Cassazione Penale, Sez. 3, 19 luglio 2016, n. 30489 - Infortunio mortale di due operai investiti dal crollo di un fronte scavo. Responsabilità di un direttore dei lavori e di un preposto


Presidente: RAMACCI LUCA Relatore: MENGONI ENRICO Data Udienza: 03/05/2016

Fatto


1. Con sentenza del 29/1/2015, la Corte di appello di Catanzaro, in esito all'annullamento con rinvio della pronuncia del 12/11/2012 disposto da questa Corte il 27/11/2013, in riforma della sentenza emessa il 16/7/2010 dal Tribunale di Vibo Valentia, dichiarava non doversi procedere nei confronti di N.F. e P.O. in ordine al reato loro ascritto, perché estinto per prescrizione, con conferma delle statuizioni civili; agli stessi, nelle rispettive qualità di direttore dei lavori e di preposto all'impresa esecutrice di un cantiere, erano contestate plurime violazioni in materia antinfortunistica, analiticamente riportate nel capo di imputazione, dalle quali era derivata la morte di F.I. e D.M., dipendenti della citata impresa, investiti dal crollo di un fronte di scavo eseguito in violazione della predetta normativa. In Vena di Ionadi, il 17/11/2003.
2. Propone ricorso per cassazione il N.F., a mezzo del proprio difensore, deducendo la violazione o erronea applicazione della legge penale ed il vizio motivazionale. In primo luogo, la Corte avrebbe affermato - in modo del tutto apodittico - che il ricorrente rivestisse la qualità di direttore dei lavori, sebbene ciò non avesse mai trovato alcuna conferma ed il N.F. non avesse mai accettato la nomina in tal senso operata unilateralmente dalla committenza; né, peraltro, mal compiuto alcun atto di ingerenza nell'organizzazione del cantiere. Gli elementi indiziari valorizzati dalla sentenza in senso contrario, inoltre, risulterebbero privi di contenuto sostanziale. In ogni caso, peraltro, tale eventuale nomina non rivestirebbe alcuna incidenza sull'imputazione in esame, atteso che la committenza non aveva individuato un responsabile dei lavori di cui all'art. 89, d. lgs. n. 81 del 2008, non potendo questa figura coincidere automaticamente con quella del direttore dei lavori; quel che, Invece, la Corte di appello riterrebbe, con evidente errore, non considerando che il responsabile dei lavori costituisce figura autonoma dall'altra, il cui conferimento dell'Incarico richiede la forma scritta. Con riguardo, poi, a quanto accaduto il 17/11/2003, e premesso che lo sbancamento generale non richiedeva il deposito del progetto esecutivo presso il Genio Civile, l'istruttoria avrebbe dimostrato la completa estraneità del ricorrente al getto di calcestruzzo, invero riferibile soltanto ad una «Iniziativa criminale autonoma della ditta esecutrice, del suo direttore di cantiere nonché del proprietario committente»; il N.F., per contro, la mattina stessa aveva intimato proprio a quest'ultimo di non procedere alla gettata di cemento, atteso il mancato deposito appena citato, minacciando, in caso contrario, di far intervenire la Polizia municipale.
3. Propone ricorso per cassazione anche il Procuratore generale presso la Corte di appello di Catanzaro. La sentenza non avrebbe speso alcuna motivazione in ordine al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ed al bilanciamento tra queste e le contestate aggravanti, come invece dovuto; in assenza di queste determinazioni, infatti, il reato non sarebbe ad oggi prescritto, contrariamente a quanto dichiarato con la sentenza.
L'I.N.A.I.L. ha depositato rituale memoria, con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso del N.F..
 

Diritto


4. Con riguardo innanzitutto al ricorso proposto dal N.F., occorre in primo luogo ribadire che il controllo del Giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l'oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione delle vicende (tra le varie, Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, Campanella, n. 12110, Rv. 243247). Si richiama, sul punto, il costante indirizzo di questa Corte in forza del quale l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell'art. 606, comma 1, lett e), cod. proc. pen., è soltanto quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi; ciò in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo (Sez. U., n. 47289 del 24/9/2003, Petrella, Rv. 226074).
In altri termini, il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene alla ricostruzione dei fatti né all'apprezzamento del Giudice di merito, ma è limitato alla verifica della rispondenza dell'atto impugnato a due requisiti, che lo rendono insindacabile: a) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. (Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e altri, Rv. 255542; Sez. 2, n. 56 del 7/12/2011, dep. 4/1/2012, Siciliano, Rv, 251760).
Se questa, dunque, è l'ottica ermeneutica nella quale deve svolgersi il giudizio della Suprema Corte, le censure che il ricorrente muove al provvedimento impugnato si evidenziano come infondate; ed invero lo stesso, dietro la parvenza di una violazione di legge e di un difetto motivazionale, sollecita in realtà una nuova ed alternativa lettura delle medesime risultanze istruttorie già esaminate dai Giudici di merito (in specie, con riguardo all'effettivo ruolo ricoperto dal N.F. nel cantiere ed alle condotte tenute il giorno del tragico infortunio), invocandone una valutazione diversa e più favorevole.
Il che, come riportato, non è consentito.
A ciò si aggiunga che - con riguardo ai medesimi profili - la Corte di merito ha steso una motivazione del tutto congrua, fondata su logica lettura di elementi oggettivi e priva di ogni contraddizione; come tale non censurabile. In primo luogo, e con riferimento alla qualifica di direttore dei lavori in capo al N.F., la sentenza l'ha ricavata: 1) dal preventivo e quietanza presentati da questi a D.DR. (originaria committente), relativi a progettazione, direzione lavori, relazione geologica e collaudo; 2) dal progetto e dalla relazione tecnica che questi aveva predisposto (firmando gli elaborati proprio in qualità di direttore dei lavori), che avevano consentito il rilascio della concessione edilizia l'8/5/2001; 3) dalla comunicazione di un anno successiva - 8/5/2002 - con la quale la D.DR. aveva notiziato il Comune dell'inizio dei lavori, indicando proprio il ricorrente quale direttore dei lavori; 4) dalla predisposizione - ancora da parte di questi - della relazione geologica e geotecnica, unitamente al geologo Colace; 5) dalla presenza del N.F. sul cantiere, peraltro anche il giorno della tragedia per la quale è processo.
Elementi plurimi, quindi, rievocati dalla Corte di appello in modo logico e con lettura sinergica; quel che, peraltro, il gravame disattende con argomento meramente negatorio, con il quale si limita ad escludere che il ricorrente avesse mai rivestito la qualifica in esame (tanto da definire la nomina da parte della committenza come «palesemente illegittima, inefficace, nulla siccome giuridicamente inesistente»), senza però fornire alcuna risposta alternativa alle considerazioni della Corte di merito come appena richiamate.
Con riguardo, poi, al secondo argomento "tecnico", relativo alla mancata nomina di un responsabile dei lavori ex art. 2, comma 1, lett. c), d. Lgs. 14 agosto 1996, n. 494, oggi art. 89, comma 1, lett. c), d. lgs. 9 aprile 2008, n. 81, ritiene la Corte che lo stesso sia privo di fondamento. Ed invero, premesso che l'art. 2, comma 1, lett. c) citato definisce tale figura come il "soggetto incaricato dal committente per la progettazione o per l'esecuzione o per il controllo dell'esecuzione dell'opera", si osserva che ciò si attaglia perfettamente proprio al N.F., il quale - giusta sentenza impugnata - aveva ricevuto (e, di fatto, accettato) l'incarico per l'appunto di progettare i lavori in esame e di controllarne l'esecuzione. Quelle stesse funzioni che la Corte di merito ha ricondotto in fatto alla figura del direttore dei lavori, ma che - nei medesimi termini - individuano il ruolo del responsabile dei lavori in materia di cantieri temporanei (come quello in esame), nella quale, ai sensi del citato art. 2, il direttore dei lavori non risulta mai espressamente nominato; con ogni conseguenza in punto di responsabilità, peraltro riferita dalla sentenza impugnata non tanto alla violazione delle norme antinfortunistiche (con riferimento alle quali varrebbero le considerazioni - di cui al ricorso - in tema di ingerenza del direttore di lavori, quale presupposto per l'accertamento della responsabilità stessa), quanto al mancato rispetto di quelle tecniche che governano l'esecuzione degli scavi e delle fondazioni e la prevenzione dei rischi a queste collegate. Quel che compete, per certo, al direttore dei lavori. Sì da affermare - la sentenza in esame - che «non v'è dubbio che il rischio di crollo dell'opera in fase esecutiva (e l'opera comprende anche lo scavo di fondazione) ricada nella sfera di attribuzioni del direttore dei lavori, il quale ne è responsabile anche se non è presente in cantiere».
E che le modalità di scavo, e tutto quanto accaduto nel pomeriggio del 17/11/2003, fossero palesemente contra legem, lo ha riconosciuto anche il ricorrente, che al riguardo si è espresso nei termini - già sopra richiamati - della «iniziativa criminale autonoma della ditta esecutrice, del suo direttore di cantiere nonché del proprietario committente».
Quanto precede, inoltre, riveste significativo rilievo anche in relazione al terzo profilo sollevato, orientato al fatto ed alle condotte tenute dal N.F. il giorno dell'incidente. La sentenza, pronunciandosi sul punto, ha adeguatamente sottolineato che il ricorrente - recatosi sul cantiere la mattina stessa - aveva per certo preso visione dello scavo realizzato, anche perché unica opera al momento eseguita; scavo più esteso e profondo di quello previsto nel progetto, con uno dei fronti di altezza pari a 4,80 mt., dritto «come una parete verticale», sottostante o comunque aderente al preesistente muro della proprietà confinante, in palese violazione di ogni regola tecnica volta ad evitarne il crollo. Il tutto, peraltro, In difetto di qualsivoglia opera di contenimento o, comunque, a protezione delle pareti dello scavo medesimo; il tutto, ancora, in un contesto di elevata permeabilità del terreno e disomogeneità dello stesso sotto il profilo idrogeologico, come da relazione geologica e geotecnica che il ricorrente aveva provveduto a redigere. Ancora, la Corte di appello ha sottolineato che - pur a fronte di questo stato di fatto, oggettivamente di estrema pericolosità - il N.F. non aveva inteso disporre alcuna misura, adottare alcuna sicurezza, ordinare alcun accorgimento (circostanza, peraltro, pacifica); sì da evidenziarsi la condotta gravemente colposa di cui all'imputazione, nei termini specificati dalla sentenza e prima richiamati, sul presupposto che «la gettata di cemento è stata occasione dell'incidente, ma non causa del crollo», addebitabile alle modalità contra legem con le quali lo scavo - nel quale sarebbero entrati i due operai poi deceduti - era stato realizzato, e che il ricorrente aveva per certo verificato la mattina stessa dell'incidente, senza obiettare alcunché.
Quel che - come emerge per implicito nella sentenza impugnata - priva di rilievo l'assunto secondo cui il N.F. aveva intimato alla committenza di non procedere al getto di calcestruzzo, non essendo stato ancora depositato il progetto del Genio Civile; a giudizio della Corte di appello, infatti, e con motivazione adeguata e non manifestamente illogica, la morte dei due operai era stata dovuta non all'operazione in sé che gli stessi stavano compiendo nello scavo (evidentemente da riferire al solo committente, che aveva annunciato la volontà di procedere al getto), ma alle condizioni di sicurezza proprie di questo, che avrebbero potuto cagionare danno qualunque lavoratore fosse stato lì presente, indipendente dalle esigenze operative specifiche.
In forza di quanto precede, dunque, il ricorso del N.F. deve essere rigettato, con ogni conseguenza in termini di statuizioni civili.
5. Con riguardo, poi, al gravame proposto dal Procuratore generale, lo stesso risulta invece fondato.
Rileva questa Corte, infatti, che la sentenza non ha espresso alcuna motivazione in punto di bilanciamento delle circostanze attenuanti generiche (già riconosciute in primo grado e mai oggetto di impugnazione, con giudicato parziale sul punto) con la contestata aggravante di cui all'art. 589, comma 2, cod. pen., con evidente ricaduta sulla prescrizione del reato, pronunciata proprio in ragione di detto bilanciamento. D'altronde, la sentenza della quarta sezione di questa Corte n. 10905 del 27/11/2013, che ha annullato la precedente della Corte di appello, ha evidenziato sì la necessità che venisse specificato il rapporto che si intendeva applicare alle attenuanti ed aggravanti in esame, ma ha anche (implicitamente) richiesto che questo rapporto fosse sostenuto da adeguata motivazione. Invero del tutto apparente ed illogica nel caso in esame, laddove la sentenza impugnata si è limitata ad affermare che «le riconosciute circostanze attenuanti generiche possono essere dichiarate prevalenti sulle contestate aggravanti» tenuto conto «dei parametri di cui all'art. 133 c.p. ed in particolare dell'incidenza sulla verificazione dell'evento della condotta del proprietario del terreno». Condotta, però, come già esposto, intesa dalla stessa Corte non quale causa del decesso dei due operai, ma solo come mera occasione; dal che, l'illogicità dell'argomento qui impiegato.
La sentenza, pertanto, deve essere annullata sul punto, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro; in quella sede si deciderà anche sulle spese fra le parti.

P.Q.M.


In accoglimento del ricorso del P.G., annulla la sentenza impugnata limitatamente al giudizio di comparazione delle circostanze attenuanti generiche con la contestata aggravante e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro. Rigetta il ricorso di N.F., che condanna al pagamento delle spese del procedimento. Rimette al giudice del rinvio la decisione sulle spese fra le parti.
Così deciso in Roma, il 3 maggio 2016