Cassazione Civile, Sez. Lav., 30 giugno 2005, n. 14010 - Amianto: è irrilevante il fatto che l'introduzione delle norme sia successiva al periodo della contaminazione nel rapporto di lavoro; la pericolosità della lavorazione era nota da epoca anteriore


Fatto


Con ricorso in data il 28.7.1998, G.A. , conveniva in giudizio dinanzi al Pretore di Milano in funzione di Giudice del Lavoro la società A.E.M. al fine di ottenere il risarcimento del danno biologico e del danno morale conseguenti alla patologia di cui era portatore, provocata dall'esposizione alle polveri di amianto verificatasi durante l'attività lavorativa.
Con sentenza n. 652 in data 8 marzo 2001, il Tribunale di Milano, divenuto Giudice Unico di primo grado per le controversie in materia di lavoro, accoglieva la domanda.
Interponeva appello la società A.E.M. e in esito il gravame veniva accolto con sentenza n. 202003, emessa in data 11 novembre 2001 - 12 gennaio 2003 dalla Corte d'Appello di Milano.
La decisione veniva cosi motivata, per quanto ancora rileva in questa sede.
La Corte territoriale rilevava che il rapporto di lavoro si era svolto dall'anno 1957 al primo gennaio 1980, quando ancora non erano state dettate dal legislatore specifiche misure di prevenzione, pur se l'asbestosi, al pari della silicosi, era stata riconosciuta quale malattia professionale con legge 12 aprile 1943 n. 445. Osservava ancora che fino all'emanazione del decreto legislativo 15 agosto 1991 non esistevano specifiche disposizioni a tutela dei lavoratori esposti a rischio amianto.
Osservava inoltre che le disposizioni per la tutela dei lavoratori esposti alle polveri, dettate all'art. 21 DPR 19 marzo 1956 n. 303, non erano state violate poiché il materiale contenente amianto, utilizzato nelle operazioni cui era addetto il G. t era lavorato con seghetto a mano e scalpello e quindi con ben ridotta produzione di polveri.
Avverso la sentenza, che dalla copia autentica versata in atti da parte ricorrente non risulta notificata, propone ricorso per cassazione G.A. con atto notificato in data 26 febbraio 2003, sulla base di un unico complesso motivo.
La società A.E.M. resiste con controricorso notificato in data 4 aprile 2003.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto


Con l'unico complesso motivo si denuncia, con riferimento al n. 3 dell'art. 360 cpc, la violazione degli artt. 4, 19, 21 DPR 19 marzo 1956 n. 303. Si denuncia altresì, con riferimento al n. 5 dell'art. 360 cpc, il vizio di motivazione. Si osserva che la normativa operante all'epoca imponeva comunque specifiche cautele in presenza di polveri di qualsiasi origine, la pericolosità dell'amianto anche sotto il profilo del rischio d'insorgenza di tumore era nota sin dagli anni 1965, le risultanze processuali circa le modalità di lavorazione di materiale contenente amianto sono state travisate.
La censura è fondata.
Invero secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l'art. 2087 cc, come norma di chiusura del sistema antinfortunistico, impone al datore di lavoro, anche dove faccia difetto una specifica misura preventiva, di adottare comunque le misure generiche di prudenza e diligenza, nonché tutte le cautele necessarie, secondo le norme tecniche e di esperienza, a tutelare l'integrità fisica del lavoratore (Cass. 18 novembre 1976, n. 4318, Cass., sez. lav., 9 maggio 1998, n. 4721, Cass., sez. lav., 23 maggio 2003, n. 8204, Cass. civ. Sez. Lav., 14 gennaio 2005, n. 644).
E a nulla rileva che il rapporto di lavoro si sia svolto dall'anno 1956 sino al gennaio 1980 mentre specifiche norme per il trattamento dei materiali contenenti amianto sono state introdotte per la prima volta col DPR 10 febbraio 1982 n. 15.
Invero la pericolosità della lavorazione dell'amianto era nota da epoca ben anteriore all'inizio del rapporto di lavoro de quo. Già il R.D. 14 giugno 1909 n. 442 che approvava il regolamento per il T.U. della legge per il lavoro delle donne e dei fanciulli, all'art. 29 tabella B n. 12, includeva la filatura e tessitura dell'amianto tra i lavori insalubri o pericolosi nei quali l'applicazione delle donne minorenni e dei fanciulli era vietata o sottoposta a speciali cautele, con una specifica previsione dei locali ove non sia assicurato il pronto allontanamento del pulviscolo. Analoghe disposizioni dettava il regolamento per l'esecuzione della legge sul lavoro delle donne e dei fanciulli, emanato con decreto luogotenenziale 6 agosto 1916 n. 1136, art. 36, tabella B, n. 13 e il RD 7 agosto 1936 n. 1720 che approvava le tabelle indicanti i lavori per i quali era vietata l'occupazione dei fanciulli e delle donne minorenni, prevedeva alla tabella B i lavori pericolosi, faticosi ed insalubri in cui è consentita l'occupazione delle donne minorenni e dei fanciulli, subordinatamente all'osservanza di speciali cautele e condizioni e, tra questi, al n. 5, la lavorazione dell'amianto, limitatamente alle operazioni di mescola, filatura e tessitura
Lo stesso RD. 14 aprile 1927 n. 530, tra gli altri agli artt. 10, 16, e 17, conteneva diffuse disposizioni relative alla aerazione dei luoghi di lavoro, soprattutto in presenza di lavorazioni tossiche.
D'altro canto l'asbestosi, malattia provocata da inalazione da amianto, era conosciuta fin dai primi del '900 e fu inserita tra le malattie professionali con la legge 12 aprile 1943 n. 455. In epoca più recente, oltre alla legge delega 12 febbraio 1955 n. 52, che, all'art. 1, lettera F, prevedeva di ampliare il campo della tutela, al D.P.R. 19 marzo 1956 n, 303 e alle visite previste dal DPR 20 marzo 1956 n. 648, si deve ricordare il regolamento 21 luglio 1960 n. 1169 ove all'art. 1 si prevede, specificamente, che la presenza dell'amianto nei materiali di lavorazione possa dar luogo, avuto riguardo alle condizioni delle lavorazioni, ad inalazione di polvere di silice libera o di amianto tale da determinare il rischio.
Si può infine ricordare che il premio supplementare stabilito dall'art. 153 del T.U. n. 1124 del 1965, per le lavorazioni di cui all'allegato n. 8, presupponeva un grado di concentrazione di agenti patogeni superiore a determinati valori minimi.
D'altro canto l'imperizia, nella quale rientra la ignoranza delle necessarie conoscenze tecnico-scientifiche, è uno dei parametri integrativi al quale commisurare la colpa, e non potrebbe risolversi in esimente da responsabilità per il datore di lavoro.
Da quanto esposto discende che all'epoca di svolgimento del rapporto di lavoro del dante causa dei ricorrenti era ben nota l'intrinseca pericolosità delle fibre dell'amianto, tanto che l'uso di materiali che ne contengono era sottoposto a particolari cautele, indipendentemente dalla concentrazione di fibre.
Si imponeva quindi il concreto accertamento della adozione di misure idonee a ridurre il rischio connaturale all'impiego di materiale contenente amianto, in relazione alla norma di chiusura di cui all'art. 2087 cc ed all'art. 21 del DPR 19 marzo 1956 n. 303, ove si stabilisce che nei lavori che danno normalmente luogo alla formazione di polveri di qualunque specie, il datore di lavoro è tenuto ad adottare provvedimenti atti ad impedire o ridurre, per quanto è possibile, lo sviluppo e la diffusione nell'ambiente di lavoro" soggiungendo che "le misure da adottare a tal fine devono tenere conto della natura delle polveri e della loro concentrazione", cioè devono avere caratteristiche adeguate alla pericolosità delle polveri.
Devono altresì esser tenute presenti altre norme dello stesso DPR 303 ove si disciplina il dovere del datore di lavoro di evitare il contatto dei lavoratori con polveri nocive: così l'art. 9, che prevede il ricambio d'aria, l'art. 15, che impone di ridurre al minimo il sollevamento di polvere nell'ambiente mediante aspiratori, l'art. 18, che proibisce l'accumulo delle sostanze nocive, l'art. 19, che impone di adibire locali separati per le lavorazioni insalubri, l'art. 20, che difende l'aria dagli inquinamenti con prodotti nocivi specificamente mediante l'uso di aspiratori, l'art. 25, che prescrive, quando possa esservi dubbio sulla pericolosità dell'atmosfera, che i lavoratori siano forniti di apparecchi di protezione.
L'impugnata sentenza assume come dato certo che la lavorazione del materiale contenente amianto non dava luogo a rilevante produzione di polvere sol perché l'uso della sega circolare era eventuale e normalmente si usava il seghetto a mano o lo scalpello e "non la mola" (strumento che per vero, come è universalmente noto è ben diverso dalla sega circolare e non si usa certo per tagliare), ma  in mancanza di qualsiasi indagine circa le caratteristiche del materiale lavorato, la concentrazione di amianto che lo caratterizza, la facilità o meno di produrre polveri in caso di taglio sia pure con strumenti che impiegano la sola forza dell'uomo, il giudizio circa la assenza di polveri tali da suggerire specifiche cautele si appalesa del tutto arbitrario.
Si impone quindi la cassazione dell'impugnata sentenza con rinvio, per nuovo esame ad altro giudice in grado di appello che si designa come in dispositivo.
Detto Giudice, avuto riguardo ai principi di diritto enunciati nelle massime ufficiali estratte dalle sentenze sopra richiamate e avuto altresì riguardo alla normativa del pari richiamata da cui si evince che la pericolosità dell'amianto era ben nota già all'inizio del rapporto di lavoro de quo e comunque esisteva una speciale normativa per la difesa dalle polveri, provvederà ad una approfondita indagine circa i punti sopra enunciati, valutando l'opportunità di disporre accertamenti tecnici al riguardo.
Appare opportuno demandare a detto giudice anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte
Accoglie il ricorso.
Cassa l'impugnata sentenza e rinvia anche per le spese alla Corte d'Appello di Genova.
Roma, 7 giugno 2005