Categoria: Cassazione penale
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Responsabilità del coordinatore per la progettazione e per l'esecuzione dei lavori per infortunio occorso a dipendente di un'impresa appaltatrice durante i lavori di allestimento di un soppalco in un capannone in costruzione - Sussiste.
Già in primo grado l’imputato era stato condannato per lesione personale colposa e alla restituzione, in favore della parte civile INAIL, dell’indennità di infortunio corrisposta al lavoratore.
In secondo grado, confermata la condanna del coordinatore, viene invece rigettata la domanda dell’INAIL per carenza di legittimazione e far valere l’azione di regresso nel procedimento penale.

L’addebito all’imputato concerne l’omessa effettuazione di una concreta ed effettiva valutazione dei rischi per eliminare il pericolo di caduta dall’alto e di aver approvato il POS redatto dal datore di lavoro dell’infortunato nonostante fosse viziato e non contenesse concrete misure di sicurezza.

La Corte, nel respingere il ricorso, prende atto che “l'imputato è censurabile perchè, pur essendo a conoscenza della necessità di costruire il detto soppalco, non ha specificatamente preso in considerazione tale opera nella progettazione del lavoro e non ha censurato il fatto che neppure la ditta Marseleir, che materialmente doveva realizzarlo, ne avesse fatto cenno nel piano operativo di sua competenza.
Del tutto logicamente è stato anche osservato che attesa la frequente presenza nel cantiere, il N., che era non solo coordinatore per la progettazione ma anche coordinatore per l'esecuzione, avrebbe dovuto e potuto rendersi conto che era stata realizzato (alcuni giorni prima dell'incidente) il solaio di cui trattasi e che vi era necessità di provvedere al completamento dello stesso ed in particolare alla pavimentazione (cui stava lavorando l'infortunato al momento dell'incidente), e delle opportune misure di sicurezza; la sua qualifica gli imponeva, ove non avesse ricevuto sufficienti informazioni al riguardo, di attivarsi per acquisirle (anche per quanto riguarda la specifica pavimentazione da porre in essere) in modo da essere in grado di accertarsi che il lavoro che si stava effettuando fosse svolto in condizioni di sicurezza, operando dunque quel controllo e quella vigilanza propri della sua funzione.”
Le due figure, afferma la Corte, sono “due figure di grande rilievo ai fini della prevenzione infortuni, introdotte dal D.Lgs. n. 494 del 1996, artt. 4 e 5 (nel testo modificato a seguito del D.Lgs. n. 528 del 1999),
proprio al fine di assicurare che nei cantieri in cui, come nel caso in esame, operano più imprese, fattore che accentua il rischio di infortuni, sia garantito un efficace coordinamento tra le varie attività, coordinamento indispensabile per controbilanciare il rischio aggiuntivo per la sicurezza rappresentato dalla compresenza di più soggetti e dei rispettivi dipendenti.
I compiti attribuiti al coordinatore per la progettazione attengono essenzialmente alla redazione del piano di sicurezza e coordinamento (PSC), che contiene l'individuazione, l'analisi e la valutazione dei rischi e le conseguenti procedure, apprestamenti e attrezzature per tutta la durata dei lavori (artt. 4 e 12, con specifico riferimento alla lett. L) alle misure da adottare contro il rischio di caduta).
L'art. 5 affida al coordinatore per l'esecuzione dei lavori il compito di verificare, con opportune azioni di coordinamento e di controllo, l'applicazione delle disposizioni del piano di sicurezza;
di verificare l'idoneità del piano operativo di sicurezza (POS), piano complementare di dettaglio del PSC che deve essere redatto da ciascuna impresa presente nel cantiere; di adeguare il piano di sicurezza in relazione all'evoluzione dei lavori e alle eventuali modifiche intervenute, di vigilare sul rispetto del piano stesso e sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, le singole lavorazioni.”

Per quanto riguarda la seconda questione merita invece accoglimento il ricorso dell'Inail non condividendo il Collegio la decisione della Corte di appello che ne ha negato la legittimazione ad agire anche con riferimento alla L. n. 123 del 2007, art. 2
, art. 2, oggi trasfusa nell’art. 61 del d.lgs. 81/08.
Tale norma stabilisce che "In caso di esercizio dell'azione penale per i delitti di omicidio colposo o di lesioni personali colpose, se il fatto è commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro o che abbia determinato una malattia professionale, il pubblico ministero ne da immediata notizia all'INAIL ai fini dell'eventuale costituzione di parte civile e dell'azione di regresso".


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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MOCALI Piero - Presidente -
Dott. LICARI Carlo - Consigliere -
Dott. KOVERECH Oscar - Consigliere -
Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere -
Dott. AMENDOLA Adelaide - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1) INAIL;
3) N.S., N. IL (OMISSIS);
avverso SENTENZA del 25/09/2007 CORTE APPELLO SEZ. DIST. di BOLZANO;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. BIANCHI LUISA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Sost. Proc. Gen. Cons. Dott. DI POPOLO Angelo, che ha concluso per annullamento della sentenza agli effetti civili con rinvio Corte Civile. Rigetto del ricorso dell'imputato.
Udito, per la parte civile, l'Avv. LA PECCERELLA Luigi;
udito il difensore Avv.to MONACO Marco Maria del Foro di Roma, in sostituzione dell'Avv. BRANDSPETTER.

Fatto

In data 1.4.2004, nel corso dell'esecuzione di lavori di posa in opera di pannelli di legno per la costruzione di un soppalco, K. H., dipendente della ditta Holtzenichk Marseiler, era caduto a terra riportando varie fratture.
Il Tribunale di Bolzano, con sentenza 14.6.2006, dichiarava N.S., nella sua qualità di coordinatore per la sicurezza sia durante la fase della progettazione che durante la esecuzione dei lavori per la costruzione di un capannone industriale al cui interno doveva essere costruito il detto soppalco, colpevole del reato di lesioni colpose in danno del K. e lo condannava alla multa di Euro 600,00 e alla restituzione, in favore della parte civile INAIL, dell'indennità di infortunio corrisposta al dipendente, con rinvio per la determinazione del danno al giudice civile, nonchè alla rifusione delle spese del procedimento.
Il Tribunale riteneva provato che l'imputato, nella detta qualità, in violazione del D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 4, comma 1, lett. a) e art. 5, comma 1, lett. a) e b), nonchè del D.P.R. n. 222 del 2003, art. 2, aveva omesso di procedere ad una concreta ed effettiva valutazione dei rischi, atta ad eliminare, per la posa in opera dei pannelli del solaio, il pericolo di caduta da un'altezza di lavoro di almeno due metri, e che il medesimo aveva approvato il piano operativo di sicurezza del datore di lavoro dell'infortunato nonostante fosse viziato e non contenesse concrete misure atte ad evitare il pericolo di caduta (il procedimento nei confronti del datore di lavoro dell'infortunato, M.M., era stato definito con applicazione concordata della pena).
Avverso tale sentenza proponeva appello l'imputato contestando, sotto vari profili, l'affermazione di responsabilità e la determinazione della pena ed eccependo altresì la inammissibilità dell'azione civile proposta dall'Inail per violazione delle norme linguistiche di cui al D.P.R. n. 547 del 1988, art. 7 per essersi l'istituto costituito in lingua italiana, non adeguandosi alla lingua dell'imputato.
Con sentenza del 25 settembre 2007 la Corte di appello di Trento, sez. distaccata di Bolzano, ha confermato la condanna alla multa del N. rigettando invece, a modifica di quanto stabilito dal giudice di primo grado, la domanda di risarcimento dei danni avanzati dalla costituita parte civile INAIL, di cui rilevava la carenza di legittimazione ad agire per far valere nel procedimento penale l'azione di regresso.
La Corte di appello ribadiva che l'infortunio si era verificato allorchè il K., insieme ad un collega di lavoro, stava posando dei pannelli di legno della misura di mt. 1,25 per 2,50 ciascuno su un solaio di acciaio collocato a mt. 3,80 da terra per la costruzione di un soppalco; il lavoro dell'infortunato consisteva nel tenere fermi i pannelli di legno sporgenti dal bordo del solaio intermedio, in modo che il collega potesse segarli; non poteva essere chiarito in modo inequivocabile da dove il medesimo fosse caduto, se direttamente dal soppalco o da un trabattello (ponteggio mobile prestato da una ditta di fabbri che lavorava nel cantiere) appoggiato lateralmente al solaio; ma in ogni caso era certo che l'infortunato stava lavorando ad una altezza di almeno due metri da terra dal momento che i pannelli di legno dovevano essere posati e poi tenuti fermi su un solaio a distanza di mt. 3,80 da terra, altezza che non sarebbe stata raggiungibile da parte dell'operaio se si fosse trovato ad una altezza da terra inferiore ai due metri.
Era stato incontestabilmente provato che al momento dell'incidente nessuno dei due lavoratori era protetto da particolari misure di sicurezza e che nè nel piano di sicurezza redatto dall'ing. N. nè nel piano operativo di sicurezza redatto dal datore di lavoro dell'infortunato, piano che il N., nella sua qualità, doveva esaminare e verificare, era stata eseguita una concreta valutazione dei rischi dei lavori da eseguire sul soppalco nè erano state previste le relative misure di sicurezza.
Soltanto nei giorni successivi all'incidente, a seguito dell'intervento dell'ispettorato del lavoro, venivano previste concrete misure di sicurezza (montaggio di cavi di acciaio per consentire il fissaggio della cintura di sicurezza) per una sicura prosecuzione dei lavori di posa in opera.
Nè si poteva ritenere che, come dall'imputato sostenuto, egli, prima dell'incidente, verificatosi il primo giorno del lavoro, non fosse a conoscenza della costruzione del soppalco; infatti, come già rilevato dal Tribunale, il N. era stato costantemente presente nel cantiere, l'ordine alla ditta Marseleir per lavori di carpenteria era stato conferito fin dal 14.1.2004; nei protocolli di ispezione in data 27.2.2004 e 3-4.3.2004 si parlava non solo di montaggio del tetto, ma anche di montaggio di un soffitto; l'ordine del 26.3.2004 doveva considerarsi aggiuntivo al precedente del 8.9.2003; durante le ispezioni nel cantiere il coordinatore per la sicurezza non poteva non avere visto che era stata eretta una massiccia costruzione in acciaio sulla quale andava posato un solaio.
In ogni caso, osservava la Corte, un'eventuale ignoranza da parte del N. riguardo alla costruzione del solaio avrebbe costituito una omissione dei doveri normativamente prescritti del coordinatore di sicurezza per la fase di pianificazione e esecuzione, considerato che i compiti a lui affidati in base al D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 5, comma 1, lett. a) e b) comportano da parte sua un obbligo di controllo adeguato del cantiere, come espressamente già affermato dalla giurisprudenza.
La versione dell'imputato, secondo cui l'infortunato aveva utilizzato di sua iniziativa ed impropriamente un trabattello non idoneo ed avrebbe in tal modo posto in essere un autonomo nesso causale a cui sarebbe attribuibile l'incidente, era infondata; infatti dalle testimonianze rese si evinceva chiaramente che ai lavoratori incaricati della posa in opera non rimaneva altro, in mancanza di qualsiasi misura di sicurezza, che "arrangiarsi" ed utilizzare il trabattello, di proprietà di una ditta di fabbri, che si trovava casualmente nel cantiere.
Quanto all'azione civile, la Corte di Trento riteneva che si trattasse di questione rientrante, nel suo complesso, nel "devolutum" ma che, tale azione, risolvendosi nell'aver fatto valere nel procedimento penale l'azione di regresso D.P.R. n. 1124 del 1965, ex artt. 10 e 11, e cioè una azione che trova la sua causa esclusiva nel legittimo rapporto previdenziale (nel cui ambito è irrilevante se l'infortunio sul lavoro è collegato o meno ad un reato), fosse estranea al procedimento penale.
Nè poteva in contrario ritenersi in base alla L. n. 123 del 2007, art. 2 in quanto tale disposizione distingue l'azione di regresso dall'azione civile conseguente alla costituzione di parte civile nel processo penale.
Neppure era riscontrabile un danno dell'Inail che legittimasse la costituzione di parte civile.
Doveva dunque rigettarsi la domanda dell'Inail per carenza di legittimazione ad agire dell'istituto per far valere nel procedimento penale l'azione di regresso.
Avverso tale decisione hanno presentato ricorso a questa Corte l'INAIL e il N., per il tramite dei rispettivi difensori.
L'INAIL deduce i seguenti motivi: 1) violazione di legge in relazione all'art. 597 c.p.p. per violazione del principio "tantum devolutum quantum appellatum" atteso che il giudice di appello, pur in assenza di qualsiasi contestazione sul punto da parte dell'imputato (appellante) o del pubblico ministero, ha riformato la sentenza di primo grado nella parte in cui disponeva la condanna, al risarcimento dei danni civili in favore dell'Inail, ritenendo che poichè "la costituzione di parte civile proposta si risolve nel far valere la domanda di regresso ex artt. 10 e 11 D.P.R. n. 1124 del 1965, secondo la prevalente giurisprudenza di Cassazione non può essere considerata come richiesta di risarcimento danni ovvero di restituzione ex art. 74 c.p.p.".
2) Violazione di legge in relazione all'art. 74 c.p.p. e art. 185 c.p. e difetto di motivazione.
Si sostiene che erroneamente si è escluso che l'Inail potesse esercitare l'azione civile per i danni conseguenti all'infortunio del lavoratore.
I I compiti dell'Istituto in materia di formazione e informazione in materia di sicurezza (D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 8 bis, 24229), di sostegno alle imprese (D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, art. 23), di cura, riabilitazione e reinserimento dei lavoratori (D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 66 ed altri) dimostrano che la finalità istituzionale dell'Inail è quella di garantire la tutela dell'integrità psico-fisica della persona nell'esercizio dell'attività lavorativa, integrità psicofisica che è il bene offeso dal reato; tale funzione, per la sua piena attuazione, presuppone che i mezzi finanziari non siano assorbiti nella erogazione delle prestazioni indennitarie in tutti quei casi in cui la causa dell'infortunio e/o della malattia professionale sia riconducibile alla responsabilità penale del datore di lavoro; a tal fine il riconoscimento della legittimazione dell'Inail a costituirsi parte civile nei reati di lesioni e omicidio colposi commessi con violazione delle normativa prevenzionale contribuisce alla attuazione dei fini dell'istituto.
D'altro canto si deve tenere presente che i reati di cui agli artt. 580 e 590 c.p., quando commessi con la violazione della normativa sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, hanno una specifica rilevanza nell'ordinamento tanto che con L. 3 agosto 2007, n. 123 è stata estesa anche ai predetti delitti la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità; tali reati ledono non solo la sfera della vittima ma anche l'interesse della collettività alla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, interesse del quale l'Inail, in quanto ente strumentale dello Stato deputato a dare attuazione ai principi costituzionali di cui agli art. 35, art. 38, comma 2 e art. 41, comma 2, è diretto portatore; e in caso di reati plurioffensivi la qualificazione quanto meno di "danneggiato" dal reato va riconosciuta tutti i soggetti ed istituzioni portatori degli interessi lesi (Sez. Un. civili 21 febbraio 2000 n. 2515).
Ma quand'anche non si volesse riconoscere all'Inail la funzione di tutela dell'interesso offeso dalla commissione del reato, la decisione è comunque errata dove ha escluso la possibilità dell'Inail di costituirsi per esercitare l'azione di regresso; in particolare è erronea l'affermazione secondo cui "il pagamento di prestazioni assicurative da parte dell'Istituto non rappresenta un danno derivante all'istituto come conseguenza di una azione penalmente punibile, ma trova la sua esclusiva base giuridica nel rapporto assicurativo"; secondo i principi stabiliti da Cass. Sentenza n. 7259 del 2004, "la responsabilità civile del colpevole sussiste non soltanto in relazione all'offesa del bene oggetto della specifica tutela penale, ma anche in relazione ad ogni altro interesse patrimoniale o non patrimoniale riconducibile nell'ambito della condotta delittuosa in virtù di un nesso di derivazione eziologico"; pertanto, a prescindere dal fatto che l'intervento dell'Istituto è necessario anche nei casi in cui l'evento lesivo non è riconducibile a colpa di terzi, è evidente ed innegabile l'interesse dell'istituto ad intervenire nei casi di condotta illecita del datore di lavoro, atteso che, ove tale condotta fosse stata conforme alle prescrizioni normative, non avrebbe causato il danno alla persona ed il conseguente intervento necessario del sistema a favore della vittima del reato; peraltro è ben nota la estensione giurisprudenziale della nozione di danneggiato secondo cui il danneggiato da reato non si identifica solo nel soggetto passivo;
3) inosservanza di legge in relazione al disposto della L. n. 123 del 2007; l'art. 2 della predetta legge dispone che "In caso di esercizio dell'azione penale per i delitti di omicidio colposo o di lesioni personali colpose, se il fatto è commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro o che abbia determinato una malattia professionale, il pubblico ministero ne da immediata notizia all'INAIL ai fini dell'eventuale costituzione di parte civile e dell'azione di regresso", disposizione che ha valore ricognitivo e chiarificatore della preesistente possibilità dell'Inail di costituirsi parte civile.
Con il ricorso del N. vengono prospettati i vizi di:
1) erronea ricostruzione e travisamento del fatto; i protocolli che secondo la Corte di appello dimostravano la conoscenza da parte dell'imputato della costruzione del soppalco su cui si è infortunato il lavoratore si riferivano in realtà non a tale soppalco, ma ad un secondo soffitto; che i lavori in corso si riferivano al tetto ad ai soffitti, e non al soppalco, è dimostrato dal piano operativo di sicurezza della ditta Marseiler che non è stato debitamente esaminato dalla Corte di appello; ciò costituisce travisamento del fatto;
2) vizio di motivazione e travisamento del fatto in relazione all'ordine in data 26.3.2004 della Rotho Blaas per la fornitura di pannelli e il montaggio su una struttura in acciaio; non si trattava, come è stato ritenuto, di una offerta aggiuntiva, integrativa della prima, ma di una offerta autonoma e il N. avrebbe dovuto essere informato del nuovo lavoro dal committente e dalla ditta Marseiler;
3) illogicità di motivazione per aver ritenuto che il N. dovesse essere al corrente della nuova costruzione e della necessità di porvi un soffitto dal momento che si recava spesso in cantiere; l'imputato, si ribadisce, non era a conoscenza della costruzione del solaio e comunque non poteva prescrivere misure di sicurezza senza essere a conoscenza dello specifico soffitto che si doveva posare (con pannelli in alluminio, pannelli osb, lastre di vetro);
4) violazione di legge per essere stata ritenuta la responsabilità dell'imputato per semplice responsabilità oggettiva;
ll'imputato non poteva certo integrare il piano di sicurezza rispetto ad un lavoro di cui non era a conoscenza; nella specie l'impresa Marseiler lavorava per un secondo incarico senza aver avvisato il coordinatore della sicurezza e senza avergli sottoposto un piano operativo di sicurezza; 5) vizio di motivazione e travisamento del fatto per non essere stato accertato con la dovuta precisione se il lavoratore stava utilizzando o meno il trabattelo; si tratta di una circostanza molto rilevante perchè è stato accertato dall'ispettorato del lavoro che il trabattello aveva un'altezza da terra di mt. 1,80 con la conseguenza che, in tal caso, non poteva trovare applicazione il D.P.R. n. 164 del 1956, art. 16;
comportamento anomalo del lavoratore./div>

Diritto

Il ricorso dell'imputato non merita accoglimento.
Le censure formulate con i primi due motivi sono inammissibili atteso che con esse si pretende di fornire una ricostruzione della realtà processuale diversa da quella accertata dalla sentenza impugnata, veicolando la censura sotto un preteso "travisamento del fatto".
Al riguardo può osservarsi che le circostanze sviluppate con il presente ricorso erano state già prospettate alla Corte di appello, che, nel pervenire alla resa decisione, ne ha opportunamente tenuto conto, nuovamente esaminando i documenti contestati e escludendo però, con motivazione puntuale, che gli stessi potessero confermare la tesi propugnata dalla difesa dell'imputato, quella cioè che il N. non fosse a conoscenza della costruzione del soppalco sul quale era avvenuto l'incidente.
In particolare la Corte ha escluso, sulla base del tenore letterale degli stessi, che i protocolli di ispezione del 27.2.2004, 3.4.2004 potessero riferirsi anzichè al solaio ad un secondo soffitto, come sostenuto dall'imputato; ed ha riconfermato che già nell'offerta della ditta Marseleir del 8.9.2003 era prevista la fornitura e posa in opera di pannelli su una costruzione di acciaio, ponendosi la successiva offerta del 26.3.2004 come integrativa della precedente.
Le censure che vengono svolte al riguardo si sostanziano nella prospettazione di una lettura alternativa dei predetti documenti, esaminandone alcune parti, talvolta alcune parole, e fornendo una diversa interpretazione degli stessi e del complesso dei rapporti intervenuti tra le parti, facendo ampio ricorso alla deduzione di un vizio di travisamento dei fatti.
E allora è il caso di ricordare che anche a seguito delle modifiche dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) ad opera della L. n. 46 del 2006, art. 8, non è consentito dedurre in sede di ricorso per cassazione il "travisamento del fatto" stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito; e di rilevare che non è evidenziata nel ricorso in esame la sussistenza del diverso vizio del "travisamento della prova", che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale; il ricorso infatti si sviluppa in un esame dei documenti sopra menzionati, sottoponendoli ad una analisi frazionata e di merito che ne contesta la interpretazione dei giudici di merito, con una prospettazione che non è consona alla sede in cui è proposta; è pacifico infatti che il compito di questa Corte non è quello di reinterpretare gli elementi di prova già valutati dal giudice di merito, ma unicamente di sottoporre a controllo, sotto il profilo della logicità, la motivazione data.
Deve ritenersi del tutto congruo il convincimento espresso da entrambi i giudici secondo cui l'imputato è censurabile perchè, pur essendo a conoscenza della necessità di costruire il detto soppalco, non ha specificatamente preso in considerazione tale opera nella progettazione del lavoro e non ha censurato il fatto che neppure la ditta Marseleir, che materialmente doveva realizzarlo, ne avesse fatto cenno nel piano operativo di sua competenza.
Del tutto logicamente è stato anche osservato che attesa la frequente presenza nel cantiere, il N., che era non solo coordinatore per la progettazione ma anche coordinatore per l'esecuzione, avrebbe dovuto e potuto rendersi conto che era stata realizzato (alcuni giorni prima dell'incidente) il solaio di cui trattasi e che vi era necessità di provvedere al completamento dello stesso ed in particolare alla pavimentazione (cui stava lavorando l'infortunato al momento dell'incidente), e delle opportune misure di sicurezza; la sua qualifica gli imponeva, ove non avesse ricevuto sufficienti informazioni al riguardo, di attivarsi per acquisirle (anche per quanto riguarda la specifica pavimentazione da porre in essere) in modo da essere in grado di accertarsi che il lavoro che si stava effettuando fosse svolto in condizioni di sicurezza, operando dunque quel controllo e quella vigilanza propri della sua funzione.
E' stato infatti già sottolineato che il N. rivestiva nella propria persona il ruolo di coordinatore sia per la progettazione che per l'esecuzione dei lavori.
Si tratta, come già è stato osservato da questa Corte, di due figure di grande rilievo ai fini della prevenzione infortuni, introdotte dal D.Lgs. n. 494 del 1996, artt. 4 e 5 (nel testo modificato a seguito del D.Lgs. n. 528 del 1999), proprio al fine di assicurare che nei cantieri in cui, come nel caso in esame, operano più imprese, fattore che accentua il rischio di infortuni, sia garantito un efficace coordinamento tra le varie attività, coordinamento indispensabile per controbilanciare il rischio aggiuntivo per la sicurezza rappresentato dalla compresenza di più soggetti e dei rispettivi dipendenti.
I compiti attribuiti al coordinatore per la progettazione attengono essenzialmente alla redazione del piano di sicurezza e coordinamento (PSC), che contiene l'individuazione, l'analisi e la valutazione dei rischi e le conseguenti procedure, apprestamenti e attrezzature per tutta la durata dei lavori (artt. 4 e 12, con specifico riferimento alla lett. L) alle misure da adottare contro il rischio di caduta).
L'art. 5 affida al coordinatore per l'esecuzione dei lavori il compito di verificare, con opportune azioni di coordinamento e di controllo, l'applicazione delle disposizioni del piano di sicurezza;
di verificare l'idoneità del piano operativo di sicurezza (POS), piano complementare di dettaglio del PSC che deve essere redatto da ciascuna impresa presente nel cantiere; di adeguare il piano di sicurezza in relazione all'evoluzione dei lavori e alle eventuali modifiche intervenute, di vigilare sul rispetto del piano stesso e sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, le singole lavorazioni.
Risulta dagli anzidetti compiti che la posizione di queste figure non si sovrappone a quella degli altri soggetti responsabili nel campo della sicurezza del lavoro, ma ad essi si affianca per realizzare, attraverso la valorizzazione di una figura unitaria con compiti di coordinamento e controllo, la massima garanzia della incolumità dei lavoratori.
Non di responsabilità oggettiva si è trattato ma di responsabilità derivante dalla mancanza di una concreta e puntuale azione di controllo del coordinatore per la progettazione dell'esecuzione.
Azione che costituisce il contenuto tipico e specifico degli obblighi sullo stesso gravanti e la ragione della creazione di tali figure, che non vuole essere, e non è, una duplicazione di quella del datore di lavoro o del responsabile delle imprese appaltatrici e dei lavoratori autonomi, ma trova una sua propria ragione d'essere ed un proprio ruolo, come già si è ricordato, nella specifica situazione della compresenza di più soggetti che operano nel medesimo cantiere, rendendo necessario quel coordinamento di cui al citato art. 5 del D.Lgs. "cantieri".
Resta da precisare che nessun travisamento sussiste in merito all'accertamento delle modalità dell'incidente, atteso che la Corte ha ritenuto, con ragionamento logicamente fondato sull'esame di precisi dati fattuali e pertanto non censurabile, che la caduta si sia verificata sicuramente da un'altezza di almeno due metri (con la conseguente operatività del D.P.R. del 1956) e che fosse sostanzialmente irrilevante accertare dove il K. si trovava al momento della caduta (sul trabattello o sul ponteggio) rilevando soltanto l'assenza in entrambi i casi di misure atte proteggere il lavoratore dal rischio di caduta.
Da ultimo manifestamente infondato è il motivo con cui si assume l'interruzione del nesso di causalità in relazione al comportamento del lavoratore per non aver preteso il rispetto della normativa di sicurezza ed aver utilizzato mezzi di altre ditte (il trabatello era stato imprestato da una ditta di fabbri) atteso che la Corte di appello ha già opportunamente messo in rilievo come, in mancanza della predisposizione di apposite misure di sicurezza (realizzate soltanto dopo l'incidente), gli operai dovessero necessariamente servirsi di quanto esistente, "arrangiandosi".
Merita invece accoglimento il ricorso dell'Inail non condividendo il Collegio la decisione della Corte di appello che ne ha negato la legittimazione ad agire anche con riferimento alla L. 3 agosto 2008, n. 123, art. 2.
Tale norma stabilisce che "In caso di esercizio dell'azione penale per i delitti di omicidio colposo o di lesioni personali colpose, se il fatto è commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro o che abbia determinato una malattia professionale, il pubblico ministero ne da immediata notizia all'INAIL ai fini dell'eventuale costituzione di parte civile e dell'azione di regresso".
La disposizione è stata evidentemente dettata allo scopo di migliorare il coordinamento tra azione penale e azione civile di regresso dell'Inail per il recupero delle somme erogate a favore dell'infortunato, in un quadro complessivo dei rapporti tra le due azioni assai complesso e controverso, quale delineato in particolare dalla giurisprudenza civile di questa Corte che della questione ha avuto modo di occuparsi sotto il profilo della sospensione del processo avente ad oggetto l'azione civile di regresso in pendenza dell'azione penale.
E' noto che ai sensi del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 11 l'Inail ha azione di regresso nei confronti del datore di lavoro per recuperare gli importi erogati a titolo di indennizzo ogni qual volta l'infortunio sul lavoro o la malattia professionale siano dipesi da un reato perseguibile di ufficio commesso dallo stesso datore di lavoro, da un suo preposto o dipendente.
Secondo la giurisprudenza civile (Cass. 1 marzo 2001 n. 2952; Cass. 25.8.2004 n. 16874) l'azione di regresso nei confronti del datore di lavoro è distinta ed autonoma rispetto ad una comune azione di restituzione o risarcimento del danno ex art. 74 c.p.p. e può essere promossa solo in sede civile, con una azione civile del tutto autonoma rispetto all'esito del processo penale; all'Inail non è riconosciuto il diritto di costituirsi parte civile nel processo penale, non ritenendosi l'Istituto soggetto "offeso" dal reato legittimato ad esercitare nel processo penale l'azione civile per le restituzioni e per il risarcimento del danno (art. 185 c.p.) nei confronti dell'imputato o del responsabile civile (art. 74 c.p.p.), e non rinvenendosi alcuna legge speciale che ne consentisse la costituzione di parte civile sia pur nei limiti di quanto previsto dall'art. 212 disp. att. .p.p.. Si riconosce però all'istituto la possibilità di agire in regresso senza attendere l'instaurazione o l'esito del procedimento penale, non sussistendo, secondo la prevalente interpretazione civile, alcuna pregiudizialità tra i due giudizi, pur in presenza delle disposizioni del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 10 (in quanto, come chiarito dalla Corte Cost. n. 102 del 1981, la condanna penale non configura elemento di diritto sostanziale del regresso). Si è pertanto affermato (Cass. 14.7.2001 n. 9601) che "In base al diritto vivente formatosi anche in seguito ai numerosi interventi della Corte costituzionale in materia, l'azione di regresso dell'INAIL nei confronti del datore di lavoro o dei suoi preposti alla direzione dell'azienda o alla sorveglianza dell'attività lavorativa, ritenuti civilmente responsabili di un infortunio verificatosi in danno di un dipendente è esercitabile autonomamente senza dover necessariamente attendere l'instaurazione o l'esito del procedimento penale per il fatto da cui è derivato l'infortunio e senza che, quindi, assuma alcun rilievo l'eventuale conclusione di tale ultimo procedimento con un provvedimento di archiviazione o di proscioglimento in sede istruttoria".
Continua tuttavia a sussistere qualche opinione dissenziente (Cass. 21 gennaio 2004 n. 968).
In applicazione del disposto di cui all'art. 651 c.p.p., il giudice civile risulta vincolato solo a quanto accertato nella eventuale sentenza di condanna, mentre l'art. 652 c.p.p. non risulta applicabile in quanto dettato per l'azione di danno e neppure risulta applicabile l'art. 654 c.p.p. atteso che l'opponibilità del giudicato penale di assoluzione in altri giudizi civili è circoscritta alla sola posizione del danneggiato che si sia costituito parte civile e quindi non all'Inail cui tal diritto non compete.
In tale quadro, in cui è evidente l'assenza di collegamento tra quanto accertato in sede penale e in sede civile, si è inserita la L. n. 123 del 2008.
Differenti sono le valutazioni da parte dei primi commentatori in merito al portato della nuova normativa.
Secondo una prima interpretazione, l'impatto sarebbe assai ridotto;
mancando un preciso riconoscimento del diritto dell'istituto di costituirsi parte civile ai fini di far valere nel processo penale l'azione di regresso, non sarebbe possibile riconoscere all'Inail la possibilità di scegliere tra azione penale e azione civile.
Secondo altre interpretazioni, la nuova normativa ha una chiara ed ampia portata innovativa; si è osservato che essa "con il legittimare espressamente l'Inail alla costituzione di parte civile nel giudizio penale, non solo finisce per incidere in modo radicale sulla precedente regolamentazione dei rapporti tra giudizio penale e giudizio civile, ma mostra di volere attribuire all'Istituto un ruolo e dei poteri più incisivi, disegnando un assetto ordinamentale funzionalizzato ad assicurare migliori margini di tutela alla salute dei lavoratori attraverso scelte normative dirette ad un rafforzamento della prevenzione degli infortuni e della effettività delle sanzioni (anche di natura patrimoniale) ai danni di coloro che di tali infortuni si sono resi responsabili". Secondo un altro autore, in virtù della nuova norma, l'azione di rivalsa di cui l'Inail è titolare per perseguire altresì "lo scopo pratico di incentivare l'adempimento dell'obbligo del datore di lavoro di adottare ogni misura idonea a prevenire i sinistri (C. cost. n. 134 del 1971)" viene favorita sotto un duplice aspetto, quello dell'ampia e generalizzata conoscenza dell'esercizio dell'azione penale per perseguire i reati dai quali presumibilmente sono scaturiti gli infortuni sul lavoro o le malattie professionali ammesse alla tutela previdenziale e quello consistente nella facoltà di agire in regresso anche nel processo penale attraverso la costituzione di parte civile; concludendosi che alla luce della nuova normativa l'Inail può agire indifferentemente in sede penale o in sede civile per cercare di recuperare le somme erogate a titolo di prestazioni previdenziali.
Il Collegio condivide tali seconde posizioni che, pur in assenza di elementi di sostegno ricavabili dai lavori preparatori (che nulla dicono sulla specifica disposizione in esame), danno della disposizione una interpretazione corrispondente alla generale "ratio" dell'intervento posto in essere dal legislatore con la L. n. 123 del 2007, in cui la disposizione stessa è stata inserita come norma di immediata applicazione. Con tale legge infatti, come è noto, è stata conferita apposita delega al governo per il riordino della normativa in materia di sicurezza e salute dei luoghi di lavoro al fine di rafforzare la tutela dei lavoratori, attuata anche attraverso la estensione della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche ai reati di cui all'art. 589 c.p. e art. 590 c.p., comma 3, commessi appunto con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela del lavoro. In tale ambito, la disposizione in esame deve essere intesa nel significato atto a conferirle la più ampia pregnanza nella prospettiva anzidetta di un rafforzamento degli strumenti che possono rendere efficace la protezione dei lavoratori;
deve dunque ritenersi che con essa si è voluto riconoscere la peculiare posizione dell'Inail anche in relazione all'azione di regresso quale ripetutamente sottolineata anche dalla Corte Costituzionale; peraltro, come diffusamente messo in luce nel ricorso presentati dall'istituto, all'Inail sono affidati compiti di tutela del lavoratore, la cui protezione può giovarsi anche dello strumento della costituzione di parte civile e dell'esercizio fazione di regresso nella sede penale, pur nella diversità di tale ultima azione da quella di risarcimento del danno, a cui l'istituto deve dunque ritenersi legittimato per espressa previsione normativa.
L'avviso che il pubblico ministero è tenuto a dare servirà non solo e non tanto a rendere più agevole il compito dell'istituto di conoscenza degli incidenti verificatisi su tutto il territorio nazionale, ma anche a consentire al medesimo, così come la disposizione stessa espressamente stabilisce pur nella sua laconicità, di esercitare a propria scelta l'azione civile, di risarcimento o di regresso, nel processo penale ovvero in sede civile, rimanendo assoggettate tale scelta e le sue conseguenze alle regole ordinarie dettate dai codici di rito. Tale interpretazione corrisponde altresì ad evidenti ragioni di semplificazione ed economia processuale, ormai riconosciute a livello costituzionale, consentendo di ricondurre il complesso meccanismo attraverso il quale l'istituto persegue la protezione del lavoratore, anche con l'azione di regresso, nell'ambito dei normali rapporti tra processo penale e processo civile e rimettendo la scelta tra le due possibili strade all'istituto stesso. Ulteriore conferma della correttezza di tale interpretazione può desumersi da una disposizione del D.Lgs. n. 81 del 2008, che ha dato attuazione alla delega sopra menzionata, precisamente l'art. 61 che al comma 1 riproduce integralmente il testo della L. Delega n. 123 del 2007, art. 2 e con il comma 2 stabilisce che le organizzazioni sindacali e le associazioni dei familiari delle vittime di infortuni sul lavoro possono esercitare i diritti e le facoltà delle persona offesa...; anche questa disposizione conferma la diversità di posizione che si è voluta riconoscere all'Inail rispetto agli altri soggetti menzionati al comma 2, e conferma che con il prescrivere l'obbligo di dare notizia all'Inail dell'inizio dell'azione penale ai fini della costituzione di parte civile e dell'azione di regresso si è voluto attribuire all'istituto quella legittimazione in tal senso in precedenza discussa e prevalentemente ritenuta mancante.

P.Q.M.
La Corte:
- annulla la sentenza impugnata limitatamente alla posizione dell'Inail e rinvia per il giudizio sul punto al giudice civile competente per valore in grado di appello.
Rigetta il ricorso dell'imputato che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 3 ottobre 2008.
Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2008