il Tribunale di Firenze, sezione distaccata di Empoli, aveva ascritto la responsabilità per l'infortunio a B.L. che, quale consulente esterno in materia di sicurezza sul lavoro del datore di lavoro, M.M. (la cui posizione era stata definita con sentenza di patteggiamento), aveva predisposto un documento di valutazione dei rischi incompleto, generico e superficiale, avendo omesso in particolare di analizzare i rischi connessi all'uso del veicolo con il quale era avvenuto l'infortunio in quello specifico ambiente lavorativo nel quale l'evento si era prodotto e di segnalare la necessità dell'adeguamento del veicolo alla vigente normativa, dotandolo di dispositivo antiribaltamento e di cinture di sicurezza. Il B.L. era stato condannato alla pena di mesi due di reclusione, condizionalmente sospesa, nonché al risarcimento dei danni cagionati alle parti civili costituite, da liquidarsi in separata sede, e al pagamento di provvisionale immediatamente esecutiva determinata in euro 50.000 in favore di J.B. e di euro 10.000 ciascuno in favore di G..B. e di R.R., oltre al rimborso delle spese di costituzione e di difesa delle medesime parti.
2. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Firenze ha confermato quella pronunciata in primo grado. La Corte di appello, ricordato che l'imputato medesimo aveva confermato di aver predisposto il documento di valutazione nell'anno 2004 e che la sua opera di consulenza era proseguita negli anni, ha ritenuto che egli avrebbe dovuto segnalare l'inidoneità del veicolo, palesemente obsoleto e privo di dispositivi di sicurezza già all'epoca previsti dalla legge, e comunque prescrivere limitazioni al suo utilizzo, anche al fine di rendere il datore di lavoro edotto dei rischi connessi all'uso del mezzo. Per contro il documento di valutazione dei rischi descriveva il trattore in questione come in buone condizioni così configurandosi l'omessa valutazione del rischio connesso all'uso del predetto veicolo, certamente in relazione causale con l'infortunio avvenuto.
3. Avverso tale decisione ricorre per cassazione l'imputato a mezzo del difensore di fiducia, avv. Omissis.
3.1. Con un primo motivo deduce violazione di legge in relazione agli artt. 590, co. 2, 42 e 43 cod. pen. nonché 4, 8, e 9 d.lgs. n. 626/1994.
Rileva il ricorrente che la Corte di appello ha fatto errata applicazione della legge penale sia in relazione alla posizione di garanzia ritenuta assunta dall'imputato sia rispetto al nesso causale tra la condotta del medesimo e l'evento verificatosi. Ad avviso dell'esponente la posizione di garanzia in relazione al verificarsi di un evento che si assume connesso con la presunta carenza del documento di valutazione dei rischi afferisce esclusivamente al datore di lavoro e non è estensibile al consulente che abbia collaborato per la redazione del documento. Il consulente esterno del datore di lavoro rientra tra i soggetti contemplati nell'articolo 8, comma 4, del decreto legislativo 626/1994, il quale prevede che il datore di lavoro può avvalersi di persone esterne all'azienda in possesso delle conoscenze professionali per integrare l'azione di prevenzione e protezione, ferma restando la designazione del responsabile del servizio di prevenzione protezione. E se è vero che il responsabile di quest'ultimo servizio opera per conto del datore di lavoro e che solo a questi compete l'obbligo di effettuare la valutazione del rischio e di elaborare il documento, tanto vale a maggior ragione per il semplice consulente esterno. La sentenza impugnata ha disconosciuto che l'opera del consulente é condizionata dai dati conoscitivi offerti dal datore di lavoro. Nel caso di specie è emerso dalla istruttoria dibattimentale che le informazioni fornite dal datore di lavoro al consulente indicavano che il trattore in questione non era adoperato per le lavorazioni agricole nella Fattoria di C. ma era confinato nella Fattoria di S.. La Corte di appello ha ritenuto che il B.L. dovesse verificare personalmente tali informazioni ma tale obbligo non è previsto normativamente.
Non costituendo il trattore una fonte di pericolo, esso non doveva essere preso in considerazione ai fini della valutazione del rischio.
3.2. Con un secondo motivo si lamenta la violazione degli articoli 590, 40, comma 1 e 41, commi 2 e 3 cod. pen. nonché vizio motivazionale. Rileva l'esponente che il documento di valutazione dei rischi era stato redatto il 10 luglio 2004 e che l'infortunio si era verificato il 10 marzo 2007. Poiché il documento di valutazione dei rischi rappresenta una fotografia del rischio esistente in un determinato momento storico ed è esclusivo obbligo del datore di lavoro aggiornare le misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi e produttivi che hanno rilevanza ai fini della salute della sicurezza del lavoro, con il connesso obbligo di rielaborare la valutazione ed il documento in occasione di modifiche del processo produttivo significative ai fini della sicurezza della salute, è il datore di lavoro a non aver ottemperato agli obblighi ed è l'omesso aggiornamento della valutazione dei rischi ad aver avuto l'efficienza causale rispetto all'evento.
Su tale punto la sentenza impugnata sarebbe totalmente carente di adeguata motivazione; per l'esponente l'infortunio fu determinato in via esclusiva dalla la decisione del datore di lavoro di utilizzare il mezzo su un terreno diverso rispetto a quello conosciuto dall'imputato, esponendo il lavoratore ad un'attività pericolosa senza aver adeguato alla suddetta lavorazione l'originario documento di valutazione dei rischi.

Diritto


4. In via preliminare deve rilevarsi come il reato per il quale si procede risulti estinto per il decorso del termine massimo di prescrizione, pari a sette anni e sei mesi. Tanto importa la necessità di limitare la verifica alla quale é chiamata questa Corte alla sussistenza di una prova evidente di innocenza, secondo la previsione dell'art. 129, co. 2 cod. proc. pen.
Ebbene, non emergendo in atti elementi evidenti e palmari di irresponsabilità del condannato, per una pronuncia nel merito più favorevole, deve pronunciarsi l'annullamento della sentenza, senza rinvio, ai fini penali.
Le diffuse argomentazioni svolte dalla Corte territoriale nella pronuncia impugnata, che di qui a breve si ripercorrono, escludono qualsiasi possibilità di proscioglimento nel merito; esse valgono anche ad escludere la fondatezza delle censure svolte dal B.L., che sono comunque da esaminare attesa la pronuncia di condanna dello stesso al risarcimento dei danni in favore delle parti civili.
In tema di declaratoria di estinzione del reato, infatti, l'art. 578 cod. proc. pen. prevede che il giudice d'appello o la Corte di Cassazione, nel dichiarare estinto per amnistia o prescrizione il reato per il quale sia intervenuta "condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati", sono tenuti a decidere sull'impugnazione agli effetti dei capi della sentenza che concernano gli interessi civili; al fine di tale decisione i motivi di impugnazione proposti dall'imputato devono essere esaminati compiutamente, non potendosi trovare conferma della condanna al risarcimento del danno (anche solo generica) dalla mancanza di prova della innocenza degli imputati, secondo quanto previsto dall'art. 129, co. 2 cod. proc. pen. (Cass. Sez. 6, sent. n. 3284 del 25/11/2009, Mosca, Rv. 245876).
5.1. Orbene, sotto lo specifico profilo ora menzionato le doglianze proposte dal B.L. non sono fondate.
Non può essere condivisa la censura che il ricorrente muove alla interpretazione adottata dai giudici di merito in ordine alla configurabilità di una posizione di garanzia in capo al consulente alla cui collaborazione il datore di lavoro ricorra per eseguire la valutazione dei rischi connessi all'attività lavorativa. Com'è noto, con tranquillizzante consonanza di voci, tanto la dottrina che la giurisprudenza di legittimità ritengono che una posizione di garanzia -presupposto essenziale ancorché non esclusivo dell'imputazione di un evento illecito in forza della regola della 'causalità equivalente' di cui all'art. 40 cpv. cod. pen. - possa essere costituita oltre che dalla legge e più in generale da fonti di diritto pubblico, anche dal contratto; potrebbe aggiungersi che l'assunzione di una posizione di garanzia può derivare anche dallo svolgimento di attività intrinsecamente pericolose, tali essendo non solo quelle così identificate dalle leggi di pubblica sicurezza o da altre leggi speciali, bensì ogni attività che per sua stessa natura o per le caratteristiche di esercizio comporti una rilevante possibilità del verificarsi di un danno (Sez. 4, n. 26239 del 19/03/2013 - dep. 14/06/2013, Gharby e altri, Rv. 255697; Sez. 4, n. 39619 del 11/07/2007, Bosticco e altro, Rv. 237833). Ma tali riferimenti non sono necessari nel caso che occupa, nel quale il B.L. assunse su base contrattuale - ancorché priva di forma scritta - il compito di collaborare con il M.M. nell'attività di risk assessment che esita nella redazione del documento di valutazione dei rischi. Ciò non é in alcun modo in contrasto con la circostanza dell'essere il datore di lavoro unico soggetto gravato dall'obbligo di provvedere agli adempimenti prescritti in tema di valutazione dei rischi; questi, infatti, reca l'intera responsabilità per l'inosservanza dell'obbligo ed é il soggetto attivo di un reato proprio, qual'é quello definito dal combinato disposto, al tempo del fatto, dagli artt. 4 e 89 d.lgs. n. 626/1994 (ed oggi dagli artt. 17, co. 1 lett. a) e 55, co. d.lgs. n. 81/2008). Ma ove la violazione della prescrizione cautelare rappresenti il nucleo di una condotta produttiva di un evento illecito, colui che cooperi con propria condotta agevolatrice alla produzione dell'evento é chiamato a risponderne in forza della previsione dell'art. 113 cod. pen.; e se il suo apporto è di natura omissiva, le condizioni dell'imputazione del fatto anche al cooperante si rinvengono nel combinato disposto dagli artt. 40 cpv. e 113 cod. pen.
La cornice normativa appena evocata é esattamente quella nella quale viene collocata l'attribuzione della responsabilità per un avvenuto infortunio al responsabile del servizio di prevenzione e protezione che abbia offerto o mancato di offrire 'per colpa' - ovvero per negligenza, imprudenza, imperizia o violando positive regole cautelari - al datore di lavoro un contributo nella elaborazione della valutazione dei rischi, quando dalle deficienze di questa imputabili al cooperatore sia derivato, secondo un rapporto di connessione eziologica, l'infortunio. Il principio risulta più e più volte ribadito da questa Corte; da ultimo anche nella composizione più autorevole. Le Sezioni unite hanno infatti affermato che, in tema di infortuni sul lavoro, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur svolgendo all'interno della struttura aziendale un ruolo non gestionale ma di consulenza, ha l'obbligo giuridico di adempiere diligentemente l'incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all'attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, all'occorrenza disincentivando eventuali soluzioni economicamente più convenienti ma rischiose per la sicurezza dei lavoratori, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri. (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014 - dep. 18/09/2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, Rv. 261107).
5.2. Orientate le esposte premesse verso la vicenda in esame, risulta la piena correttezza della sentenza impugnata, la quale si é conformata ai principi espressi da questa Corte nel dare risposta ai rilievi dell'imputato - per lo più gli stessi svolti con i motivi qui esaminati. La esclusiva competenza del datore di lavoro a elaborare la valutazione dei rischi e a redigere il relativo documento non può condurlo ad esenzioni da responsabilità ma non si oppone all'inclusione di altri nel cono del rimprovero penale.
Il B.L. aveva assunto in forza di contratto di consulenza il compito di svolgere attività di supporto tecnico all'adempimento dovuto dal M.M. dell'obbligo di valutazione dei rischi lavorativi. Ciò lo ha costituito garante, in uno con il datore di lavoro, della tutela dei beni giuridici che attraverso la valutazione del rischio si vuole mettere al riparo da offese. Anzi, può dirsi meglio, utilizzando una prospettiva già rintracciabile nella giurisprudenza di legittimità ed ora oggetto di una precisa indicazione di elezione da parte delle Sezioni Unite: assumendo il compito di collaborare nel risk assessment, il B.L. si é fatto co-gestore del rischio determinato dalle attività dell'impresa, sia pure limitatamente alla fase della valutazione dei rischi specifici connessi alle diverse lavorazioni e componenti del processo produttivo.
Ciò é indiscutibile non solo con riferimento alla valutazione incarnatasi nel documento redatto nell'anno 2004 ma anche al tempo del verificarsi dell'infortunio. Infatti, la Corte di Appello ha affermato che il rapporto di consulenza persistette sino ad un mese dopo l'infortunio.
5.3. Di maggior spessore é il rilievo dell'esponente che evidenzia il condizionamento dell'opera del consulente alle informazioni trasmesse dal datore di lavoro. Non v'é dubbio che quest'ultimo, quale dominus dell'organizzazione aziendale, sia depositario di tutte le informazioni influenti sulla valutazione dei rischi; e che mentre talune devono essere necessariamente veicolate al consulente perché questi ne possa avere conoscenza, altre sono agevolmente reperibili da questo solo che il rapporto di consulenza abbia una sua dimensione reale. Ma erra l'esponente nel derivare dalla previsione dell'art. 9 co. 2 d.lgs. n. 626/1994 (norma vigente al momento del fatto; oggi il riferimento è all'art. 33 d.lgs. n. 81/2008) l'insussistenza dell'obbligo del consulente nella valutazione dei rischi (sia esso Rspp o esperto estraneo all'organigramma aziendale) di acquisire le informazioni necessarie al corretto assolvimento del suo compito, che in prima istanza consiste nella "individuazione dei fattori di rischio ... sulla base della specifica conoscenza dell'organizzazione aziendale".
Nel caso che occupa i giudici di merito rammentano che il B.L. effettuò una visita presso le varie sedi dell'azienda, venendo così a conoscere dell'unitarietà della gestione pur a fronte delle diverse intestazioni; che egli esaminò il trattore, già allora obsoleto e non dotato di essenziali ed obbligatori dispositivi di sicurezza quali il rollbar e le cinture di sicurezza, e ciò nonostante lo indicò come "in buone condizioni', senza evidenziare che non era idoneo all'utilizzo su qualsiasi tipo di terreno. Puntualizzazioni che descrivono il pertinente bagaglio informativo in possesso del B.L. e che rendono privo di pregio l'argomento difensivo della mancanza di conoscenza nel consulente B.L. dell'uso del mezzo d'opera presso la fattoria di C. (circostanza peraltro esclusa in fatto dalla Corte di Appello).
5.4. Il restante motivo, alla luce di quanto appena esplicato, risulta manifestamente infondato, siccome prende le mosse da una sottolineatura della novità dell'adibizione del trattore ai lavori presso la fattoria di S.. Si é appena dimostrata che siffatta circostanza é di nessun rilievo, per la originaria e totale inidoneità del mezzo all'utilizzo su qualsiasi terreno.
6. In conclusione, il ricorso va rigettato agli effetti civili. Il ricorrente va condannato alla rifusione delle spese in favore delle parti civili J.B., R.R. e G.B. , liquidate in complessivi euro 3.500,00 oltre accessori come per legge.

P.Q.M.

annulla senza rinvio la sentenza impugnata ai fini penali, per essere il reato ascritto all'imputato estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso ai fini civili e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese in favore delle parti civili J.B., R.R. e G.B. che liquida in complessivi euro 3.500,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 17/3/2015.