• Datore di Lavoro
  • Infortunio sul Lavoro
  • Informazione, Formazione, Addestramento
  • Vigilanza, Ispezioni, Prescrizione
 
Responsabilità di un datore di lavoro per infortunio a suo dipendente - Sussiste.
 
Rinvenuti in primo e secondo grado profili di colpa del datore di lavoro "nell'avere egli omesso di istruire adeguatamente il lavoratore circa le proprie mansioni e le modalità d'uso della macchina alla quale era stato destinato, nonchè circa i rischi connessi all'uso della stessa.
L'obbligo di formazione, peraltro, è stato ritenuto ancora più doveroso nel caso di specie, poichè la vittima era un giovane inesperto, assunto da soli tre mesi con contratto di formazione lavoro, che aveva finito con l'apprendere "sul campo" la natura delle proprie mansioni, sulla base delle indicazioni dei colleghi anziani.
Ulteriore profilo di colpa è stato rinvenuto nell'avere l'imputato tollerato la prassi consolidata che prevedeva l'accesso alla linea di produzione, superando le protezioni, con la macchina in movimento."
 
La Corte ha rigettato il ricorso dell'imputato riconoscendolo responsabile di "non aver vigilato per assicurare il rispetto di quelle prescrizioni" (sull'utilizzo della macchina in sicurezza), "se non di avere quantomeno tollerato una pericolosa prassi aziendale, ed ancora, di non avere adeguatamente curato la formazione professionale del lavoratore infortunato." 
 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LICARI Carlo - Presidente -
Dott. ROMIS Vincenzo - Consigliere -
Dott. FOTI Giacomo - Consigliere -
Dott. D'ISA Claudio - Consigliere -
Dott. AMENDOLA Adelaide - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1) Z.A., N. IL (OMISSIS);
avverso SENTENZA del 24/02/2006 CORTE APPELLO di BOLOGNA;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dr. FOTI GIACOMO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dr. Geraci Vincenzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. Fini, sostituto dell'avv. Genovesi che ha concluso per l'annullamento della sentenza impugnata.

FattoDiritto

Con sentenza del giudice monocratico del Tribunale di Ravenna, dell'11 aprile 2005, Z.A. è stato dichiarato colpevole - nella qualità di direttore dello stabilimento di (OMISSIS) della "Marcegaglia s.p.a.", delegato dal datore di lavoro all'adozione, osservanza e controllo del rispetto delle norme di sicurezza - del delitto di lesioni personali colpose gravissime in danno del lavoratore E.C..
All'affermazione di responsabilità è seguita la condanna dell'imputato alla pena ritenuta di giustizia ed inoltre, in solido con il responsabile civile, al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato giudizio, in favore della parte civile costituita, alla quale ha anche assegnato una provvisionale di Euro 80.000,00.
Secondo l'accusa, condivisa dal giudice di primo grado, l'imputato, per colpa generica e specifica, in ragione del mancato rispetto, in particolare, del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 35, comma 2, aveva provocato al dipendente della società E.C., addetto alla macchina cesoia "CE 706" marca "Guida", un infortunio a causa del quale il lavoratore aveva riportato l'amputazione del piede destro, e quindi della gamba fino al terzo medio per il sopraggiungere di necrosi cutanea, nonchè ferita da scoppio alla mano sinistra.
Era avvenuto che l' E., incaricato del controllo della predetta macchina (che srotola un involto di lamiera che fa scorrere attraverso rulli, ne taglia i bordi per poi riavvolgerla), a causa dell'aggrovigliarsi degli sfridi di lamiera, superata, senza disattivare la macchina, la ringhiera alta circa un metro che ne percorreva l'intero perimetro ed i relativi cancelli, dotati di dispositivi di sicurezza, era salito, per eseguire dei controlli, sulla pedana che consente di operare nell'area dei rulli.
Nel procedere a tale incombente, essendosi sporto in avanti per accertarsi che tutto procedesse regolarmente, si era sbilanciato e, per evitare di cadere, aveva tentato di fare un passo indietro, così avendo perso l'equilibrio ed avendo finito con l'appoggiare un piede proprio sulla lamiera in movimento, dove era andato a cadere.
Il piede destro e la mano sinistra erano stati, quindi, trainati verso i rulli e da questi schiacciati.
Il giudice di primo grado ha ritenuto di rinvenire profili di colpa a carico dell'imputato, anzitutto, nell'avere egli omesso di istruire adeguatamente il lavoratore circa le proprie mansioni e le modalità d'uso della macchina alla quale era stato destinato, nonchè circa i rischi connessi all'uso della stessa. L'obbligo di formazione, peraltro, è stato ritenuto ancora più doveroso nel caso di specie, poichè la vittima era un giovane inesperto, assunto da soli tre mesi con contratto di formazione lavoro, che aveva finito con l'apprendere "sul campo" la natura delle proprie mansioni, sulla base delle indicazioni dei colleghi anziani.
Ulteriore profilo di colpa è stato rinvenuto nell'avere l'imputato tollerato la prassi consolidata che prevedeva l'accesso alla linea di produzione, superando le protezioni, con la macchina in movimento.
Il giudice, quindi, alla stregua degli elementi probatori acquisiti, costituiti in buona parte dalle testimonianze dei colleghi di lavoro della vittima, ha ritenuto che l'infortunio fosse stato causato dalla negligenza dell'imputato e dalla violazione, da parte dello stesso, degli obblighi che gravavano su di lui in ragione del ruolo ricoperto all'interno dello stabilimento.
In specie dalla violazione del dovere di formazione e di informazione del lavoratore, nonchè del dovere di vigilanza, non essendo emerso che egli si fosse attivato per assicurarsi che le disposizioni impartite fossero realmente osservate, in tal guisa avendo consentito l'instaurarsi di una prassi lavorativa ad alto rischio.

2 - Su appello proposto dall'imputato, la Corte d'Appello di Bologna, con sentenza del 24 febbraio 2006, ha confermato le decisioni del primo giudice con riguardo sia all'affermazione di responsabilità, che al trattamento sanzionatorio.
In tema di responsabilità, i giudici del gravame hanno sostenuto che nessuna erronea valutazione delle prove, ai sensi dell'art. 192 c.p.p., poteva essere ipotizzata nei confronti della decisione impugnata, in relazione alle chiare e sostanzialmente conformi testimonianze della parte offesa e dei suoi compagni di lavoro, ritenuti del tutto credibili, i quali avevano confermato sia il mancato avvio di corsi di formazione rivolti all'utilizzo della macchina teatro dell'infortunio, sia la prassi aziendale che prevedeva interventi sulla macchina stessa senza arrestarne il movimento, dopo avere superando le protezioni esistenti.
Essi hanno, quindi, ribadito che dell'infortunio doveva farsi carico l'imputato per le carenze formative ed informative riscontrate e per l'assenza di vigilanza circa il rispetto delle norme di sicurezza da parte dei dipendenti.
Gli stessi giudici del gravame hanno, poi, confermato il trattamento sanzionatorio, avendo ritenuto legittime e condivisibili le ragioni per le quali il tribunale aveva negato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, aveva respinto la richiesta di concessione della sospensione condizionale della pena, aveva ritenuto i precedenti penali dell'imputato ostativi alla sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria corrispondente e congrua la pena inflitta dal primo giudice in ragione della gravità dei fatti e della personalità dell'imputato.

3 - Avverso tale sentenza propone ricorso, per il tramite dei difensori, l'imputato, che deduce:

a) Vizio di motivazione della sentenza impugnata, sotto il profilo della contraddittorietà e della manifesta illogicità, in ordine all'applicazione dell'art. 192 c.p.p. con riguardo ai criteri adottati ed agli esiti conseguiti in punto di affermazione di responsabilità.
Rileva il ricorrente che la macchina cesoia alla quale era stato addetto l' E. era certamente idonea sotto il profilo della sicurezza, essendo dotata di una recinzione, i cui accessi erano stati muniti di microinterruttori che, all'apertura dei cancelli, determinavano l'automatico blocco dell'impianto; mentre l'intervento sulla macchina era soggetto al rispetto di una specifica procedura.
Appositi cartelli prevedevano, inoltre, l'espresso divieto di operare su organi in movimento; divieto ben noto ai lavoratori, come dagli stessi confermato anche in dibattimento.
Tanto premesso, il problema della formazione e dell'informazione sull'uso della macchina e sui rischi connessi allo svolgimento dell'attività, sarebbe, secondo il ricorrente, del tutto estraneo alla dinamica dell'infortunio, poichè le procedure previste, i cartelli segnalatori, le indicazioni dei preposti, di cui tutti i testi avevano dato atto, garantivano la perfetta informazione.
Del resto, si sostiene ancora nel ricorso, l'infortunio non si è verificato a seguito di un uso improprio della macchina, bensì della violazione di precise norme di sicurezza.
Quanto alla prassi operativa, il ricorrente segnala che di essa possono essere chiamati a rispondere il datore di lavoro o il suo delegato solo se non abbiano adottato regole e divieti in materia, ovvero l'abbiano incoraggiata o abbiano omesso gli opportuni controlli; ipotesi del tutto da escludersi nel caso di specie.
Le dimensioni dell'azienda, d'altra parte, escludevano la possibilità per il datore di lavoro di venire a conoscenza di prassi difformi rispetto a quelle previste.
Dunque, nessuna responsabilità avrebbe l'imputato per quanto occorso all' E.; sul punto la motivazione sarebbe illogica e contraddittoria alla stregua dei contributi documentali e testimoniali acquisiti.

b) Inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 40 e 41 c.p..
Sotto tale profilo sostiene il ricorrente che la Corte territoriale, avendo ritenuto accertate la dinamica dell'incidente e la carenza delle misure antinfortunistiche, ha riportato la responsabilità dell'imputato alla violazione dell'art. 40 c.p., comma 2, laddove, una volta accertati l'idoneità dell'impianto sotto il profilo della sicurezza e l'adempimento dell'obbligo di informazione, la sola violazione del dovere di formazione non si porrebbe in rapporto di causalità con l'evento, in realtà determinato da un'imprudenza, individuale o collettiva, forse incoraggiata da una prassi distorta, che si porrebbe quale causa sopravvenuta escludente il rapporto di causalità rispetto alla condotta del datore di lavoro.
Prassi della quale costui era del tutto all'oscuro e tollerata, evidentemente, da quanti erano deputati al controllo ed all'intervento per assicurare il rispetto delle norme.

c) Inosservanza del D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 4 e 5, che impone al lavoratore l'osservanza delle norme vigenti, nonchè delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro, a tutela della propria e dell'altrui incolumità.
Inosservanza palese nel caso dell' E., che ha chiaramente violato gli obblighi allo stesso riconducibili in materia di sicurezza.

d) Vizio di motivazione, in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche ed alla richiesta di un più mite trattamento sanzionatorio, laddove, si sostiene nel ricorso, i giudici del merito hanno utilizzato, per respingere le richieste difensive, le stesse considerazioni svolte a sostegno dell'affermazione di responsabilità, richiamando enfaticamente i precedenti penali dell'imputato e trascurando elementi che avrebbero potuto determinare una più congrua graduazione della pena, quali la presenza di un'organizzazione interna preposta ai controlli, che avrebbe avuto il compito di intervenire e pretendere il rispetto delle norme, ed il comportamento imprudente del lavoratore.
Conclude, quindi, chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata.
Con note prodotte presso la cancelleria di questa Corte, la parte civile ha chiesto dichiararsi inammissibile, ovvero rigettarsi il ricorso.

4 - Il ricorso è infondato.
In realtà, del tutto insussistenti sono i vizi denunciati dal ricorrente, peraltro generalmente ripetitivi di tematiche già sottoposte, con i motivi d'appello, all'esame della Corte territoriale e da questa puntualmente esaminate e confutate.
Detta Corte, invero, in piena sintonia con gli elementi probatori acquisiti, ha legittimamente ribadito la responsabilità dell'imputato e confermato il relativo trattamento sanzionatorio, adeguatamente e coerentemente motivando le ragioni del proprio dissenso rispetto alle doglianze prospettate nell'atto d'appello.

- 4 A - In particolare, con riguardo al tema della responsabilità, sollevato con i primi tre motivi di ricorso, i giudici del gravame, rilevato che lo Z., nella qualità di direttore dello stabilimento, formalmente delegato dal datore di lavoro alla sicurezza ed alla prevenzione degli infortuni, ricopriva all'interno dell'azienda una precisa posizione di garanzia, hanno confermato che l'infortunio di cui è rimasto vittima l' E. doveva ricondursi alla negligenza dell'imputato che, violando gli obblighi che su di esso gravavano in ragione della richiamata qualifica, non aveva adeguatamente vigilato affinchè fossero realmente rispettate le procedure di sicurezza, avendo in tal guisa quantomeno tollerato l'instaurarsi tra i lavoratori di una pericolosa prassi operativa che prevedeva rischiosi interventi sulla macchina in movimento.
Prassi, che prevedeva l'elusione, in vario modo, del sistema di sicurezza, divenuta consolidata e protratta nel tempo poichè consentiva di agire in tempi più rapidi e funzionali alla produzione, oltre che più comodi per l'operatore.
Prassi della quale si era prontamente impadronito l' E., giovane inesperto, da poco assunto.
Nè dubbi hanno avuto i giudici del merito nell'individuazione di tali anomale modalità d'intervento.
A tale proposito, invero, essi hanno richiamato le deposizioni rese da diversi lavoratori, compagni dell'operaio infortunato e, dopo averle complessivamente valutate, anche alla luce delle osservazioni proposte dall'imputato nei motivi d'appello, hanno ritenuto, con motivazione del tutto congrua e coerente sul piano logico, che l'esistenza della richiamata prassi fosse emersa in maniera del tutto pacifica, ad onta dei formali divieti.
Lo stesso ricorrente, d'altra parte, ha finito con l'ammettere che l'infortunio era stato determinato "da un'imprudenza individuale o collettiva, forse incoraggiata da una prassi distorta", la cui esistenza e "distorsione" rispetto alle regole di sicurezza riceve, in tal guisa, definitiva conferma.
Nessun dubbio è, dunque, più consentito circa la sussistenza del primo dei profili di colpa individuati a carico dell'imputato, rappresentato dalla violazione dei suoi doveri di vigilanza e di controllo del reale e costante rispetto, da parte dei lavoratori, delle norme di sicurezza, nonchè di intervento per impedire il formarsi ed il consolidarsi di sistemi lavorativi che mettevano a repentaglio l'incolumità dei lavoratori.
Doveri che derivavano dalle cariche ricoperte nello stabilimento, la cui violazione non potrebbe essere giustificata dalle dimensioni dell'azienda posto che, attraverso una corretta organizzazione ed opportune disposizioni, l'imputato ben avrebbe potuto essere costantemente informato sui temi della sicurezza e del rispetto, da parte degli stessi lavoratori, delle relative norme.
Doveri e responsabilità che prescindono dalla circostanza che lo stesso imputato fosse, contrariamente a quanto oggi sostiene, realmente inconsapevole di quella prassi.
Anche con riguardo all'altro profilo di colpa contestato, rappresentato dalla violazione dei doveri di informazione e formazione del lavoratore infortunato, i giudici del gravame hanno compiutamente e coerentemente argomentato alla stregua degli elementi probatori acquisiti anche attraverso le deposizioni dei colleghi di lavoro della vittima.
In realtà, non solo l' E., ma anche i suoi colleghi hanno negato di avere mai partecipato a corsi di formazione specificamente finalizzati al corretto utilizzo della macchina teatro dell'infortunio, così come hanno negato che fossero mai state impartite precise istruzioni sulle modalità di lavorazione in condizioni di sicurezza.
Coerente con tali acquisizioni si presenta, dunque, la conclusione cui sono pervenuti i giudici del merito circa la violazione, da parte dell'imputato, anche del dovere di informazione e formazione del lavoratore infortunato, inserito nello stabilimento senza che fosse stato adeguatamente addestrato a svolgere le mansioni assegnategli e senza essere stato informato in materia di sicurezza.
Peraltro, a fronte delle precise e coerenti argomentazioni poste dalla Corte territoriale a sostegno della propria decisione, il ricorso ripropone censure e doglianze che, oltre ad essere infondate, si presentano talvolta del tutto aspecifiche rispetto a quelle argomentazioni.
Così, nulla rileva ai fini della tesi difensiva il sostenere che il macchinario sul quale l'operaio infortunato lavorava era adeguato sotto il profilo della sicurezza, così come non rileva il richiamare la presenza nello stabilimento di numerosi cartelli che vietavano ai lavoratori interventi su organi in movimento; nè serve sostenere che gli stessi lavoratori avevano confermato in dibattimento di essere consapevoli di tale divieto.
All'imputato, invero, si è fatto carico non dell'inadeguatezza della macchina sotto il profilo della sicurezza, nè dell'assenza di specifiche prescrizioni circa le modalità di utilizzo della stessa, bensì di non avere vigilato per assicurare il rispetto di quelle prescrizioni, se non di avere quantomeno tollerato una pericolosa prassi aziendale, ed ancora, di non avere adeguatamente curato la formazione professionale del lavoratore infortunato.
Nè è possibile dubitare che l'infortunio sia stato determinato dalla violazione dei richiamati obblighi, essendo del tutto evidente che proprio il mancato rispetto degli stessi ha determinato l'infortunio.
Considerazione che ha legittimamente indotto i giudici del merito ad escludere qualsiasi valenza causale alla condotta dell' E., giovane assunto da poche settimane, privo di specifica esperienza ed immesso nel ciclo lavorativo senza adeguata informazione e formazione professionale, indotto a ripetere operazioni per prassi seguite dai colleghi di lavoro e da essi apprese.

-4 B- Ugualmente infondato è il motivo di ricorso relativo al trattamento sanzionatorio, avendo i giudici del gravame legittimamente ritenuto, con riguardo a tutte le questioni sollevate dal ricorrente, ivi compresa quella relativa al diniego delle circostanze attenuanti generiche, di dare prevalenza agli elementi negativi emersi a carico dell'imputato, quali i plurimi precedenti specifici, la pendenza di altri procedimenti per reati della stessa specie, le gravi conseguenze derivate alla vittima.
Il ricorso deve, in conclusione, essere rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel presente grado del giudizio, complessivamente liquidate in Euro 1.308,00, oltre accessori come per legge.
 
 P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile costituita; spese che liquida nella somma complessiva di Euro 1.308,00, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 6 novembre 2008.
Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2009