Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. Lav., 18 luglio 2016, n. 14630 - Infortunio mortale nel cantiere privo di misure di sicurezza. Regresso


 

Presidente: MAMMONE GIOVANNI Relatore: DORONZO ADRIANA Data pubblicazione: 18/07/2016

 

Fatto


1. Il Tribunale di Pisa ha condannato A.C., in proprio e quale titolare dell'impresa Parma I., il Consorzio Coperture Emiliane (CCGE), in liquidazione, in persona del liquidatore R.C., e R.C. in proprio a pagare all'INAIL, che agiva con azione di regresso ai sensi degli artt. 10 e 11 d.p.r. n. 1124/1965, le somme versate dall'Istituto a titolo di rendita ai superstiti e assegno funerario agli eredi di G.B., dipendente della Parma I. e morto in data 22/5/1996 durante l'esecuzione dei lavori di copertura e impermeabilizzazione di un prefabbricato nei cantiere di Pontedera.
2. Il Tribunale ha ritenuto sussistente la responsabilità delle due Imprese, e in particolare del Consorzio, quale società sub-appaltante, e del R.C. in ragione della sua ingerenza di fatto, con direttive proprie, nella gestione del rapporto di lavoro del G.B. e nella mancata adozione di fondamentali misure di sicurezza all'interno dell'unico cantiere in cui le due imprese operavano congiuntamente.
3. Proposto appello dal R.C. in proprio, con sentenza depositata data 1 giugno 2011, la Corte d'appello di Firenze lo ha rigettato, ponendo a base del decisum le dichiarazioni del teste R., il quale aveva confermato che l'attività nel corso della quale si era verificato l'infortunio era gestita contemporaneamente dal consorzio e da Parma I. e che il R.C., come "persona fìsica”, sovraintendeva ai lavori quale direttore del cantiere.
4. Con il ricorso, R.C. domanda la cassazione della sentenza sulla base di un unico articolato motivo; resiste, con controricorso, l'INAIL, insistendo per il rigetto del ricorso stesso. Le parti depositano memorie ex art. 378 cod.proc.civ.
 

Diritto


1. Con l'unico complesso motivo di ricorso, il R.C. denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 10 e 11 d.p.r. n. 1124/1965, nonché l'omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in riferimento all'art. 360, n. 5, cod. proc. civ. Lamenta che erroneamente la Corte ha ritenuto sussistente la sua "legittimazione passiva" nel giudizio instaurato dall'INAIL per il regresso di quanto corrisposto agli eredi del lavoratore infortunato, dal momento che era "pacifico" che nel cantiere nel quale si verificò l'infortunio operavano le due imprese, la Parma I. di cui era titolare A.C., assegnatario del contratto di subappalto quale consorziato di C.G.E. (subappaltatore e datore di lavoro del G.B.), e il Consorzio Coperture Generali Emiliano (subappaltante), e che tanto il A.C., - in qualità di titolare della Parma I. -, quanto il R.C., - in qualità di legale rappresentante del Consorzio - impartivano istruzioni ai lavoratori: tale dato non era tuttavia sufficiente per desumere la responsabilità personale di esso ricorrente. In realtà egli aveva agito e sovrainteso ai lavori solo in qualità di legale rappresentante del Consorzio.
7. Il motivo della sua complessiva articolazione è infondato, oltre a presentare profili di inammissibilità.
Il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, denunciarle con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5, si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione. Il vizio non sussiste quando il giudice di merito abbia valutato le prove in modo difforme da quanto auspicato dalla parte (Cass. 3 ottobre 2007, n. 20731; Cass. 21 agosto 2006, n. 18214; Cass. 16 febbraio 2006, n. 3436; Cass. 27 aprile 2005, n. 8718), perché la deduzione del vizio di motivazione non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale, bensì la sola facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica delle argomentazioni svolte dal Giudice del merito, non essendo consentito alla Corte di cassazione di procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze probatorie (vedi, tra le tante: Cass. 18 ottobre 2011, n. 21486; Cass. 20 aprile 2011, n. 9043; Cass. 13 gennaio 2011, n. 313; Cass. 3 gennaio 2011, n. 37). 
8.1. Nel caso di specie, i fatti sui quali ricadrebbero i vizi evocati rimangono solo genericamente dedotti, avuto riguardo sia al contenuto sia agli elementi documentali e probatori che conferirebbero ad essi una consistenza ed un valore probatorio diversi da quelli attribuiti dai giudici del merito. Sotto quest'ultimo profilo, deve rilevarsi un evidente difetto di autosufficienza del motivo di ricorso concernente il vizio motivazionale, dal momento che il ricorrente ha riportato solo un breve stralcio del verbale di sommarie informazioni rese in data 22 maggio 1996 agli ufficiali di polizia giudiziaria da R., collega di lavoro del de cuius, di cui il giudice non avrebbe tenuto conto o che avrebbe male interpretato; neppure ha fornito specifiche indicazioni circa l'attuale collocazione di tale documento nei fascicoli, di parte o di ufficio, delle pregresse fasi del giudizio. In tal modo, non assolve il duplice onere imposto, a pena di inammissibilità del ricorso, dall'art. 366, primo comma, n. 6, c.p.c., e, a pena di improcedibilità, dall'art. 369, secondo comma, n. 4, c.p.c. di indicare esattamente in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte o d'ufficio si trovino gli atti su cui il ricorso si fonda, al fine di consentire al giudice di legittimità di valutare la veridicità degli assunti prima ancora della fondatezza del motivo, senza dover procedere all’esame dei fascicoli d'ufficio o di parte (v. da ultimo, Cass., 12 dicembre 2014, n. 26174; Cass., 7 febbraio 2011, n. 2966).
Peraltro, per il sorgere della responsabilità solidale dei danneggianti, l'art. 2055 comma primo c.c. richiede solo che il fatto dannoso sia imputabile a più persone, ancorché le condotte lesive siano fra loro autonome e pure se diversi siano i titoli di responsabilità di ciascuna di tali persone, e anche nel caso in cui siano configuragli titoli di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, atteso che l’unicità del fatto dannoso considerata dalla norma suddetta deve essere riferita unicamente al danneggiato e non va intesa come identità delle norme giuridiche da essi violate (cfr. Cass. civ. 12 marzo 2010, n. 6041; Cass. civ., 2 luglio 1997, n. 5944).
La Corte non ha violato alcuna delle disposizioni indicate in rubrica, né peraltro il ricorrente ha specificato quali affermazioni di diritto contenute nella sentenza impugnata siano in contrasto con le norme citate e con l'interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina (Cass., 26 giugno 2013, n. 16038; Cass., 6 aprile 2011,n. 7921). In realtà, nonostante il formale richiamo alla violazione di norme di legge, contenuto nell'intestazione, le censure si risolvono nella denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata per errata valutazione del materiale probatorio acquisito, denuncia che, lungi dal costituire una censura del ragionamento della Corte territoriale, è soltanto un'inammissibile surrogazione nell’esercizio di un potere - quale quello di accertamento dei fatti sulla base del corredo probatorio - che spetta esclusivamente al giudice del merito (Cass., 23 maggio 2007, n. 12052; Cass. 1° ottobre 2007, n. 30603).
11. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, in applicazione del criterio della soccombenza.
 

P.Q.M.
 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi € 4100,00, di cui € 4.000,00 per compensi professionali, oltre al 15% di spese generali e agli accessori di legge.
Roma, 21 aprile 2016