Assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali – Revisione per errore – Disciplina applicabile.

“…l'art. 14-vicies quater della legge 17 agosto 2005 n. 168…non ripristina la disciplina giuridica dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte costituzionale (n.d.r.: l’art. 9, commi 5, 6 e 7, d. lgs. 23 febbraio 2000, n. 38)…, ma fonda il diritto degli assicurati, entro più restrittivi limiti di reddito, che abbiano avuto un provvedimento di rettifica ai sensi dell’art. 9, commi 5, 6 e 7, e cioè un provvedimento assunto sotto il regime dell’art. 55 legge 9 marzo 1989, n. 88, riesaminato secondo i criteri dell’art. 9, commi 1, 2 e 3, a mantenere le prestazioni erogate, o parte di esse. Correttamente perciò la sentenza impugnata ha scrutinato il diritto del ricorrente alla luce delle disposizioni dell’art. 9, commi 1-3, d. lgs. 23 febbraio 2000, n. 38”.

(Massima a cura della Redazione di Olympus)

Note e commenti: Sitzia A., Il potere-dovere di rettifica delle prestazioni erroneamente erogate dall’Inail fra aspettative legittime del cittadino e incertezze irragionevoli in ordine a situazioni certe


 


Svolgimento del processo

Il Tribunale di Brescia, giudice del lavoro, ha dichiarato legittima la revisione per errore effettuata dall'Inail con provvedimento del 9 gennaio 1998, della rendita istituita nel 1989 in favore del sig. Bortolo *****, dal 50% per silicosi al 15% per broncopneumopatia, ai sensi dell'art. 9 D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, perché effettuata nel decennio dalla costituzione della rendita e con la stessa diagnostica.

Tuttavia, avendo il ctu rilevato un peggioramento della broncopneumopatia dal 15 al 25%, ha accolto parzialmente la domanda, diretta a far dichiarare la illegittimità della rettifica, dichiarando il diritto del ***** ad una rendita del 25%.

La Corte d' Appello di Brescia, con sentenza 17 aprile/28 maggio 2003 n. 138, ha confermato la prima statuizione della sentenza impugnata ma, ritenendo inammissibile la statuizione sull'aggravamento, ha rigettato in toto la domanda del*****.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il ***** censurando, con unico motivo, solo la statuizione relativa alla rettifica.

L' intimato istituto si è costituito con controricorso, resistendo.

Motivi della decisione

Con unico motivo il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 9 D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38 (art. 360, n. 3 c.p.c.), censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato che la revisione è stata effettuata con gli stessi mezzi diagnostici in uso al momento della concessione.

La Corte osserva: il provvedimento di revisione è stato assunto dall' istituto assicuratore il 9 gennaio 1998, sulla base della disciplina della revisione per errore al tempo vigente, contenuta nell'art. 55 Legge 9 marzo 1989, n. 88.

La domanda giudiziale del ***** integra la richiesta di riesame del provvedimento ai sensi dell'art. 9, comma 5, D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, e di applicazione della disciplina sopravvenuta dell'art. 9, commi 1-3, del medesimo decreto, più favorevole all' assicurato sotto i due noti profili del termine decennale per la revisione e dell'utilizzo dei medesimi criteri, metodi e strumenti diagnostici.

Per tale ragione la sentenza impugnata e le difese delle parti si sono svolte argomentando sulla disciplina del citato art. 9 d.lgs. 38/2000, in forza delle disposizioni normative (art. 9, commi 5, 6 e 7) e della giurisprudenza di legittimità allora vigenti che attribuivano alla nuova normativa efficacia retroattiva, ed in particolare, in forza del comma 5, applicazione ai processi in corso (Cass. 19.6.2000 n. 8308, Cass. 20.11.2000 n. 14959, Cass. 26.8.2002 n. 12525, Cass. 29.9.2000 n. 12915).

La Corte costituzionale, con sentenza 5/10 maggio 2005 n. 191, ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 9, commi 5, 6 e 7, D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, in quanto l'istituto della decadenza non tollera applicazioni retroattive, neppure ai casi non prescritti o non definiti da giudicato.

Successivamente, l'art. 14-vicies quater della legge 17 agosto 2005 n. 168, ha disposto:
"Art. 14-vicies quater (Riconoscimento di prestazioni economiche in caso di provvedimenti di rettifica per errore). Al fine di salvaguardare il principio dell'affidamento, i soggetti che hanno chiesto ed ottenuto il riesame del provvedimento di rettifica delle prestazioni erogate dall'istituto assicuratore ai sensi dell'articolo 9, commi 5, 6 e 7, del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38, dichiarato illegittimo dalla sentenza della Corte costituzionale n. 191 del 5-10 maggio 2005, continuano a percepire le medesime prestazioni a condizione che siano titolari, oltre che di un eventuale reddito di natura pensionistica o da rendita da lavoro, di un reddito proprio assoggettabile all'imposta sul reddito delle persone fisiche per un importo non superiore ad euro 3.000, rivalutabile annualmente secondo gli indici ISTAT. Nella determinazione di detto importo non si tiene conto del reddito derivante dall'abitazione principale e relative pertinenze. Nel caso in cui il reddito posseduto sia superiore al limite previsto dal presente comma, le prestazioni sono ridotte in misura pari alla differenza tra lo stesso reddito e il limite previsto".

La norma non ripristina la disciplina giuridica dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte costituzionale, né poteva farlo, ma fonda il diritto degli assicurati, entro più restrittivi limiti di reddito, che abbiano avuto un provvedimento di rettifica ai sensi dell'art. 9, commi 5, 6 e 7, e cioè con provvedimento assunto sotto il regime dell'art. 55 Legge 9 marzo 1989, n. 88, riesaminata secondo i criteri dell'art. 9, commi 1, 2 e 3, a mantenere le prestazioni erogate, o parte di esse.

Correttamente perciò la sentenza impugnata ha scrutinato il diritto del ricorrente alla luce delle disposizioni dell'art. 9, commi 1-3, D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38.

Occorre pertanto esaminare le doglianze del ricorrente, sotto tale profilo normativo.

Sul punto la sentenza impugnata ha motivato nei seguenti termini:
In ordine alle metodiche d'indagine, oggetto di appello incidentale, ritiene la Corte che non sia necessario disporre nuova CTU avendo il consulente esaurientemente risposto in ordine ai mezzi diagnostici in uso al momento della concessione e all'atto della revisione.

Il pneumologo specialista che ha redatto l'elaborato in primo grado, infatti, ha precisato che la nuova diagnosi, che ha corretto quella iniziale di silicosi in broncopneumopatia, si fonda sull'esito di una radiografia toracica del 1997, come noto già disponibile ed efficiente nel 1989 all'atto della prima valutazione, e su una t.a.c. che era già disponibile nel 1989 anche se caratterizzata da minor risoluzione.

Questo basta per ritenere, come già ha fatto il primo giudice, del tutto legittima la rettifica per errore effettuata dall'INAIL, tanto più che, come precisato dal dott. Bozzola, questa migliore leggibilità della t.a.c. non ha in concreto inciso, nel caso di specie, in quanto avrebbe consentito di diagnosticare una pneumoconiosi, che con le tecnologie precedenti sfuggiva, ma tale patologia peraltro nella specie non ricorre.

Il ricorrente oppone:

I termini usati dalla norma "criteri, metodi e strumenti di indagine" non sono sinonimi. Si definiscono criteri i presupposti di partenza (i postulati che il medico utilizza per condurre la valutazione della gravità della tecnopatia, ossia i principi posti alla base della valutazione. I metodi sono il complesso delle tecniche e delle conoscenze diagnostiche in possesso del medico con cui si interpretano le risultanze oggettive degli esami, ossia i procedimenti attraversa i quali si realizza la valutazione, mentre gli strumenti di indagine sono gli apparecchi tecnico-scientifici, i dispositivi e/o gli attrezzi utilizzati (per es. radiografia, TAC, ecografia, ecc.).

Nel caso del sig. *****, lo stesso consulente tecnico di primo grado, dopo aver rilevato che l'originaria diagnosi di silicosi fu operata in esito all'esecuzione del solo esame radiografico, senza l'impiego della ben più efficace Tomografia computerizzata, ha chiarito che l'esperienza per lo studio delle pneumoconiosi con TAC si è affinato ed è migliorato nell'ultimo decennio, soprattutto con gli apparecchi di ultima generazione". Sulla base di tale fondamentale premessa il C.T.U. conclude che: "è pertanto assai probabile che una TAC del torace eseguita nel 1989 per sospetta pneumoconiosi, avrebbe fornito meno informazioni rispetto alla TAC eseguita nel 1997: in particolare molto difficilmente avrebbe evidenziato una eventuale pneumoconiosi, non confermata peraltro in indagini TC degli anni successivi.

La Corte osserva che, nonostante il richiamo al significato normativo della espressione "criteri, metodi e strumenti di indagine", la censura del ricorrente si svolge su un piano di mera interpretazione della ctu, ed urta contro l'accertamento di fatto della sentenza impugnata che la pneumoconiosi non è presente nel caso di specie, sicché ogni valutazione intorno agli sviluppi della diagnostica TAC è fuori di luogo.

Il ricorso deve essere pertanto respinto.

Nulla deve disporsi per le spese del presente giudizio ai sensi dell'art. 152 d.a.c.p.c., nel testo anteriore a quello di cui all'art. 42, comma 11, del d.l n. 269 del 30 settembre 2003, convertito in Legge 24 novembre 2003, n. 326, in quanto la norma innovativa trova applicazione ai procedimenti iniziati con ricorso introduttivo del giudizio depositato dal 1° ottobre 2003 (Cass. sez. un. 24 febbraio 2005 n. 3814).

P. Q. M.

rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Lavoro, il 9 febbraio 2006.