SENATO DELLA REPUBBLICA
XVII LEGISLATURA
Giunte e Commissioni

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, con particolare riguardo al sistema della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro


Seduta n. 30, martedì 15 dicembre 2015

Proposta di relazione conclusiva dell'inchiesta in merito alla morte della bracciante agricola, signora Paola Clemente, avvenuta il 13 luglio 2015 ad Andria.

Presidenza della presidente FABBRI

(Esame e rinvio)

La PRESIDENTE illustra lo schema di relazione conclusiva dell'inchiesta in merito alla morte della bracciante agricola, signora Paola Clemente, avvenuta il 13 luglio 2015 ad Andria.
La Commissione procede - in seduta segreta ai sensi dell'articolo 13, comma 1, del regolamento interno - al dibattito sullo schema di relazione illustrato dalla Presidente, nel corso del quale intervengono i senatori SILVESTRO (PD), BAROZZINO (Misto-SEL), AIELLO (AP (NCD-UDC)), D'ADDA (PD), PAGLINI (M5S), SERAFINI (FI-PdL XVII) e BORIOLI (PD).

Il seguito dell'esame è quindi rinviato.

Schema di relazione relativa all'indagine, attivata l'8 settembre 2015, dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali del Senato, in merito al decesso della signora Paola Clemente, avvenuto il 13 luglio 2015 in Andria (BA).

Il decesso di Paola Clemente

A seguito delle notizie di cronaca riguardante il decesso della sig.ra Paola Clemente nel corso dell'attività lavorativa presso un'azienda agricola in Andria, in circostanze collegate allo svolgimento della prestazione di lavoratrice occasionale, emerse alcune settimane dopo il decesso per l'interessamento del sig. Giuseppe Deleonardis (sindacalista Flai-Cgil), questa Commissione in data 8 settembre 2015 deliberava di avviare un'inchiesta.
Sono stati acquisiti vari documenti e auditi: il segretario generale della Flai Cgil di Puglia, Giuseppe Deleonardis; il rappresentante legale della società Grassi Viaggi, indagato per omicidio colposo e omissione di soccorso, Ciro Grassi; il dipendente dell'azienda Grassi e autista del pullman su cui viaggiava la sig.ra Clemente il giorno del decesso, indagato per omicidio colposo e omissione di soccorso, Salvatore Filippo Zurlo; il proprietario della azienda Ortofrutta Meridionale Srl di Corato, Luigi Terrone; il vicepresidente dell'agenzia del lavoro Quanta Italia S.p.a., presso cui la sig.ra Clemente aveva precedentemente lavorato, Vincenzo Mattina; i rappresentati della agenzia del lavoro Inforgroup S.p.a. presso cui era in carico la sig.ra Clemente al momento della morte, ovvero la dott.ssa Francesca Migliavacca (consigliere della società con delega per la gestione delle risorse umane) e dott. Michele Malerba (dipendente della società con mandato per la gestione delle relazioni istituzionali); il direttore della agenzia della Inforgroup S.p.a. di Noicattaro, dott. Pietro Bello.
La sig.ra Clemente, bracciante agricola da circa 30 anni, al momento del decesso era impiegata nella attività di acinellatura alle dipendenze dell'Azienda Agricola Terrone Srl presso contrada Zagaria, comune di Andria, per mezzo di un contratto di somministrazione di lavoro firmato con l'agenzia del lavoro Inforgroup, che provvedeva anche alla sua retribuzione. L'azienda Agricola ha riferito, nel corso delle audizioni, che era la prima volta che si rifaceva ad una agenzia interinale.
Per quanto riguarda proprio il tema della remunerazione, hanno destato l'attenzione mediatica e attivato la conseguente polemica pubblica proprio le buste paga della stessa sig.ra Clemente, in particolare riferibili al periodo in cui si era affidata alla agenzia del lavoro Quanta S.p.a, a causa dell'importo netto eccessivamente basso come remunerazione del suo impegno bracciantile. Dal punto di vista contrattuale non può essere omesso che i contratti nel settore vengono regolati a livello provinciale: fattore, questo, che spiega lo svilupparsi di una sorta di 'pendolarismo' della manodopera e che merita attenzione poiché rende ancora più pesanti le condizioni dei lavoratori.
Dalla ricostruzione avanzata alla stampa dal marito, sig. Arcuri Stefano, e dalle audizioni svolte presso la stessa Commissione, si individua nelle 3.10 circa del mattino l'orario in cui la sig.ra Clemente veniva prelevata da San Giorgio Jonico, insieme ad altre colleghe, per essere accompagnata sul posto di lavoro con il pullman di proprietà del Sig. Grassi Ciro, indicato nella querela presentata dal marito della sig.ra Clemente alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trani come "colui che coordinava il viaggio ad Andria e che la moglie conosceva", come riferisce in una intervista l'avvocato della famiglia Clemente, Vito Miccolis.
La sig.ra Clemente dunque raggiungeva il posto di lavoro intorno alle ore 5.30, come affermato dal marito e dagli auditi, dopo aver percorso un viaggio di circa 150 km. Quella stessa mattina - come ricostruiscono alcune colleghe della signora e conferma anche il sig. Salvatore Filippo Zurlo, che guidava il pullman su cui viaggiavano le lavoratrici - la sig.ra Clemente comincia a presentare, durante il viaggio da San Giorgio ad Andria, una abbondantissima e anomala sudorazione. Sebbene l'Autorità Giudiziaria accerterà i profili medico-legali del decesso, tenuto anche conto che la denuncia è stata presentata dopo varie settimane dalla tumulazione, allo stato degli atti in possesso di questa Commissione, come afferma il marito della sig.ra Clemente nella sua denuncia, la stessa sembra non soffrisse di alcuna patologia ne' quella mattina sembra abbia accennato ad alcuna forma di disturbo. Sempre il marito sostiene di non aver mai ricevuto ne' un referto ne' un documento relativo al soccorso prestato alla moglie, mentre l'autopsia del corpo, riesumata la salma, viene effettuata soltanto in agosto, ad oltre un mese di distanza dal decesso e dopo la presentazione della querela presso l'autorità giudiziaria.
Dalla considerazione che il procedimento penale sia stato avviato su denuncia del marito si deve evidenziare che nonostante il decesso avvenuto sul luogo di lavoro sembra non vi sia stato referto medico all'Autorità Giudiziaria rilevante ex art. 365 c.p.
Peraltro non si deve trascurare quanto riferisce il sindacalista Deleonardis circa le resistenze e i timori della stessa famiglia della vittima a denunciarne la morte: indice di un clima di assoggettamento, di paura, di bisogno che travalica la legittima domanda di giustizia e di ricerca della verità.
Dalle audizioni - anche di soggetti che riferiscono de relato - si desume che durante il viaggio e dopo l'arrivo del pullman presso l'azienda agricola Ortofrutta Meridionale, la sig.ra Clemente avverte dei disturbi, ma viene avviata comunque sul campo di lavoro per l'acinellatura dei grappoli di uva. Verso le ore 7.30 circa avverte un malore che costringe i presenti ad un primo intervento, improvvisato da una collega che aveva qualche piccola competenza in materia di soccorso, ma di certo non incaricata dall'azienda di occuparsi del primo soccorso. Viene chiamato il servizio pubblico di soccorso e viene intercettata una pattuglia dei carabinieri di cui uno prova ad effettuare un massaggio cardiaco, senza esito positivo. All'arrivo di una prima ambulanza si constata l'insufficienza delle attrezzature e si attende l'arrivo di una seconda ambulanza. Sicché si constaterà il decesso. Casualmente sul posto si trovava anche il sig. Grassi che, avvertito del malore della sig.ra Clemente, ancora prima di avvisare i suoi familiari, chiamava il sig. Bello, direttore della agenzia Inforgroup S.p.a. di Noicattaro, precedentemente impiegato presso la Quanta S.p.a e conoscente della sig.ra Clemente.
E' evidente l'assenza (o peggio, l'improvvisazione) di qualsiasi misura di primo soccorso, di collegamento con il pronto intervento, di misure di protezione da attivare per il pericolo grave di vita che si profilava per il malore della lavoratrice.
Sempre il marito racconta alla stampa, come confermato anche nel corso delle audizioni, di aver ricevuto una telefonata da parte del sig. Grassi in cui gli veniva comunicato che la moglie si era sentita male e stava arrivando a soccorrerla il 118. Lo stesso marito, saputa la notizia, si mette subito in viaggio per Andria insieme ai figli, avendo intuito la gravità della situazione.
Le notizie però sulla dinamica dei soccorsi e sulla condizione della moglie gli risultano molto frammentarie: al marito della donna viene riferita la presenza della moglie presso l'ospedale di Barletta, poi di Andria. Arrivato presso Andria, il marito, come raccontato alla stampa, riferisce di aver cercato la moglie dai reparti alla camera mortuaria, avendo ormai compreso il verificarsi della morte della stessa. Soltanto dopo l'ennesima telefonata al numero dal quale era stato contatto, ovvero quello dal quale era stato chiamato dal sig. Grassi, gli viene fornita la notizia che la moglie si trovava presso la camera mortuaria del cimitero di Andria.
La dinamica dei fatti è caratterizzata quindi dalle condizioni di lavoro in cui la lavoratrice, dopo un viaggio di circa due ore, curato dalla ditta Grassi, organizzato nell'ambito del rapporto di somministrazione tra la Inforgroup, l'azienda Ortofrutta Meridionale, e decine di lavoratrici tra cui la sig.ra Clemente, sulla base di una sorveglianza sanitaria espressa probabilmente nel possesso di un certificato medico per la visita preventiva. Non emerge alcuna vera formazione, informazione, addestramento delle lavoratrici né una reale presenza di misure di protezione e di primo soccorso.


Intermediazione e Sicurezza del lavoro

La vicenda di cui è stata vittima la sig.ra Paola Clemente è paradigmatica di un nuovo e diverso atteggiarsi di intermediazione illecita nel rapporto di lavoro.
Si possono delineare due distinti piani:
1) il primo costituito dal tradizionale "caporalato" in cui la figura centrale del mediatore di lavoro approfitta del bisogno (occasione, trasporto, paga) lucrando tra domanda e offerta di lavoro bracciantile o comunque di manodopera, in un contesto di assoluta irregolarità e quindi di totale assenza di sicurezza.
2) il secondo invece ha caratteristiche nuove, non meno allarmanti, si insinua tra le pieghe del contratto di somministrazione o di altri più recenti tipi contrattuali, genera dalla presenza sul territorio di personaggi che hanno facilità se non addirittura esclusività di contatti con i lavoratori in cerca di lavori occasionali, precari, stagionali.

Il caporalato tradizionale

Per "caporalato" si intende un'espressione criminale, spesso collegata ad organizzazioni, diretta allo sfruttamento della manodopera con metodi illegali, di tradizione ottocentesca.
Questa pratica sorge dall'incontro illegale tra le esigenze del committente, che riceve un servizio a costi più bassi, e quelle del caporale, che trae profitto dall'attività di intermediazione e dalla complessiva irregolarità.
L'agricoltura, dove v'è necessità di far fronte alla stagionalità delle colture che richiedono la concentrazione di operai per periodi brevi, e l'edilizia sono i settori più recettivi.
I caporali quasi sempre reclutano la manodopera in punti di raccolta predeterminati e si occupano dell'accompagnamento presso i luoghi di lavoro; il pagamento di regola si limita alla giornata, sottraendo da quanto corrisposto dal committente una quota. Ciò genera un rapporto di forza e una soggezione del lavoratore che è ben consapevole dell'obbedienza e silenzio che deve al caporale salvo perdere a fine giornata l'occasione di lavoro. Non di rado si offrono anche soluzioni abitative e vitto.
Le vittime di tale sistema sono i prestatori d'opera che accettano per bisogno: vale a dire gli extracomunitari, soprattutto se privi di permesso di soggiorno (appare improbabile che uno straniero clandestino denunci la propria condizione), giovani in cerca di piccoli arrotondamenti e le donne, preferite alla manodopera maschile in base a talune lavorazioni. La cronaca non fa mancare notizie legate anche ad abusi sessuali.
Le aziende che fanno ricorso ai lavoratori stagionali, esterni all'azienda e necessari solo per alcuni giorni, sono diffuse in tutte le regioni, sia nelle province ad alta vocazione agricola sia nelle periferie metropolitane per l'edilizia o per i trasporti, il facchinaggio, i lavori di manutenzione, tanto da poter definire un vero e proprio "caporalato urbano". Con tale reclutamento si realizza un abbattimento dei costi e quindi una scorretta concorrenza tra le imprese.
Il rapporto con i caporali per gli imprenditori è risolutivo di gran parte dei problemi: reclutamento dei braccianti, anche in poche ore, nessun adempimento burocratico, rapporto di lavoro non dichiarato, costi della manodopera che risultano dimezzati, nessun sindacato e soprattutto nessun costo e onere per la sicurezza.
Del resto spesso i lavoratori così arruolati vengono portati in luoghi di lavoro in cui devono operare senza conoscere chi sia il vero titolare dell'attività, avendo rapporti soltanto con i soggetti preposti a sovraintendere all'attività lavorativa.
I meccanismi di monitoraggio e controllo previsti dall'ordinamento risultano poco efficaci in quanto necessitano di massivi interventi sul territorio con una visione complessiva di vari fattori criminogeni: immigrazione, sicurezza del lavoro, ordine pubblico, territorio, crimine organizzato etc. I soggetti incaricati dell’attività di vigilanza sono diversi (Ministero del lavoro, Guardia di Finanza, Carabinieri, Polizia di Stato) e risulta pertanto necessaria un’attività di coordinamento.

Strumenti di contrasto

L’art. 12 del d.d.l. n. 138 del 13 agosto 2011 ha introdotto l’art. 603 bis c.p. il quale prevede il delitto di "intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro", punito con la reclusione da cinque a otto anni e con una multa da 1000 a 2000 euro "per ciascun lavoratore reclutato".
L'art. 603-bis c.p., salvo che il fatto costituisca più grave reato, punisce "chiunque svolga una attività organizzata di intermediazione reclutando manodopera o organizzandone l'attività lavorativa caratterizzata da sfruttamento, mediante violenza, minaccia o intimidazione, approfittando dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori."
Si incrimina quindi una attività organizzata di intermediazione caratterizzata dallo sfruttamento dei lavoratori mediante violenza, minaccia o intimidazione; non basta un isolato episodio di sfruttamento posto in essere senza un minimo di organizzazione. Problematica appare l’individuazione della nozione di intermediazione che si realizza "reclutando manodopera" o "organizzandone l'attività lavorativa".
Questa disposizione finisce così con il punire solo l’intermediario e non l’imprenditore utilizzatore della manodopera. Viene infatti circoscritto l’ambito soggettivo di applicazione della nuova incriminazione a colui che non può essere identificato con l’utilizzatore finale del lavoro e cioè alla sola figura del "caporale", salvo ipotesi concorsuali.
Si tratta di elementi strutturali che non hanno esplicato alcun effetto deterrente del caporalato tradizionale, come dimostra lo scarsissimo numero di processi che si sono sin qui celebrati.
In breve: difficoltà nell'accertamento processuale del reato, scarse investigazioni, assenza di coordinamento tra le forze dell'ordine in territori spesso controllati da una criminalità comunque strutturata nel tessuto economico, mancata collaborazione dei lavoratori, in presenza del dilagare delittuoso, costituiscono elementi che depongono a favore di una revisione del quadro normativo per contrastare il caporalato.

Gli interventi normativi.

In tal senso rilevano gli interventi normativi in itinere.
Il primo ordine di interventi è collocato nella revisione del codice antimafia laddove vengono introdotte tre diverse misure:
1) La confisca obbligatoria delle cose pertinenti al reato, del profitto, prezzo, prodotto del reato di cui all'art. art. 603 bis c.p., oppure confisca per equivalente.
2) La confisca del patrimonio ai sensi dell'art. 12 sexies d.l. 306/92, conv. dalla l. 356/92.
3) La responsabilità amministrativa degli enti da reato anche per il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro di cui all’art. 603-bis c.p.
A tali ipotesi si accompagnano le modifiche proposte dal d.d.l. governativo che - oltre le novità ora citate - intende introdurre anche:
1) Una circostanza attenuante per i collaboratori di giustizia.
2) L'arresto obbligatorio in flagranza.
3) Modiche al fondo per le misure antitratta.
4) Modifiche in tema di rete del lavoro agricolo di qualità (dl 91/2014 conv. dalla l. 116/2014).
5) Accoglienza per i lavoratori agricoli stagionali.
In verità si possono ipotizzare una serie di altre misure dissuasive che rendano meno appetibile per il datore di lavoro avvalersi del mercato nero dei lavoratori e incentivino l'assunzione di manodopera regolare: ad esempio, accanto alla pena dell’esclusione da agevolazioni, finanziamenti e sovvenzioni pubbliche, appare opportuna la previsione della revoca delle somme eventualmente percepite nelle more dello svolgimento dell’attività delittuosa; parimenti efficace potrebbe essere la previsione della possibilità di recedere unilateralmente per la pubblica amministrazione dai contratti stipulati con soggetti condannati in via definitiva per il delitto di caporalato.
Appare appropriato ampliare il numero delle pene accessorie stabilite, prevedendo la sanzione della decadenza dall’ufficio ricoperto presso la persona giuridica o l’impresa e la pubblicazione della sentenza penale di condanna.



Contratto di somministrazione e sicurezza del lavoro

Sotto il secondo profilo riguardante, invece, nuove forme di approfittamento nell'intermediazione di manodopera, rileva l'uso del contratto di somministrazione.
Fino a non molti anni addietro esisteva un sostanziale monopolio pubblico sul mercato del lavoro, cui conseguiva il divieto di ogni forma di intermediazione e di somministrazione di manodopera (c.d. "pseudo-appalto" di manodopera), la cui violazione integrava i reati previsti dapprima dall’art. 27 della legge 29 aprile 1949, n. 264 e successivamente dagli artt. 1 e 2 della legge 23 ottobre 1960, n. 1369.
A partire dalla seconda metà degli anni novanta tale assetto è stato progressivamente modificato dall’introduzione del lavoro interinale ad opera della legge n. 196 del 1997 e, successivamente, dal più generale riordino della disciplina del mercato del lavoro da parte del d. lgs. 276 del 10 settembre 2003 (c.d. "legge Biagi") che, in particolare, ha superato il monopolio pubblico consentendo tra l’altro l’intermediazione nella prestazione di lavoro e la somministrazione di manodopera, seppure nell’ambito di regole ben definite.
Gli artt. 1 e 2 della legge 1369/60 che già vietavano e punivano l'intermediazione di manodopera, sono stati abrogati e sostituiti dal decreto legislativo 276/2003 (c.d. "legge Biagi") che - come riconosciuto pacificamente dalla giurisprudenza - si pone in linea di continuità normativa con la disciplina previgente.
La giurisprudenza di legittimità, con orientamento oramai ampiamente consolidato, ha chiarito che l’abrogazione delle norme incriminatici contenute nelle leggi n. 264 del 1949 e n. 1369 del 1960 non ha comportato l’abolizione dei reati posti a tutela del mercato del lavoro ivi previsti, atteso che le rispettive fattispecie devono ritenersi rivivere nelle disposizioni dell’art. 18 del d.lgs. n. 276 del 2003, quantomeno nei limiti in cui le condotte di intermediazione e somministrazione sono considerate illecite da quest’ultimo (cfr. Sez. 3, n. 2583 del 11 novembre 2003, dep. 26 gennaio 2004, e Sez. 4, n. 40499 del 20 ottobre 2010, dep. 16 novembre 2010).
Infatti con l'art. 18 del d.lgs 276/03 si continua a sanzionare penalmente la condotta di chi senza essere autorizzato o oltre i limiti dell'autorizzazione effettua condotte di intermediazione.
In particolare l'art. 18 cit. - dopo le modifiche apportate dal d.lgs. 251/04 e soprattutto dal d.lgs. 81/15 (c.d. "Jobs act") - sanziona con l'ammenda di 50 euro al giorno per ogni lavoratore somministrato chiunque eserciti senza autorizzazione l'attività di agenzia di somministrazione nonché l'utilizzatore, inoltre punisce con l'arresto e l'ammenda chi esercita un'agenzia di intermediazione, e con l'ammenda chi esercita un'agenzia di ricerca del personale o di supporto alla ricollocazione professionale, senza autorizzazione.
Alla condanna per tali reati segue la confisca del mezzo di trasporto adoperato per l'esercizio di tali attività.
Al riguardo la costante previsione di mere fattispecie contravvenzionali si è rivelata insufficiente ad arginare le forme più gravi e sistematiche di sfruttamento del lavoro, le quali hanno peraltro conosciuto negli ultimi anni un forte sviluppo a causa dell’intensificarsi dell’immigrazione irregolare e della ridotta disponibilità di posti di lavoro.

Lo schema di decreto legislativo per la depenalizzazione.

Su tale quadro normativo interviene ora lo schema di decreto legislativo di depenalizzazione approvato dal Consiglio dei ministri in data 13 novembre 2015 (a norma dell'art. 2, comma 2, della l. 28 aprile 2014, n. 67) e attualmente sottoposto al Parlamento per i pareri, che sostituisce la pena dell'ammenda con la sanzione amministrativa di euro 5.000 fino a euro 50.000.
Tale provvedimento legislativo in itinere trasforma in una più efficiente sanzione amministrativa l'oggettiva debole ammenda di appena euro 50 a lavoratore, pro die, con un maggiore effetto deterrente: una sanzione pecuniaria amministrativa nel minimo ben 100 volte e nel massimo ben 1.000 volte superiore alla sanzione attualmente in vigore.

Le modifiche apportate dal d.lgs. 81/15 (c.d. "Jobs Act")

Il quadro normativo di recente si è ulteriormente rafforzato sotto il profilo specifico della tutela della sicurezza del lavoro somministrato con il d.lgs. 81/15 (c.d. "Jobs Act") intervenendo direttamente da un lato sul d.lgs. 81/08 (c.d. Testo unico sicurezza lavoro) e dall'altro sugli effetti contrattuali della violazione della normativa a tutela della sicurezza e salute.
Sotto il primo profilo l'art. 35 comma 4 d.lgs. 81/15, salvo diversa previsione contrattuale, attribuisce al somministratore l'obbligo di formare, informare, addestrare il lavoratore, e all'utilizzatore impone tutti gli altri obblighi di sicurezza egualmente nei confronti dei lavoratori somministrati e dipendenti.
Sotto il secondo profilo l'art. 14 vieta il lavoro intermittente per i datori che non effettuino la valutazione dei rischi; l'art. 20 stabilisce la trasformazione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato nel caso in cui il datore di lavoro non abbia effettuato la valutazione del rischio.
Ma soprattutto per il contratto di somministrazione gli artt. 32 comma 1 lett. d) e 33 comma 1 lett. c) impongono al datore di lavoro la valutazione del rischio e l'indicazione nella forma scritta dei "rischi per la salute e la sicurezza del lavoratore e le misure di prevenzione adottate".
Di talché alla violazione di tali precetti segue - in forza dell'art. 38 comma 2 - il diritto del lavoratore di chiedere la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze dell'utilizzatore con effetto dall'inizio della somministrazione, la condanna del datore al risarcimento del danno con un'indennità onnicomprensiva pari a un massimo di 12 mensilità.
In breve dal nuovo assetto normativo la tutela della sicurezza e salute del lavoratore somministrato viene specificata e rafforzata, prima e durante il rapporto di lavoro, dalla formazione e informazione fino alle conseguenze risarcitorie.

La sorveglianza sanitaria per i lavoratori agricoli stagionali o occasionali.


Si tratta di un quadro normativo dalle maglie strette che però presenta un deficit sul piano dell'efficienza della sorveglianza sanitaria.
In punto di diritto, l'art. 3 comma 13 d.lgs. 81/08 consente un decreto interministeriale per la semplificazione degli "adempimenti relativi all'informazione, formazione e sorveglianza sanitaria" dei lavoratori stagionali o occasionali soltanto presso le piccole e medie imprese agricole.
Tale decreto è intervenuto in data 27 marzo 2013 stabilendo per tutte le imprese (quindi discostandosi dal dettato normativo) che "gli adempimenti in materia di controllo sanitario si considerano assolti, su scelta dei datori di lavoro... mediante visita medica preventiva, da effettuarsi dal medico competente ovvero dal dipartimento di prevenzione della ASL...(che) ha validità biennale e consente al lavoratore idoneo di prestare, senza la necessità di ulteriori accertamenti medici, la propria attività di carattere stagionale".
E inoltre gli obblighi di formazione e informazione "si considerano assolti" con la consegna di "appositi documenti.


Fonte: Senato della Repubblica