Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. Lav., 13 febbraio 2015, n. 2897 - Trauma distrattivo-distorsivo a carico della spalla: nozione di causa violenta



FattoDiritto


1. Con sentenza depositata il 26 marzo 2009, la Corte d'appello di Palermo accolse l'impugnazione proposta dall'INAIL contro la sentenza resa dal Tribunale della stessa sede che aveva condannato l'Istituto a corrispondere a L.G.F.P. un indennizzo per danno biologico pari all'8% conseguente ad un infortunio sul lavoro occorso al suddetto l'8 giugno 2005 e, per l'effetto, rigettò la domanda proposta dal lavoratore.

1.1. La Corte ritenne che il ricorrente non avesse provato la causa violenta in occasione di lavoro da cui sarebbe derivato il trauma distrattivo-distorsivo a carico della spalla: in particolare rilevò che, a fronte di una descrizione dell'accaduto contenuta nella denuncia di infortunio del 10 giugno 2005 ("mentre stuccava il rivestimento di un bagno ha avvertito un forte dolore alla spalla destra"), ripetuta nella successiva denuncia del 28 giugno 2005, nel ricorso introduttivo del giudizio aveva fatto riferimento ad una caduta in occasione di lavoro; che il fatto della caduta non era stato provato neppure nel corso del giudizio, atteso che il teste escusso non aveva assistito all'evento; che le conclusioni della consulenza tecnica d'ufficio - secondo cui la caduta poteva aver svolto un ruolo di slatentizzazione della preesistente condizione patologica della spalla - erano fondate su di un presupposto, la caduta appunto, non dimostrato.

1.2. Contro la sentenza, il L.G. propone ricorso per cassazione fondato su un unico articolato motivo, illustrato da memoria, cui resiste l'INAIL con controricorso.

2. Con l'unico motivo di ricorso il L.G. censura la sentenza per violazione e falsa applicazione del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 2, dell'art. 41 c.p., nonchè per motivazione insufficiente e contraddittoria e chiede che questa Corte dica "se, in materia di infortuni sul lavoro la causa violenta - fatto genetico indispensabile dell'infortunio - può consistere anche in uno sforzo che, pur se non straordinario o eccezionale sia diretto a vincere una resistenza propria della prestazione o dell'ambiente di lavoro, nè il ruolo causale dell'attività lavorativa è escluso da una preesistente condizione patologica del lavoratore, la quale anzi può rilevare in senso contrario, in quanto può rendere più gravose e rischiose attività solitamente non pericolose e giustificare il nesso tra l'attività lavorativa e l'infortunio".

3. Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

3.1. La funzione propria del quesito di diritto previsto dall'art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis al ricorso in esame, è di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla sola lettura del quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l'errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (Cass., Sez. Un., 14 febbraio 2008, n. 3519; Cass., 7 aprile 2009, n. 8463). Ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso tanto se sorretto da un quesito la cui formulazione sia del tutto inidonea a chiarire l'errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (Cass., 25 marzo 2009, n. 7197), quanto se sia destinato a risolversi nella generica richiesta (quale quella di specie) rivolta al giudice di legittimità di stabilire se sia stata o meno violata una certa norma (Cass., 19 febbraio 2009, n. 4044; Cass., Sez. Un. 23 settembre 2013, n. 21672).

3.2. Il quesito deve, di converso, investire la ratio decidendi della sentenza impugnata, proponendone una, alternativa, di segno opposto e deve essere formulato in modo tale che risulti chiaramente delineata la discrasia tra la ratio decidendi della sentenza impugnata, che deve essere indicata, e il principio di diritto da porre a fondamento della decisione invocata, che deve essere enunciato, non essendo sufficiente che il ricorrente si limiti, con riferimento al ricorso per violazione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, che siano enunciati gli errori di diritto in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata, richiamando le relative argomentazioni (Cass., Sez. Un., 14 febbraio 2008, n. 3519).

4. Nel caso in esame, il quesito proposto si risolve nel richiedere alla Corte una generica affermazione circa la nozione di causa violenta prevista dal D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 2 per l'indennizzabilità dell' infortunio, che può riscontrarsi anche in relazione allo sforzo messo in atto nel compiere un normale atto lavorativo - purchè lo sforzo stesso, ancorchè non eccezionale ed abnorme, si riveli diretto a vincere una resistenza peculiare del lavoro medesimo e del relativo ambiente -, nonchè all'affermazione del ruolo concausale che nel verificarsi dell'infortunio e della malattia possono assumere preesistenti patologie.

4.1. Ma, così come formulato, esso si profila del tutto astratto rispetto alle ragioni della decisione, chiaramente espresse dalla Corte d'appello palermitana e fondate sulla totale mancanza di prove circa la dinamica dell'incidente. Esso dunque è privo di specificità e correlazione con l'effettiva "ratio decidendi" della sentenza impugnata e ciò lo rende inammissibile.

5. Non può peraltro ravvisarsi il denunciato difetto di motivazione fondato sull'asserzione che, in realtà, le modalità dell'incidente sarebbero rilevabili dalle stesse deduzioni contenute nel ricorso in appello dell'INAIL, secondo cui l'infortunio si sarebbe verificato durante le operazioni di stuccatura del rivestimento di un bagno e si sarebbe manifestato con "un forte dolore alla spalla destra", nonchè sull'ulteriore asserzione che tali modalità, siccome non contestate da esso ricorrente, dovevano essere poste a base della decisione in quanto idonee e sufficienti a far ritenere provata l'occasione di lavoro e la causa violenta.

5.7. Quanto alla prima asserzione, essa difetta di autosufficienza, essendosi la parte limitata a trascrivere un frammento del ricorso in appello dell'INAIL, senza depositare l'atto unitamente al ricorso per cassazione e senza fornire precise indicazione per il suo reperimento nel presente giudizio, non assolvendo così il duplice onere previsto, a pena di inammissibilità e di improcedibilità del ricorso, rispettivamente dall'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, ( Cass., Sez. Un., 3 novembre 2011, n. 22726). Inoltre, non fornisce alcuna indicazione in ordine al momento ed all'atto o al verbale in cui si sarebbe formata la non contestazione.

5.2. Quanto alla seconda asserzione essa trascura di considerare che il principio di non contestazione opera con riguardo ai fatti costituitivi (o impeditivi, modificativi o estintivi) allegati o eccepiti nel corso del giudizio di primo grado al fine di delimitare il thema decidendum e probandum e non può valere nelle successive fasi del giudizio, laddove esso introduca una mutazione dei fatti allegati in ricorso e della cui prova è onerato il ricorrente, ostandovi il divieto di "nova", riferito anche alle contestazioni nuove (cfr. Cass., 10 luglio 2009, n. 16201). Ed è pacifico che, in tema di infortuni sul lavoro e malattie professionali, la nozione di rischio ambientale cui si ricollega la copertura assicurativa - quale rischio che deriva dalla pericolosità dello spazio di lavoro, della presenza di macchine e del complesso dei lavoratori in esso operanti - non esonera il lavoratore dall'onere di provare le modalità concrete dell' infortunio occorsogli durante gli spostamenti nel luogo di lavoro, essendo ciò necessario al fine di verificare se il detto infortunio, quand'anche verificatosi sul posto di lavoro, sia comunque correlato ad attività funzionale allo svolgimento della prestazione lavorativa (Cass., 30 dicembre 2009, n. 27829).

5.3. Per completezza, deve rilevarsi che le affermazioni che il ricorrente riporta in ricorso virgolettate, tratte dal ricorso in appello dell'INAIL, non sono altro che il contenuto della denunzia che l'Istituto riporta ai fini di evidenziare la contraddittoria ricostruzione del fatto compiuta dal ricorrente, senza che in ciò possa ravvisarsi alcuna ammissione in ordine alla ricostruzione della dinamica del fatto.

6. Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del presente giudizio, in applicazione del criterio della soccombenza, non avendo egli riportato, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, la dichiarazione ex art. 152 disp. att. c.p.c. resa nel giudizio di primo grado ai fini di esentarsi dal pagamento delle spese.


P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che si liquidano in Euro 100,00 per esborsi e Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali e oneri accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2014.

Depositato in Cancelleria il 13 febbraio 2015