Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Ord. Sez. 7, 26 novembre 2015, n. 46926 - VDR e nessun riferimento allo specifico rischio (taglio con fiamma ossidrica di travi pesanti e di notevoli dimensioni). Esclusione del comportamento abnorme della vittima


 

 

 

 

Presidente: D'ISA CLAUDIO Relatore: MONTAGNI ANDREA Data Udienza: 14/10/2015




FattoDiritto


P.C. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma del 2.07.2013, con la quale è stata confermata la sentenza di condanna resa dal Tribunale di Roma in data 17.05.2010, in riferimento al reato di cui all'art. 590 cod. pen.
Con il primo motivo viene denunciata la mancanza di motivazione, rispetto al contenuto della deposizione resa in giudizio dal consulente tecnico della difesa, circa l'adeguatezza del documento di valutazione dei rischi, rispetto alla attività svolta dalla persona offesa.
Con il secondo motivo l'esponente si duole della omessa considerazione delle dichiarazioni rese dalla stessa persona offesa, che si era assunta l'intera responsabilità dell'accaduto.
Con il terzo motivo viene dedotto il travisamento della prova, circa il fatto che il funzionario dell'Ufficio prevenzione infortuni S.S. sia intervenuto sul luogo dell'infortunio.
Il ricorso è inammissibile.
Soffermandosi sui diversi motivi di ricorso, che vengono esaminati congiuntamente, giacché risultano affidati a doglianze di natura comune, deve rilevarsi che, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, il vizio logico della motivazione deducibile in sede di legittimità deve risultare dal testo della decisione impugnata e deve essere riscontrato tra le varie proposizioni inserite nella motivazione, senza alcuna possibilità di ricorrere al controllo delle risultanze processuali; con la conseguenza che il sindacato di legittimità "deve essere limitato soltanto a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza spingersi a verificare l'adeguatezza delle argomentazioni, utilizzate dal giudice del merito per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali" (in tal senso, "ex plurlmis", Cass. Sez. 3, n. 4115 del 27.11.1995, dep. 10.01.1996, Rv. 203272).
Tale principio, più volte ribadito dalle varie sezioni di questa Corte, è stato altresì avallato dalle stesse Sezioni Unite le quali hanno precisato che esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per i ricorrenti più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Cass. Sez. U, Sentenza n. 6402 del 30/04/1997, dep. 02/07/1997, Rv. 207945). E la Corte regolatrice ha rilevato che anche dopo la modifica dell'art. 606 lett. e) cod. proc. pen., per effetto della legge 20 febbraio 2006 n. 46, resta immutata la natura del sindacato che la Corte di Cassazione può esercitare sui vizi della motivazione, essendo rimasto preclusa, per il giudice di legittimità, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione o valutazione dei fatti (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 17905 del 23.03.2006, dep. 23.05.2006, Rv. 234109). Pertanto, in sede di legittimità, non sono consentite le censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1769 del 23/03/1995, dep. 28/04/1995, Rv. 201177; Cass. Sez. 6, Sentenza n. 22445 in data 8.05.2009, dep. 28.05.2009, Rv. 244181).
Delineato nei superiori termini l'orizzonte del presente scrutinio di legittimità, si osserva che il ricorrente invoca, in realtà, una riconsiderazione alternativa del compendio probatorio. Ed invero, il deducente, non solleva censure che attingono il percorso argomentativo sviluppato dalla Corte di Appello, ma si duole del mancato recepimento della tesi alternativa prospettata della difesa, rispetto alla esaustività del documento di valutazione dei rischi ed alla condotta abnorme del lavoratore.
E' poi appena il caso di rilevare che la congiunta lettura di entrambe le sentenze di merito - che, concordando nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, valgono a saldarsi in un unico complesso corpo argomentativo (cfr. Cass., Sez. 1, n. 8868/2000, Rv. 216906) - evidenzia che i giudici di merito hanno del tutto logicamente censito le evidenze acquisite al compendio probatorio. Segnatamente, la Corte di merito ha chiarito le ragioni per le quali ha ritenuto di confermare la valutazione espressa dal primo giudice, sviluppando un percorso argomentativo che non presenta le denunziate aporie di ordine logico e che risulta immune da censure rilevabili in questa sede di legittimità. Invero, la Corte territoriale ha precisato che dal documento di valutazione dei rischi prodotto dall'imputato e menzionato dal consulente tecnico della difesa, non risultava alcun riferimento alla specifico rischio derivante dalla lavorazione alla quale era addetto l'infortunato (taglio con fiamma ossidrica di travi pesanti e di notevoli dimensioni).
Si deve allora pure osservare che la Corte regolatrice ha da tempo chiarito che non è consentito alle parti dedurre censure che riguardano la selezione delle prove effettuata dal giudice di merito. A tale approdo, si perviene considerando che, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, dovendo limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 1004 del 30/11/1999, dep. 31/01/2000, Rv. 215745; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2436 del 21/12/1993, dep. 25/02/1994, Rv. 196955). Come già sopra si è considerato, secondo la comune interpretazione giurisprudenziale, l'art. 606 cod. proc. pen. non consente alla Corte di Cassazione una diversa "lettura" dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali. E questa interpretazione non risulta superata in ragione delle modifiche apportate all'art. 606, comma primo lett. e) cod. proc. pen. ad opera della Legge n. 46 del 2006; ciò in quanto la selezione delle prove resta attribuita in via esclusiva al giudice del merito e permane il divieto di accesso agli atti istruttori, quale conseguenza dei limiti posti all'ambito di cognizione della Corte di Cassazione. Si deve in questa sede ribadire l'insegnamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, per condivise ragioni, in base al quale si è rilevato che nessuna prova, in realtà, ha un significato isolato, slegato dal contesto in cui è inserita; che occorre necessariamente procedere ad una valutazione complessiva di tutto il materiale probatorio disponibile; che il significato delle prove lo deve stabilire il giudice del merito e che il giudice di legittimità non può ad esso sostituirsi sulla base della lettura necessariamente parziale suggeritagli dal ricorso per cassazione (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 16959 del 12/04/2006, dep. 17/05/2006, Rv. 233464).
Sulla scorta dei rilievi che precedono, non è chi non veda che neppure risulta sindacabile la valutazione espressa dalla Corte di Appello, laddove ha escluso che il comportamento imprudente posto in essere da R.M. - e da costui ammesso - potesse qualificarsi come abnorme, posto che R.M. aveva agito nell'ambito delle mansioni affidategli. Del resto, la predetta valutazione effettuata dalla Corte territoriale si colloca del tutto coerentemente nell'alveo del consolidato orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, sul tema di interesse. La Corte regolatrice ha da tempo chiarito che nessuna efficacia causale, per escludere la responsabilità del datore di lavoro, può essere attribuita al comportamento negligente del medesimo lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre comunque alla insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente. Sul punto, si è pure precisato che le norme antinfortunistiche sono destinate a garantire la sicurezza delle condizioni di lavoro, anche in considerazione della disattenzione con la quale gli stessi lavoratori effettuano le prestazioni. Deve perciò rilevarsi che le richiamate considerazioni, svolte in sede di merito, si collocano appieno nell'alveo dell'orientamento espresso ripetutamente dalla Corte regolatrice, in riferimento alla valenza esimente da assegnare alla condotta colposa posta in essere dal lavoratore, rispetto al soggetto che versa in posizione di garanzia. Questa Suprema Corte, infatti, ha affermato che, nel campo della sicurezza del lavoro, gli obblighi di vigilanza che gravano sul datore di lavoro risultano funzionali anche rispetto alla possibilità che il lavoratore si dimostri imprudente o negligente verso la propria incolumità; e che può escludersi l'esistenza del rapporto di causalità unicamente nei casi in cui sia provata l'abnormità del comportamento del lavoratore infortunato e sia provato che proprio questa abnormità abbia dato causa all'evento. Nella materia che occupa deve, cioè, considerarsi abnorme il comportamento che, per la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all'applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro. Deve pure osservarsi che la giurisprudenza di legittimità ha più volte sottolineato che l'eventuale colpa concorrente del lavoratore non può spiegare alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi l'obbligo di sicurezza che si siano comunque resi responsabili della violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica (cfr. Cass., sez. 4, sentenza n. 3580 del 14.12.1999, dep. il 20.03.2000, Rv. 215686); e ciò con specifico riferimento alle ipotesi in cui il comportamento del lavoratore - come certamente è avvenuto nel caso di specie - rientri pienamente nelle attribuzioni specificamente attribuitegli (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 10121 del 23.01.2007, dep. 9.03.2007, Rv. 236109). Deve pertanto conclusivamente rilevarsi che le valutazioni effettuate dai giudici di merito, in ordine alla non abnormità del comportamento imprudente posto in essere dal dipendente infortunato, risultano immuni dalle dedotte censure.
Tanto chiarito, si rileva che neppure sussiste il dedotto travisamento della prova, questione specificamente affidata all'ultimo motivo di ricorso.
Com’è noto l'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. è stato modificato dalla L. 19 febbraio 2006, n. 46, art. 8, che ha esteso la rilevabilità del vizio di motivazione oltre il testo del provvedimento impugnato con il riferimento ad "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame".
L'elaborazione giurisprudenziale successiva alla riforma ha chiarito che il legislatore, con la norma ora richiamata, ha comunque demandato alla Corte regolatrice una funzione di legittimità, atteso che la Suprema Corte, nell'esaminare il travisamento della prova, non si immerge nel contesto processuale come fa il giudice di merito, ma si limita ad individuare il vizio dedotto. Il giudice di legittimità, cioè, non deve conoscere il contesto processuale, ma scrutinare unicamente l'atto che veicola la prova che si assume travisata. Sulla scorta dei cenni che precedono, è dato rilevare che, secondo diritto vivente, il travisamento della prova sussiste qualora emerga che il giudice di merito abbia (non erroneamente interpretato ma) indiscutibilmente travisato una prova decisiva acquisita al processo ovvero omesso di considerare circostanze decisive risultanti da atti specificamente indicati; e deve trattarsi di una palese e non controvertibile difformità tra i risultati obiettivamente derivanti dall'assunzione della prova e quelli che il giudice di merito ne abbia inopinatamente tratto, restando fermo il divieto, per il giudice di legittimità, di operare una diversa ricostruzione del fatto quando si tratti di elementi privi di significato indiscutibilmente univoco (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 14732 del 01/03/2011, dep. 12/04/2011, Rv. 250133; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 37756 del 07/07/2011, dep. 19/10/2011, Rv. 251467; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 9338 del 12/12/2012, dep. 27/02/2013, Rv. 255087).
Applicando i principi di diritto al caso di giudizio, si osserva che la motivazione sviluppata dai giudici di merito discende da un complessivo e ragionato apprezzamento dell'acquisito compendio probatorio, secondo un percorso argomentativo immune dalle denunciate aporie di ordine logico; e le valutazioni sulla dinamica del sinistro, in particolare, derivano oltre che dall'esame del funzionario della Asl, comunque pacificamente edotto sui fatti di causa, dall'esame della documentazione acquisita.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, in data 14 ottobre 2015.