REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI RAVENNA
GIUDICE UNICO DI I° GRADO

Il Giudice Monocratico Dott. Piero Messini D'Agostini
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa penale
contro
P.M., nato a ***, residente a Ravenna, ***.
Difeso di fiducia dall'avv. Andrea Strocchi del Foro di Ravenna e dall'avv. Lucio Lucia del Foro di Milano
LIBERO PRESENTE
T.V., nato a ***.
Difeso di fiducia dall'avv. Orazio Cicatelli del Foro di Napoli
LIBERO CONTUMACE
IMPUTATI
1) P.M., in qualità di responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione C.P. s.r.l.
2) T.V., Primo Ufficiale di Coperta in qualità di responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione della Motonave Espresso Catania
TUTTI
A) del delitto previsto e punito dagli artt. 40 cpv. e 589 c.p. perché ognuno, in relazione alla propria qualifica professionale rivestita nell'ambito della società di appartenenza di cui sopra, durante le operazioni di ricevimento mezzi connesse all'attività portuali, commissionate - per l'esecuzione - dalla Tirrenia s.p.a. (società armatrice) alla T&C Traghetti e Crociere srl, che sub-appaltava l'incarico all'Impresa C.P.1, che all'uopo si avvaleva di mezzi e maestranze forniti dalla Cooperativa P. a r.l.2 - ometteva di analizzare e valutare i rischi professionali connessi all'intera operazione di sbarco, imbarco e stivaggio dei rotabili che tenesse conto di ogni fase del ciclo in relazione alla tipologia della nave, ai materiali movimentati, all'attrezzatura utilizzata per il traino dei rotabili, al piano di carico, al peso effettivamente trasportato dai rotabili. Omettevano di conseguenza, ciascuno per la parte di competenza, di adottare le misure - di seguito indicate - di organizzazione del lavoro e di sicurezza idonee ad evitare che i lavoratori durante le operazioni di stivaggio dei rimorchi, trainati dalla banchina del porto di Ravenna e stivati a bordo delle Motonavi in base al piano di carico redatto dalla S. s.r.l., su incarico della società armatrice, si trovassero ad operare in un ambiente ad alto rischio di infortunio, così cagionando, per imperizia, negligenza e per inosservanza della normativa in materia di prevenzione degli infortuni - di cui ai capi d'imputazione di seguito indicati - il decesso di L.V., apprendista lavoratore con qualifica di "stivatore" al suo primo giorno di lavoro. In particolare l'infortunio si verificava durante le operazioni di imbarco e stivaggio di automezzi a bordo della Motonave "Espresso Catania" - attraccata presso la banchina "Trattaroli" del porto di Ravenna - operazioni commissionate, giusto contratto di subappalto dalla Impresa C.P. alla Cooperativa P. soc. coop. a r.l., che al momento dell'infortunio impegnava due squadre di lavoratori somministrati dalla I.-Agenzia per il Lavoro s.p.a. rispettivamente composte da quattro lavoratori in addestramento, tra cui la vittima V.L., e cinque stivatori effettivi, nonché da due soci dipendenti della cooperativa - preposti - con qualifica di capo nave per ciascuna squadra. Nell'esecuzione dell'operazione di stivaggio dell'ultimo automezzo, il semirimorchio"Acerbi" tg. RG 3407 di proprietà di I.M., risultato in rilevante sovraccarico rispetto al peso dichiarato e consentito, in assenza di un sistema di controllo del peso effettivo del carico in occasione della accettazione in banchina del mezzo stesso, C.F., socio dipendente della Cooperativa P. a r.l., con mansione di autista, alla guida del trattore SISU Ra 34644, noleggiato dalla C.P. s.r.l. e utilizzato per trainare il semirimorchio all'interno della stiva della Motonave, mentre procedeva in retromarcia lungo la rampa di accesso alla stiva inferiore di prua (cd. stivetta), lungo la cui parte terminale doveva stivare il mezzo, in precarie condizioni di visibilità e in assenza di idonei mezzi di segnalazione e comunicazione con gli operatori in attesa all'interno della stiva - peraltro in numero eccessivo rispetto alla spazio di manovra consentita - perdeva il controllo del mezzo (costituito dal trattore e dal semirimorchio ivi agganciato) per inidoneità del sistema frenante, che rovinava velocemente lungo la rampa, ripida, usurata e resa scivolosa dalla presenza di idrocarburi e ruggine, andando ad urtare prima contro entrambe le paratie che fiancheggiano la rampa per poi precipitare nella stiva dove finiva la corsa urtando violentemente un altro semirimorchio, precedentemente stivato, a lato del quale sostavano i lavoratori tra cui la vittima, l'apprendista V.L., in attesa di ultimare le operazioni di stivaggio che, senza alcuna via di fuga, rimaneva schiacciata tra i due mezzi perdendo la vita all'istante. In Ravenna in data 1/09/06.
Condotte colpose dovute, oltre a generica imperizia e negligenza nell'organizzare le fasi lavorative, all'inosservanza di specifiche norme di legge posta a tutela dei lavoratori, indicate nei capi d'imputazione che seguono:
B) OMISSIS
C) OMISSIS
D) OMISSIS
P.M. in qualità di responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione C.P. s.r.l
E) del reato previsto e punito dagli art. 4 comma I e II del DLvo 626/94 così come integrato dall'art. 4 comma I lett. B) e lett. E) e art. 31 lett. C) del DLvo 272/99, art. 35 comma IV e artt 89 e 90 del DLvo 626/94 e artt. 168 e 374 e 389 DPR 547/55 perché nella qualità di cui sopra, nell'ambito delle operazioni portuali di imbarco e sbarco rotabili, noleggiava alla Cooperativa P. soc. coop. il trattore SISU Ra 34644. utilizzato per il traino del semirimorchio Acerbi tg. RG 3407 dal piazzale antistante la banchina all'interno della stiva della Motonave Espresso Catania, omettendo di predisporre una mirata analisi e valutazione del rischio macchina trattore, atteso che la stessa non disponeva del certificato di conformità. La macchina risultava obsoleta e non adeguata alle condizioni di impiego - in ragione della pendenza e delle condizioni della rampa della Motonave e del sollevamento eccessivo della ralla resosi necessario per superare i dossi dovuti alla pendenza della rampa e al mancato rientro delle gambe di appoggio del semirimorchio - con particolare riguardo alle fasi di arresto del trattore non risultando, all'uopo, dotato di freno di soccorso (ma solo del freno di stazionamento), di dispositivo antibloccaggio delle ruote in fase di frenatura (ABS), del dispositivo di disimpegno della trasmissione del moto collegata al freno, diversamente da come previsto nel manuale di istruzione. Non adeguatezza tecnica del trattore risultata tra le concause della dinamica dell'infortunio.
Fatto accertato in Ravenna in data 1/09/2006
F) OMISSIS
T.V. Primo Ufficiale di Coperta in qualità di responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione della Motonave Espresso Catania;
G) del reato p.e. p dall'art. 3 lett. a), b), c),d), e), f), g), h), p), q), r), t), e art. 4 comma I e II, art. 89 e 90 del DLvo 626/94 così come integrato dagli artt. 1, 2, 3 del D. Lvo 272/99, e art. 4 comma I lett. B) e lett. E) del DLvo 272/99, art. 6, art. 35 DLvo 271/99 perché nelle rispettive qualità di cui sopra e nell'ambito della società di appartenenza non effettuavano, ognuno per la parte di propria competenza, in qualità di datori di lavoro-committenti e sub-appaltatori nonché di responsabili del Servizio di Prevenzione e Protezione, in relazione alla natura dell'operazione portuale di imbarco dei rotabili, e nella specie in relazione all'imbarco del semirimorchio Acerbi tg. RG 3407 a bordo della Motonave "Espresso Catania" - una mirata e completa analisi e valutazione del rischio connesso con le operazioni di stivaggio dei mezzi, e dei rischi riguardanti i lavori da effettuarsi a bordo della Motonave, che tenesse conto di ogni fase del ciclo in relazione alla tipologia della nave, ai materiali movimentati, all'attrezzatura utilizzata per il traino dei rotabili, al piano di carico, al peso effettivamente trasportato dai rotabili, omettendo così di adottare le misure idonee a rimuovere le fonti di pericolo. In particolare non analizzavano e non valutavano il rischio specifico, per la sicurezza dei lavoratori, dovuto all'attività di stivaggio del semirimorchio in retromarcia fin sulla rampa, non coordinando, tra l'altro, il Piano di carico con specifico riferimento alla decisione di destinare gli ultimi spazi della stiva inferiore di prua a semirimorchi condotti sulla rampa in retromarcia, non prevedendo, tra l'altro, la predisposizione di un sistema di pesatura in occasione della accettazione in banchina dei mezzi, per effettuare il dovuto controllo del semirimorchio Acerbi tg. RG 3407 affinché venisse imbarcato con il peso corrispondente a quello denunciato dal conducente. Omettendo altresì di predisporre le misure idonee a segnalare ai lavoratori, che dovevano svolgere le attività appaltate all'interno dei locali della Motonave Espresso Catania, la pendenza rilevante della rampa di accesso (pari al 17.1%). Non prevedevano la predisposizione di segnalatore acustico e/o visivo e di idonei mezzi di comunicazione tra gli stivatori e l'autista del trattore, non prevedevano né disponevano idonea assistenza in banchina per le operazioni di aggancio del rimorchio; non analizzavano e non valutavano il rischio specifico costituito dalla contemporanea presenza di oltre otto lavoratori disposti, durante l'ultimazione delle operazioni di imbarco e stivaggio dei rimorchi, in uno spazio angusto- quale la zona ed. stivetta della Motonave Espresso Catania ormai occupata interamente dai mezzi ivi parcheggiati- che non permetteva spazio di manovra costringendo i lavoratori a posizionarsi lungo le file dei rimorchi, senza alcuna via di fuga, in un ambiente lavorativo con scarsa illuminazione artificiale ed elevati livelli di rumore.
Fatto accertato in  Ravenna in data 1/09/06
T.V. Primo Ufficiale di Coperta in qualità di responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione della Motonave Espresso Catania.
H) del reato previsto e punito dall'art. 6 comma V lett. N) e art. 35 DLvo 271/99 perché nella qualifica di cui sopra ometteva di assicurare le condizioni di efficienza dell'ambiente di lavoro, in particolare omettevano di assicurare la regolare manutenzione tecnica della rampa di accesso alla cd. stivetta di prua, che si presentava in cattivo stato di conservazione, atteso che i traversini - posti a spina di pesce per aumentare l'aderenza dei pneumatici - erano usurati e presentavano spigoli arrotondati, deformati e resi scivolosi dalla presenza di idrocarburi e ruggine; in tal modo diminuiva significativamente l'aderenza dei pneumatici dei veicoli in movimento lungo la rampa, risultandone ridotta la capacità di rallentamento.
Fatto accertato in Ravenna in data 1/09/2006.
I) OMISSIS
L) OMISSIS

CONCLUSIONI DELLE PARTI

* Il Pubblico Ministero ha concluso come segue: condanna a due anni di reclusione per entrambi gli imputati.
* Il difensore di V.T. ha concluso come segue: assoluzione per non avere commesso il fatto o perché il fatto non costituisce reato.
* I difensori di M.P. hanno concluso come segue: assoluzione con formula ampia.

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Ad esito dell'udienza preliminare conclusasi il 6/4/2009, il G.U.P. emetteva decreto con il quale disponeva il giudizio per M.P. e V.T. in ordine ai reati in epigrafe trascritti, mentre pronunziava sentenza di non luogo a procedere per i coimputati F.P. e R.T., dopo avere stralciato la posizione di P.G. (che avrebbe poi "patteggiato" la pena) nonché quella degli altri undici coimputati, nei confronti dei quali si è proceduto con giudizio abbreviato (trattasi di I.M., R.A., R.C., P.C., M.V., R.R., M.I., F.C., G.P., L.A. e W.D.).

A tutti e sedici gli imputati, in forza delle loro qualifiche, specificate prima dell'indicazione dei capi d'accusa (v. richiesta di rinvio a giudizio prodotta all'udienza dell'8/10/2009), il Pubblico Ministero aveva contestato il delitto di omicidio colposo commesso in danno di L.V. l'1/9/2006.

Alla prima udienza dibattimentale, fissata per il 3/6/2009, si procedeva alla verifica della regolare costituzione delle parti: entrambi gli imputati venivano dichiarati contumaci.

La difesa di M.P. eccepiva tempestivamente, ai sensi dell'art. 491 c.p.p., l'inserimento nel fascicolo del dibattimento della consulenza tecnica disposta dal Pubblico Ministero ex art. 360 c.p.p.; l'eccezione veniva respinta con ordinanza allegata a verbale.

Aperto il dibattimento, venivano ammesse le prove richieste.

Nel corso dell'istruzione, prodotti od acquisiti sull'accordo delle parti vari atti e documenti, alle udienze fissate per l'ottobre 2009 venivano assunte tutte le prove orali, con l'esame dei seguenti testi e consulenti: R.L., funzionario del Servizio Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro dell'Azienda U.S.L. di Ravenna, D.V., ufficiale in servizio presso la Capitaneria di Porto di Ravenna, M.T., F. T. ed A.D., all'epoca colleghi di lavoro della vittima (udienza 1/10/2009); S.C., socio della Cooperativa P., E.F., G.M., M.L. e Y.B., colleghi di lavoro di L.V., e M.M., all'epoca capo officina (udienza 8/10/2009); G.S. e D.A., colleghi di V., nonché l'ing. M.M., consulente del Pubblico Ministero, l'ing. G.M. e l'ing. S.C., consulenti rispettivamente degli imputati T. e P. (udienza 15/10/2009); Pasquale LUBRANO, dirigente della società Tirrenia, testimone indicato dalla difesa T. (udienza 22/10/2009).

All'udienza del 9/12/2009 veniva prodotta copia della sentenza depositata il 23/10/2009 dal G.U.P. ad esito del giudizio abbreviato; le difese rinunziavano all'esame degli altri testimoni.

All'odierna udienza, dichiarati utilizzabili, ai sensi dell'art. 511 c.p.p., gli atti inseriti nel fascicolo del dibattimento, si è proceduto alla discussione, con l'illustrazione e formulazione delle conclusioni sopra riportate.

Ritiene il giudicante che, prima di addentrarsi nelle valutazioni di natura giuridica, non si possa prescindere da una breve premessa atta a ricordare che questa pronunzia si colloca alla fine di un dibattimento ove è stata rievocata una tragica vicenda umana: il pomeriggio dell'1/9/2006, nella "stivetta" della Motonave Espresso Catania, ormeggiata in una banchina del Porto di Ravenna, perse la vita un ragazzo innocente, di soli 22 anni, l'apprendista L.V., che dopo un rapido corso di formazione si trovava al suo primo giorno di lavoro effettivo.

I suoi nove colleghi, sentiti quali testimoni, hanno rievocato i terribili momenti che precedettero l'evento, svoltosi in pochi secondi senza che la vittima si potesse rendere conto di quanto stava accadendo; hanno riferito della discesa incontrollata dell'ultimo semirimorchio da imbarcare, andato ad urtare un altro mezzo parcheggiato sulla rampa, dopo avere sbandato e colpito le paratie; hanno ricordato l'incredulità e il dolore nel vedere L. schiacciato fra i due mezzi, morto sul colpo, dopo che loro erano riusciti, quasi miracolosamente, a mettersi in salvo, scappando o gettandosi a terra, magari spinti dall'operaio vicino.

I tre colleghi di V., anch'essi al primo giorno di lavoro (M.T., F.T. e G.S.) hanno evidenziato come non fossero stati adeguatamente formati ed informati dei compiti loro affidati e dei pericoli conseguenti; i primi due, sopraffatti dall'accaduto, si licenziarono subito dopo la morte del giovane compagno di lavoro, come peraltro avrebbero voluto fare altri colleghi di L., costretti a lavorare ancora sulla motonave (sia pure con diverse condizioni di sicurezza) solo in quanto privi di un'alternativa.

I sei operai effettivi (A.D., E.F., G.M., M.L., Y.B. e D.A.) hanno riferito che in realtà lavoravano solo da pochissimi mesi, dopo il termine del corso di formazione; alcuni di essi hanno rievocato l'incubo - il semirimorchio a tre metri mentre precipita verso di loro, la mancanza di vie di fuga - che ancora, a volte, non li fa dormire la notte.

Una "cosa assurda", ha detto qualcuno di loro.

Assurdo significa del tutto incomprensibile; in realtà una spiegazione dell'accaduto, purtroppo, esiste ed "esaminando l'accaduto secondo un'ottica più generale" essa é stata data dal G.U.P. nella sua sentenza (pag. 22), condivisa sul punto dal Pubblico Ministero nel corso della requisitoria: "la vera e principale causa dell'evento mortale in esame è riferibile a regole economiche non scritte, ma pur cogenti, che costringevano (e purtroppo costringono) i portuali a lavorare con ritmi velocissimi (da qui il soprannumero degli operai, la contemporanea gestione di due incarichi, la velocità di esecuzione, l'omessa verifica dei carichi o il mancato rispetto delle regole cautelari)".

In altri termini: quando la logica del profitto annienta la vita umana.

L.V. ha perso la vita e con lui è scomparsa la gioia di vivere dei suoi genitori (la madre, inconsolabile, ha voluto presenziare ad ogni udienza dibattimentale).

In senso tecnico-giuridico, però, L. è stato ucciso.

Non vi è dubbio alcuno che si sia in presenza di un omicidio colposo, aggravato dalla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni: in dibattimento questa considerazione è stata svolta anche dalle difese, non solo e non tanto perché vi sono già state due sentenze (quella di "patteggiamento", divenuta irrevocabile, e l'altra, emessa in sede di rito abbreviato, impugnata), che hanno riconosciuto la responsabilità di quattro soggetti, quanto perché - a prescindere dalla individuazione dei colpevoli - all'esito delle indagini effettuate e del materiale probatorio raccolto, confluito in dibattimento, è emerso chiaramente come le due cause del tragico infortunio, in linea del tutto generale, furono quelle indicate dal G.U.P. in sentenza, con una valutazione che in questo processo è stata condivisa da accusa e difese: la discesa incontrollata del veicolo lungo la rampa e la presenza di ben dieci lavoratori in uno spazio ristretto, privo di vie di fuga, durante l'esecuzione di una operazione potenzialmente pericolosa.

É del tutto ovvio che su queste cause materiali dell'evento, meno che mai, in questo caso, catalogabile come una "fatalità" - come purtroppo spesso si sente declamare in processi relativi ad infortuni sul lavoro -, abbiano inciso condotte umane gravemente colpose, ascrivibili a diversi soggetti.

Non è questa la sede, tuttavia, per giudicare dell'intera vicenda, atteso che l'odierno processo vede quali imputati due soli fra gli originari sedici soggetti per i quali il Pubblico Ministero formulò richiesta di rinvio a giudizio.

Dalla sintetica descrizione dello svolgimento del processo è apparso chiaro come in dibattimento si sia celebrata un'appendice del "vero" e più complesso giudizio, svoltosi con il rito abbreviato nei confronti di undici imputati, chiamati a vario titolo a rispondere del reato di omicidio colposo, oltre che di alcune violazioni della normativa antinfortunistica.

Peraltro, alla luce delle motivazioni della sentenza emessa il 27/7/2009 dal G.U.P. ad esito di tale giudizio, è del tutto verosimile ipotizzare che, laddove vi fosse stata contestualità con la decisione sul rinvio a giudizio degli odierni imputati, il giudice avrebbe emesso nei loro confronti (o, quanto meno, per M.P.) una sentenza di non luogo a procedere.

Detta sentenza, acquisita sull'accordo delle parti, non è definitiva, essendo stata impugnata, ed è chiaro che la stessa non può avere alcuna efficacia nel processo in esame.

Tuttavia, non pare dubbio che le argomentazioni ivi espresse possano essere criticamente ed autonomamente valutate dal giudicante, considerata anche la sostanziale identità del materiale probatorio più rilevante acquisito in quella ed in questa sede: ci si riferisce, in primo luogo, ai numerosissimi documenti prodotti nella fase delle indagini e poi confluiti nel fascicolo del dibattimento, ab origine o nel corso dell'istruzione, nonché agli elaborati redatti dai consulenti.

Si consideri anche che le parti hanno concordato l'acquisizione del verbale dell'udienza nella quale si svolse il confronto fra i vari consulenti nel giudizio abbreviato condizionato e che anche in questo processo gli esperti dell'accusa e delle difese sono stati esaminati e posti a confronto.

Il dibattimento si è arricchito, poi, delle testimonianze rese in contraddittorio dai soggetti sopra indicati, in maggior parte colleghi di lavoro della vittima, già sentiti a s.i.t. (eccezion fatta per l'unico teste della difesa), senza che dall'esame siano emerse contraddizioni rispetto alle precedenti dichiarazioni.

Per evitare un inutile appesantimento ed una duplicazione dell'apparato motivazionale, il giudicante "approfitterà" del lavoro compiuto dal giudice del rito abbreviato nella descrizione del fatto, per richiamare soprattutto alcuni dati che risultano per tabulas, alla luce dell'ampia documentazione prodotta, e che in larga parte non sono neppure controversi nella ricostruzione della vicenda.

L'art. 3 del decreto legislativo 27 luglio 1999, n. 272 (normativa sulla sicurezza e salute dei lavoratori nell'espletamento di operazioni e servizi portuali), alla lettera a), fa riferimento alle "operazioni di carico, scarico, trasbordo, deposito e movimentazione in genere delle merci e di ogni altro materiale, operazioni complementari ed accessorie svolte nell'ambito portuale", fra le quali rientra senza alcun dubbio quella di carico dei mezzi sulla nave.

Innanzitutto, agevole è risultata la individuazione dei soggetti coinvolti, in senso lato, nella "operazione portuale" nell'ambito della quale si verificò il tragico infortunio, ed alla specificazione dei vari rapporti contrattuali.

I documenti acquisiti avallano la descrizione di detti rapporti, riportata nella sentenza del G.U.P. (pag. 4-5): "con contratto del 23/3/2005 la società Tirrenia (società armatrice della M/N Espresso Catania) appaltava le operazioni nell'ambito del porto di Ravenna connesse " al carico, scarico, trasbordo, stoccaggio, movimento in genere delle merci (...) imbarcati o sbarcati su e da navi di cui la Tirrenia medesima è proprietaria e/o armatrice " alla T&C (Traghetti e Crociere Srl), società interamente partecipata dalla Autorità P. e proprietaria di un'area attrezzata prospiciente la banchina pubblica di Largo Trattaroli (presso cui veniva poi concretamente attraccata la M/N Espresso Catania); con altro precedente accordo del 19/12/2004 la Tirrenia aveva inoltre affidato alla Agenzia Marittima S. Spa le operazioni di agenzia merci e passeggeri e di raccomandazione marittima per le linee gestite dalla committente dal porto di Ravenna.

A sua volta, la T&C, così come espressamente previsto nello stesso contratto con Tirrenia, con atto del 1/4/2005 affidava alla Impresa C.P. - impresa debitamente autorizzata ex art. 16 L. 84/94 all'esercizio di operazioni e servizi portuali (autorizzazione per contro preclusa ex lege alla T&C, a norma dell'art. 6 L. 84/94) - l'esecuzione delle operazioni di imbarco e sbarco dei mezzi già attribuitele dalla committente, operazioni che di seguito venivano dalla medesima Impresa C.P. commissionate alla Cooperativa P. con convenzione del 28/7/05. Da ultimo, la Cooperativa P. stipulava con la C.P. un contratto di cd."noleggio a freddo" dei mezzi meccanici atti al lavoro portuale e con la I. Spa un contratto per la somministrazione di lavoratori a tempo determinato".

É altresì pacifico - fatto salvo un rilievo del Pubblico Ministero di cui si dirà - che i contratti scritti fra le varie imprese, scaduti prima dell'evento, furono rinnovati tacitamente e che di fatto tutti i rapporti fra le varie imprese fossero quelli sopra descritti, come confermato anche - per quanto riguarda la Tirrenia - dal teste P.L., direttore dell'esercizio flotta della stessa società armatrice (v. pg. 14-16 trascrizioni udienza 22/10/2009).

Va condivisa, poi, la preliminare osservazione svolta dal G.U.P. - pag. 2 della sentenza - in ordine alla "costruzione del capo di imputazione" relativo all'omicidio colposo, invero obiettivamente complessa nel momento in cui il reato venne contestato a sedici diversi soggetti in forza di una serie di condotte diverse l'una dall'altra, qualcuna a carattere omissivo, ma qualcun'altra a carattere commissivo.

Anche da ultimo (Cass. 29/4/2009, Cipiccia e altri), la Suprema Corte ha evidenziato la necessità di distinguere la causalità commissiva da quella omissiva, distinzione in astratto chiara (nella prima viene violato un divieto, nella seconda un comando), ma in concreto non sempre chiara.

In particolare, "è necessario evitare la confusione tra il reato omissivo e le componenti omissive della colpa: i casi dell'agente che pone in essere una condotta attiva colposa omettendo di adottare quella diligente (per es. il medico che adotta una terapia errata e quindi omette di somministrare quella corretta o che dimette anticipatamente il paziente e quindi omette di continuare a curarlo in ambito ospedaliero) non rientrano nella causalità omissiva ma in quella attiva".

Dalla ricostruzione del fatto in termini di causalità commissiva od omissiva discendono importanti conseguenze pratiche: solo nel secondo caso, infatti, assume rilievo, ex art. 40 comma 2° c.p., la tematica dell'obbligo giuridico di impedire l'evento e, quindi, l'individuazione della posizione di garanzia.

Inoltre, in termini diversi, evidentemente, va compiuto il giudizio controfattuale, rilevante ai fini dell'accertamento del nesso di causalità: nella causalità commissiva, infatti, ci si deve chiedere se, ipotizzando come non avvenuta la condotta commissiva descritta, l'evento si sarebbe ugualmente verificato, mentre nella causalità omissiva, detto giudizio va compiuto dando per avvenuta una condotta impeditiva che non c'è stata e chiedendosi se, posta in essere la medesima, l'evento sarebbe ugualmente avvenuto in termini di elevata credibilità razionale (in proposito, da ultimo, cfr. anche Cass. 23/9/2009, Gilardi).

Il tema di cui si è ora trattato risulta assai rilevante nel presente processo, laddove il reato di omicidio colposo, unitamente ad alcune contravvenzioni, è stato contestato agli odierni imputati, ascrivendo loro condotte omissive, avuto (solo) riguardo alla loro "qualità di Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione": della Motonave Espresso Catania V.T., in quanto Primo Ufficiale di Coperta, della C.P. s.r.l. M.P..

Questa preliminare, obiettiva constatazione è fondamentale e non può essere elusa.

Non vi è dubbio che, avuto riguardo a detto ruolo, M.P. e V.T. avessero una "posizione di garanzia", ma è evidente che l'addebito a carico dei soggetti gravati dell'obbligo di impedire l'evento, ex art. 40 comma 2° c.p.p., non può essere fondato soltanto su detta posizione.

Anche da ultimo (Cass. 23/9/2009, Tonti) la Suprema Corte ha ricordato che "l'itinerario che conduce alla responsabilità colpevole richiede altresì la presenza di un condotta concretamente colposa, dotata di un ruolo eziologico nella spiegazione dell'evento lesivo. La completa sovrapposizione di posizione di garanzia e colpa costituisce un ricorrente fattore di obliterazione della colpevolezza nella fondazione della responsabilità: una tendenza che deve essere contrastata rammentando che la posizione di garanzia, il ruolo di governo di un rischio, non implica automaticamente la responsabilità colpevole, quando manchi la prova che l'agente abbia violato una specifica regola cautelare che avrebbe agito su un evento prevedibile ed evitabile".

Invero, nel corso della discussione, il Pubblico Ministero - ha rilevato la difesa - non ha speso una sola parola per analizzare la specifica posizione dell'imputato M.P. quale RSPP della C.P.; quanto a V.T., invece, l'accusa ha fatto discendere dal suo ruolo obblighi che - come si vedrà - sullo stesso non gravavano: in proposito assai significativo è stato un rilievo svolto al termine della requisitoria, quando si è detto che alla vicenda non sarebbero estranei "i rappresentanti delle ditte" C.P. e Tirrenia, come se gli odierni imputati ne fossero i legali rappresentanti.

È indispensabile, allora, ricordare quali sono gli obblighi gravanti sul responsabile del servizio prevenzione e protezione, nei termini risultanti dagli artt. 8 e 9 del D. L.vo n. 626/1994, ora disciplinati dagli artt. 28, 31, 32 e 33 del D. L.vo. 9/4/2008 n. 81, da ultimo modificato (ma non su aspetti che rilevano nel caso di specie) dal D. L.vo 3/8/2009 n. 106.

Il responsabile del servizio è nella sostanza un consulente, un "suggeritore" e difetta di un effettivo potere decisionale, che rimane in capo al datore di lavoro, tant'é che non risulta neppure destinatario per legge, ai sensi dell'art. 1 comma 4-bis del D. L.vo 626/1994, dell'osservanza dei precetti prevenzionali: lo stesso decreto, dunque, ha escluso la diretta sanzionabilità penale o amministrativa di eventuali comportamenti inosservanti da parte dei componenti interni od esterni del servizio aziendale di prevenzione o protezione (ed anche il D.L.vo n. 81/2008 ha confermato detta esclusione, pur ampliando la gamma dei soggetti sanzionati per la violazione delle norme antinfortunistiche).

Peraltro, "il fatto che il decreto legislativo n. 626 del 1994 abbia escluso la diretta sanzionabilità penale o amministrativa di eventuali comportamenti inosservanti dei predetti componenti interni o esterni del servizio aziendale di prevenzione e protezione non significa che questi componenti possano e debbano ritenersi in ogni caso totalmente esonerati da qualsiasi responsabilità penale e civile derivante da attività svolte nell'ambito dell'incarico ricevuto.

Occorre distinguere infatti il piano delle responsabilità prevenzionali, derivanti dalla violazione di norme di puro pericolo, per le quali l'assenza di espressa sanzione esclude la responsabilità, da quello delle responsabilità per reati colposi di evento, quando, cioè, si siano verificati infortuni sul lavoro o tecnopatie, riconducibili alle previsioni di cui agli artt. 589 e 590 del codice penale.
Ne consegue che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, qualora, agendo con imperizia, negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e discipline, abbia dato un suggerimento sbagliato o abbia trascurato di segnalare una situazione di rischio, inducendo così il datore di lavoro ad omettere l'adozione di una doverosa misura prevenzionale, risponderà dell'evento dannoso derivatone essendo a lui ascrivibile un titolo di colpa che gli deriva dalla sua specifica posizione professionale.

Ed invero, come unanimemente riconosciuto, la istituzione del servizio di prevenzione e protezione, con la previsione di un autonomo responsabile, interno o esterno all'azienda, costituisce una delle innovazioni più significative del D.Lvo 626/94. Nel costruire un sistema organico della prevenzione, in adempimento dell'obbligo di adeguamento alla disciplina comunitaria, il legislatore italiano ha infatti dimostrato di voler privilegiare il momento organizzativo e preventivo, anche con l'istituzionalizzazione, appunto, di quel servizio di prevenzione e protezione (art. 8) in precedenza solo eventuale, e ad esso attribuendo (art. 9) specifici compiti di valutazione dei rischi, di individuazione delle misure prevenzionali, di informazione e formazione prevenzionale dei lavoratori. L'obbligatorietà della istituzione del servizio si riverbera sulla obbligatorietà dell'adempimento della prestazione, che non è più dovuta sulla base di un mero impegno contrattuale ma rappresenta l'adempimento di un compito legislativamente imposto a tutela della sicurezza del lavoro. É per altro ben noto che il momento della prevenzione è quello più importante al fine della tutela del bene salute e integrità del lavoratore ed è evidente che solo un sistema dotato di strumenti di autoadattamento, capaci di assicurare che la prevenzione risponda alle effettive e variabili necessità della singola realtà produttiva, può costituire uno strumento efficace per raggiungere l'obiettivo; di qui l'importanza dei compiti attribuiti al servizio di protezione e prevenzione dei rischi, che, ove rettamente intesi e adempiuti, costituiscono il momento iniziale, fondamentale ed ineliminabile della catena della sicurezza" (così, di recente, Cass. 4/4/2007, Aimone; in senso del tutto conforme, in precedenza, cfr. Cass. 20/4/2005, Stasi e altro e Cass. 15/2/2007, Fusilli; successivamente v. Cass. 6/12/2007, Oberrauch e altro).

Anche da ultimo (Cass. 23/4/2008, Maciocia e altri) è stato ribadito che "i componenti del servizio aziendale di prevenzione, essendo considerati dei semplici ausiliari del datore di lavoro, non possono venire chiamati a rispondere direttamente del loro operato, proprio perché difettano di un effettivo potere decisionale. Essi sono soltanto dei consulenti e i risultati dei loro studi e delle loro elaborazioni, come pacificamente avviene in qualsiasi altro settore dell'amministrazione dell'azienda - ad esempio, in campo fiscale, tributario, giuslavoristico - vengono fatti propri dal vertice che li ha scelti sulla base di un rapporto di affidamento liberamente instaurato e che della loro opera si avvale per meglio ottemperare agli obblighi di cui è esclusivo destinatario. Il fatto, però, - ed è questa la doverosa puntualizzazione - che il D.Lgs. n. 626 del 1994 abbia escluso la sanzionabilità penale o amministrativa di eventuali comportamenti inosservanti dei predetti componenti interni o esterni del servizio aziendale di prevenzione e protezione, non significa che questi componenti possano e debbano ritenersi in ogni caso totalmente esonerati da qualsiasi responsabilità penale e civile derivante da attività svolte nell'ambito dell'incarico ricevuto. Il che vuol dire che occorre distinguere nettamente il piano delle responsabilità prevenzionali, derivanti dalla violazione di norme di puro pericolo, da quello delle responsabilità per reati colposi di evento, quando, cioè, si siano verificati infortuni sul lavoro o tecnopatie".

La giurisprudenza, poi, ha evidenziato che la figura obbligatoria del responsabile del servizio prevenzione e protezione dell'azienda, prescritta dall'art. 8 del D. L.vo 626 del 1994 (per l'osservanza di quanto previsto dal successivo articolo 9), non deve essere confusa con quella, del tutto facoltativa ed eventuale, del dirigente delegato alla osservanza delle norme antinfortunistiche e alla sicurezza dei lavoratori, al quale siano stati trasferiti i compiti di natura tecnica ed organizzativa anche in materia di prevenzione degli infortuni.

I giudici di legittimità hanno ribadito, anche da ultimo (Cass. 10/7/2009, Pucciarini), che "il responsabile del servizio di prevenzione e protezione costituisce figura tutt'affatto diversa da quella, meramente eventuale, del responsabile per la sicurezza che, in quanto destinatario di poteri e responsabilità originariamente ed istituzionalmente gravanti sul datore di lavoro, deve essere formalmente individuato ed investito del suo ruolo con le note, rigorose modalità enunciate dalla costante giurisprudenza della Suprema Corte ".

Questi principi, da tempo pacifici nella giurisprudenza di legittimità, risultano determinanti ai fini della decisione.

Per comprendere quali siano le condotte colpose ascritte a M.P. e V.T., in forza delle quali l'accusa li ha ritenuti corresponsabili dell'omicidio, data anche la ricordata costruzione dell'imputazione sub a), occorre necessariamente avere riguardo alle singole violazioni agli stessi contestate nei capi seguenti, fermo restando che - per quanto detto sopra - delle contravvenzioni essi non possono essere ritenuti colpevoli, non essendo destinatari delle relative prescrizioni.

Peraltro, nello stesso capo d'accusa relativo al reato di cui all'art. 589 c.p., le condotte colpose vengono ravvisate nella "inosservanza di specifiche norme di legge poste a tutela dei lavoratori", indicate nei successivi capi d'imputazione, oltre che in "generica imperizia e negligenza nell'organizzare le fasi lavorative", attività questa ultima alla quale i due RSPP erano manifestamente estranei.

Iniziando ad analizzare la posizione di M.P., al capo E), ascritto all'odierno imputato ed a R.R. (quest'ultimo quale legale rappresentante della C.P. s.r.l.), è stato contestato il noleggio del trattore SISU, utilizzato per il traino del semirimorchio, ritenuto obsoleto e non adeguato alle condizioni di impiego, unitamente alla omessa predisposizione di "una mirata analisi e valutazione del rischio macchina trattore, atteso che la stessa non disponeva del certificato di conformità".

Alla luce dello specifico ruolo rivestito da P., RSPP, non vi è dubbio che l'eventuale sua responsabilità potrebbe essere connessa a tale secondo profilo, vale a dire ai suoi obblighi di individuare i fattori a rischio, di elaborare le misure preventive e protettive e le procedure di sicurezza per le varie attività aziendali, non potendosi certamente addebitare al consulente del datore di lavoro le condizioni di fatto nelle quali i mezzi venivano noleggiati.

Ciò posto, limitandosi innanzitutto al dato letterale dell'imputazione, che comunque costituisce la "bussola" di ogni processo, pare poco comprensibile la ragione (unica) sulla quale sarebbe fondata l'omissione contestata (vale a dire l'assenza del certificato di conformità), formulata forse sulla base di un (equivocato) rilievo contenuto nella consulenza dell'accusa, laddove si legge (pag. 82) che "il Documento di Valutazione dei rischi della C.P. S.r.l. non prende in considerazione l'esame della idoneità della macchina-trattore la cui analisi, in assenza della marcatura CE, è demandata all'utilizzatore".

L'assenza della marcatura CE era dovuta soltanto all'anno di produzione del SISU, comunque regolarmente commercializzato ed utilizzato.

A prescindere da detto rilievo, va ben evidenziata la natura del contratto concluso fra la C.P. e la Cooperativa P., ovviamente analizzata anche dal G.U.P.: trattavasi di un contratto di nolo a freddo, avente ad oggetto, cioè, la fornitura dei soli macchinari.

Il primo contratto fra il locatore C.P. s.r.l., in persona del legale rappresentante R.R., e la Cooperativa P. soc. coop. a r.l., in persona di L.M., fu concluso con scrittura privata del 31/12/1997, con decorrenza 1/1/1998 e scadenza 31/12/1998, ed aveva ad oggetto "il noleggio a freddo, comprensivo del carburante per l'uso, al locatario dei mezzi meccanici atti al lavoro portuale e relativo corredo, in seguito nominati macchinari, posseduti dal locatore" (art. 1).

Fra gli obblighi del locatario (Cooperativa P.) vi erano anche quelli di mantenere i macchinari "in buono stato di funzionamento, effettuando la manutenzione secondo le prescrizioni in uso" e di "rispettare le norme di sicurezza" (art. 4), obblighi poi ulteriormente specificati nella scrittura privata sottoscritta in data 27/7/1999.

L'art. 11 della prima scrittura prevedeva che il contratto si intendeva "tacitamente rinnovato di anno in anno salvo disdetta comunicata con raccomandata a/r, entro 20 giorni dalla scadenza".

Al momento del tragico infortunio è pacifico che fra le due imprese detto rapporto contrattuale fosse ancora in essere.

A questo punto, però, occorre dare atto di un rilievo svolto dal Pubblico Ministero nella parte finale della requisitoria, laddove si è ipotizzato che nel corso del tempo il rapporto fra C.P. e Cooperativa P. potesse essere mutato, cosicché non si potrebbe escludere che anche la prima fosse divenuta il "datore di lavoro" di L.V. e dei suoi colleghi.

L'interrogativo sollevato dal Pubblico Ministero, la cui risposta è stata in qualche modo demandata al giudicante, impone una serie di pur brevi considerazioni.

Innanzitutto - come rimarcato dalle difese - la fase nella quale l'accusa si deve porre delle domande, dei dubbi, al fine di individuare, fra le varie possibili alternative, la più probabile e convincente ricostruzione del fatto-reato, supportata dagli elementi di prova raccolti, è quella propria delle indagini preliminari, ad esito della quale l'azione penale verrà esercitata nei confronti dei soggetti ritenuti responsabili, con elementi idonei a sostenere l'accusa in giudizio (art. 125 disp. att. del codice di rito).

Nel dibattimento, invece, accusa e difesa hanno il compito, rispettivamente, di dimostrare la fondatezza di quella ipotesi ricostruttiva del fatto, di provare che l'enunciato assertivo contenuto nella imputazione corrisponde a quanto realmente accaduto in rerum natura, ovvero che detta ipotesi è infondata, che detto enunciato non corrisponde alla realtà dei fatti (in proposito si parla di "falsificazione" della ipotesi accusatoria), salvi i casi in cui, ad esito dei risultati di prova acquisiti in dibattimento, entrambe le parti convengano sulla sussistenza o sulla insussistenza della responsabilità penale dell'imputato.

Non è il dibattimento, dunque, il luogo per porsi degli interrogativi su temi di indagine sino ad allora inesplorati. Neppure il giudice, pur in ossequio al principio di legalità e proteso alla ricerca della verità sostanziale, potrebbe utilizzare i poteri di iniziativa probatoria, concessi, anche in caso di inerzia delle parti, dall'art. 507 c.p.p., norma che ha lo scopo di "consentire al giudice - che non si ritenga in grado di decidere per la lacunosità o insufficienza del materiale probatorio di cui dispone - di ammettere le prove che gli consentono un giudizio più meditato e più aderente alla realtà dei fatti che è chiamato a ricostruire" (così Cass. SS.UU. 17/10/2006, Greco).

Le Sezioni Unite, infatti, oltre a ribadire che la prova disposta dal giudice, in quanto assolutamente necessaria, deve avere il carattere della decisività, hanno espressamente statuito che il potere conferito al giudice da detta norma "andrà esercitato nell'ambito della prospettazione delle parti e non per supportare probatoriamente una diversa ricostruzione che il giudice possa ipotizzare".

Nel caso di specie, va evidenziato che la questione relativa ad una possibile ingerenza della C.P. nell'attività svolta dalla Cooperativa P. e, quindi, ad una possibile modifica di fatto nel rapporto contrattuale in essere dal 1998, è stata posta per la prima volta - peraltro in forma dubitativa - nelle battute finali della requisitoria, senza che né nei capi d'imputazione né nel corso dell'istruzione dibattimentale questo scenario del tutto inedito fosse stato preso in considerazione.

È evidente che una eventuale pronunzia di condanna che si fosse fondata su questa nuova prospettazione (è un ragionamento del tutto astratto, perché molteplici - come si vedrà - sono gli elementi che dimostrano l'estraneità di M.P. agli addebiti) avrebbe palesemente violato il principio della correlazione tra accusa e sentenza, sancito dall'art. 521 comma 2° c.p.p., atteso che il fatto ritenuto in sentenza si sarebbe trovato, rispetto a quello contestato, in rapporto di eterogeneità e di incompatibilità sostanziale, con un vero e proprio stravolgimento dell'imputazione originaria ed una sostituzione dei contenuti essenziali dell'addebito nei confronti dell'imputato.

Non è certo opportuno fermarsi, però, di fronte a questo pur fondamentale e sostanziale principio di garanzia - né, invero, lo ha fatto la difesa dell'imputato.

Si deve affermare, allora, che l'ipotesi dell'accusa, invero espressa in termini dubitativi, non è fondata su alcun supporto probatorio, sul benché minimo elemento indiziario.

Il Pubblico Ministero, invero, ha menzionato un unico dato, il cui significato, tuttavia, è tale che esso non può neppure essere definito un indizio, meno che mai grave e preciso: qualche collega di L., infatti, interrogato in ordine alla ditta per la quale prestava la propria opera, ha fatto riferimento, sia pure con incertezza, alla C.P., quando invece gli operai erano stati somministrati dalla società I. alla Cooperativa P., alla quale le operazioni di imbarco erano state subappaltate dalla Impresa C.P..

Pare evidente come l'affinità delle ragioni sociali possa avere indotto in errore qualcuno dei lavoratori, peraltro non molto interessati al dato formale inerente l'impresa alla quale erano stati somministrati; nessuno di essi, tuttavia, ha fatto riferimento a persone fisiche riconducibili alla ditta che noleggiava i macchinari.

Accertato, dunque, che la C.P. s.r.l. - come contestato nei capi d'imputazione - si limitava a noleggiare a freddo i macchinari alla Cooperativa P., si deve affermare che ogni profilo inerente l'utilizzo in concreto da parte del noleggiatore del macchinario stesso non era questione che potesse essere esaminata e valutata nel documento di valutazione dei rischi proprio della C.P..

Dalle citate norme del D. L.vo n 626/1994 e del vigente testo unico si evince chiaramente che il datore di lavoro e il responsabile del servizio di prevenzione e protezione - come ricordato dalla difesa P. - si debbono occupare della salute e della sicurezza dei lavoratori alle dipendenze di quel datore di lavoro e della propria organizzazione lavorativa aziendale, con riferimento anche al luogo ove gli stessi prestano la propria opera, tant'è che il vigente D. L.vo n. 81/2008, all'art. 29 comma 4°, prevede che il documento di valutazione dei rischi sia custodito "presso l'unità produttiva alla quale si riferisce la valutazione dei rischi".

Nel caso di specie i dipendenti della C.P., essenzialmente impiegati amministrativi, non utilizzavano certamente i macchinari, che venivano soltanto noleggiati (a freddo) a terze imprese.

Ne consegue che nessun fondamento può avere neppure l'addebito mosso a M.P. nel capo G), contestato anche ad altri 11 imputati.

Peraltro, solo nel corso della discussione è emerso che nel decreto che ha disposto il giudizio, emesso ex art. 429 c.p.p., detto capo d'accusa non è stato contestato all'imputato.

Poiché anche M.P. figurava fra gli undici soggetti ai quali era stato originariamente ascritto l'addebito e nei confronti dello stesso non è stata emessa sentenza (parziale) di non luogo a procedere, è evidente che si è verificato un mero errore materiale, sostanziatosi nella omessa trascrizione del nominativo del predetto imputato insieme a quello di T..

Nel capo G) - per quanto concerne la posizione rivestita da M.P. - è stata contestata la omessa predisposizione di una mirata e completa analisi e valutazione del rischio connesso alle operazioni di stivaggio del semirimorchio trainato dal trattore, operazioni alle quali la C.P., però, era radicalmente estranea, in forza della ricordata ed acclarata natura del contratto concluso con la Cooperativa P., essendo addirittura "priva della necessaria autorizzazione all'accesso ed al lavoro in porto e sulle navi, a norma della L. 84/94", come ricordato dal G.U.P. (pag. 19 della sentenza) per escludere che sulla C.P. gravasse un ruolo nella ideazione, organizzazione, coordinamento e controllo di cautele antinfortunistiche per le operazioni di imbarco e sbarco dei rotabili.

Alla luce delle argomentazioni svolte in precedenza, la valutazione del giudice non può che essere condivisa.

Si consideri, in proposito, che anche da ultimo (Cass. 5/3/2009, Cossi e altro), la Suprema Corte ha statuito che nel contratto di nolo a caldo, caratterizzato dal fatto che il locatore mette a disposizione dell'utilizzatore non solo un macchinario (come nel nolo a freddo), ma anche un proprio dipendente con una specifica competenza nel suo utilizzo, non si applicano i principi stabiliti dalla normativa sulla prevenzione degli infortuni in tema di appalto, in forza dei quali, secondo quanto disposto dall'art. 7 D. L.vo n. 626/1994 (ora art. 26 T.U. 81/2008), sono posti a carico di tutti gli imprenditori coinvolti nel lavoro obblighi di coordinamento della loro attività al fine di organizzare ed attuare le misure di prevenzione.

È del tutto chiaro che l'inapplicabilità di detti principi, a fortiori, valga in presenza di un contratto di nolo a freddo, nel quale - come detto - il locatore si limita a mettere a disposizione soltanto la macchina.

Ma vi è di più: questa argomentazione aveva rilievo ed è stata utilizzata per valutare la posizione di R.R., legale rappresentante della C.P., ed è addirittura ultronea rispetto a quella di M.P., che era solo RSSP di detta impresa (circostanza decisiva e per certi versi assorbente, obliterata nel corso della requisitoria).

La disamina della posizione di M.P. potrebbe fermarsi qui, in quanto già risulta dimostrata, alla luce delle considerazioni svolte, la sua completa estraneità rispetto alle condotte colpose contestate.

Solo per completezza, però, si ritiene di dover evidenziare, sia pure in modo sommario, un altro aspetto essenziale della vicenda, anche perché affrontato dalle parti nel corso della discussione: ci si riferisce alla dimostrata assenza di nesso causale fra la (presunta) inadeguatezza tecnica del trattore SISU e lo scivolamento incontrollato ed incontrollabile del semirimorchio lungo la rampa e, quindi, l'investimento della povera vittima.

Infatti, già nella fase delle indagini, alla luce delle prove tecniche eseguite presso la Motorizzazione Civile, era emerso, come si legge nella sentenza del G.U.P. (pag. 10-11), "così come chiarito definitivamente ed univocamente in udienza dai consulenti ing. M. ed ing. C., esaminati nel contraddittorio - che i freni del trattore SISU ed i serbatoi dell'aria dello stesso (deputati all'azionamento dei freni) erano integri tanto da garantirne la piena capacità frenante anche a motore spento ed anche dopo ben 15 azionamenti del freno. Non altrettanto poteva per contro affermarsi per il semirimorchio - che di fatto in sede di esperimenti presso la Motorizzazione civile non superava la prova di efficienza -, la cui capacità frenante era decisamente deficitaria, sia perché un attuatore di frenata risultava rotto (così come riportato nella stessa relazione del ct di parte dell'I., ing. T.), sia perché la pressione dell'aria nel serbatoio ausiliario risultava insufficiente (verosimilmente a causa di una perdita dell'impianto): di talché, dopo sole tre prove di frenata (eseguite presso la Motorizzazione Civile) a motore spento l'azione frenante del convoglio nel suo complesso risultava nulla, proprio per l'abnorme consumo d'aria del rimorchio, ancorché lo stesso fosse stato subito prima delle prove in questione collegato ad una motrice che lo aveva condotto dal Porto di Ravenna sino alla Motorizzazione Civile, così avendo avuto ampio modo di ricaricare i propri serbatoi di aria. D'altro canto, le prove di frenata effettuate dai consulenti evidenziavano che per ricaricare le bombole il SISU impiegava diversi minuti, di talché anche in caso di frenata a motore acceso l'esito non sarebbe affatto cambiato (posto che l'evento si verificava in pochi secondi)".

Entrambi i consulenti, quindi, "convenivano infine che l'unica ipotesi logicamente e scientificamente sostenibile fosse che il trattore - la cui efficacia frenante rispetto all'intero veicolo era stata accertata anche solo in forza dei propri freni - non fosse riuscito a trattenere il rimorchio proprio in quanto ostacolato dalle carenze del tale mezzo cui si trovava collegato, carenze che determinandone lo svuotamento delle bombole di aria con abnorme subitaneità dopo solo tre frenate, avevano inibito qualunque capacità dell'intero sistema frenante del convoglio" (sottolineature e grassetto in sentenza).

Si sono riportate le considerazioni del G.U.P. sul punto in quanto le stesse efficacemente riassumono le convincenti, coerenti e soprattutto concordanti valutazioni tecniche dei consulenti, fondate anche su prove sperimentali eseguite in contraddittorio: nelle proprie relazioni l'ing. M. e l'ing. C. logicamente affermarono che il mezzo effettuò la discesa incontrollata a causa del difetto all'impianto frenante del semirimorchio, il cui carico il trattore, che disponeva invece di un sistema frenante efficiente, sarebbe stato in grado di sopportare.

Nel corso del contraddittorio avanti il G.U.P. (il cui verbale è stato acquisito sull'accordo delle parti) i consulenti - come ricordato in sentenza - ribadirono detta comune valutazione e la medesima conclusione è stata dagli stessi riproposta nel corso dell'esame dibattimentale e ad esito del confronto (pag. 47-49, 72-73 trascrizioni udienza 15/10/2009), chiuso dal consulente del Pubblico Ministero con una perentoria affermazione, in risposta a domanda del giudice: "...se fosse stato efficiente anche il sistema frenante del semirimorchio....certo, non succedeva assolutamente nulla".

Coerente rispetto alla valutazione tecnica dei consulenti è risultata la deposizione del teste M.M., capo officina, che dopo il tragico evento fu chiamato sul posto per rimettere in moto il trattore: egli ha ricordato con sicurezza che gli impianti frenanti del semirimorchio e del SISU erano collegati e che entrambi i serbatoi d'aria erano vuoti (v. pag. 30 trascrizioni udienza 15/10/2009), con ciò confermando con un dato obiettivo, riscontrato poco dopo l'incidente, quanto ricostruito sotto un profilo tecnico dai consulenti.

In proposito va anche evidenziata l'indipendenza e l'assenza di "contaminazioni" fra la valutazione tecnica dei consulenti e la dichiarazione del teste: si consideri, infatti che M. per la prima volta riferì detta precisa circostanza, poi confermata in dibattimento, quando fu sentito a s.i.t. il 13/4/2007 (v. contestazione del P.M. a pag. 32), vale a dire dopo che l'ing. M. aveva depositato la propria relazione, comunque non conoscibile dal teste quando fu ascoltato dalla polizia giudiziaria.

A fronte di detta valutazione tecnica conclusiva, che si è inteso riportare in quanto espressa di comune accordo dai consulenti, in modo coerente con una importante testimonianza, sarebbe davvero fuori luogo soffermarsi a lungo su altri aspetti inerenti le presunte inadeguatezze del trattore SISU, contestate nel capo E), che pure sono stati oggetto di discussione, quali la mancanza del dispositivo di disimpegno e del sistema ABS - non presenti nei moderni trattori in quanto dannoso il primo ed inutile il secondo - e quella del freno di soccorso, previsto dal contestato art. 31 del D. L.vo n. 22/1999 nei "mezzi addetti alla movimentazione dei contenitori", quale non era la macchina in questione, ove comunque il freno di soccorso era costituito dal distributore duplex, che - come scritto, documentato e spiegato in modo convincente dall'ing. Caricasulo - prevedeva l'utilizzo di due valvole di ammissione dell'aria collegate allo stesso comando (pedale freno in cabina), che agiscono contemporaneamente ma indipendentemente su ciascun asse del trattore. Queste valutazioni sono comunque irrilevanti nel momento in cui è dimostrato che il sistema frenante del trattore era perfettamente efficiente, dovendosi ricondurre la discesa incontrollata lungo la rampa al difetto dell'impianto frenante di questo ultimo mezzo.

M.P. - lo si ribadisce - è ulteriormente indifferente perché, quale responsabile del servizio prevenzione e protezione della C.P., consulente dell'impresa con i limitati e ricordati compiti, non poteva certo essere chiamato a rispondere delle condizioni in cui venivano noleggiati i macchinari, circostanza che non solo lo avrebbe dovuto tenere assai lontano da una credibile contestazione di omicidio colposo (e ciò a prescindere da quanto accertato in tema di cause della discesa del semirimorchio), ma che rende ora del tutto inutile una completa analisi delle presunte carenze del trattore SISU, pur se in comprovata assenza di nesso causale con l'evento, integranti, in ipotesi, le violazioni contestate al capo E), delle quali, proprio alla luce del ruolo rivestito (RSPP non destinatario delle norme antinfortunistiche), l'imputato non può in radice essere chiamato a rispondere, come statuito dalla costante ed anche recentissima giurisprudenza, precedentemente richiamata.

È dimostrato, dunque, che M.P. non ha commesso alcuna delle condotte colpose contestategli.

Si impone, pertanto, una sentenza di assoluzione con la formula: "per non avere commesso il fatto".

Non vi è dubbio, infatti, che il reato di omicidio colposo è stato commesso e che, quindi, il fatto sussista: "è parimenti pacifico, in dottrina e giurisprudenza, che la formula " perché il fatto non sussiste " indica la mancanza di uno degli elementi costitutivi di natura oggettiva del reato (la condotta, l'evento o il nesso di causalità). La formula " perché l'imputato non l'ha commesso " presuppone invece la sussistenza di un fatto penalmente rilevante, ma dichiara l'impossibilità di attribuirne la commissione all'imputato, o perché è stata raggiunta la prova positiva della totale estraneità dell'imputato al fatto o perché manca o è insufficiente la prova del suo coinvolgimento" (così Cass. SS.UU., 29/5/2008, Dobre).

Venendo ora a trattare della posizione di V.T., "Primo ufficiale di Coperta in qualità di Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione della Motonave Espresso Catania", ritiene il giudicante di condividere il rilievo svolto dalla difesa dell'imputato in apertura dell'arringa: in assenza delle prove (produzioni documentali e testimonianza di P.L.) offerte dalla stessa difesa, a carico di V.T. vi sarebbe stato lo "zero assoluto", non un accenno alla sua figura nel corso delle altre deposizioni, non un documento - tra quelli acquisiti in dibattimento - dal quale emergessero i suoi obblighi, compiti e competenze e persino il suo ruolo, così come contestato.

L'effettività di detto ruolo, al momento del tragico evento, in capo all'imputato può essere riconosciuta soltanto in quanto espressamente ammessa dalla difesa, anche nel corso dell'esame del proprio testimone.

Dall'estratto del "manuale di gestione della sicurezza dell'ambiente di lavoro" si evince che la società Tirrenia affidò il ruolo di RSPP all'interno delle singole navi al Primo Ufficiale di Coperta, "ferme restando le prerogative di legge riconosciute ed imposte al comandante".

Detta figura veniva definita dipendente e collaborativa:

* "dipendente in quanto è solo al Comandante e per lui alla Tirrenia che egli deve rispondere, oltre naturalmente che alle Autorità dello Stato, e pertanto, tenuto conto dei necessari gradini gerarchici, ha il permesso di accesso più diretto possibile alle fonti direttive primarie dell'Azienda;

* collaborativa in quanto giustificata dall'elevata difficoltà tecnica di valutazione e gestione del problema " sicurezza " a bordo e, pertanto, soggetto consulente imprescindibile sia del Comandante e tramite Lui dell'Armatore".

Va evidenziato che detto manuale era stato dettato per tutte le navi dell'armatore e non riguardava affatto la specifica Motonave Espresso Catania.

È estremamente significativo che i compiti di vigilanza, controllo, formazione e segnalazione affidati al Primo Ufficiale di Coperta, quale RSPP, contenuti in detto manuale, facessero riferimento a quanto stabilito dall'art. 15 del D. L.vo n. 271/1999, decreto che - come ricordato anche dal G.U.P. - disciplina esclusivamente le misure di sicurezza relative "ai lavoratori marittimi imbarcati a bordo di tutte le navi e unità mercantili".

Il rilievo appare significativo e va coordinato con quanto previsto dal D.L.vo n. 272/99, pertinente in quanto contenente norme sulla sicurezza e salute dei lavoratori nell'espletamento di operazioni e servizi portuali, laddove, all'art. 3 lettera c), dà la definizione di datore di lavoro: "il titolare dell'impresa portuale; il comandante della nave che si avvale dei membri dell'equipaggio per i servizi e le operazioni portuali, in regime di autoproduzione, ai sensi dell'articolo 16, comma 4 lettera d) della legge 28 gennaio 1994, n. 84, o per operazioni di riparazione e manutenzione navale; il titolare dell'impresa di manutenzione, riparazione e trasformazione delle navi".

Da tale disciplina discende che il documento di valutazione dei rischi, denominato documento di sicurezza (e contenente - come previsto dall'articolo 4 del decreto - anche la descrizione delle operazioni e dei servizi portuali oggetto dell'attività dell'impresa portuale e l'individuazione delle misure di prevenzione e protezione e dei dispositivi di protezione individuale da adottare in relazione ai rischi derivanti dalle operazioni e dai servizi portuali), dovrebbe essere redatto dal comandante della nave solo nel caso in cui egli si avvalga dei membri dell'equipaggio per i servizi e le operazioni portuali, circostanza evidentemente non verificatasi nel caso di specie, laddove tutte le operazioni connesse alle attività portuali, comprese quelle di imbarco dei rimorchi, erano state dalla Tirrenia appaltate alla T & C, da questa subappaltate alla Impresa C.P., con il successivo subappalto alla Cooperativa P..

Effettivamente la valutazione dei rischi connessi a dette operazioni, la predisposizione delle misure di prevenzione e l'attività di formazione ed informazione furono svolte dalla Impresa C.P. e dalla Cooperativa P..

Del resto né il consulente dell'accusa, nella sua relazione scritta e nell'esame, né lo stesso Pubblico Ministero, nel corso della discussione, hanno anche solo dedotto che, quale RSPP, T. avrebbe dovuto redigere un autonomo e ulteriore documento di valutazione dei rischi, riguardante operazioni portuali che non vedevano coinvolti i membri dell'equipaggio.

Ne consegue, dunque, che nessuna delle condotte omissive contestate al capo G) sia ascrivibile a V.T..

In ogni caso, va ribadito da un lato che l'imputato, nella qualità di RSPP, non poteva essere chiamato a rispondere personalmente di dette condotte, in quanto non destinatario delle norme in ipotesi violate, dall'altro che non vi è prova alcuna che egli "abbia dato un suggerimento sbagliato o abbia trascurato di segnalare una situazione di rischio, inducendo così il datore di lavoro ad omettere l'adozione di una doverosa misura prevenzionale " (così la giurisprudenza già citata a proposito della figura del RSPP), dovendosi in proposito anche evidenziare che il comandante della nave P.G. è stato condannato, a seguito della richiesta di applicazione della pena, con sentenza emessa dal G.U.P. il 6/10/2009, divenuta irrevocabile in data 1/12/2009.

Nel capo H), invece, sono richiamate solo norme previste dal D.L.vo n. 271/1999, non pertinenti - come detto - alla fattispecie.

A prescindere da questo rilievo, la condotta contestata evoca in qualche modo la responsabilità dell'imputato non quale RSPP ma in quanto primo ufficiale di coperta, figura subordinata, nella gerarchia, al comandante e al direttore di macchina.

In proposito il Pubblico Ministero, nella sua requisitoria, ha fatto (esclusivo) riferimento al "controllo delle operazioni di movimentazione del carico e della zavorra durante il servizio di guardia", compito risultante dal punto 4.5.1.2. (II) dell'estratto del Safety Management Manual (edizione 7/10/2004), documento prodotto anch'esso dalla difesa.

Sul punto, però, avuto anche riguardo al contesto nel quale tale previsione è collocata, sono risultate convincenti le spiegazioni fornite dal consulente ing. G.M.(di professione perito nello specifico campo navale) e del teste P.L. (direttore dell'esercizio flotta e RSPP della società Tirrenia): il "controllo" demandato al primo ufficiale di coperta, nella fattispecie, comportava che, al termine delle operazioni di imbarco, il carico fosse stato correttamente ed adeguatamente assicurato e bilanciato ai fini della sicurezza della navigazione.

Questa valutazione appare convincente in quanto le operazioni di imbarco (movimentazione, stivaggio, rizzaggio), prima della partenza della nave, erano state appaltate (e subappaltate) ad altre imprese ed alle stesse erano del tutto estranee i membri dell'equipaggio.

Pare evidente che V.T., nella suddetta veste, non avesse alcun potere di ingerirsi in dette operazioni.

La difesa dell'imputato, più in generale, ha richiamato anche i limiti di applicazione dell'art. 7 comma 2° del D. L.vo n. 626/1994 (trasfuso poi nel vigente art. 26 D. L.vo 9/4/2008 n. 81) in tema di cooperazione fra committente ed appaltatore, questione necessariamente affrontata anche dal G.U.P. nella sua sentenza (pag. 17-18).

È noto che, secondo costante giurisprudenza, "questa cooperazione non può intendersi come obbligo del committente di intervenire in supplenza dell'appaltatore tutte le volte in cui costui ometta, per qualsiasi ragione, di adottare le misure di prevenzione prescritte a tutela soltanto dei suoi lavoratori, poiché la cooperazione, se così si intendesse, si risolverebbe in un'inammissibile ingerenza del committente nell'attività propria dell'appaltatore al punto di stravolgere completamente la figura dell'appalto" (così, da ultimo, Cass. 21/5/2009, Controne e altro; in senso conforme cfr., fra le più recenti, Cass. 13/11/2008, Vella; Cass. 18/9/2008, Tempera e altro; Cass. 29/4/2008, Barzagli e altro).

Tuttavia, la concreta verifica circa le conseguenze dell'applicabilità di questo generale principio nel caso di specie - vale a dire in ordine ad una esclusione di responsabilità o meno di "Tirrenia" (volutamente si fa riferimento alla società armatrice) - è questione che non può riguardare affatto l'odierno imputato, che ovviamente non era il "rappresentante della ditta", bensì era il primo ufficiale di coperta - e, in quanto tale, anche RSPP - della Motonave Espresso Catania.

Preso atto che V.T. senza alcun dubbio non aveva un ruolo di rappresentanza o di responsabilità nella società armatrice, si andrebbe fuori tema nel caso in cui in questa sede si affrontasse la questione della sussistenza di eventuali condotte colpose in capo a chi per l'armatore rivestisse effettivamente detto ruolo.

Va evidenziato, peraltro, che - a prescindere da quanto sostenuto nel corso della requisitoria - lo stesso Pubblico Ministero, nella formulazione dei capi d'imputazione, aveva contestato la violazione dell'art. 7 comma 2° del D. L.vo n. 626/1994, per quanto riguarda "Tirrenia", ai soli legali rappresentanti della società armatrice F.P. e R.T., nei confronti dei quali il G.U.P., contestualmente al rinvio a giudizio degli odierni imputati, emise sentenza di non luogo a procedere, tenuto conto della loro posizione soggettiva.

In detta pronunzia, senza entrare nel merito della vicenda, il giudice ritenne che P. e T. non avessero la posizione di garanzia in materia antinfortunistica, stante le ragguardevoli dimensioni della società Tirrenia, ove è costituita anche una "Direzione Generale Tecnica, dotata di un proprio direttore e di un vicedirettore generale, con tanto di responsabili della sorveglianza tecnica della flotta, della direzione dell'esercizio flotta, del servizio progettazioni e nuove costruzioni ed, infine, del servizio sicurezza", tutti apparati con i quali chiaramente nulla aveva a che fare V.T..

Il G.U.P. lasciò impregiudicata la valutazione in ordine ad eventuali responsabilità - per la Tirrenia - di altri soggetti effettivamente destinatari degli obblighi in materia di prevenzione anche nella sentenza emessa ad esito del giudizio abbreviato ("Prescindendo allora da quanto possa riguardare Tirrenia quale società armatrice della motonave Catania, committente (sulla base peraltro di contratti ormai scaduti) delle operazioni di carico e scarico presso la banchina Trattaroli, parte attiva nel rilascio degli ordinativi di imbarco....." - pg. 19).

Tale scelta appare corretta e ad essa si atterrà anche il giudicante in questa sede, atteso che diversamente - esprimendo cioè valutazioni inerenti la responsabilità di "Tirrenia" - si opererebbe una indebita "invasione di campo", interferendo su prerogative che invece restano proprie ed esclusive dell'accusa.

Compito della Corte d'Appello, invece, sarà quello di valutare la correttezza della conclusioni alle quali è pervenuto il G.U.P., secondo il quale l'enorme "carenza" nella operazione di imbarco, effettuata in presenza di dieci lavoratori, stipati in luogo angusto e senza vie di fuga "non si è verificata in fase ideativa e preventiva, bensì in fase attuativa e di esecuzione: ovvero, le responsabilità ex artt.4 e 7 D.lvo 626/94 e 4 D.lvo 272/99 non appaiono in fatto attribuibili a coloro che, come loro spettante per legge - quali legale rappresentante della Cooperativa P. (C.R.), della Impresa P. (M.I.) e responsabile del servizio di Prevenzione e Protezione della Cooperativa P. (A.R.) -, materialmente stilarono i documenti di valutazione rischi e coordinarono tale predisposizione, curando anche la formazione in materia dei lavoratori " (pag. 20).

Non si tratterà, dunque, della sussistenza o meno delle contestate omissioni contenute nel documento di valutazione dei rischi elaborato dalla Cooperativa P. (alle quali pure ha fatto riferimento il Pubblico Ministero nel corso della discussione) e della loro eventuale incidenza causale sull'evento: anche in questo caso, infatti, il giudice indebitamente esprimerebbe una "opinione" e non valutazioni pertinenti e necessarie per emettere una decisione in questo processo, a carico degli odierni due imputati.

Il Pubblico Ministero, invero, non ha neppure dedotto che V.T. avesse avuto una delega alla osservanza delle norme antinfortunistiche e alla sicurezza dei lavoratori (assumendo una veste ben diversa da quella del RSPP, come si è visto) non solo dal legale rappresentante della società Tirrenia, ma neppure dal comandante della nave; del resto a T. ciò non era contestato nei capi d'imputazione.

Tuttavia, con specifico riferimento alla condotta descritta al capo H), inerente il controllo delle condizioni di efficienza dell'ambiente di lavoro (e, in particolare, della rampa di accesso alla stivetta) e, più in generale, alle responsabilità proprie del comandante della nave quale "datore di lavoro", si osserva che il G.U.P., nella sentenza più volte citata, ha fatto un riferimento, sia pure incidenter tantum, alla posizione dell'odierno imputato, laddove ha trattato delle varie posizioni di garanzia individuate dall'accusa, fra le quali ha menzionato quelle del "comandante della nave" e del "suo ufficiale responsabile della prevenzione infortuni" (pag. 4).

Più oltre, prima di affrontare le posizioni di vari imputati, il giudice ha richiamato il ruolo del comandante della nave "o di chi in sua vece responsabile della sicurezza sulla stessa" (pag. 19).

Anche se neppure il Pubblico Ministero - lo si ripete - ha allegato, prima ancora che dimostrato, che V.T., primo ufficiale di coperta, fosse stato dal comandante delegato alla osservanza delle norme antinfortunistiche e alla sicurezza dei lavoratori, con attribuzione di compiti di natura tecnica ed organizzativa anche in materia di prevenzione degli infortuni (si è detto più volte che il RSPP ha tutt'altra funzione), pare opportuno dissipare questo dubbio.

La giurisprudenza di legittimità è ormai consolidata nell'individuazione dei requisiti affinché si possa ritenere valida ed efficace la delega in materia, fermo restando che, sul piano processuale, "è il datore di lavoro ad essere onerato della prova circa il fatto storico dell'avvenuto conferimento della delega ed è da ritenere che quest'onere si estenda ai contenuti ed ai limiti della delega stessa" (così Cass. 7/2/2007, Ferrante; in precedenza, ex plurimis, v. Cass. 19/6/2006, Del Frate; Cass. 6/10/2005, Milletti e altro; Cass. 22/6/2005, Ioriatti).

Sarebbe sovrabbondante in questa sede esaminare a fondo le condizioni minime di validità ed operatività della delega: basti sommariamente ricordare, allora, che la stessa deve essere esplicita ed inequivoca nonché specifica nei compiti assegnati al delegato, il quale la deve espressamente accettare e deve essere soggetto professionalmente idoneo e dotato di mezzi finanziari nonché di poteri decisionali e di organizzazione autonomi (cfr., ad es., Cass. 29/2/2008, Radrizzani; Cass. 13/11/2007, Augusto e altri; Cass. 24/9/2007, Macorig; Cass. 8/5/2007, Checconi; Cass. 22/2/2006, Mastromartino; Cass. 9/3/2005, Marini).

È noto, poi, che l'art. 16 del D. Lgs. n. 81/2008 ha recepito i criteri comunemente utilizzati dalla Suprema Corte per ritenere valida la delega da parte del datore di lavoro.

Questi principi si attagliano, evidentemente, al caso di specie, atteso che l'osservanza delle misure di prevenzione degli infortuni sul lavoro può essere delegata dal comandante della nave solo in maniera espressa ad un membro dell'equipaggio con competenze specifiche, non potendo lo stesso, anche in forza della disposizione di cui all'art. 295 cod. nav. - che a lui attribuisce in modo esclusivo la direzione della manovra e della navigazione -, essere esonerato dall'armatore dalle suddette responsabilità (in questo senso cfr., ad es., Cass. 15/1/2003, Hutar).

Questa conclusione, peraltro, non contrasta con la valutazione fatta dal G.U.P. in ordine alla posizione dei legali rappresentanti di Tirrenia, che risulta conforme ad un principio anche di recente ribadito dalla Suprema Corte, riguardante un profilo affatto diverso, vale a dire - per le imprese di grandi dimensioni - "la delicata questione, attinente all'individuazione del soggetto che assume su di sé, in via immediata e diretta, la posizione di garanzia, la cui soluzione precede, logicamente e giuridicamente, quella della (eventuale) delega di funzioni. In imprese di tal genere, infatti, non può individuarsi questo soggetto, automaticamente, in colui o in coloro che occupano la posizione di vertice, occorrendo un puntuale accertamento, in concreto, dell'effettiva situazione della gerarchia delle responsabilità all'interno dell'apparato strutturale, così da verificare la eventuale predisposizione di un adeguato organigramma dirigenziale ed esecutivo il cui corretto funzionamento esonera l'organo di vertice da responsabilità di livello intermedio e finale (così, esattamente, Sezione 4, 9 luglio 2003, Boncompagni; Sezione 4, 27 marzo 2001, Fornaciari, nonché Sezione 4, 26 aprile 2000, Mantero). In altri termini, nelle imprese di grandi dimensioni non è possibile attribuire tout court all'organo di vertice la responsabilità per l'inosservanza della normativa di sicurezza, occorrendo sempre apprezzare l'apparato organizzativo che si è costituito, si da poter risalire, all'interno di questo, al responsabile di settore. Diversamente opinando, del resto, si finirebbe con l'addebitare all'organo di vertice quasi una sorta di responsabilità oggettiva rispetto a situazioni ragionevolmente non controllabili, perché devolute alla cura ed alla conseguente responsabilità di altri" (così Cass. 10/12/2008, Vespasiani).

Nella fattispecie non è emerso che vi fu una delega da parte del comandante della nave al primo ufficiale di coperta, dovendosi dunque radicalmente escludere che lo stesso potesse essere considerato "suo ufficiale responsabile della prevenzione infortuni".

Già si è visto come dovesse essere interpretato il compito attribuito al primo ufficiale di coperta, relativo al "controllo delle operazioni di movimentazione del carico e della zavorra durante il servizio di guardia" (uno fra i 22 descritti nel Safety Management Manual); in ogni caso non avrebbe alcun fondamento ricavare da detta previsione una sorta di trasferimento di funzioni e responsabilità in ordine al controllo "delle condizioni di efficienza dell'ambiente di lavoro", che gravava sul comandante della nave, che avrebbe dovuto consentire la esecuzione in sicurezza anche delle operazioni di carico e scarico dei mezzi, assicurando la incolumità degli addetti.

Si ricordi, peraltro, che il comandante della nave Paolo Grassi ha "patteggiato" la pena e che la relativa sentenza è divenuta definitiva, ulteriore circostanza che contrasterebbe con la ipotesi del conferimento di una delega in materia infortunistica.

Solo per completezza, anche in questo caso, visto che in discussione si è affrontato l'argomento, osserva il giudicante - condividendo analoga valutazione espressa dal G.U.P. (pag. 8 della sentenza) - che la causa della discesa incontrollata del veicolo sulla rampa (inefficienza del sistema frenante del solo semirimorchio), unitamente ai dati costituiti dalla bassa velocità, dalla rapidità della discesa e dalla sbandata del mezzo, consente di escludere - ovvero non consente di affermare con alta probabilità logica - la sussistenza di una efficienza causale delle condizioni della rampa medesima sulla dinamica dell'evento, ciò anche a prescindere dal contrastante esito delle analisi fatte eseguire in diversi momenti dal consulente del Pubblico Ministero.

Del resto, già nella fase delle indagini, gli operanti del servizio Servizio Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro dell'Azienda U.S.L. di Ravenna, particolarmente qualificati ed esperti, avevano escluso ogni incidenza causale delle condizioni della rampa sull'evento (come ricordato dal teste L. - pg. 18 trascrizioni udienza 1/10/2009).

V.T., dunque, va assolto anch'egli da tutte le imputazioni ascrittegli, mancando del tutto la prova che allo stesso siano ascrivibili le condotte colpose contestate.

A proposito della incidenza causale delle varie condotte contestate - e la breve digressione conclusiva, a questo punto, investe l'intera vicenda - ancora una volta si concorda con la valutazione del G.U.P. laddove preliminarmente il giudice ritenne che "non tutte le censure mosse dal C.T. del P.M. possano determinare un addebito causalmente connesso con l'evento", avuto riguardo alla tragica morte di L.V. ed all'imputazione di omicidio colposo.

A questo proposito, dato atto che l'ing. M.M. ha compiuto un notevolissimo e meritorio lavoro di ricerca, indagine e valutazione, va però detto che la sua costruzione dell' "albero dei guasti" e le sue conclusioni, in sostanza recepite nella complessa formulazione del capo d'imputazione sub A), con l'indicazione di undici "deviazioni" che "in concorso tra loro appaiono avere giocato un ruolo determinante nel determinismo dell'evento de quo", non hanno effettivamente fatto i conti fino in fondo - né, invero, si poteva pretendere tanto dall'ingegnere - con le complesse questioni giuridiche sottese all'accertamento della responsabilità nei reati colposi, specie quando siano in gioco condotte di natura omissiva.

Ci si riferisce, in particolare, all'applicazione nel caso concreto dei criteri della prevedibilità ed evitabilità dell'evento, della concretizzazione del rischio, della causalità della colpa (sulla questione, volendo, v. amplius il paragrafo n. 30 - pag. 171 e ss. - della sentenza emessa da questo giudice in data 21/4/2008 nel processo riguardante l'incendio nel reparto di rianimazione dell'Ospedale di Ravenna, ove sono richiamate fondamentali pronunzie della Suprema Corte, che in materia costituiscono una "bussola" imprescindibile per l'operatore del diritto).

In questa sede basti ricordare che "è l'evitabilità dell'evento, ancor più della sua prevedibilità (che ne costituisce il presupposto) che indirizza la formazione della regola cautelare secondo criteri sociali o giuridici; se esiste il pericolo o il rischio di un evento che può essere immaginato la regola cautelare sarà formulata in relazione a questo rischio ma la sua concreta definizione non potrà che avvenire in base alla concreta possibilità che questa regola sia idonea ad evitare l'evento anche se - e ciò si verifica in particolare nell'ambito del rischio consentito nelle attività pericolose - è improbabile che possa aversi la garanzia totale che l'evento non si verificherà" (così Cass. 17/5/2006, Bartalini ed altri - trattasi della nota pronunzia sul petrolchimico di Porto Marghera; in senso conforme, di recente, cfr. Cass. 22/5/2008, Ottonello e altro, nonché Cass. 21/10/2008, Petrillo).

Anche da ultimo (Cass. 23/4/2009, Cingolani) la Suprema Corte ha ricordato che "l'essenza della responsabilità colposa consiste nella prevedibilità dell'evento dannoso e nella sua evitabilità attraverso il rispetto delle norme di cautela. Ma alla colpa dell'agente va ricondotto non qualsiasi evento realizzatosi, ma solo quello riconducibile casualmente alla condotta posta in essere in violazione della regola cautelare. A tal fine è necessario valutare se il rispetto della regola vietata avrebbe evitato l'evento con certezza ovvero con alto grado di probabilità. In ciò consiste la c.d. "causalità della colpa", laddove la violazione della regola cautelare determina la concretizzazione del rischio che essa mirava a prevenire".

Peraltro, il concetto di "causalità della colpa" è ricavabile dalla stessa lettera dell'art. 43 c.p., laddove la norma prevede che un delitto è colposo quando l'evento, non voluto dall'agente, "si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia (colpa generica), ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline (colpa specifica)".

In proposito, è stato efficacemente osservato, pur preso atto della "forte connessione esistente in molti casi tra le problematiche sulla colpa e quelle sull'imputazione causale", che "affermare, come afferma l'articolo 43 c.p., che per aversi colpa l'evento deve essere stato causato da una condotta soggettivamente riprovevole implica che l'indicato nesso eziologico non si configura quando una condotta appropriata (il cosiddetto comportamento alternativo lecito) non avrebbe comunque evitato l'evento" (così, di recente, Cass. 14/2/2008, Aiana).

Inoltre, nella importante pronunzia con la quale si è da ultimo statuito che nella fattispecie dell'art. 586 c.p. la morte o le lesioni non volute devono essere imputate per colpa, le Sezioni Unite, sia pure in relazione alla colpa "normale", hanno ribadito la necessità di "mantenere alla qualificazione di negligenza, imprudenza e imperizia quel minimo di aderenza alla situazione concreta, che permetta di considerarla criterio di imputazione soggettiva" e di "differenziare il punto di vista, dal quale valutare prevedibilità ed evitabilità, a seconda della situazione concreta in cui, di volta in volta, viene a trovarsi il singolo agente" (così Cass. SS.UU., 22/1/2009, Ronci).

Sarà compito del giudice di secondo grado (chiamato a decidere in ordine alle impugnazioni proposte avverso la sentenza del G.U.P. ed eventualmente avverso la presente pronunzia, considerato che il Pubblico Ministero aveva chiesto la condanna degli imputati alla pena di due anni di reclusione ciascuno) dare una concreta attuazione ai suddetti principi, divenuti ormai ius receptum.

Detti principi dovrebbero essere patrimonio dei magistrati chiamati ad indagare o a decidere su un fatto-reato quale quello trattato nel processo conclusosi all'odierna udienza, la cui estrema tragicità non può ovviamente consentire che si arretri di un millimetro rispetto al principio sancito dall'art. 27 comma 1° della Carta Costituzionale: "la responsabilità penale è personale".

Con ciò - se mai sorgesse un dubbio - non si intende muovere critica alcuna, esplicita od implicita, diretta o indiretta, all'operato ed alle scelte del Pubblico Ministero, chiamato a svolgere una indagine assai complessa ed impegnativa.

Ovviamente anche le richieste conclusive in questo processo sono state formulate dall'accusa in modo del tutto legittimo; tuttavia, esse sono ritenute dal giudicante non fondate, alla luce delle argomentazioni in fatto ed in diritto precedentemente svolte.

P.Q.M.

Visto l'art. 530 comma 1° c.p.p.,
assolve M.P. dai reati ascrittigli per non avere commesso il fatto;
visto l'art. 530 comma 2° c.p.p.,
assolve V.T. dai reati ascrittigli per non avere commesso il fatto.

Ravenna, 17 febbraio 2010.

Motivazione depositata in Cancelleria il 25 FEBBRAIO 2010

1 Società autorizzata ex art. 16 legge 84/94 ad operare in banchina pubblica, quale la banchina denominata Largo Trattaroli ove era ormeggiata la Motonave Impresso Catania.
2 Società esercente attività di movimentazione merci in ambito portuale, società a cui l'impresa Intempo aveva somministrato il lavoratore interinale V.L..
3 società esercente l'attività di gestione beni mobili ed immobili, società che aveva noleggiato alla Cooperativa P. soc. coop a.r.l.. il trattore SISU Ra 34644 coinvolto nell'infortunio