T.A.R. Friuli Venezia Giulia, Sez. 1, 24 giugno 2016, n. 325 - Mobbing per l'Ispettore Capo della Polizia di Stato


 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia (Sezione Prima) ha pronunciato la presente
SENTENZA

 


sul ricorso numero di registro generale 58 del 2014, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avv. Giovanni Ventura, con domicilio eletto presso il suo studio, in Trieste, Via Coroneo 17;
contro
Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Dello Stato, domiciliata in Trieste, piazza Dalmazia 3;
per l'accertamento del diritto del ricorrente al risarcimento, a titolo di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, ai sensi e per gli effetti del combinato disposto degli artt. 2087, 2043, 2049 c.c., dei danni dallo stesso subiti ad opera del Ministero dell'Interno, con conseguente condanna del medesimo al pagamento di tutti i danni, patrimoniali e non, subiti e subendi.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 giugno 2016 il dott. Umberto Zuballi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

 

Fatto
 

 

Il ricorrente, ispettore capo della polizia di Stato attualmente in quiescenza, fa presente di aver ottenuto il 14 gennaio 2008 il trasferimento dal settore polizia di frontiera al posto di polizia ferroviaria di Monfalcone con la qualifica di ispettore capo, vicecomandante di struttura.
Rileva che fin dall'inizio nel nuovo posto di lavoro emergevano contrasti con l'ispettore capo comandante.
Alcuni incarichi spettanti al ricorrente venivano affidati invece al suo subordinato; inoltre un certo numero di contestazioni da parte del comandante gli venivano effettuate in presenza di terzi. Il ricorrente in sostanza avrebbe subito delle discriminazioni continue; ad esempio non gli veniva assegnato un cassetto personale né una postazione.
Spesso veniva scavalcato dall'emanazione di un ordine di servizio ed era costretto a svolgere mansioni inferiori.
Inoltre di frequente era oggetto di variazioni di servizio. Il regolamento di servizio non veniva poi rispettato nei suoi confronti.
Il clima all'interno del posto di polizia divenne intollerabile e i rapporti erano compromessi. Il ricorrente quindi, all'aggravarsi del suo quadro clinico, venne collocato prima in aspettativa e poi in quiescenza.
Il comportamento vessatorio nei confronti del ricorrente sfociava in una querela, poi rimessa a fronte delle scuse.
Il ricorrente si sottoponeva a vari trattamenti medici per curare le malattie derivanti dallo stress lavorativo. In particolare il ricorrente ha sofferto di insonnia e di altre patologie derivanti dalla situazione lavorativa.
In via di diritto il ricorrente deduce la violazione degli articoli 2, 3, 32 e 97 della Costituzione, degli articoli 1175, 1375, 2087, 2043 e 2049 del codice civile e dell'articolo 66 della legge 121 del 1981 ed eccesso di potere.
Il comportamento del superiore del ricorrente è stato tale da concretare una vera e propria persecuzione nei suoi confronti; i comportamenti ostili risultano illeciti e tali da dimostrare un vero e proprio intento persecutorio che è sfociato in una malattia.
Il danno subito dal ricorrente risulta dimostrato così come il nesso causale con il comportamento del suo superiore gerarchico. L'amministrazione poi non è affatto intervenuta nonostante l'evidenza di quanto accaduto.
Il ricorrente chiede di essere risarcito del danno non patrimoniale che va valutato in tutti i suoi aspetti, oltre alla lesione dell'integrità psico-fisica di tale entità da non consentirgli di svolgere le proprie funzioni.
Inoltre egli deve essere risarcito del danno patrimoniale sotto il profilo del danno emergente e lucro cessante. Il ricorrente quantifica il danno globale in euro 204.283,16.
Come secondo motivo deduce lo sviamento, ingiustizia manifesta e la violazione del dovere di imparzialità. In subordine osserva come la situazione descritta sia effetto di un eccesso di potere. Non vi sono giustificazioni ai comportamenti vessatori dell'amministrazione.
Il ricorrente conclude chiedendo che, una volta accertata l'antigiuridicità delle condotte dell'amministrazione sotto diversi profili, sia sancito il suo diritto al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali con condanna dell'amministrazione a provvedere a tale risarcimento.
In via istruttoria chiede che venga accertata la parte di un medico legale la patologia sofferta e il nesso di causalità tra detta patologia e le vicende lavorative.
Resiste in giudizio l'amministrazione la quale contesta punto per punto il ricorso sottolineando come non corrispondono a verità molte delle affermazioni di parte ricorrente.
Con memoria depositata il 23 maggio 2016 il ricorrente ribadisce le proprie argomentazioni.
Infine nella pubblica udienza del 22 giugno 2016 la causa è stata introitata per la decisione.
 

 

Diritto
 

 

Il ricorrente, già dipendente dalla Polizia di Stato, attualmente in quiescenza, agisce per il risarcimento del danno derivante dall'atteggiamento persecutorio (mobbing) a suo avviso tenuto dall'amministrazione nei suoi confronti.
Va premesso che sussiste la giurisdizione del giudice amministrative nelle controversie - come quella in esame - nelle quali il contestato comportamento qualificabile come mobbing nei confronti di un militare viene ricollegato a specifici atti giuridici; al contrario, la giurisdizione amministrativa deve ritenersi esclusa nel caso di comportamenti vessatori non adottati nell'esercizio del potere di supremazia gerarchica posto a regolazione dello svolgimento del rapporto di lavoro, ma che si limitano ad atteggiamenti vessatori e persecutori (Consiglio di Stato, sez. IV, 26/11/2015, n. 5371).
Va poi rilevato come nell'ambito del rapporto di pubblico impiego il mobbing si sostanzia in una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, complessa, continuata e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del dipendente nell'ambiente di lavoro, la quale si manifesta con comportamenti intenzionalmente ostili, reiterati e sistematici, esorbitanti od incongrui rispetto all'ordinaria gestione del rapporto, espressivi di un disegno in realtà finalizzato alla persecuzione o alla vessazione del medesimo dipendente, tale da provocare un effetto lesivo della sua salute psicofisica. In particolare, ai fini della configurabilità della condotta lesiva da mobbing, va accertata la presenza di una pluralità di elementi costitutivi: a) la molteplicità e globalità di comportamenti a carattere persecutorio, illeciti o anche di per sé leciti, posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente secondo un disegno vessatorio; b) l'evento lesivo della salute psicofisica del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e la lesione dell'integrità psicofisica del lavoratore; d) la prova dell'elemento soggettivo consistente nell'intento persecutorio (Consiglio di Stato, sez. IV, 21/09/2015, n. 4394; Consiglio di Stato, sez. VI, 28/01/2016, n. 284).
In altri termini, nel rapporto di pubblico impiego, un singolo atto illegittimo o più atti illegittimi di gestione del rapporto in danno del lavoratore, non sono, di per sé, sintomatici della presenza di un comportamento mobbizzante, occorrendo la presenza di un complessivo disegno persecutorio, qualificato da comportamenti materiali, ovvero da provvedimenti, contraddistinti da finalità di volontaria e organica vessazione nonché di discriminazione, con connotazione emulativa e pretestuosa (Consiglio di Stato, sez. VI, 16/04/2015, n. 1945).
In questo quadro giurisprudenziale, che questo Collegio condivide, va innanzi tutto premesso che il ricorrente avrebbe dovuto impugnare tempestivamente eventuali provvedimenti illegittimi disposti nei suoi confronti.
Inoltre le prove dedotte in ricorso per dimostrare il mobbing cui sarebbe stato sottoposto da parte del suo superiore appaiono insufficienti e sono controbilanciate da episodi di segno contrario, come emerge dalla nota del 21 aprile 2008 in atti, nonché dal procedimento disciplinare disposto a carico del ricorrente con decreto del 24 luglio 2009 anch'esso agli atti.
Quanto alla querela il ricorrente stesso la ha rimessa.
Gli altri episodi menzionati in ricorso, oltre a non provati, si prestano a interpretazioni diverse e denotano, al contrario di quanto si assume in ricorso, una volontà conciliativa da parte dell'amministrazione.
In conclusione, il ricorrente non riesce a dimostrare l'illegittimità del comportamento dell'amministrazione nei suoi confronti e ancor meno un intento persecutorio; anche se fossero esatti tutti gli eventi indicati in ricorso, essi, complessivamente considerati anche nel contesto, non sarebbero tali da configurare l'esercizio di mobbing alla luce della giurisprudenza citata. A questo punto risulta superflua alcuna attività istruttoria.
Per tutte le su indicate ragioni il ricorso va rigettato laddove le spese di giudizio sui possono compensare per giusti motivi.
 

 

P.Q.M.
 

 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente. Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 22 giugno 2016 con l'intervento dei magistrati:
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 24 GIU. 2016.