Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 15 gennaio 2015, n. 1858 - Muletto adoperato come scala e infortunio: responsabilità di un capo reparto


 

 


"In tema di sicurezza antinfortunistica, il compito del datore di lavoro, o del dirigente cui spetta la "sicurezza del lavoro" (ruolo che nel caso di specie ricopriva l'imputato quale capo reparto preposto alla sicurezza dei lavoratori) "è molteplice e articolato, e va dalla istruzione dei lavoratori sui rischi di determinati lavori e dalla necessità di adottare certe misure di sicurezza, alla predisposizione di queste misure e quindi, ove le stesse consistano in particolari cose o strumenti, al mettere queste cose, questi strumenti, a portata di mano del lavoratore e, soprattutto, al controllo continuo, pressante, per imporre che i lavoratori rispettino quelle norme, si adeguino alla misure in esse previste e sfuggano alla superficiale tentazione di trascurarle. Il responsabile della sicurezza, sia egli o meno l'imprenditore, deve avere la cultura e la "forma mentis" del garante del bene costituzionalmente rilevante costituito dalla integrità del lavoratore ed ha perciò il preciso dovere non di limitarsi a assolvere normalmente il compito di informare i lavoratori sulle norme antinfortunistiche previste, ma deve attivarsi e controllare sino alla pedanteria, che tali norme siano assimilate dai lavoratori nella ordinaria prassi di lavoro. Inoltre lo specifico onere di informazione e di assiduo controllo, se è necessario nei confronti dei dipendenti dell'impresa, si impone a maggior ragione nei confronti di coloro che prestino lavoro alle dipendenze di altri e vengano per la prima volta a contatto con un ambiente e delle strutture a loro non familiari e che perciò possono riservare insidie non note"."

Mette conto sottolineare, inoltre, che, secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte, le norme sulla prevenzione degli infortuni hanno la funzione primaria di evitare che si verifichino eventi lesivi della incolumità fisica, intrinsecamente connaturati all'esercizio di talune attività lavorative, "anche nelle ipotesi in cui siffatti rischi siano conseguenti ad eventuale disaccortezza, imprudenza e disattenzione degli operai subordinati". Se è vero, poi, che destinatari delle norme di prevenzione, contro gli infortuni sul lavoro, sono non solo i datori di lavoro, i dirigenti e i preposti, ma anche gli stessi operai, giova ricordare, tuttavia, che l'inosservanza di dette norme da parte dei datori di lavoro, dei dirigenti e dei preposti ha valore assorbente rispetto al comportamento dell'operaio, la cui condotta può assumere rilevanza solo dopo che da parte dei soggetti obbligati siano adempiute le prescrizioni di loro competenza.


 


Fatto



1. Con sentenza del 22.05.2008 il Tribunale di Venezia - Sezione distaccata di Portogruaro - condannava M.L., nella sua qualità di capo reparto preposto alla sicurezza dei lavoratori presso lo stabilimento della società ROOF & WALL PANEL spa di (OMISSIS), alla pena (sospesa) di mesi 4 di reclusione per il reato di lesioni colpose aggravate, ex art. 590 c.p., commi 1, 2 e 3, dalla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro e dalla durata della malattia superiore a 40 giorni, cagionate al lavoratore dipendente B.A. con la condotta connotata dai profili di colpa generica e specifica dettagliatamente indicati nel capo di imputazione contestato (fatto commesso il (OMISSIS)); il Tribunale predetto condannava inoltre l'imputato al risarcimento dei danni in favore della persona offesa costituitasi parte civile, rimettendone la liquidazione al competente giudice civile.

Le circostanze e la dinamica dell'infortunio sul lavoro di cui era rimasto vittima il B. risultavano puntualmente ricostruite in sentenza sulla scorta delle risultanze dell'istruttoria dibattimentale: l'infortunato, che svolgeva all'epoca del fatto mansioni di carrellista e magazziniere, era stato incaricato dal prevenuto di occuparsi della copertura di un locale adibito a bagno all'interno di un capannone adiacente a quello dove si svolgeva l'attività produttiva della società; il vano del bagno era stato realizzato mediante la collocazione di tramezze e di un controsoffitto a un'altezza di circa tre metri da terra (a fronte di un'altezza complessiva del capannone di circa 7 metri), deteriorato dall'acqua piovana - che entrava dalle finestre prive di serramenti presenti nelle pareti esterne del capannone - e necessitante perciò di rifacimento; in esecuzione dell'incarico ricevuto, la parte offesa aveva pertanto proceduto, in mattinata, alla misurazione e al taglio dei pannelli necessari a rifare il soffitto del bagno insieme al collega di lavoro R.L.; nel pomeriggio il B. si era quindi recato, da solo, alla guida di un carrello elevatore nel capannone in cui doveva essere eseguito il lavoro, dove era salito sulle forche del muletto per elevarsi all'altezza del solaio del bagno per visionare la copertura da riparare; nel corso di tale operazione la parte offesa, che era salita sul muro perimetrale del capannone (fungente da parete del bagno) spostandosi con le spalle rasenti al muro, aveva poggiato i piedi sul soffitto di cartongesso che aveva ceduto sotto il suo peso, così precipitando a terra da un'altezza di circa tre metri.

1.1. Il Tribunale riteneva provati i profili di colpa addebitati all'imputato, consistiti nell'aver incaricato il B. della posa dei pannelli di copertura del bagno senza fornirgli l'attrezzatura adeguata all'esecuzione della prestazione lavorativa da svolgersi a un'altezza superiore ai due metri, senza informarlo delle condizioni di fatiscenza in cui versava il solaio e dei rischi conseguenti, e senza tenere conto della mancanza - da parte del B., in base alle mansioni concretamente svolte - delle competenze e della formazione richieste dalla specifica lavorazione.

Il Tribunale valorizzava, in particolare, gli elementi di prova ricavabili dalle deposizioni testimoniali della parte offesa e dei suoi colleghi di lavoro, dalle quali risultava che era stato l'imputato a conferire l'incarico di tagliare i pannelli, presenziando alle relative operazioni, senza fornire indicazioni sulle modalità di posa del soffitto nè la necessaria attrezzatura, senza vigilare affinchè l'attività lavorativa si svolgesse nel rispetto delle norme di sicurezza e con l'ausilio delle prescritte opere provvisionali, nonostante l'immediata percepibilità della situazione di pericolo derivante dalla fatiscenza del solaio esistente, non conoscibile da chi - come il B. - non operava nel capannone (chiuso) dove si trovava il bagno oggetto dell'intervento. Il Tribunale escludeva che potesse assumere efficacia scriminante della responsabilità del preposto l'eventuale circostanza che l'imputato si fosse riservato di fornire nel pomeriggio le proprie indicazioni sulle modalità di esecuzione dei lavori, essendo normale e prevedibile che il lavoratore, una volta affidatogli l'incarico e avviata la prestazione mediante il taglio dei pannelli, procedesse alla fase successiva recandosi nel capannone a verificare lo stato del soffitto che doveva sostituire; rilevava ancora il giudicante che lo S. aveva accertato, in occasione del primo sopralluogo successivo all'infortunio, che nessuna scala era presente in loco, così confermando che il M. non aveva messo a disposizione dell'infortunato gli strumenti di lavoro necessari ed appropriati, mentre l'uso improprio del muletto come scala improvvisata aveva trovato riscontro in altri precedenti episodi riferiti dal testimoniale.

La colpa così accertata era dunque stata, ad avviso del Tribunale, causa efficiente dell'infortunio, mentre doveva ritenersi irrilevante l'eventuale presenza di una scala all'interno dello stabilimento all'epoca del fatto, posto che l'imputato non l'aveva comunque messa a disposizione del B., prescrivendogliene l'utilizzo e assicurandosi della relativa circostanza.

2. Proponeva rituale gravame l'imputato, chiedendo in principalità l'assoluzione per non aver commesso il fatto, e in subordine la riduzione della pena inflitta. La Corte d'Appello di Venezia, per la parte che in questa sede rileva, dopo aver premesso che non risultavano in contestazione nè la dinamica e le circostanze di fatto dell'infortunio sul lavoro di cui era rimasto vittima il B. (e le conseguenti lesioni dallo stesso riportate nell'evento), nè la qualità dell'imputato di caporeparto preposto alla sicurezza dei lavoratori sottoposti alle sue direttive - nè, infine, l'ordine impartito dal M., nella suddetta sua qualità, al B. di occuparsi del rifacimento della copertura del bagno del capannone di proprietà della società mediante la sostituzione dei pannelli del soffitto - dava conto del proprio convincimento in punto di ritenuta colpevolezza dell'imputato, con argomentazioni che possono così riassumersi: a) al di là delle contraddizioni emerse circa l'individuazione delle specifiche incombenze assegnate da B. con l'ordine di lavorazione, assumeva rilevanza decisiva, la sicura consapevolezza dell'imputato della intrinseca e oggettiva pericolosità della prestazione lavorativa affidata alla parte offesa, senza predisporre e adottare tempestivamente le necessarie misure di sicurezza - pur nella consapevolezza che il B. era privo di un'idonea formazione, esperienza e competenza al riguardo - e dunque ben conscio dei rischi che quella prestazione comportava fin dalla fase iniziale della valutazione delle modalità del lavoro da svolgere, della preparazione dei materiali e dell'esecuzione delle relative misurazioni; b) l'incarico conferito non era limitato alle mere operazioni di sagomatura, taglio e predisposizione dei pannelli, da eseguirsi nel capannone adibito a stabilimento produttivo in vista del loro successivo montaggio nel capannone adiacente; esso comprendeva invece, necessariamente, l'accesso e la visione - da parte dei lavoratori incaricati - del luogo in cui i pannelli dovevano essere posizionati, se non altro per valutarne preventivamente la forma e le dimensioni e prendere le misure indispensabili per calcolare correttamente le superfici da tagliare:
l'esecuzione, a tal fine, del relativo sopralluogo, con la partecipazione anche del M., aveva trovato pacifico riscontro nelle deposizioni dei testi R. e A., i quali avevano confermato che nell'occasione erano state effettuate le misurazioni del perimetro del bagno, del resto necessitate dalla peculiare disposizione del locale; c) era dunque ordinariamente prevedibile, da parte dell'imputato, che un lavoratore addetto ad altre mansioni (quelle di magazziniere/carrellista) come il B. si adoperasse, al fine di meglio adempiere l'incarico, per salire all'altezza del soffitto del bagno da sistemare (servendosi, nella fattispecie, delle forche del muletto che era solito utilizzare), e ciò, non già - necessariamente - per effettuare la sostituzione dei pannelli (oggetto della prestazione lavorativa le cui modalità esecutive - secondo la tesi difensiva - non erano ancora state decise), ma semplicemente per valutare il lavoro da compiere, tanto più che la porta del bagno (secondo una circostanza incontroversa, pacificamente emersa dal testimoniale) era chiusa a chiave; e, dunque, la relativa valutazione avrebbe dovuto altrimenti operarsi - in modo ancor più approssimativo e inadeguato - non solo dal basso ma anche dall'esterno del locale; d) lo stesso B. aveva affermato di essersi portato, tramite il muletto, all'altezza della copertura del bagno, nel pomeriggio e in attesa dell'arrivo del collega R., per vedere e visionare come era il tetto ed il R. aveva confermato che "da sotto" la struttura di cartongesso del "tetto" non si poteva vedere "perchè la cabina del bagno era chiusa"; e) lo stato di fatiscenza in cui versava il soffitto del bagno, pacificamente noto all'imputato (che infatti ne aveva commissionato alla parte offesa il rifacimento), rendeva dunque immanente la situazione di pericolo oggettivo derivante all'incolumità dei lavoratori da un'ispezione (dall'alto) della relativa copertura, che avrebbe dovuto costituire oggetto di rappresentazione da parte del M., preposto alla loro sicurezza, in quanto rientrante nel novero dei rischi prevedibili connessi all'incombenza agli stessi affidata: ciò imponeva all'imputato di predisporre e organizzare le necessarie misure di sicurezza (in particolare facendo portare nel capannone la scala di sicurezza munita di ruote, parapetto e scalini antiscivolo ritratta nelle fotografie in atti, ove già esistente e presente in azienda all'epoca del fatto) fin dal mattino, allorchè aveva inviato B. e R. a prendere le misure del lavoro da svolgere, operazione che comportava la normale evenienza di un sopralluogo eseguito dall'alto con conseguente rischio di caduta dei lavoratori da un'altezza di tre metri; f) la concretezza della situazione di rischio esistente era stata accertata dal teste R., ispettore S., in sede di sopralluogo eseguito nell'immediatezza del fatto, che aveva consentito di appurare la natura non portante del solaio del bagno e la disponibilità da parte del B. di una striscia di bordatura dello spessore di soli 10 cm. su cui muoversi e camminare lungo la parete del muro conclamando un pericolo di caduta, in effetti poi realizzatosi dopo che la parte offesa aveva mosso soltanto pochi passi; g) l'iniziativa assunta dal B., di salire con le descritte modalità a ispezionare la copertura del bagno da sistemare, non esulava dunque dalla prestazione lavorativa commissionatagli dall'imputato, anche nell'ipotesi - dedotta dall'appellante come motivo di gravame della sentenza impugnata - che la decisione inerente le concrete modalità di esecuzione della posa dei pannelli (già sagomati, tagliati e predisposti) fosse stata rimandata a un momento successivo: ciò escludeva in radice la possibilità di attribuire l'infortunio a un comportamento abnorme, eccezionale e imprevedibile del lavoratore, idoneo a interrompere il nesso causale con la violazione colposa addebitata all'imputato per non aver predisposto e assicurato tempestivamente le necessarie misure di sicurezza e per non aver istruito e formato adeguatamente la parte offesa; h) il concorso della condotta imprudente del B. nella produzione dell'evento lesivo, pertanto, non poteva valere a escludere - ma solo ad attenuare -la responsabilità del M..

3. Ricorre per cassazione il M. articolando motivi di censura finalizzati a sostenere le tesi difensive, sia dell'inesistenza di condotte colpose addebitagli al M. stesso, sia della mancanza, comunque, del nesso di causalità tra la posizione di garanzia del M. e l'evento: secondo l'assunto del ricorrente, l'infortunio si sarebbe verificato per la condotta del tutto abnorme del B. il quale avrebbe dato luogo ad attività lavorativa non ancora programmata nelle sue linee esecutive dal M. e quindi al di fuori della sfera di garanzia di quest'ultimo; si sostiene, in particolare, con il ricorso che la Corte distrettuale avrebbe dato per non provata la circostanza della presenza in cantiere di una scala munita di ruote e parapetto, mentre al contrario detta circostanza - dalla difesa ritenuta di rilevante e decisiva importanza ai fini della valutazione della prevedibilità o meno del comportamento tenuto dalla parte offesa - era invece stata riferita dall'ufficiale di P.G. R.G. che aveva compiuto gli accertamenti dopo l'infortunio (in proposito, con il ricorso viene indicata la data dell'udienza, e vengono riportati i dati identificativi della scala "de qua" - desumibili dalla documentazione relativa all'acquisto dell'attrezzo in epoca anteriore rispetto a quella dell'infortunio - del tutto corrispondenti a quelli presenti sulla scala visibile nelle fotografie in atti): lo stesso B. aveva riferito di essere a conoscenza dell'esistenza di tale attrezzo ed aveva utilizzato poi un mezzo inadeguato, peraltro ben a conoscenza dello stato fatiscente della struttura oggetto dell'intervento di manutenzione come desumibile dalla sua stessa deposizione.



Diritto

1. Ritiene il Collegio che preliminarmente - avuto riguardo al "tempus commissi delicti" (1 marzo 2006) ed alla pena edittale prevista per il reato (art. 590 c.p.: lesioni personali colpose) contestato al M. - occorre verificare se, alla data della odierna udienza, sia interamente decorso il termine massimo di prescrizione (sette anni e mezzo, con riferimento alla formulazione del testo dell'art. 157 c.p.). Ciò posto, va rilevata l'intervenuta prescrizione: detta causa estintiva del reato deve invero ritenersi verificata pur tenendo conto del principio enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte - con sentenza (imp. Cremonese) del 28 novembre 2001, depositata l'11 gennaio 2002 - in tema di sospensione del decorso del termine di prescrizione in conseguenza di impedimento dell'imputato o del suo difensore, non rilevandosi dagli atti periodi di sospensione del corso della prescrizione tali da comportare lo slittamento del termine massimo di prescrizione a data successiva all'odierna udienza. Giova ricordare che questa Corte ha affermato, e più volte ribadito, il principio di diritto secondo cui, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata, perchè l'inevitabile rinvio della causa all'esame del giudice di merito dopo la pronuncia di annullamento è incompatibile con l'obbligo dell'immediata declaratoria di proscioglimento stabilito dall'art. 129 cod. proc. pen.: "in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l'obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva. (In motivazione, la S.C. ha affermato che detto principio trova applicazione anche in presenza di una nullità di ordine generale)" in termini: Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009 Ud. - dep. 15/09/2009 - Rv. 244275, Tettamanti; conf., "ex plurimis": Sez. 1, n. 4177/04, RV. 227098; nello stesso senso: Sezioni Unite, n. 1653/93, imp. Marino ed altri, RV. 192471; Sez. 3, n. 24327/04, P.G. in proc. De marco, RV. 228973.

1.1. Tanto premesso, occorre adesso verificare se, avuto riguardo ai motivi dedotti dal ricorrente in relazione alle argomentazioni svolte dalla Corte d'Appello di Venezia nell'impugnata sentenza, il ricorso presenti profili di inammissibilità per la manifesta infondatezza delle doglianze ovvero perchè basato su censure non deducibili in sede di legittimità, tali, dunque, da non consentire di rilevare l'intervenuta prescrizione (posto che si tratterebbe di causa originaria di inammissibilità).

Orbene, non si rilevano profili di inammissibilità del ricorso, avuto riguardo al tenore ed alla natura delle deduzioni con le quali sono state affrontate le tematiche concernenti la sussistenza della contestata violazione della normativa antinfortunistica, nonchè la condotta dell'infortunato nella quale i giudici di merito hanno ravvisato profili di colpa concorsuale nella dinamica dell'infortunio.

1.2. Nè, nella concreta fattispecie, sussistono i presupposti previsti dall'art. 129 c.p.p., comma 2. Ed invero, il sindacato di legittimità ai fini dell'eventuale applicazione di tale norma, deve essere circoscritto all'accertamento della ricorrenza delle condizioni per addivenire ad una pronuncia di proscioglimento nel merito con una delle formule prescritte: la conclusione può essere favorevole al giudicabile solo se la prova dell'insussistenza del fatto o dell'estraneità ad esso dell'imputato risulti evidente sulla base degli stessi elementi e delle medesime valutazioni posti a fondamento della sentenza impugnata, senza possibilità di nuove indagini ed ulteriori accertamenti che sarebbero incompatibili con il principio secondo cui l'operatività della causa estintiva, determinando il congelamento della situazione processuale esistente nel momento in cui è intervenuta, non può essere ritardata:
qualora, dunque, il contenuto complessivo della sentenza non prospetta, nei limiti e con i caratteri richiesti dall'art. 129 c.p.p., l'esistenza di una causa di non punibilità più favorevole all'imputato, prevale l'esigenza della definizione immediata del processo. Nella impugnata sentenza della Corte distrettuale non sono riscontrabili elementi di giudizio idonei a riconoscere la prova evidente dell'innocenza del prevenuto ma sono contenute, anzi, valutazioni di segno opposto.

2. L'impugnata sentenza deve essere pertanto annullata senza rinvio, perchè estinto il reato per intervenuta prescrizione.

3. La declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione comporta la necessità di esaminare le doglianze del ricorrente ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili (art. 578 c.p.p.).

3.1. Ciò posto, il ricorso deve essere rigettato, agli effetti civili, per l'infondatezza delle censure relative ai ravvisati profili di colpa nella condotta del M..

Nella concreta fattispecie, invero, la decisione impugnata si presenta formalmente e sostanzialmente legittima ed i suoi contenuti motivazionali - quali sinteticamente sopra riportati (nella parte narrativa) e da intendersi qui integralmente richiamati onde evitare superflue ripetizioni - forniscono, con percorso argomentativo basato su una corretta utilizzazione e valutazione delle risultanze probatorie, esauriente e persuasiva risposta ai quesiti concernenti la vicenda oggetto del processo.

Le doglianze dedotte dal ricorrente, pur articolate con diffuse argomentazioni, risultano prive di giuridico fondamento quanto alla ritenuta responsabilità per l'infortunio subito dal B..

La Corte d'Appello ha accertato in punto di fatto che nei confronti del B. non vi era stata alcuna formazione ed informazione in relazione al lavoro che avrebbe dovuto svolgere, peraltro diverso da quello che rientrava nelle sue abituali mansioni, e che il M. non aveva avuto cura di assicurarsi che il B., in relazione alle peculiarità del lavoro da svolgere in quota ed alla oggettiva pericolosità dello stesso, utilizzasse un adeguato attrezzo, e cioè una scala idonea, e non il muletto con forche - che il B. era solito utilizzare per le diverse incombenze che rientravano nelle suo ordinarie mansioni - che non poteva garantire la necessaria sicurezza in relazione al lavoro affidatogli dal M. stesso.

A tale ultimo riguardo mette conto sottolineare che, volendo dare per scontata la presenza di idonea scala nel capannone aziendale (e non in quello in cui si trovava la struttura oggetto dell'attività lavorativa del B., capannone che infatti era chiuso come è dato desumere dalla pagina 5 della sentenza di appello), risulta ancor più evidente la colpa dell'imputato per non avere raccomandato - anzi, imposto - al B., il quale per il suo lavoro ordinario usava invece il muletto, di non adoperare quest'ultimo ma esclusivamente la scala: a maggior ragione, ove si consideri che ancora a pagina 5 della sentenza di secondo grado risulta evidenziato che il muletto sarebbe stato adoperato come scala improvvisata anche in precedenti occasioni.

Muovendo dai dati fattuali appena ricordati, deve dunque ritenersi sussistente la responsabilità del M. (sia pure ai soli fini civili, stante l'intervenuta prescrizione del reato) alla luce dei principi condivisibilmente enunciati in materia nella giurisprudenza di legittimità: in tema di sicurezza antinfortunistica, il compito del datore di lavoro, o del dirigente cui spetta la "sicurezza del lavoro" (ruolo che nel caso di specie ricopriva il M. quale capo reparto preposto alla sicurezza dei lavoratori) "è molteplice e articolato, e va dalla istruzione dei lavoratori sui rischi di determinati lavori e dalla necessità di adottare certe misure di sicurezza, alla predisposizione di queste misure e quindi, ove le stesse consistano in particolari cose o strumenti, al mettere queste cose, questi strumenti, a portata di mano del lavoratore e, soprattutto, al controllo continuo, pressante, per imporre che i lavoratori rispettino quelle norme, si adeguino alla misure in esse previste e sfuggano alla superficiale tentazione di trascurarle. Il responsabile della sicurezza, sia egli o meno l'imprenditore, deve avere la cultura e la "forma mentis" del garante del bene costituzionalmente rilevante costituito dalla integrità del lavoratore ed ha perciò il preciso dovere non di limitarsi a assolvere normalmente il compito di informare i lavoratori sulle norme antinfortunistiche previste, ma deve attivarsi e controllare sino alla pedanteria, che tali norme siano assimilate dai lavoratori nella ordinaria prassi di lavoro. Inoltre lo specifico onere di informazione e di assiduo controllo, se è necessario nei confronti dei dipendenti dell'impresa, si impone a maggior ragione nei confronti di coloro che prestino lavoro alle dipendenze di altri e vengano per la prima volta a contatto con un ambiente e delle strutture a loro non familiari e che perciò possono riservare insidie non note" (Sez. 4, n. 6486 del 03/03/1995 - dep. 03/06/1995, Grassi, Rv. 201706).

3.2. Quanto poi al comportamento del B., i giudici di merito, pur ritenendo ravvisabili profili di imprudenza nella condotta dello stesso - attribuendogli anche un concorso di colpa - hanno tuttavia escluso che in siffatto comportamento potessero riconoscersi le connotazioni di fattore eccezionale, atto ad interrompere nella sequenza causale il nesso materiale e psicologico tra l'infortunio e la condotta del M..

Orbene, al riguardo la motivazione non presenta certo carattere di illogicità, e si pone inoltre in sintonia con la giurisprudenza di legittimità.

Mette conto sottolineare, invero, che, secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte, le norme sulla prevenzione degli infortuni hanno la funzione primaria di evitare che si verifichino eventi lesivi della incolumità fisica, intrinsecamente connaturati all'esercizio di talune attività lavorative, "anche nelle ipotesi in cui siffatti rischi siano conseguenti ad eventuale disaccortezza, imprudenza e disattenzione degli operai subordinati" (in termini, Sez. 4, 14 dicembre 1984, n. 11043; in tal senso, "ex plurimis", anche Sez. 4, n. 4784 del 13/02/1991 - dep. 27/04/1991- imp. Simili ed altro, RV. 187538). Se è vero, poi, che destinatari delle norme di prevenzione, contro gli infortuni sul lavoro, sono non solo i datori di lavoro, i dirigenti e i preposti, ma anche gli stessi operai, giova ricordare, tuttavia, che l'inosservanza di dette norme da parte dei datori di lavoro, dei dirigenti e dei preposti ha valore assorbente rispetto al comportamento dell'operaio, la cui condotta può assumere rilevanza solo dopo che da parte dei soggetti obbligati siano adempiute le prescrizioni di loro competenza (Sez. 4, n. 10121 del 23/01/2007 Ud. - dep. 09/03/2007 - Rv. 236109 imp.: Masi e altro).

4. Il proposto ricorso deve essere pertanto rigettato agli effetti civili, con conseguente conferma delle disposizioni della sentenza impugnata che concernono gli interessi civili.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso ai fini civili.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2014.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2015