Cassazione Penale, Sez. 4, 01 agosto 2016, n. 33580  - Infortunio di due meccanici con un sollevatore idraulico: responsabilità del datore di lavoro e del costruttore del macchinario


 

Presidente: BIANCHI LUISA Relatore: CENCI DANIELE Data Udienza: 21/01/2016

Fatto

1. Con sentenza del 18 dicembre 2014 la Corte di appello di Torino, integralmente riformando quella - assolutoria con la formula "perché il fatto non costituisce reato" - che era stata adottata l'8 aprile 2013 dal Tribunale di Torino, appellata sia dal P.M. (che chiedeva la condanna) sia dagli imputati (che invocavano l'adozione di formula di proscioglimento maggiormente liberatoria), ha ritenuto P.O. e P.C., il primo quale datore di lavoro, in quanto amministratore e legale rappresentante della s.p.a. P.O., ed il secondo quale amministratore unico della s.p.a. O.M.C.N., costruttrice del sollevatore idraulico denominato SIF ST 10/73, responsabili della commissione del reato di lesioni colpose gravi in danno dei lavoratori G.V. e G.P. ed ha condannato: P.O., concesse le attenuanti generiche e l'attenuante del risarcimento del danno, stimate equivalenti alle aggravanti, alla pena di 400,00 euro di multa; e P.C. alla pena di mesi quattro di reclusione.
Nella motivazione (ultima pagine, righe 6 e 7) si legge che «All'imputato P.O., tuttora incensurato, può essere concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena») nel dispositivo si legge «concede a P.C. o il beneficio della sospensione condizionale della pena», senza alcun riferimento alla pena sospesa quanto all'imputato P.O. (alla circostanza si fa riferimento da parte della difesa di P.O. nell'ultima pagina del ricorso: vi si tornerà al punto n. 1.5 del "considerato in diritto").
2. In breve, i fatti, come ricostruiti dai giudici di secondo grado.
Secondo quanto emerso nel corso dell'istruttoria, il 1° aprile 2009 all'Interno dell'officina di riparazione di veicoli di grosse dimensioni della ditta P.O. s.p.a. si è verificato un infortunio sul lavoro mentre i meccanici specializzati G.V. e G.P., dipendenti della società, si apprestavano, su indicazione del capo officina, N.C., a montare il cambio, pesante circa 500 kg., di un autocarro Iveco in riparazione. Per eseguire tale operazione, G.V. e G.P., dopo avere portato il cambio in prossimità del veicolo Iveco con un carroponte, lo avevano trasferito sul sollevatore idraulico SIF ST 10/73 (detto "crick" o "cricco") prodotto dalla s.p.a. O.M.C.N., al quale sollevatore idraulico avevano ben fissato il cambio, anche mediante una staffa di supporto detta "culla", sì da costituire un corpo unico. Avevano poi spostato il sollevatore idraulico al fine di far percorrere allo stesso i circa due metri che lo separavano dall'autocarro in riparazione, che era sollevato da terra, sotto il quale autocarro avrebbe dovuto essere posizionato il sollevatore idraulico in modo tale da poter montare il cambio. Nella manovra di spostamento mediante trascinamento, essendo munito di piccole ruote, del sollevatore idraulico SIF ST 10/73, G.V. aveva il compito di tirare il sollevatore cui era ben fissato, come si è detto, il suo carico, tramite una maniglia ricavata sul corpo centrale, mentre G.P. reggeva il cambio affinché non traballasse, guidandolo con le mani appoggiate alla parte del cambio detta "campana". Poco dopo l'inizio della traslazione, il meccanico G.P. si era accorto che l'insieme stava per ribaltarsi e, malgrado il suo tentativo di impedirlo, esso era rovinato a terra, cagionando: a G.P. schiacciamento di due dita della mano sinistra, con multiple ferite e fratture, sicché si imponeva un intervento chirurgico e la immobilizzazione, con conseguente incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore a quaranta giorni ed indebolimento permanente dell'organo della prensione; a G.V. trauma contusivo del piede destro, fratture composte dell'ottava e nona costola e frattura della prima vertebra lombare, con necessità di ricovero ospedaliero per quindici giorni, immobilizzazione a letto per due mesi e successivo periodo riabilitativo con applicazione di busto ortopedico e plurimi trattamenti fisioterapici e riabilitativi, tali da determinare l'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo di gran lunga superiore a quaranta giorni.
3. La responsabilità degli odierni imputati è stata ritenuta sussistente dalla Corte di appello sulla base delle considerazioni che di seguito si riferiscono.
3.1. Premesso - ha ritenuto la Corte - che il giudice di primo grado ha parcellizzato i profili di colpa, che avrebbero dovuto, invece, essere valutati nel loro complesso, trascurando e / o sottovalutando elementi di fatto rilevanti e significativi, l'istruttoria documentale ha fatto emergere che il sollevatore idraulico prodotto dalla O.M.C.N. non era a norma, in quanto deve esserne garantita la stabilità durante la prevedibile movimentazione, non essendo sufficiente l'indicazione, contenuta nell'aggiornamento del manuale di istruzioni, circa il fatto che il sollevatore è un attrezzo progettato e costruito per non spostarsi o per non essere spostato sotto carico; e la inadeguatezza strutturale a garantire la stabilità durante la prevedibile movimentazione sotto carico era ben nota al costruttore, che, infatti, nella sola documentazione interna di analisi di rischio predisposta ai fini della emissione della certificazione CE aveva vietato l'utilizzo dell'apparecchio per la movimentazione e la traslazione di carichi. Con la conseguenza - ha ritenuto la Corte di appello - che è emersa una macroscopica colpa del costruttore, P.C., il quale ha prodotto e messo in commercio un apparecchio non conforme alla normativa in quanto privo delle necessarie caratteristiche di stabilità, benché destinato, per sua stessa natura, ad essere movimentato sotto carico e, per di più, senza indicazione nel manuale d'uso e manutenzione dei rischi - noti in quanto evidenziati nel documento di analisi richiamato - dell'espresso divieto di utilizzo per spostamenti e/o traslazioni in tali condizioni (pp. 11-13 della motivazione).
3.2. Passando a P.O., ha ritenuto la Corte territoriale che la descritta condotta colposa di P.C. si intrecci indissolubilmente con quella del datore di lavoro, che nel documento di valutazione dei rischi, redatto in data 11 febbraio 2009, ha completamente omesso di prendere specificamente in considerazione i rischi correlati all'utilizzo del sollevatore SIF ST 10/73, dispositivo addirittura non compreso nell'elenco delle attrezzature messe a disposizione dei lavoratori ed il cui ribaltamento, determinato dalla intrinseca instabilità in caso di movimentazioni sotto carico, ha causato l'infortunio dei due dipendenti. Dalla documentazione acquisita dal consulente del P.M. è altresì emerso che, in riferimento all'uso del sollevatore in questione, era stata predisposta soltanto una istruzione operativa dai contenuti stimati lacunosi dal consulente del P.M. e, in ogni caso, non generalmente conosciuta dal personale addetto, come verificato nell'istruttoria testimoniale; avevano altresì riferito le pp.oo. che soltanto dopo l'infortunio erano stati organizzati corsi di formazione specifici rispetto a quel tipo di operazione con il sollevatore, peraltro sostituito subito dopo l'infortunio con un altro, con ruote più basse ed una base più larga, ergo: più stabile (pp. 13-15 della motivazione della sentenza impugnata).
Ha escluso il giudice di appello, con valutazione sullo specifico punto conforme a quello di primo grado, che l'utilizzo di una staffa - detta "culla" - non originale, adoperata per ancorare il pezzo di ricambio al sollevatore, avesse avuto un qualche rilievo causale nella verificazione dell'infortunio (pp. 15-16 della motivazione della sentenza impugnata)
4. Ricorrono in cassazione entrambi gli imputati.
4.1. La difesa di P.O. propone tre motivi.
4.1.1. Si ritiene, in primo luogo, la sentenza affetta da nullità per violazione dell'art. 603 cod. proc. pen., che disciplina la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello, in relazione all'art. 6 CEDU, come interpretato dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo del 5 luglio 20101 nella causa Dan contro Moldavia e dalla conseguente giurisprudenza di legittimità.
La Corte di appello avrebbe gravemente errato nel ribaltare la decisione assolutoria di primo grado senza previamente riassumere le prove raccolte in primo grado e, in particolare, le testimonianze delle parti offese e gli elaborati e le conclusioni dei consulenti tecnici. Infatti - sostiene il ricorrente - il giudice di secondo grado si sarebbe limitato ad offrire una mera differente lettura della carte del processo senza porsi, però, il problema di riassumere innanzi a sé determinate prove o di approfondirne altre: richiamata giurisprudenza della S.C., assume il ricorrente che, risultando di indubbia decisività sia le testimonianze delle persone infortunate sia il giudizio sulla loro attendibilità, sarebbe stato assolutamente indispensabile assumere nuovamente le prove.
Inoltre, la mancata assunzione di una prova decisiva, sub specie di perizia tecnica di ufficio in appello, in una situazione che ciò imponeva ai sensi dell'art. 603, comma 3, cod. proc. pen., costituirebbe ulteriore causa di nullità, tale da condurre all'annullamento della decisione, poiché il contrasto tra la valutazione del Tribunale, secondo il quale le cause della dinamica del sinistro rimangono ignote e comunque sono di natura eccezionale, non (o difficilmente) prevedibili né prevenibili, e quella della Corte territoriale, che ha addebitato l'infortunio al fatto che il sollevatore idraulico non fosse a norma e fossero errate o, addirittura, mancanti le istruzioni agli operai per il corretto uso del sollevatore, non potendosi peraltro, ad avviso della difesa, escludere l'errore umano da distrazione, avrebbe imposto una perizia tecnica, anche di ufficio, del giudicante. L'omissione di un supplemento istruttorio al fine di individuare le cause dell'infortunio comporterebbe, nella situazione data, in cui peraltro, ad avviso della difesa, i dipendenti avrebbero riconosciuto di essere stati formati all'uso del sollevatore, la nullità della decisione.
4.1.2. Si censura la sentenza sotto l'ulteriore profilo della erronea applicazione dell'art. 590 cod. pen., della mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante da atti del processo, con riferimento alla individuazione degli elementi, oggettivi (condotte e nesso causale) e soggettivi del reato, e della violazione dei principi giurisprudenziali in tema di "posizione di garanzia" e di "delega di funzioni". Dall'accertamento di tali vizi discenderebbe la nullità della sentenza.
In particolare, si assume che, mentre la sentenza della Corte di appello attribuisce al datore di lavoro la responsabilità per avere utilizzato il sollevatore idraulico SIF ST 10/73 senza prevederne nel documento di valutazione i possibili rischi e senza istruire adeguatamente i lavoratori all'uso del sollevatore in questione, invece l'assenza dell'accertamento sulla causa del ribaltamento e le circostanze che, secondo la difesa, i dipendenti avrebbero ricevuto adeguata formazione all'impiego del mezzo, come sarebbe emerso nel l'istruttoria documentale e testimoniale, e che mai prima di allora si era verificato un incidente con quel mezzo, l'avere inoltre trascurato il decidente le letture alternative dell'infortunio suggerite dal consulente della difesa prof. A. (secondo il quale potrebbe essersi verificato: 1. un uso improprio del sollevatore da parte dei due meccanici, come ad esempio una spinta eccessiva applicata sulla parte alta del macchinario; 2. il blocco di una ruota per un intoppo sul pavimento dell'officina; 3. l'applicazione di una forza eccessiva da parte di uno degli infortunati al fine di superare un intoppo sul terreno), letture ribadite nell'atto di appello e non tenute in considerazione dal giudicante, ebbene tutto ciò, oltre a costituire un difetto motivazionale per omissione di pronunzia, avrebbe imposto l'assoluzione dell'imprenditore, quantomeno ai sensi del comma 2 dell'art. 530 cod. proc. pen.
Si sottolinea l'asserita contraddittorietà della sentenza, che condanna l'ing. P.O., al momento dell'infortunio amministratore e legale rappresentante solo da circa tre mesi, trascurando che il sollevatore era stato acquistato da tempo da una ditta stimata di primaria importanza, appunto la O.M.C.N. di P.C., senza che nel libretto di uso e nei documenti di accompagnamento fosse indicato il divieto di movimentazione poiché, ove questo divieto fosse stato palese, la società P.O. non si sarebbe determinata ad acquistare il macchinario.
Sotto il profilo soggettivo, si segnala che in materia penale sono inammissibili ipotesi di responsabilità oggettiva, che l'ing. P.O., come emerso nell'istruttoria testimoniale, di cui si richiamano alcuni passaggi, e documentale, avrebbe agito scrupolosamente, che la Corte territoriale avrebbe omesso di valutare che nella concreta situazione aziendale la "posizione di garanzia" rilevante nel caso di specie non era quella dell'imputato - in quanto datore di lavoro e diretto responsabile delle scelte gestionali di fondo - ma quella di «chi avrebbe dovuto seguire e vigilare la concreta esecuzione dell'attività lavorativa» (così alla p. 22 del ricorso).
La Corte di appello, inoltre, avrebbe totalmente pretermesso di prendere in considerazione, nonostante motivo di appello sul punto, che il 19 gennaio 2009 l'ing. P.O. aveva conferito delega in materia di sicurezza e prevenzione degli infortuni al signor M.D'A..
In linea subordinata, evidenzia la difesa che, ove mai si rinvenisse un rilievo causale da addebitare al datore di lavoro, la verifica del profilo di attribuibilità soggettiva avrebbe dovuto condurre alla conclusione che nessun profilo di negligenza, imprudenza o imperizia sarebbe addebitabile al datore di lavoro che, ricevuti i poteri connessi all'incarico di amministratore delegato il 9 dicembre 2008, avendo peraltro alla fine dello stesso anno 2008 la società SISA revisionato ed aggiornato il documento di valutazione dei rischi, ed avendo inoltre conferito il 19 gennaio 2009 al signor M.D'A. una delega in materia di sicurezza, non potrebbe essere chiamato a rispondere di un infortunio occorso il 1° aprile 2009, siccome in concreto non prevedibile e non prevenibile da parte di P.O.. Ragionando diversamente - si sottolinea- si trasformerebbe l'illecito da colposo in meramente oggettivo, con violazione dei principi fondamentali dell'ordinamento.
La riforma della decisione assolutoria non sarebbe, in ogni caso, assistita da idonea motivazione rafforzata.
4.1.3. La sentenza sarebbe, infine, viziata per effetto della errata applicazione delle norme penali relative al trattamento sanzionatorio (artt. 133, 62-bis, 175 e 590 cod. pen.): ne discenderebbe la nullità, per carenza di motivazione.
Al riguardo, si evidenzia: che, riconosciute all'imputato le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti, si sarebbe poi applicata una pena pecuniaria superiore al massimo della sanzione pecuniaria prevista dall'art. 590, comma 1, cod. pen. e che va ricondotta a legalità; che in motivazione si ritiene l'imputato meritevole della concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, ma in dispositivo tale beneficio, che la difesa indica come non richiesto dall'ing. P.O., viene concesso all'altro imputato; che non viene applicato il beneficio della non menzione, cui l'imputato avrebbe diritto.
4.2. La difesa di P.C. ritiene la sentenza emessa in violazione dei principi sull'onere della prova e "dell'oltre ogni ragionevole dubbio"; stima inoltre la motivazione manifestamente illogica e basata su un travisamento della prova.
4.2.1. Assume, infatti, richiamando giurisprudenza di legittimità sia anteriore sia successiva alla pronunzia della Corte europea dei diritti dell'uomo nella causa Dan contro Moldavia, che nel caso di specie la riforma in peius della decisione sarebbe basata esclusivamente su una diversa lettura delle carte processuali, senza nuova assunzione delle prove, che invece sarebbe stata, alla luce di princìpi giurisprudenziali ormai consolidati, tra i quali quello sull'obbligo della motivazione rafforzata, assolutamente indispensabile: ne discenderebbe la necessità dell'annullamento.
Ritiene che il profilo di colpa a carico di P.C. riconosciuto nella sentenza di appello, l'avere cioè posto in commercio un macchinario corredata da un libretto di uso e manutenzione carente in quanto non riportava il divieto di utilizzo di tale mezzo per la movimentazione dei carichi, nonostante la inidoneità a tale utilizzo fosse stata indicata come vietata nella documentazione aziendale interna di analisi di rischio prodotta all'autorità amministrativa ai fini dell'emissione della certificazione di conformità CE, sarebbe stato sconfessato nell'istruttoria concretamente svolta, richiamando sul punto brani della deposizione del c.t. del P.M., ing. M.D'A., e parte delle valutazioni svolte dal consulente della difesa, dr. P., ma che, ciononostante, la Corte non ne avrebbe tenuto conto, senza nemmeno disporre una perizia di ufficio, che sarebbe, ad avviso del ricorrente, risultata dirimente. Sottolinea che il contenuto dello stesso documento, proveniente dal Ministero dello sviluppo economico (documento richiamato testualmente nel ricorso e ad esso materialmente allegato), valorizzato dalla Corte territoriale per ritenere la responsabilità del costruttore del sollevatore idraulico, conterrebbe, a ben vedere, la prova della insussistenza del fatto e che la Corte, peraltro priva di cognizioni tecniche, avrebbe travisato il senso del documento, giungendo, in conseguenza, la sentenza a conclusioni ingiuste.
Altro tema decisivo in punto di causalità che sarebbe stato ignorato dal giudice di secondo grado, benché segnalato dal consulente della difesa, dr. P., è quello dell'Impiego, in aderenza al sollevatore idraulico, di una culla non originale, ciò che costituirebbe, ad avviso del ricorrente, una manomissione tale da costituire la reale causa del ribaltamento del macchinario, il cui baricentro si sarebbe trovato modificato. Si sottolinea, infine, che il mezzo, venduto dieci anni prima ed utilizzato continuativamente, non aveva in precedenza dato problemi.
4.2.2. Sotto il profilo sanzionatorio, si censura la motivazione, che sarebbe inadeguata in punto di scelta del trattamento sanzionatorio, con particolare riferimento all'applicazione della pena detentiva in luogo della pecuniaria e del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, negate immotivatamente, non potendo peraltro P.C. risarcire le due pp.oo., già risarcite dall'assicurazione della ditta, sottolineandosi anche che l'imputato è gravato da un unico precedente specifico di natura colposa.
 

Diritto


1. I ricorsi sono infondati e vanno rigettati.
1.1. Entrambe le difese pongono come questione principale quella della denunziata violazione del principio posto dall'alt. 6 della CEDU, nella lettura notoriamente offerta dalla Corte di Strasburgo che nella causa Dan vs. Moldavia, sentenza 05.07.2001, ha affermato il principio secondo il quale coloro che «hanno la responsabilità di decidere la colpevolezza o l'innocenza dovrebbero, in linea di massima, poter udire i testimoni personalmente e valutare la loro attendibilità», poiché «la valutazione dell'attendibilità di un testimone è un compito complesso che generalmente non può essere eseguito mediante una semplice lettura delle sue parole verbalizzate» (in senso analogo v. sent. 21.09.2010, Marcos Barrios vs. Spagna; sent. 27.11.2007, Popovici vs. Moldavia).
1.2. Rileva il Collegio che costituisce principio giurisprudenziale pacifico quello secondo il quale la motivazione della sentenza di riforma in grado di appello, tanto più ove si addivenga ad una condanna in secondo grado, deve essere particolarmente attenta.
Il principio viene espresso talora in termini meno assoluti, talaltra in termini più forti.
Si è specificato, infatti, che il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (Sez. U, n. 3748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679) e che non viola il principio dell'"oltre ogni ragionevole dubbio" il giudice di appello che riformi totalmente la sentenza assolutoria di primo grado valutando diversamente il medesimo compendio probatorio, purché delinei con adeguata motivazione le linee portanti del proprio alternativo percorso argomentativo, che metta in evidenza le ragioni di incompletezza o incoerenza del provvedimento riformato (Sez. 2, n. 17812 del 09/04/2015, Maricosu, Rv. 263763).
Ma si è anche detto che «il ribaltamento dello statuto decisorio in sede di gravame [...] deve fondarsi non su una semplice divergenza di apprezzamento tra giudici "orizzontalmente" proiettati verso un - reciprocamente autonomo - sindacato dello stesso materiale di prova, ma sul ben diverso versante di un supposto "errore" di giudizio che l'organo della impugnazione reputi di "addebitare" al giudice di primo grado, alla luce delle circostanze dedotte dagli appellanti ed in funzione dello specifico tema di giudizio che è stato devoluto. Ad una plausibile ricostruzione dei primo giudice, non può, infatti, sostituirsi sic et simpliciter, la altrettanto plausibile - ma diversa - ricostruzione operata in sede di impugnazione (ove così fosse, infatti, il giudizio di appello sarebbe null'altro che un mero doppione del giudizio di primo grado, per di più "a schema Ubero"), giacché, per ribaltare gli esiti del giudizio di primo grado, deve comunque essere posta in luce la censurabilità del primo giudizio; e ciò, sulla base di uno sviluppo argomentativo che ne metta in luce le carenze o le aporie che giustificano un diverso approdo sui singoli "contenuti" che hanno formato oggetto dei motivi di appello. La sentenza di appello, dunque, ove pervenga ad una riforma (specie se radicate [...]) di quella di primo grado, deve necessariamente misurarsi con le ragioni addotte a sostegno dei decisum dai primo giudice, e porre criticamente in evidenza gli elementi, in ipotesi, sottovalutati o trascurati, e quelli che, al contrario, risultino inconferenti o, peggio, in contraddizione, con la ricostruzione di fatti e della responsabilità poste a base della sentenza appellata» (così Sez. 2, n. 50643 de 18/11/2014, Fu e altri, Rv. 261327).
In termini ancora più netti, si è affermato che il principio per il quale, nel caso di riforma da parte del giudice di appello di una decisione assolutoria, il secondo giudice ha l'obbligo di dimostrare specificamente l'insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti della sentenza di primo grado, con rigorosa e penetrante analisi critica seguita da completa e convincente motivazione che, sovrapponendosi a tutto campo a quella del primo giudice, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati, trova applicazione anche in caso di radicale rovesciamento di una valutazione essenziale nell'economia della motivazione (Sez. 5, n. 35762 del 05/05/2008, Aleksi e altri, Rv. 241169), con affermazione che appare particolarmente apprezzabile, specie in considerazione del maggior rigore motivazionale che progressivamente si è ritenuto esistere nel caso di riforma in peius, anche in conseguenza della sollecitazione derivante dalla nota decisione Dan vs. Moldavia del 5 luglio 2011 della Corte europea dei diritti dell'uomo (i cui effetti sull'ordinamento interno, sotto il profilo della eventuale necessità di rinnovazione dell'istruttoria in appello, sono stati recentemente evidenziati da: Sez. 2, n. 34843 del 01/07/2015, Sagone, Rv. 264542; Sez. 3, n. 38786 del 23/06/2015, U. e altro, Rv. 264793; Sez. 5, n. 25475 del 24/02/2015, Prestanicola ed altri, Rv. 263903).
L'applicazione del principio espresso nella nota sentenza Dan vs. Moldavia, peraltro sostanzialmente già presente in alcune sentenze della S.C. antecedenti la stessa, non è tuttavia indiscriminato: la necessità di riassunzione è stata, infatti, ritenuta dalla Corte di legittimità sussistente allorché la fonte di prova sia costituita da una testimonianza, stimata attendibile o meno (Sez. 3, n. 38786 del 23/06/2015, U. e altro, Rv. 264793; Sez. 5, n. 6403 del 16/09/2014, Preite e altro, Rv. 262674; Sez, 3, n. 28530 del 26/02/2014, N., Rv. 260271), o da una consulenza o perizia (Sez. 2, n. 34843 del 01/07/2015, Sagine, Rv, 264542) ma non già quando la prova sia soltanto documentale (cfr., ex plurimis, Sez. 2, n. 13233 del 25/2/2014, Trupiano, Rv. 258780; Sez. 2, n. 29452 del 17/05/2013 Marchi e altro, Rv. 256467).
Inoltre, si è condivisibilmente, in plurime occasioni, esclusa la necessità di rinnovazione dell'istruttoria quando il giudice prenda in considerazione prove non considerate o erroneamente ritenute inutilizzabili ovvero faccia ricorso alle prove testimoniali non già ribaltandone la valutazione sulla attendibilità operata in primo grado ma soltanto attraverso una rilettura degli esiti della prova dichiarativa, ai fini di un rafforzato riscontro di dati oggettivi, limitandosi cioè a fornire una lettura coerente e logica del complessivo compendio probatorio, che ritiene essere stato travisato o ignorata nella decisione impugnata, valorizzando, in definitiva, gli elementi trascurati dal primo giudice (cfr. Sez. 2, n. 41736 del 22/09/2015, Di Trapani e altri, Rv. 264682; Sez. 3, n. 45453 del 18/09/2014, P., Rv. 260867; Sez. 6, n. 18456 del 01/07/2014, dep. 2015, Marziali, Rv. 263944; Sez. 5, n. 16975 del 12/02/2014, Sirsi, Rv. 259843; Sez. 5, n. 8423 del 16/10/2013, dep. 2014, Caracciolo e altro, Rv. 258945; Sez. 2, n. 32268 del 17/07/2013, Marotta, Rv. 255984; Sez. 5, n. 10965 del 11/01/2013, Cava e altro, Rv. 255223).
1.2. Ebbene, facendo applicazione nel caso di specie delle condivisibili precisazioni giurisprudenziali da ultimo richiamate, deve ritenersi che la motivazione della Corte di appello abbia rilevato errori logici del giudice di primo grado ed abbia proceduto a rivalutare essenzialmente prove documentali, integrate da testimonianze a mero riscontro, ergo: senza necessità di riassunzione delle prove orali.
1.3. Tanto precisato, si osserva che entrambi i ricorsi mirano ad introdurre un terzo grado di giudizio di merito mediante la sottoposizione alla Corte di cassazione di questioni di mero fatto, basate su di una lettura alternativa e che si stima preferibile del contenuto delle prove, ciò che è precluso nel giudizio di legittimità.
In particolare, la valorizzazione di quello che si stima essere l'effettivo contenuto del documento del Ministero dello sviluppo economico, materialmente allegato al ricorso, è mera quaestio facti.
Così come quaestio facti è quella inerente le possibili conseguenze dell'impiego di una staffa non originale, aspetto già preso in considerazione e stimato irrilevante nella ricostruzione della dinamica dell'infortunio dalla Corte si appello con motivazione non incongrua (v. pp. 15-16 della sentenza impugnata).
Anche le tematiche involgenti le posizioni di garanzia e la colpa degli imputati sono affrontate da un punto di vista fattuale in entrambi i ricorsi, comunque impostati in maniera estremamente generica.
La questione relativa alla delega di funzioni da parte del datore di lavoro, chiara alla Corte di appello, viene dalla stessa affrontata e risolta (pp. 8 e 13 della sentenza impugnata), non senza considerare che il ricorrente non dimostra e nemmeno allega il conferimento a preteso delegato dei poteri, di gestione di spesa, solo in presenza dei quali può ritenersi valido l'atto di delega, nemmeno indicato.
1.4. Non meno vaghe le doglianze in tema di trattamento sanzionatorio, comunque infondate.
1.4.1. Quanto, infatti, al ricorso di P.O. (v. punto n. 4.1.3. del "ritenuto in fatto"), erra il ricorrente nell'additare ad illegittima, poiché superiore rispetto al massimo edittale di cui all'art. 590, comma 1, cod. pen., la sanzione pecuniaria applicata, in quanto trascura di considerare il meccanismo di cui all'art. 590, comma 3, cod. pen, essendovi più infortunati.
Né risulta espressamente richiesto il beneficio della non menzione, in ogni caso implicitamente ritenuto dalla Corte non concedibile.
1.4.2. In relazione al ricorso di P.C. (v. punto n. 4.2.2. del "ritenuto in fatto") sia la individuazione del tipo e della entità della sanzione sia la esclusione delle circostanze attenuanti generiche sono state adeguatamente motivate mediante richiamo al maggior grado di responsabilità del produttore, derivante dall'avere messo in commercio un dispositivo non conforme, ed alla presenza di un precedente specifico (cfr. pp. 16-17 della sentenza impugnata).
La sanzione detentiva è stata, come si è detto, sospesa condizionalmente e non vi è impugnazione sul punto.
1.5. Con riferimento, infine, alla concessione da parte della Corte di appello, in dispositivo, a P.C. della pena sospesa, beneficio che però nella motivazione si legge come concedibile a P.O., siccome incensurato, ma non concesso in dispositivo, la verifica da parte del Collegio del verbale dell'udienza di discussione (l'accesso al quale è consentito, atteso il tipo di vizio denunziato) dimostra che vi è conformità tra dispositivo pubblicato mediante lettura il 18 dicembre 2014 e quello dattiloscritto inglobato nella sentenza-documento depositata, con motivazione, il 16 febbraio 2015. Esclusa la possibilità di correzione di errore materiale, non ricorrendo le condizioni di cui all'art. 130 cod. proc. pen., rimane la intangibilità della decisione consacrata nel (doppio) dispositivo, peraltro non impugnata né dal P.M. né dell'imputato cui la pena sospesa non è stata accordata, P.O. (destinatario di sanzione pecuniaria), il quale fa riferimento nel ricorso alla circostanza in questione al solo fine di argomentare ulteriormente la complessiva erroneità, a suo avviso, della decisione di merito ma che, a ben vedere, non impugna specificamente la mancata concessione del beneficio.
Discende il rigetto dell'impugnazione anche sul punto.
2. Dalla reiezione dei ricorsi (il reato non è prescritto: fatto del 1° aprile 2009 + sette anni e 6 mesi = 1° ottobre 2016; inoltre, sospensione di 87 gg. per rinvio in appello dal 23 settembre 2014 al 18 dicembre 2014; termine finale 1° ottobre 2016 + 87 gg. = 17 dicembre 2016) discende la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
 

P.Q.M.


Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 21/01/2016.