Tribunale di Taranto, Sez. Pen., 06 febbraio 2013 - Incidente tra mezzi nello stabilimento ILVA e violazione della norma cautelare di impiegare "correttamente il mezzo di trasporto"


 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI TARANTO

Prima Sezione Penale
in composizione monocratica
Il Giudice Dr.ssa Paola Morelli all'udienza del 25.01.2013
con l'intervento del Pubblico Ministero VPO Dr.ssa Stella Panariti l'assistenza del Cancelliere Dr.ssa Emma D. Luzzi
Ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente
SENTENZA


Nel processo penale a carico di:
R.P., nato a S. G. J. il (...) e residente a M. in Via C. n. 46- libero contumace
IMPUTATO
Del reato di cui all'art. 590 c.p. perché, per colpa, cagionava lesioni personali a L.D., dipendente Ilva con qualifica di carrellista, giudicate guaribili in un anno, con indebolimento permanente della funzione degli arti inferiori e deficit deambulatorio. Il L. si trovava all'interno dello stabilimento Ilva alla guida del carrello elevatore a forche marca Linde mod. H40D-03 e stava costeggiando il capannone del reparto OCM/CAP. A poca distanza seguiva il detto carrello una caricatrice semovente marca Mecalac 12mxt con attrezzo intercambiabile equipaggiata con benna all'interno della quale veniva trasportato il "cucchiaio da escavatore" di proprietà della società Semat e condotta nell'occasione dal R.. Il L., giunto in prossimità del parcheggio degli uffici di reparto, rallentava o addirittura si fermava con il mezzo da lui condotto per accertarsi della presenza di altri mezzi poiché doveva procedere alla manovra di parcheggio. In questo istante veniva violentemente tamponato dalla caricatrice condotta dal R. e colpendo il L. che restava incastrato con i piedi contro i pedali della guida. Per estrarre il L. dalla cabina deformata, si rendeva necessario l'intervento dei Vigili del Fuoco che dapprima raddrizzavano i montanti deformati della cabina e poi procedevano ad estrarre il L. dal suo interno.
Elementi della colpa: 1. negligenza, imprudenza, imperizia e violazione di legge (art. 149 CDS) perché, nella qualità sopra evidenziata, non manteneva la distanza di sicurezza dal mezzo che lo precedeva, tanto da rendere possibile l'arresto tempestivo del mezzo condotto e evitare collisioni. 2. negligenza, imprudenza, imperizia e violazione di legge (5 comma 2 lett. B D.Lgs. n. 626 del 1994) perché, nella qualità sopra evidenziata, non utilizzava correttamente il macchinario di cui era conducente dal momento che l'attrezzo intercambiabile, una benna nel caso che ci occupa, non veniva mantenuto ad una distanza di sicurezza dal suolo e pari a circa 20 cm come disposto dal manuale di guida e di manutenzione della caricatrice: infatti al momento dell'infortunio, la benna era alzata di circa 1.30 mt da suolo non permettendo, così, una ottimale visione al conducente del mezzo che, con molta probabilità, non si avvedeva del rallentamento e/o fermata del carrello che lo precedeva, andando a collidere con lo stesso. Inoltre appare opportuno evidenziare che se la benna fosse stata tenuta all'altezza prevista, le conseguenze dell'infortunio sarebbero state meno gravi per il L. poiché la benna avrebbe colpito il mezzo e non la cabina, con tutte le conseguenze già specificate innanzi;
In Taranto 11.06.2005
Con l'intervento
Della parte civile L.D. - presente - rappresentato dall'Avv. Massimiliano Del Vecchio - presente -
Del responsabile civile "Semat Spa" rappresentata e difesa dall'Avv. Enrico Claudio Schiavone sostituito con delega dall'Avv. Rossetti

del difensore di fiducia dell'imputato Avv. Antonio Liagi - sostituito con delega dall'Avv. R. Di Noi -presente -


FattoDiritto

 


Tratto a giudizio per rispondere del reato di cui all'art. 590 terzo comma c.p. meglio descritto in epigrafe R.P. pur ricevendo rituale notifica del decreto di vocatio in ius, non compariva alla prima udienza del 6.6.2008 fissata per il dibattimento e, pertanto, non ricorrendo nessuna delle condizioni di cui agli artt. 420, 420 bis e 420 ter c.p.p. sentite le parti, veniva dichiarato contumace. In detta udienza si costituiva parte civile la persona offesa L.D. e il processo veniva rinviato all'udienza del 28.11.2008. In detta udienza costituitasi la SEMAT spa in persona del suo legale rappresentante in qualità di responsabile civile citata nel processo penale a richiesta della parte civile ai sensi e per gli effetti dell'art. 2049 c.c., le parti formulavano le loro richieste di prova orali e documentali e venivano escussi i testi dott B.M., la persona offesa L.D., A.G. (di cui con l'accordo delle parti si acquisiva l'informativa del 20.3.2006) e R.M.. All'udienza fissata per il prosieguo istruttorio del 27.3.2009 veniva escusso ai sensi dell'art. 195 c.p.p. P.S., ed il Giudice, all'esito della sua deposizione, rinviava l'udienza al 29.5.2009.
In detta udienza veniva nuovamente escusso ai sensi dell'art. 507 c.p.p. l'Ing P. dal quale veniva acquisito sull'accordo delle parti il rapporto informativo dell'infortunio dell'11.6.2005 corredato di fotografie a colori e redatto di proprio pugno.
Rinviato pertanto il processo ai fini della sola discussione all'udienza del 30 ottobre 2009 in quella sede le parti chiedevano concordemente un rinvio per tentare il componimento extraprocessuale degli interessi civili che veniva concesso sino all'udienza del 26.3.2010 e per uguale ragione da quella all'udienza del 14.1.2011 con sospensione dei termini della prescrizione. All'udienza del 14.1.2011 il Pm preliminarmente dava atto che non era stata sporta querela dal L.D. ed il Giudice in accoglimento della istanza dei difensori (assente quello di fiducia) disponeva nuovo rinvio con sospensione dei termini della prescrizione sino al 27 maggio 2011 e da questa per uguale ragione all'udienza del 30 marzo 2012. In detta sede il Giudice concedeva l'ultimo rinvio richiesto dai difensori congiuntamente sino all'udienza del 25.1.2013. All'odierna udienza la parte civile produceva documentazione attestante l'invalidità del L. le parti concludevano come da verbale ed il giudice decideva all'esito della camera di consiglio come da dispositivo in calce trascritto e pubblicato mediante lettura.
Ritiene il giudicante che l'assunto accusatorio sia risultato pienamente fondato, nel corso del presente processo essendo stati acquisiti elementi di prova chiari ed univoci per quel che riguarda sia la sussistenza del fatto che la penale responsabilità dell'odierno imputato.
Dalla informativa prot n. 3856 del 20.3.2006 e acquisita con l'accordo delle parti ai fini della piena utilizzabilità probatoria si evince, quanto al dato obbiettivo della posizione lavorativa delle parti coinvolte nell'incidente; che il R.P. era dipendente della SEMAT spa con qualifica di conduttore di macchine edili e che in occasione del sinistro si trovava a bordo di una caricatrice semovente equipaggiata con benna (attrezzo intercambiabile) marca Mecalac 12MXT di proprietà della stessa SEMAT; che il L. era dipendente ILVA spa con qualifica di carrellista presso il reparto OCM/CAP (officina centrale meccanica/carpenteria) e che in occasione del sinistro si trovava a bordo di un carrello elevatore a forche marca Linde mod H40D-03 di proprietà ILVA (cfr informativa prot n. 3856 del 20.3.2006)
L'isp A.G., in servizio presso la Direzione Provinciale del lavoro di Taranto e redattore della citata informativa escusso in qualità di specificava tuttavia di avere effettuato il sopralluogo solo in data 10 febbraio 2006 molti mesi dopo, cioè, il sinistro scattando foto (quelle acquisite agli atti) che corredava di didascalie nonché di avere acquisito, per il tramite dell'Ing S.P., quelle scattate dal personale del servizio di prevenzione e protezione dell'ILVA nell'immediatezza per conoscere dell'entità e della natura dei danni riportati dai due mezzi coinvolti all'atto della collisione. Il carrello elevatore a forche guidato dal L. -andato quasi completamente distrutto come apprezzabile dalla vistosa deformazione dei montanti della cabina dopo il tamponamento ad opera della caricatrice semovente guidata dal R. - era, infatti, all'epoca del suo intervento investigativo già stato definitivamente riparato. Dichiarava, di conseguenza, che la ricostruzione dell'incidente era avvenuto sulla scorta delle immagini acquisite (ed in particolare di quelle raffiguranti i mezzi subito dopo la collisione (foto 16,17,18) e delle dichiarazioni rese dal R. stesso e dall'infortunato. Acquisito poi il libro di manutenzione della macchina guidata dal R. (versato in atti dal Pubblico Ministero) che al momento dell'incidente caricava una benna con all'interno una benna più piccola rimasta poi smontata e poggiata per terra come evincibile dalla foto n. 16 visionata in aula, il teste riferiva di averlo consultato e di essere pervenuto alla conclusione che quell'attrezzo era stato portato, il giorno dell'incidente, ad un'altezza del tutto sconsigliata dalla casa costruttrice, la quale suggeriva un'altezza dal piano stradale pari, al massimo, a 20 centimetri. Ed invero è dato leggere nel paragrafo dedicato alla " Guida con circolazione su strada" la seguente testuale raccomandazione "se il vostro equipaggiamento è munito di un attrezzo, posizionatelo il più vicino possibile alla parte anteriore della macchina a circa 20 cm dal suolo o piu' a seconda della natura del terreno limitando il più possibile la sua sporgenza in aggetto''(cfr pag 43 del verbale stenotipico del 28.11.2008 e stralcio del manuale di istruzione della caricatrice Mecalac 12MXT).
A domanda del giudice riferiva che la foto n. 4 della produzione documentale del PM rappresentava in via simulatoria la posizione - grandemente elevata dal suolo - assunta dalla benna montata sulla caricatrice all'atto dell'incidente (ancorchè per ragioni pratiche durante l'esperimento era stata montata quella più piccola anzicchè quella più grande) secondo le dichiarazioni rese dalle parti (cfr pag. 46- 47 del verbale stenotipico del 28.11.2008).
Il L.D. riferiva che intorno a mezzogiorno dell'11.6.2005 (una giornata estiva normalmente soleggiata) in qualità di dipendente ILVA si trovava all'interno del reparto di officina centrale meccanica a percorrere, a bordo del carrello elevatore marca 395 (che riconosceva nelle foto 7 e 8 della produzione documentale del PM), un vialone lungo e completamente rettilineo (che riconosceva nelle foto 1 e 2 della produzione documentale del PM) con l'intenzione di parcheggiarlo. Giunto all'altezza del pilastro visibile nella foto n. 1 aveva rallentato la marcia in attesa che il carrello si fermasse da solo azionando la freccia per effettuare la svolta ed entrare nel reparto di carpenteria - dove sono ubicati gli uffici e vi è l'area di parcheggio dei mezzi - quando, di improvviso, avvertiva il contraccolpo di un urto posteriore fortissimo e si ritrovava bloccato all'interno della cabina comandi accartocciatasi. A specifica domanda del difensore riferiva di non essersi accorto, lungo il tragitto, della presenza, alle sue spalle, del mezzo che poi lo avrebbe investito al momento del suo quasi arresto.
Il dolore e lo spavento per la caviglia che gli pareva "staccata" e per la vista del sangue erano tali che riusciva a ricordarsi solo dell'arrivo immediato di un uomo con i baffi che (esibita la foto impressa sul tesserino ILVA) riconosceva in aula per essere l'odierno imputato, il quale vistosamente agitato cercava a sua volta di tranquillizzarlo porgendogli una bottiglietta d'acqua. Riferiva, ancora, di essere stato subito dopo soccorso con l'ausilio degli altri compagni di lavoro che - imbracatolo - lo avevano liberato dalle morse della struttura in ferro ove era rimasto incastrato trasportandolo subito dopo all'Ospedale SS Annunziata (cfr pag 10 e ss del verbale stenotipico del 28.11.2008)
Qui gli riscontravano nell'immediatezza oltre a contusioni diffuse e a trauma cranico non commotivo, la frattura scomposta della tibio tarsica sinistra una ferita lacero contusa regione parietale sinistra contusione con ferita lacero contusa piramide nasale e qui veniva sottoposto ad un primo intervento chirurgico ad entrambi gli arti inferiori con dimissioni al 18 giugno (cfr cartella clinica n. 303)
A tale ultimo riguardo il dott. M.B. consulente medico legale del Pubblico Ministero, escusso in udienza come teste ed autore della relazione versata in atti avente ad oggetto la disamina di tutte le cartelle di ricovero del L. avvenuto nel corso del tempo, rilevava che le lesioni da egli patite a seguito dello schiacciamento all'interno dell'abitacolo del mezzo aziendale avevano comportato una malattia della durata di un anno (comprensivo di 4 ricoveri e della convalescenza) e rilasciato gravi e stabilizzati postumi costituiti da deficit deambulatorio e da indebolimento permanente della funzione degli art. inferiori (cfr conclusioni della ct del 15.2.2007 a firma del dott. M. B.)
R.M. caposquadra del R. il giorno dell'incidente era di turno di riposo tuttavia riferiva che il mezzo condotto dal R. andava guidato secondo precise regole che l'operaio normalmente osservava: la benna doveva essere tenuta alta rispetto al suolo quaranta cm come da libretto di manutenzione sebbene la presenza di certi dislivelli o binari dei percorsi all'interno dell'area ILVA poteva suggerire prudenzialmente il diverso comportamento di tenerla più alta.
P.S. responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione dello stabilimento ILVA di Taranto sentito all'udienza del 27.3.2009 e all'udienza del 29.5.2009 ove consegnava quello che egli stesso definiva un "appunto" interno sulla dinamica dell'infortunio, riferiva che il giorno 11.6.2005 si trovava presente nello stabilimento siderurgico così che - avvisato dal servizio di vigilanza - si era recato sui luoghi dell'incidente pochi minuti più tardi del suo accadimento scattando le foto 16 17 e 18 del fascicolo in bianco e nero prodotto dal Pm ed altre ancora a colori allegate al rapporto scritto consegnato al Tribunale. Il carrello elevatore dotato di forche marca Linde modello H400D-03 utilizzato per la movimentazione interna del materiale sul quale viaggiava il L. era gravemente sinistrato poichè urtandolo dalla parte posteriore, la benna della motopala aveva divelto la cabina, distrutto il tubo di scappamento, la batteria, l'apparato elettrico delle luci rendendo i comandi inutilizzabili. Sulla scorta delle informazioni apprese direttamente dal R. sul posto (pag. 9 - 11 - 17 del verbale stenotipico del 27.3.2009), dai primi soccorritori ma a anche e soprattutto dai rilievi sui luoghi e sui mezzi entrati in collisione (un vialone rettilineo largo circa 12 metri e lungo circa 200 metri) il teste era in grado di riferire che il R. a bordo del suo mezzo trivalente composto da una benna più grande (tipo ruspa) montata sul braccio e da una benna più piccola (tipo escavatore) e da un martello demolitore riposti al suo interno aveva appena finito di lavorare con queste due ultime attrezzature e provenendo da un'altra zona dello stabilimento si era messo in marcia (cfr pag 18 del verbale del 27.3.2009). Aveva percorso circa 60 metri del vialone quando non essendosi accorto minimamente del suo precedergli sulla strada (pag 9) aveva tamponato il carrello sollevatore guidato dal L.. La benna più grande del mezzo Mecalac di colore bianco e nero doveva essere tenuta, all'atto della collisione, necessariamente ad una altezza di circa 1 metro e 20 - 1 metro e 30 dal suolo, pari a quella standard del cofano del carrello elevatore di colore rosso atteso che - riscontrava il teste "de visu" e ribadiva più volte anche attraverso il commento alle fotografie scattate personalmente - egli aveva notato sulla superficie del cofano tamponato una lunga striscia che ne aveva scoperto la parte metallica (cfr in particolare foto n. 7 e 8 a colori del rapporto informativo fornito all'udienza del 29.5.2009) e sulla parte inferiore (sottostante) della benna di più grandi dimensioni trasportata dal mezzo SEMAC, in posizione leggermente inclinata verso l'interno, tracce di vernice rossa (cfr foto a colori n. 6 e 7 del rapporto acquisito all'udienza del 29.5.2009 e pag 18 e 27 del verbale stenotipico del 27.3.2009). Urtando dunque contro il cofano posteriore del carrello condotto dal L. tale benna di maggiori dimensioni (ben visibile adagiata per terra nella foto a colori n. 4 del rapporto acquisito all'udienza del 29.5.2009) aveva perso dal suo incavo il cucchiaio escavatore vale a dire la benna più piccola trasportata (anch'essa visibile nella medesima foto) la quale, proiettata in avanti, era anch'essa a sua volta andata a sbattere contro la struttura della cabina (cfr pag 18 e 19 del verbale stenotipico del 27.3.2009). L'impatto complessivo era stato così violento che la cabina del carrello elevatore a forche si era spostata tutta in avanti di circa 40 centimetri provocando la spinta dei piedi dello sfortunato L. contro la pedaliera, il loro incastro e le fratture multiple poi riscontrate in ospedale mentre le forche avevano avuto una compressione in avanti infilzandosi nel cemento del manto stradale e lasciandovi segni evidenti. Il R., poi, gli aveva anche riferito che, appena dopo la collisione aveva abbassato il braccio della caricatrice e sfilato la benna di maggiori dimensioni ad esso applicata con l'intendimento (poi escluso dagli altri soccorritori che adottavano una soluzione diversa) di apporvi al suo posto una braga che avrebbe dovuto essere tirata dalla motrice per cercare di liberare l'operaio imprigionato. Infatti continuava a specificare il teste, al proprio arrivo sui luoghi (pure avvenuto appena un quarto d'ora dopo l'infortunio) il mezzo SEMAC risultava già spostato sul ciglio strada e privo della benna mentre sull'asfalto non apparivano strisciate di eventuale sua frenatura (cfr in particolare pag. 9, 11, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 27, 32, 35, 38 del verbale stenotipico dell'udienza del 27.3.2009 nonché pag 6 del verbale stenotipico della udienza del 29.5.2009 ed infine fotografie a colori n. 6 e 7 e 8 allegate alla nota redatta dal teste e acquisita alla udienza del 29.5.2009).
Così ricostruite le risultanze processuali va subito osservato che la testimonianza del P. che come il teste A. ha censurato la guida con benna non tenuta il più bassa possibile (cfr pag 4 del verbale stenotipico del 29.5.2009) è quella certamente di maggiore spessore probatorio in relazione alla esatta ricostruzione della dinamica dell'evento sia perché il teste è un soggetto professionalmente qualificato e neutrale rispetto all'esito del processo, sia perché egli dotato di competenze specifiche in materia di sicurezza sul lavoro è intervenuto nell'immediatezza del fatto facendo i necessari rilievi, è supportato da elementi (i danni riportati dai mezzi le componenti del mezzo tamponante abbandonate sul ciglio stradale) obbiettivati dalle fotografie ed in particolare da quelle a colori allegate all'appunto consegnato all'udienza del 29.5.2009 ed ha infine raccolto, poi trasfondendole in dibattimento, le dichiarazioni sostanzialmente "confessorie" del R. quantomeno in ordine al totale mancato avvistamento del mezzo che lo precedeva sulla stessa linea e alla mancata attuazione di qualsivoglia manovra di emergenza (cfr pag 9) logicamente compatibili, in condizioni ambientali di tempo e di spazio di massima visibilità, solo con qualcosa di grosse dimensioni ostruente la piena visibilità.
A tale ultimo riguardo giova precisare che la deposizione nella parte "de relato" (e nel silenzio processuale mantenuto dal R.) è perfettamente utilizzabile a differenza di quella resa dal'Ispettore del Lavoro delegato dal Pm alle indagini: invero il divieto di cui al combinato disposto dell'art. 62 c.p.p. e 220 disp att c.p.p. se opera per l'A.G. non opera, allo stesso modo, per il P. il quale, all'epoca dei fatti, si limitava a svolgere una attività amministrativa interna di carattere autonomo e non attività di polizia giudiziaria, come tale del tutto estranea al procedimento penale che in futuro si sarebbe instaurato a carico del R. per effetto della denuncia inoltrata dall'ispettorato (cfr Cassazione Sez. 2, Sentenza n. 7255 del 18/02/2000, Sez. 1, Sentenza n. 25096 del 26/02/2004, Sez. 2, Sentenza n. 46607 del 19/11/2009).
Il divieto di testimonianza sulle dichiarazioni rese dall'imputato opera solo in relazione alle dichiarazioni rese nel corso del procedimento e non a quelle rese al di fuori di esso). Vi è allora in altri termini che l'oggetto della deposizione del P. anche riguardo all'acquisizione di notizie da parte del R. (ancorchè superflue vista la specie e la varietà di tutti gli altri elementi di prova ricavabili dalla visione dei mezzi dai danni riportati e dalle tracce rimaste sull'asfalto) ha valore di fatto storico percepito dal teste e, come tale, resta valutabile alla stregua degli ordinari criteri applicabili al mezzo di prova testimoniale.
Precisato questo, sussistono gli estremi del delitto contestato con riferimento sia al nesso di causalità condotta/evento lesivo sia al profilo di colpa specifico (che rende il reato perseguibile d'ufficio alla stregua dell'ultimo comma dell'art. 590 c.p. e anche indipendentemente dal mancato testuale riferimento a quest'ultimo) correttamente individuato nella violazione del disposto di cui all'art. 5 comma 2 lett. b) del D.Lgs. n. 626 del 1994 (In particolare i lavoratori:...b) utilizzano correttamente i macchinari, le apparecchiature, gli utensili, le sostanze e i preparati pericolosi, i mezzi di trasporto e le altre attrezzature di lavoro, nonchè i dispositivi di sicurezza) oggi abrogato dall'art. 304 del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 ma trasfuso in perfetta continuità normativa nel disposto di cui all'art. 20 comma 2 lett c) dello stesso decreto ("l lavoratori devono in particolare: ...c) utilizzare correttamente le attrezzature di lavoro, le sostanze e i preparati pericolosi, i mezzi di trasporto. nonché i dispositivi di sicurezza). Si tratta di una norma che sia nella vecchia che nella nuova formulazione contempla al primo comma in via più generale il principio per il quale destinatari delle norme di prevenzione contro gli infortuni è non solo il datore di lavoro, il dirigente e il preposto ma anche lo stesso lavoratore il quale deve prendersi cura della propria sicurezza e della propria salute e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro su cui possono ricadere gli effetti delle sue azioni od omissioni conformemente alla sua formazione ed alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro.
Ed allora è evidente che il R. nella sua qualità di operaio specializzato nella conduzione di macchine edili ha causato il tamponamento - foriero delle lesioni gravi certificate all'odierna parte civile, dipendente dell'ILVA - violando la norma cautelare di impiegare "correttamente il mezzo di trasporto" sul quale era a bordo, che, per ampiezza di formulazione, ricomprende quali prudenziali modalità di guida, sia la specifica disposizione manualistica di tenere la benna di grosse dimensioni che lo equipaggiava ad altezza prossima ai venti centimetri dal suolo sia il precetto (trasfuso anche nell'art. 149 CdS) di mantenere una congrua distanza di sicurezza da altri mezzi. Ed invero contravvenendo all'una e alla altra disposizione il posizionamento e trasporto di una benna di grandi dimensioni durante la marcia del mezzo ad altezza (quella di circa 1 metro e 30 cm) enormemente superiore a quella consigliata nonché la distanza ravvicinata al mezzo del L. che lo precedeva sullo stesso rettilineo, modificativa dell'effetto prospettico, hanno congiuntamente impedito o comunque limitato la visuale e il controllo dello stesso di modo tale che la manovra di rallentamento e di arresto per la svolta non ricadeva sotto la propria percezione sì da essere poi in grado di attivarsi per evitare o ridurre l'impatto così come - ancor prima delle dichiarazioni implicitamente ammissive sul punto del R. - dimostrano le altre condizioni di ottimale visibilità, la straordinaria violenza dell'urto e l'assenza di tracce di frenata.
Le lesioni cagionate al L. per effetto della condotta colposa così ricostruita (per effetto delle convergenti risultanze processuali incontrastate dall'imputato rimasto contumace) configurano per entità, tipologia e natura (indebolimento permanente degli arti) l'aggravante di cui al secondo comma dell'art. 590 c.p. in combinato disposto con l'art. 583 primo comma n. 2 c.p. mentre la violazione dell'art. 5 comma 2 lett b) D.Lgs. n. 626 del 1994 (ora art. 20 comma due lett. c) D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81) quella speciale della violazione delle norme antinfortunistiche di cui al terzo comma dell'art. 590 c.p. contestate entrambe in fatto nel capo di imputazione
Addivenendo al piano sanzionatorio, in considerazione dello stato di quasi incensuratezza l'odierno imputato può certamente usufruire dell'applicazione delle circostanze generiche con giudizio di equivalenza sulle appena riconosciute aggravanti e del beneficio della sospensione condizionale della pena tenuto conto della prognosi favorevole di futura non commissione di reati. Considerati i criteri tutti di cui all'art. 133 c.p. si reputa congrua la pena di mesi 1 di reclusione.
Deve essere da ultimo accolta la domanda risarcitoria proposta dalla costituita parte civile L.D. dovendo ritenersi certo che il fatto delittuoso perpetrato dall'imputato a lui direttamente cagionato danni patrimoniali e soprattutto non patrimoniali (in termini di gravissime sofferenze fisiche e morali collegate al trauma ai vari interventi chirurgici e ai postumi di invalidità degli arti inferiori). Le prove acquisite nel corso del giudizio non consentono di determinare con certezza le varie componenti ed accezioni di tale pregiudizio, con la conseguenza che può essere pronunciata soltanto condanna generica dell'imputato al risarcimento dei danni cagionati in solido con il responsabile civile SEMAT spa che in veste di datore di lavoro dell'odierno imputato risponde ai sensi dell'art. 2049 c.c. per il fatto illecito da lui commesso durante l'espletamento delle proprie mansioni (la norma civilistica richiamata infatti fonda la presunzione di responsabilità del datore di lavoro sul duplice presupposto dell'esistenza del rapporto e del collegamento tra il fatto dannoso del dipendente e le mansioni disimpegnate anche in termini di cd occasionalità necessaria nel senso che le modalità esecutive delle prestazioni svolte devono aver reso possibile, o almeno agevolato, la condotta illecita e la produzione del danno) contestualmente operando il rinvio delle parti innanzi al competente giudice civile. Esse, tuttavia, consentono, come domandato specificatamente dalla parte civile, di determinare nella somma prudenzialmente stimata in Euro 7.000,00 la provvisionale al cui pagamento l'imputato e il responsabile civile vanno condannati.
Da ultimo l'imputato e il responsabile civile dovranno rifondere in solido alla parte civile anche le spese processuali sopportate da quest'ultima, determinate nella misura riportata in dispositivo tenuto conto delle indicazioni del nuovo tariffario penale introdotto dal Decreto del Ministro di Giustizia del 20 luglio 2012, n. 140 - Disposizioni regolamentari in tema di liquidazione giudiziale dei compensi degli avvocati -entrato in vigore in data 23 agosto 2012 rapportate queste ultime alla tipologia delle questioni trattate e in generale al complesso dell'attività difensiva profusa


P.Q.M.


Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p.,

dichiara R.P. colpevole dall'imputazione ascrittagli in rubrica e, in concorso di circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alle contestate aggravanti, lo condanna alla pena di mesi uno di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.
Letto l'art. 163 c.p.,
ordina che l'esecuzione della pena sia sospesa entro i limiti e secondo le modalità di legge. Letti gli artt. 185 c.p. 2049 c.c. e 538 e ss. c.p.p.,
condanna R.P. e il responsabile civile SEMAT spa in solido al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, L.D., da liquidarsi in autonomo giudizio civile e al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva che si liquida prudenzialmente in Euro 7.000,00
Letto l'art. 541 c.p.p.,
condanna R.P. e il responsabile civile SEMAT spa in solido alla rifusione delle spese di costituzione e patrocinio in giudizio della parte civile, liquidate complessivamente in Euro. 1000,00 oltre c.p.a. ed I.v.a. come per legge
Così deciso in Taranto, il 25 gennaio 2013. Depositata in Cancelleria il 6 febbraio 2013.