Categoria: Corte di giustizia CE
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SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione)

9 luglio 2015 (*)

«Inadempimento di uno Stato – Direttiva 2003/88/CE – Organizzazione dell’orario di lavoro – Organizzazione dell’orario di lavoro dei medici in formazione»

 

Fonte: Sito web Eur-Lex

 

© Unione europea, http://eur-lex.europa.eu/

 


 

Nella causa C‑87/14,

avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, ai sensi dell’articolo 258 TFUE, proposto il 18 febbraio 2014,

Commissione europea, rappresentata da M. van Beek e J. Enegren, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Irlanda, rappresentata da E. Creedon, E. Mc Phillips, A. Joyce e B. Counihan, in qualità di agenti, assistiti da D. Fennelly, barrister,

convenuta,

LA CORTE (Quarta Sezione),

composta da L. Bay Larsen, presidente di sezione, K. Jürimäe, J. Malenovský, M. Safjan e A. Prechal (relatore), giudici,

avvocato generale: Y. Bot

cancelliere: L. Hewlett, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 4 marzo 2015,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 19 marzo 2015,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 

1        Con il suo ricorso, la Commissione europea chiede che la Corte voglia dichiarare che l’Irlanda, non avendo applicato le disposizioni della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro (GU L 299, pag. 9), all’organizzazione dell’orario di lavoro dei giovani medici [medici ospedalieri specializzandi («non consultant hospital doctors»; in prosieguo: gli «NCHD»)], è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza degli articoli 3, 5, 6 e 17, paragrafi 2 e 5, di tale direttiva.

 

Contesto normativo

 

Il diritto dell’Unione

 

2        L’articolo 2 della direttiva 2003/88, intitolato «Definizioni», stabilisce quanto segue:

«Ai fini della presente direttiva si intende per:

1.      “orario di lavoro”: qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali;

(...)».

 

3        L’articolo 3 della direttiva 2003/88, intitolato «Riposo giornaliero», così dispone:

«Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici, nel corso di ogni periodo di 24 ore, di un periodo minimo di riposo di 11 ore consecutive».

 

4        L’articolo 5 della stessa direttiva, intitolato «Riposo settimanale», prevede al primo comma:

«Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici, per ogni periodo di 7 giorni, di un periodo minimo di riposo ininterrotto di 24 ore a cui si sommano le 11 ore di riposo giornaliero previste all’articolo 3».

 

5        Ai sensi dell’articolo 6 di detta direttiva, intitolato «Durata massima settimanale del lavoro»:

«Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché, in funzione degli imperativi di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori:

(...)

b)      la durata media dell’orario di lavoro per ogni periodo di 7 giorni non superi 48 ore, comprese le ore di lavoro straordinario».

6        L’articolo 16 di tale direttiva, intitolato «Periodi di riferimento», prescrive le condizioni alle quali gli Stati membri possono prevedere periodi di riferimento per l’applicazione, in particolare, degli articoli 5 e 6 della medesima.

 

7        L’articolo 17 della direttiva 2003/88, ai paragrafi 2 e 5, prevede quanto segue:

 

«2.      Le deroghe di cui [al paragrafo 5] possono essere adottate con legge, regolamento o con provvedimento amministrativo, ovvero mediante contratti collettivi o accordi conclusi fra le parti sociali, a condizione che vengano concessi ai lavoratori interessati equivalenti periodi di riposo compensativo oppure, in casi eccezionali in cui la concessione di tali periodi equivalenti di riposo compensativo non sia possibile per ragioni oggettive, a condizione che venga loro concessa una protezione appropriata.

(...)

 

5.      In conformità al paragrafo 2 del presente articolo le deroghe all’articolo 6 e all’articolo 16, lettera b), nel caso dei medici in formazione, possono essere concesse secondo il disposto dei commi dal secondo al [settimo] del presente paragrafo.

Con riferimento all’articolo 6, le deroghe di cui al primo comma sono consentite per un periodo transitorio di cinque anni a decorrere dal 1° agosto 2004.

Gli Stati membri dispongono, se necessario, di altri due anni al massimo per ovviare alle difficoltà nel rispettare le prescrizioni in materia di lavoro nell’ambito delle loro responsabilità di organizzare e fornire servizi sanitari e cure mediche. (...)

Gli Stati membri dispongono, se necessario, di un ulteriore periodo di un anno al massimo per ovviare a speciali difficoltà incontrate nell’ambito delle responsabilità di cui al terzo comma. (...)

Gli Stati membri provvedono affinché in nessun caso il numero di ore di lavoro settimanali superi una media di 58 ore durante i primi tre anni del periodo transitorio, una media di 56 ore per i due anni successivi e una media di 52 ore per l’eventuale periodo restante.

(...)

Con riferimento all’articolo 16, lettera b), le deroghe di cui al primo comma sono consentite purché il periodo di riferimento non superi 12 mesi, durante la prima parte del periodo transitorio di cui al quinto comma e, successivamente, 6 mesi».

 

8        L’articolo 19 di tale direttiva, intitolato «Limiti alla facoltà di derogare ai periodi di riferimento», così dispone:

«La facoltà di derogare all’articolo 16, lettera b), (...) non può avere come conseguenza la fissazione di un periodo di riferimento superiore a sei mesi.

Tuttavia gli Stati membri hanno la facoltà, nel rispetto dei principi generali della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, di consentire che, per ragioni obiettive, tecniche o inerenti all’organizzazione del lavoro, i contratti collettivi o gli accordi conclusi tra le parti sociali fissino periodi di riferimento che non superino in alcun caso i dodici mesi.

(...)».

 

Il diritto irlandese

 

9        Il regolamento relativo alle Comunità europee (organizzazione dell’orario di lavoro) (medici in formazione) del 2004 [European Communities (Organisation of Working Time) (Activities of Doctors in Training) Regulations 2004, SI 2004, n. 494], come modificato dal regolamento del 2010 (SI 2010, n. 533; in prosieguo: il «regolamento del 2004») mira a trasporre nel diritto irlandese la direttiva 2003/88 nei confronti degli NCHD.

 

Procedimento precontenzioso

 

10      Considerando che, per quanto riguarda gli NCHD, l’Irlanda è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi degli articoli 3, 5 e 17 della direttiva 2003/88, per quanto concerne i periodi minimi di riposo, e degli articoli 6 e 17, paragrafo 5, della medesima, per quanto concerne i limiti della durata settimanale del lavoro, la Commissione ha inviato a tale Stato membro, il 23 novembre 2009, una lettera di costituzione in mora, a cui detto Stato membro ha risposto con lettera in data 25 gennaio 2010.

 

11      Il 30 settembre 2011 la Commissione ha emesso un parere motivato, invitando l’Irlanda ad adottare le misure necessarie per conformarvisi entro il termine di due mesi a decorrere dalla sua ricezione. Tale Stato membro ha risposto con lettera in data 13 gennaio 2012.

 

12      In seguito a un ulteriore scambio di lettere, la Commissione, non ritenendosi ancora soddisfatta delle spiegazioni fornite dall’Irlanda, ha deciso di proporre il presente ricorso.

 

Sul ricorso

 

Osservazioni preliminari

 

13      La Commissione precisa che, nell’ambito del presente ricorso, essa non mette in discussione la trasposizione della direttiva 2003/88 da parte del regolamento del 2004. Tale istituzione fa tuttavia valere che le autorità pubbliche irlandesi non applicano detto regolamento, il che costituirebbe un inadempimento di tale Stato membro rispetto agli obblighi ad esso incombenti ai sensi degli articoli 3, 5, 6 nonché 17, paragrafi 2 e 5, di tale direttiva.

 

14      A sostegno del suo ricorso, la Commissione fa riferimento al fatto che, al fine di risolvere una controversia sull’orario di lavoro degli NCHD, l’Irish Medical Organisation (Federazione dei medici irlandesi; in prosieguo: l’«IMO»), che rappresenta tutti i medici che esercitano sul territorio irlandese, e lo Health Service Executive (Direzione dei servizi sanitari; in prosieguo: la «HSE»), l’organo pubblico che rappresenta le autorità sanitarie, hanno sottoscritto il 22 gennaio 2010 un accordo di transazione, cui sono allegati un contratto collettivo tra le medesime parti (in prosieguo: il «contratto collettivo») e un contratto di lavoro tipo per gli NCHD (in prosieguo: il «contratto di lavoro tipo»).

 

15      Secondo la Commissione, la clausola 3, lettere a) e b), del contratto collettivo, nonché talune disposizioni della clausola 5 del contratto di lavoro tipo, sono contrarie a quanto disposto dalla direttiva 2003/88. Diverse relazioni attinenti all’attuazione di tale direttiva e una dichiarazione dell’IMO confermerebbero la sussistenza di un inadempimento degli obblighi derivanti nella pratica da detta direttiva.

 

Sulla prima censura, vertente su una violazione della direttiva 2003/88 da parte della clausola 3, lettera a), del contratto collettivo

 

16      Con la sua prima censura, la Commissione sostiene che la clausola 3, lettera a), del contratto collettivo, in base alla quale determinate ore di formazione degli NCHD non devono essere considerate «orario di lavoro», viola la direttiva 2003/88. La Commissione ritiene che, qualora le attività di formazione di cui trattasi siano richieste dal programma di formazione e si svolgano in un luogo stabilito da tale programma, esse debbano essere conteggiate nell’«orario di lavoro» ai sensi di tale direttiva.

 

17      L’Irlanda fa osservare, da un lato, che le ore di formazione in oggetto rappresentano un periodo di formazione «protetta» durante il quale gli NCHD non sono disponibili per esercitare la loro attività professionale. Dall’altro, secondo tale Stato membro, il rapporto tra gli NCHD e il loro organismo di formazione è distinto da quello in essere tra gli NCHD e il loro datore di lavoro. I requisiti di formazione degli NCHD non costituirebbero parte integrante del loro lavoro. Il datore di lavoro non interverrebbe nella conduzione di tale formazione, né stabilirebbe a quali attività gli NCHD debbano dedicarsi nell’ambito di tale formazione, né come debbano progredire, né il luogo in cui la formazione debba svolgersi.

 

18      A tale riguardo è pacifico che, in forza della clausola 3, lettera a), del contratto collettivo, non sono considerate orario di lavoro le ore di formazione di cui al punto 1 dell’allegato 1 al contratto collettivo, ai sensi del quale:

 

«Si possono distinguere tre categorie di ore di formazione:

 

A)      le ore di formazione fuori sede programmate e protette richieste dal programma di formazione;

 

B)      le attività d’insegnamento e formazione programmate organizzate in sede a intervalli regolari (ogni settimana/quindici giorni), come le conferenze, le riunioni scientifiche e gli studi di morbosità e mortalità, e

 

C)      le attività di ricerca, di studio etc.».

 

19      In udienza è stato precisato che la durata di tali ore di formazione varia tra 2,5 e 17 ore al mese, a seconda della fase della formazione in cui si trova l’NCHD e delle attività di cui si tratta. Nella sua memoria di replica, la Commissione ha indicato che le ore di formazione di cui all’allegato 1, punto 1, lettere A) e B), del contratto collettivo (in prosieguo: le «ore di formazione A e B»), esclusa la categoria delle ore menzionate al suddetto punto 1, lettera C), devono essere considerate «orario di lavoro» ai sensi dell’articolo 2, punto 1, della direttiva 2003/88.

 

20      Secondo una giurisprudenza costante, da un lato, la qualificazione come «orario di lavoro», ai sensi della direttiva 2003/88, dei periodi di presenza del lavoratore sul luogo di lavoro dipende dall’obbligo di quest’ultimo di tenersi a disposizione del proprio datore di lavoro (sentenza Dellas e a., C‑14/04, EU:C:2005:728, punto 58, nonché ordinanza Grigore, C‑258/10, EU:C:2011:122, punto 53).

 

21      Il fattore determinante è costituito dal fatto che il lavoratore è costretto ad essere fisicamente presente nel luogo stabilito dal datore di lavoro e a tenersi a disposizione del medesimo per poter immediatamente fornire le opportune prestazioni in caso di bisogno (sentenza Dellas e a., C‑14/04, EU:C:2005:728, punto 48, nonché ordinanze Vorel, C‑437/05, EU:C:2007:23, punto 28, e Grigore, C‑258/10, EU:C:2011:122, punto 53).

 

22      Dall’altro lato, nell’ambito di un procedimento per inadempimento, spetta alla Commissione stabilire la sussistenza dell’asserito inadempimento e fornire alla Corte gli elementi necessari alla verifica, da parte di quest’ultima, dell’esistenza di tale inadempimento, senza che la Commissione possa basarsi su una presunzione qualunque (v., in particolare, sentenza Commissione/Polonia, C‑356/13, EU:C:2014:2386, punto 104 e giurisprudenza ivi citata).

 

23      Inoltre, per quanto riguarda, in particolare, una censura avente ad oggetto l’attuazione di una disposizione nazionale, la dimostrazione di un inadempimento di Stato richiede la produzione di elementi di prova di natura specifica rispetto a quelli abitualmente presi in considerazione nell’ambito di un ricorso per inadempimento avente unicamente ad oggetto il contenuto di una disposizione nazionale e, ciò considerato, l’inadempimento può essere provato soltanto mediante una dimostrazione sufficientemente documentata e circostanziata della prassi rimproverata alle autorità amministrative nazionali e attribuibile allo Stato membro di cui trattasi (v. sentenze Commissione/Belgio, C‑287/03, EU:C:2005:282, punto 28, e Commissione/Germania, C‑441/02, EU:C:2006:253, punto 49).

 

24      Occorre anzitutto rilevare che la Commissione non contesta le spiegazioni fornite dall’Irlanda, secondo le quali le ore di formazione di cui trattasi rappresentano un periodo di formazione «protetta» durante il quale gli NCHD non sono a disposizione per fornire cure mediche ai pazienti. Per contro, la Commissione sostiene che le attività di formazione degli NCHD costituiscono parte integrante del loro lavoro, in quanto questi ultimi sono tenuti a svolgere dette attività in forza del loro contratto di lavoro.

 

25      A tale riguardo occorre rilevare che, come l’Irlanda ha sostenuto senza essere contraddetta, il rapporto tra gli NCHD e il loro organismo di formazione è distinto da quello in essere tra gli NCHD e il loro datore di lavoro. In particolare, in udienza la Commissione non è stata in grado di suffragare la propria tesi secondo cui gli organismi di formazione interessati e i datori di lavoro degli NCHD dovevano tutti essere identificati con lo Stato, che sarebbe l’unico datore di lavoro degli NCHD ai sensi della direttiva 2003/88.

 

26      Alla luce di quanto sopra, la circostanza cui si riferisce la Commissione, che le ore di formazione A e B sono richieste «dal programma di formazione» e si svolgono in un luogo stabilito «da tale programma» non consente di ritenere che gli NCHD sono costretti ad essere fisicamente presenti nel luogo stabilito dal datore di lavoro e a tenersi a disposizione del medesimo per poter immediatamente fornire le opportune prestazioni in caso di bisogno, ai sensi della giurisprudenza citata al punto 21 della presente sentenza.

 

27      Tale constatazione non è inoltre messa in discussione dal riferimento che la Commissione ha fatto alle clausole 6 e 8 del contratto di lavoro tipo.

 

28      Infatti, per quanto riguarda la clausola 6, che elenca gli obblighi e i compiti degli NCHD nell’ambito del loro contratto di lavoro, la Commissione non ha dimostrato che questi ultimi hanno, in forza di tale clausola, un obbligo di formazione.

 

29      Allo stesso modo, per quanto concerne la clausola 8 del contratto di lavoro tipo, in base a cui «il datore di lavoro agevolerà, se del caso, conformemente ai requisiti della legge del 2007 sulla professione medica (Medical Practitioners Act 2007), i requisiti che garantiscono la formazione/la competenza per le funzioni di NCHD» e gli NCHD partecipano alla formazione «conformemente ai requisiti [della suddetta legge]», la Commissione non dimostra che tale clausola avrebbe un significato diverso da quello, sostenuto dall’Irlanda, secondo cui detta clausola si limita a ripetere i requisiti imposti da tale legge e non introduce né impone obblighi di lavoro specifici in materia di formazione.

 

30      Infine la Commissione non apporta elementi a sostegno della sua allegazione, contestata dall’Irlanda, in base a cui gli NCHD rischiano di essere licenziati dal loro datore di lavoro se non svolgono la loro formazione secondo le ore di formazione A e B.

 

31      Da quanto precede risulta che, in simili circostanze, la Commissione non ha dimostrato che le ore di formazione A e B costituiscono «orario di lavoro» ai sensi della direttiva 2003/88. Di conseguenza essa non ha dimostrato, per quanto riguarda la clausola 3, lettera a), del contratto collettivo, la sussistenza di una prassi contraria a tale direttiva. Occorre pertanto respingere la prima censura.

 

Sulla seconda censura, vertente su una violazione della direttiva 2003/88 da parte della clausola 3, lettera b), del contratto collettivo

 

32      Con la sua seconda censura, la Commissione fa valere che la clausola 3, lettera b), del contratto collettivo, ai sensi della quale «il periodo di riferimento degli NCHD i cui contratti di lavoro superano i dodici mesi deve passare da sei a dodici mesi», è contraria a quanto disposto dalla direttiva 2003/88. Essa riconosce che l’articolo 19 di tale direttiva prevede la possibilità che, in forza di contratti collettivi, il periodo di riferimento utilizzato per calcolare la durata massima settimanale di lavoro venga aumentato a dodici mesi. Tale istituzione ricorda tuttavia che un siffatto prolungamento è possibile, ai sensi della suddetta disposizione, solo nel rispetto dei principi generali della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori e unicamente per ragioni obiettive, tecniche o inerenti all’organizzazione del lavoro.

 

33      Nel controricorso, l’Irlanda sostiene che il prolungamento del periodo di riferimento da sei a dodici mesi per gli NCHD i cui contratti di lavoro superano i dodici mesi è compatibile con questa stessa direttiva e, in particolare, con il suo articolo 19. Essa sottolinea che il contratto collettivo di cui trattasi menziona la ragione obiettiva o inerente all’organizzazione del lavoro che richiede di prolungare il periodo di riferimento, vale a dire la preoccupazione della HSE quanto alla sua facoltà di fissare i turni degli NCHD in maniera sufficientemente flessibile da attuare pienamente i propri obblighi legali.

 

34      A tale riguardo occorre rilevare che la Commissione, pur ammettendo che il periodo di riferimento può essere aumentato a dodici mesi ai sensi dell’articolo 19 della direttiva 2003/88, si limita a ricordare le condizioni di un siffatto prolungamento, senza spiegare in alcun modo per che motivo, contrariamente a quanto fatto valere dall’Irlanda, tali condizioni non sarebbero soddisfatte nel caso di specie.

 

35      Di conseguenza, la Commissione, per quanto riguarda la clausola 3, lettera b), del contratto collettivo, non dimostra la sussistenza di una prassi contraria alla direttiva 2003/88. Occorre pertanto respingere la seconda censura.

 

Sulla terza censura, vertente su una violazione della direttiva 2003/88 da parte di talune disposizioni della clausola 5 del contratto di lavoro tipo

 

36      Con la sua terza censura, la Commissione ritiene che talune disposizioni della clausola 5 del contratto di lavoro tipo siano contrarie alla direttiva 2003/88. In tal senso, in primo luogo, essa fa riferimento alla clausola 5, lettera a), di tale contratto di lavoro tipo, secondo cui la settimana lavorativa di base è di 39 ore, nonché alla clausola 5, lettere e) e f), di tale contratto, che proibisce di richiedere agli NCHD di lavorare più di 24 ore consecutive in sede e che prevede che il datore di lavoro provveda affinché questi ultimi non siano di permanenza per un periodo di lavoro di 24 ore in più di un quinto dei casi, salvo in circostanze eccezionali. Secondo tale istituzione, nessun elemento indica che i medici hanno diritto a un riposo minimo giornaliero e settimanale stabilito dalla direttiva 2003/88, né agli equivalenti periodi di riposo compensativo.

 

37      In secondo luogo, la Commissione fa riferimento alla clausola 5, lettera i), del contratto di lavoro tipo, secondo cui gli NCHD possono essere indotti a effettuare ore di straordinario (di guardia in sede) oltre alle loro 39 ore di lavoro, a effettuare guardie fuori sede e al di fuori della fascia oraria e/o ore di straordinario come quelle stabilite dal direttore della clinica/datore di lavoro e a lavorare al di fuori dei turni fissati in ragione delle esigenze di servizio, anche se il datore di lavoro deve ricorrere a tale modalità in modo eccezionale. Orbene, secondo tale istituzione, non vi è alcun limite esplicito alla durata totale del lavoro settimanale.

 

38      La Commissione sottolinea che gli Stati membri sono tenuti, nel trasporre e attuare una direttiva, a stabilire un contesto normativo chiaro, che consenta ai singoli di conoscere i loro diritti. La clausola 5 del contratto di lavoro tipo non prevederebbe un siffatto contesto normativo. Tale constatazione sarebbe peraltro confermata dalla clausola 5, lettera m), del contratto di lavoro tipo, in base alla quale «[i]l lavoro al di fuori dell’ambito previsto dal contratto non è autorizzato se la somma dell’orario di lavoro connesso al presente impiego e dell’orario di lavoro connesso a qualsiasi altro impiego oltrepassa la durata massima settimanale di lavoro, definita nel [regolamento del 2004]». Secondo tale istituzione, detta disposizione sembra indicare, a contrario, che i limiti previsti dal regolamento del 2004 non si applicano al contratto di lavoro tipo.

 

39      L’Irlanda sostiene che, sebbene non siano riprese nel testo del contratto di lavoro tipo, le tutele previste dal regolamento del 2004 e dalla direttiva 2003/88 costituiscono parte integrante del medesimo, in forza dell’accordo di regolamento del 22 gennaio 2010. In ogni caso, dette tutele sarebbero vincolanti per i datori di lavoro degli NCHD in forza del regolamento del 2004.

 

40      Tale Stato membro ritiene che il fatto che la Commissione si basi su qualche disposizione isolata della clausola 5 del contratto di lavoro tipo non tiene conto del contesto normativo chiaro in cui si integrano tale contratto, in maniera generale, e tali disposizioni, in particolare. Per quanto riguarda la clausola 5, lettera m), del contratto di lavoro tipo, l’Irlanda sostiene che tale disposizione prevede una tutela espressa dei limiti all’orario di lavoro come stabiliti dal regolamento del 2004.

 

41      A tale riguardo occorre ricordare che le disposizioni che traspongono una direttiva devono consentire ai singoli di fare riferimento ad un contesto normativo chiaro, preciso e non equivoco (v., in tal senso, sentenza Commissione/Irlanda, C‑282/02, EU:C:2005:334, punto 80).

 

42      Nell’ambito del presente ricorso, la Commissione non contesta tuttavia la trasposizione della direttiva 2003/88 da parte del regolamento del 2004. Essa si limita, riferendosi in particolare a talune disposizioni della clausola 5 del contratto di lavoro tipo, a far valere che detto regolamento non è in pratica applicato.

 

43      Inoltre le parti non discutono che il contesto normativo, quale risulta dalla normativa che traspone la direttiva 2003/88, vale a dire il regolamento del 2004, è chiaro e comunque applicabile.

 

44      Ciò considerato, riferendosi a qualche disposizione isolata della clausola 5 del contratto di lavoro tipo, la cui portata esatta è del resto oggetto di discussione tra le parti, la Commissione non giunge a dimostrare la sussistenza di una prassi contraria alla direttiva 2003/88. Occorre pertanto respingere la terza censura.

 

Sulle diverse relazioni di follow-up e sulla dichiarazione dell’IMO

 

45      La Commissione fa altresì riferimento a diverse relazioni di follow-up attinenti all’attuazione della direttiva 2003/88, redatte nel corso del 2013 e del 2014 da parte delle autorità irlandesi e comunicate alla Commissione, nonché a una dichiarazione dell’IMO, da cui a suo parere emerge che, pur essendo stati fatti progressi nell’applicazione della direttiva 2003/88, l’Irlanda continua a non conformarsi pienamente agli obblighi ad essa incombenti ai sensi di tale direttiva.

 

46      L’Irlanda ammette che non è stato possibile nella pratica ottenere una situazione di perfetta conformità alla direttiva 2003/88 in tutti i casi, ma contesta che ciò sia dovuto a un inadempimento da parte sua ad adottare le misure necessarie per ottenere una situazione siffatta. Essa sottolinea di aver compiuto sforzi costanti e concertati per ottenere una conformità totale nella pratica e di continuare a far fronte a tutti i casi di mancato rispetto della direttiva, anche ricorrendo a sanzioni pecuniarie.

 

47      Secondo tale Stato membro, l’argomento della Commissione ribadisce sostanzialmente l’affermazione per cui il semplice fatto che la normativa che traspone la direttiva 2003/88 non sia rispettata sul campo in tutti i casi, è sufficiente a giustificare una constatazione di inadempimento dello Stato membro in questione ai suoi obblighi derivanti dal diritto dell’Unione.

 

48      A tale riguardo occorre rilevare che, nel suo ricorso, la Commissione non precisa se essa fa riferimento alle relazioni di follow-up e alla dichiarazione di cui trattasi solo in quanto esempi dei problemi a cui avrebbe condotto l’asserita violazione della direttiva 2003/88 risultante dalla clausola 3, lettere a) e b), del contratto collettivo e da talune disposizioni della clausola 5 del contratto di lavoro tipo, oppure in quanto indizio autonomo di una mancata applicazione nella pratica di tale direttiva.

 

49      In ogni caso, non è sufficiente per la Commissione riferirsi alle relazioni di follow-up in questione e alla dichiarazione dell’IMO per dimostrare che l’Irlanda non ha applicato la direttiva 2003/88. Infatti, come risulta dalla giurisprudenza citata ai punti 22 e 23 della presente sentenza, ad essa spetta altresì dimostrare, senza potersi basare su una presunzione qualunque, che la prassi asseritamente contraria a tale direttiva può essere imputata, in un modo o nell’altro, all’Irlanda.

 

50      Nel caso di specie, la Commissione si limita a indicare, a tale riguardo, che la HSE è un’emanazione dello Stato. Essa non spiega tuttavia il ruolo di tale amministrazione, oltre a quello di aver firmato l’accordo di regolamento citato al punto 14 della presente sentenza, cui sono allegati il contratto collettivo e il contratto di lavoro tipo. Orbene, come risulta dai punti da 16 a 44 della presente sentenza, tale istituzione non ha dimostrato che questi ultimi due documenti sarebbero costitutivi di una prassi contraria alla direttiva 2003/88.

 

51      Dall’insieme delle suesposte considerazioni risulta che la Commissione non ha provato la sussistenza, per quanto concerne l’Irlanda, di una prassi contraria agli articoli 3, 5, 6 e 17, paragrafi 2 e 5, della direttiva 2003/88, per quanto riguarda l’organizzazione dell’orario di lavoro degli NCHD.

 

52      Di conseguenza, il ricorso dev’essere respinto.

 

Sulle spese

 

53      Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché l’Irlanda ne ha fatto domanda, la Commissione, rimasta soccombente, va condannata alle spese.

 

Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

 

2)      La Commissione europea è condannata alle spese.

 

Firme

 

* Lingua processuale: l’inglese.

 


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