Cassazione Penale, Sez. 4, 17 dicembre 2014, n. 52442 - Infortunio mortale con una macchina scorniciatrice. Responsabilità di un datore di lavoro e di un preposto


 

Presidente: ZECCA GAETANINO Relatore: PICCIALLI PATRIZIA Data Udienza: 25/11/2014

 

Fatto


A.B. e A.E. ricorrono avverso la sentenza di cui in epigrafe che, pur parzialmente riformando in melius quella di primo grado [estinzione per prescrizione della violazioni contravvenzionali, concessione delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza per l'A.E., esclusione della pena accessoria per l'A.B.] li ha peraltro condannati per il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione della normativa infortunistica in danno di C.M. ( fatto del 21.3.2005).
L' infortunio mortale si era verificato all'interno dello stabilimento della Arch. Legno s.p.a., di cui l'A.B. era l'amministratore, allorquando il lavoratore C.M., mentre stava eseguendo dei lavori, con l'utilizzo di una macchina scorniciatrice, veniva colpito da un pezzo di legno che l'attingeva sull'addome provocandogli gravissime lesioni e, poi, il decesso.
All'A.B., nella qualità appunto di amministratore dell'azienda, si era addebitato di non aver fornito opportune indicazioni sull'utilizzo della macchina, di aver omesso la dovuta vigilanza, di non aver dotato la macchina di idonei schermi o barriere tali da contenere la protezione di pezzi di legno, oltre a non aver formato adeguatamente il personale all'utilizzo della macchina: il lavoratore infortunato, infatti, era risultato del tutto inesperto, essendo stato impiegato in quel settore da appena una settimana. La responsabilità non era esclusa neppure dal possibile coinvolgimento anche del direttore dello stabilimento e del RSPP [rispetto ai quali la corte di merito aveva rimesso gli atti al Procuratore della Repubblica], anche perché non era emerso che l'A.B. avesse rilasciato ad altri apposita delega in materia antinfortunistica.
All'A.E., nella qualità di capo reparto, tra l'altro addetto proprio al macchinario coinvolto nell'infortunio, si era addebitato di avere regolato in modo improprio il macchinario, consentendo che questi venisse usato dal C.M., in condizioni di pericolosità, pur essendo questi del tutto inesperto.
In particolare, il giudice di merito evidenziava, ai fini della ricostruzione dell'addebito, la condizione di irregolarità del macchinario, inidoneo all'uso per cui era stato impiegato, e comunque non dotato di ripari o schermi a chiusura della zona operativa.
Evidenziava ancora, con riferimento alla posizione dell'A.E., che questi, al di là del ruolo di fatto di capo reparto, aveva imprudentemente coinvolto nell'utilizzo del macchinario il collega inesperto, pur essendo consapevole che solo lui era in grado di manovrare il macchinario.
Nessun rilievo interruttivo dell'addebito poteva ascriversi al comportamento dell'Infortunato, che non aveva posto in essere alcuna condotta abnorme ed imprevedibile.
Mentre i profili di colpa evidenziati a carico degli imputati avevano contribuito alla verificazione dell'occorso.
Con il ricorso l'A.B., articolato in modo molto sintetico, sostiene l'insussistenza delle "condotte contravvenzionali" contestategli e la esclusione della relativa rilevanza causale rispetto all'infortunio.
Si sostiene che questo sarebbe dipeso dal comportamento del coimputato, che aveva adibito del tutto imprevedibilmente alle operazioni di scorniciamento l'operaio deceduto.
Non sarebbe stata sussistente la colpa in vigilando in quanto presenti erano il direttore dello stabilimento e il RSPP.
L'A.E. articola quattro motivi.
Con il primo invoca la prescrizione, asseritamente maturata "prima del termine del processo di appello... quando già il giudice di secondo grado... stava redigendo la motivazione", in ragione delle attenuanti generiche proprio in appello concesse con giudizio di prevalenza.
Ripropone, con il secondo motivo, il vizio di nullità del processo, già escluso da giudice di merito, con riferimento alla notificazione del decreto di fissazione dell'udienza preliminare e del decreto che dispone il giudizio effettuata ex articolo 157, comma 8 bis, c.p.p. Eccezione, per vero, respinta dalla Corte di merito sull'assorbente rilievo della intervenuta sanatoria della relativa, ipotizzata nullità, giacché l'imputato aveva conosciuto gli atti di interesse e esercitato appieno il diritto di difesa.
Ripropone, con il terzo motivo, l'eccezione già sollevata in sede di merito circa la ritualità della costituzione di parte civile, che si assume non corredata da apposita procura speciale in favore del difensore. In proposito, non si condivide il rigetto di tale eccezione che la Corte di merito aveva motivato valorizzando la circostanza sostanziale della coincidenza fisica del mandato difensivo rispetto all'atto di costituzione, tale da dimostrare la volontà delle parti.
Contesta, infine, il giudizio di responsabilità articolando il motivo principalmente sulla ravvisata assenza di un ruolo qualificato di sorveglianza nei confronti del lavoratore deceduto e sulla ravvisata esclusiva responsabilità del datore di lavoro che aveva fornito il macchinario e che avrebbe dovuto formare il personale ad utilizzarlo.

Diritto


I ricorsi sono manifestamente infondati, a fronte di una decisione - conforme peraltro sul punto della responsabilità a quella di primo grado- congruamente motivata e in linea con i principi normativi.
Il ricorso dell'A.B. è in vero oltremodo generico ed assertivo, limitandosi a contestare una doppia conforme statuizione di responsabilità per l'omicidio colposo, solo attraverso argomenti apodittici e generici richiami alla presenza nello stabilimento anche del direttore e del RSPP.
In realtà, il datore di lavoro, nella materia infortunistica, deve allestire le misure di sicurezza, deve informare e formare il lavoratore in relazione alla normativa antinfortunistica, ma deve anche controllare l'osservanza da parte del lavoratore della normativa antinfortunistica. Ciò dovendolo desumere, in precedenza, dall'articolo 4 del decreto legislativo 19 settembre 1994 n. 626 e, ora, dall' articolo 18 del dpr 9 aprile 2008 n. 81, laddove si pone a carico del datore di lavoro non il solo obbligo di allestire le misure di sicurezza, ma anche una serie di controlli, diretti o per interposta persona, atti a garantirne l'applicazione; ma dovendolo desumere soprattutto dalla norma generale di cui all'articolo 2087 del codice civile, la quale dispone che l'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'Impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro (tra le tante, Sezione IV, 8 ottobre 2008, Proc. gen. App. Venezia in proc. Dal Tio).
In questa prospettiva, non può qui farsi genericamente valere la presenza di altri titolari della posizione di garanzia [che la corte ha segnalato al titolare dell'azione penale, senza però escludere il ruolo colpevole e causalmente efficiente dell'imputato], vuoi perché la compresenza di più titolari della posizione di garanzia non è evenienza che esclude, per ciascuno, il contributo causale nella condotta incriminata, vuoi perché, comunque, vale, per il datore di lavoro il disposto dell'articolo 18, comma 3 bis, del decreto legislativo n. 81 del 2008 [che però già in precedenza trovava il suo fondamento nel generale disposto del richiamato articolo 2087 del codice civile], con il conseguente, inderogabile obbligo di vigilanza sul comportamento dei propri collaboratori, anche contitolari della posizione di garanzia.
Inaccoglibili sono anche i motivi dell'A.E..
Quanto ai motivi processuali, varrebbe osservare la genericità delle doglianze, siccome meramente riproduttive delle eccezioni già sollevate e respinte in appello. Varrebbe allora il principio in forza del quale è da ritenere inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendo gli stessi considerarsi non specifici: la mancanza di specificità del motivo, infatti, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a norma dell'articolo 591, comma 1, lettera c), c.p.p., all'inammissibilità (Sezione IV, 8 luglio 2009, Cannizzaro).
In ogni caso, le doglianze sono manifestamente infondate, siccome correttamente disattese dal giudice di merito, attraverso una disamina fattuale qui certo non sindacabile, né rinnovabile.
Quanto alla doglianza sulla notificazioni, va ricordato che la nullità, derivante dalla esecuzione della notificazione del decreto di citazione per il giudizio di appello presso il difensore di fiducia [qui,in ipotesi ex articolo 157, comma 8 bis, c.p.p.], anziché nel domicilio dichiarato o eletto dall'Imputato, deve ritenersi sanata quando risulti provato che non ha impedito all'imputato di conoscere l'esistenza dell'atto e di esercitare il diritto di difesa, ed è, comunque, priva di effetti se non dedotta tempestivamente, essendo soggetta alla sanatoria speciale di cui all'articolo 184, comma 1, alle sanatorie generali di cui all'articolo 183, alle regole di deducibilità di cui all'articolo 182, oltre che ai termini di rilevabilità di cui all'articolo 180 c.p.p. Nella specie, la doglianza è allora inammissibile, vuoi per la genericità della stessa che non indica il concreto pregiudizio derivatone per l'imputato ai fini del corretto esercizio del diritto di difesa, vuoi perché comunque il giudice di merito, che ha potuto verificare gli atti, ne ha affermata l'intervenuta sanatoria (Sezione VI, 21 maggio 2013, Fanciullo).
Ineccepibile e incensurabile è poi l'apprezzamento sulla costituzione della parte civile, operato in ossequio al principio secondo cui nei casi in cui nel giudizio penale sia prescritto che la parte stia in giudizio col ministero di difensore munito di procura speciale, il mandato, in virtù del generale principio di conservazione degli atti, deve considerarsi valido anche quando la volontà del mandante non sia trasfusa in rigorose formule sacramentali, ovvero sia espressa in forma incompleta, potendo il tenore dei termini usati nella redazione della procura speciale e la sua collocazione escludere ogni incertezza in ordine all'effettiva portata della volontà della parte (Sezione II, 11 luglio 2013, Ferrari). Ciò che qui la corte ha verificato apprezzando nel suo tenore letterale l'atto di costituzione e verificando la contestualità tra il mandato difensivo e l'atto costitutivo.
Mal posta è la questione sulla prescrizione che non tiene conto che ai fini della interruzione della prescrizione rileva la lettura del dispositivo della sentenza di condanna e non certo il momento del deposito della motivazione (cfr. Sezione III, 9 febbraio 2011, Morra).
Il ricorso è manifestamente infondato anche con riferimento al tema della responsabilità.
Si tratta di una censura tipicamente di merito a fronte di una duplice conforme statuizione di responsabilità, laddove risultano adeguatamente ricostruiti il fatto, gli addebiti di colpa, il nesso causale, in termini qui non rinnovabili.
Il giudice di merito ha ricostruito in fatto il ruolo di garanzia svolto dall'imputato [ipotizzabile, invero, anche laddove il ruolo dell'A.E. fosse quello di semplice lavoratore: cfr. ora, ancora più specificamente, l'articolo 20 del dpr n. 81 del 2008] e, in ogni caso, l'imprudente scelta di far utilizzare il macchinario non sicuro a lavoratore inidoneo.
Né è prospettabile, rispetto al coinvolgimento del lavoratore, il tema dell'interruzione del nesso causale, ove si consideri che l'incidente si è svolto durante l'attività lavorativa in occasione di una attività richiesta proprio dall'imputato.
Vale il principio secondo cui l'eventuale colpa concorrente del lavoratore non potrebbe spiegare alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi l'obbligo di sicurezza che si siano comunque resi responsabili della violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica, quando il lavoratore abbia compiuto un'operazione comunque rientrante pienamente, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli (Sezione IV, 11 gennaio 2011, L'Episcopo): ciò che qui è indubitabile; tacendo peraltro dal rilievo che non risulta neppure riscontrata una specifica inosservanza colpevole del lavoratore. 
Ma vale anche l'ulteriore principio secondo cui mai potrebbe ipotizzarsi l'abnormità del comportamento del lavoratore nel caso in cui il suo comportamento, anche laddove lo si volesse considerare imprudente, non esorbiti completamente dalle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli e mentre vengono utilizzati gli strumenti di lavoro ai quali è addetto, essendo l'osservanza delle misure di prevenzione finalizzata anche a prevenire errori e violazioni da parte del lavoratore (cfr. Sezione IV, 5 giugno 2008, Stefanacci ed altri ; nonché, Sezione feriale, 12 agosto 2010, Mazzei ed altro).
Quanto poi al contributo causale di altri titolari della posizione di garanzia [qui, il coimputato datore di lavoro], valgono le considerazioni sopra sviluppate, pertinenti in una vicenda in cui il giudice si è ampiamente soffermato sul rilievo causale della condotta colposa addebitata all'A.E..
Alla inammissibilità dei ricorsi, riconducibile a colpa dei ricorrenti (Corte Cost., sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), consegue la condanna dei ricorrenti medesimi al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, di una somma, che congruamente si determina in mille euro, in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di 1000,00 euro in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in data 25 novembre 2014