Cassazione Civile, Sez. Lav., 23 novembre 2016, n. 23862 - Operaio visto a fumare nell'ambiente di lavoro in presenza di materiali infiammabili: licenziato


 

Presidente Di Cerbo – Relatore Patti



 

 

Fatto

 



Con sentenza 14 agosto 2013, la Corte d'appello di Ancona rigettava l'appello di I.B. avverso la sentenza di primo grado, che aveva accertato la legittimità del licenziamento disciplinare intimatogli il 22 aprile 2011 dalla datrice Imap Group s.p.a., per avere, non ottemperando a precedenti richiami del superiore gerarchico, fumato in ambiente di lavoro con materiali infiammabili.
Preliminarmente rilevate l'idonea affissione del codice disciplinare alle bacheche degli accessi allo stabilimento in prossimità della timbratrice e la presenza all'interno dello stesso di visibili segnali di divieto di fumare, la Corte territoriale riteneva la giusta causa del licenziamento intimato, sulla base delle scrutinate risultanze istruttorie. Ed infatti, il lavoratore, già recidivo, era stato sorpreso a fumare nell'ambiente di lavoro, procurando (indipendentemente dalla verificazione di un danno, non avvenuta), per i materiali infiammabili presenti, quali legno e solventi, una situazione di pericolo che il divieto violato mirava a prevenire, in funzione della sicurezza dell'ambiente di lavoro; ed essa era sanzionata dall'art. 81, lett. m) del CCNL Legno industria con il licenziamento in tronco. Sicchè, la sanzione espulsiva doveva considerarsi proporzionata alla gravità della condotta reiterata, idonea all'irrimediabile rottura del legame fiduciario tra le parti. Con atto notificato il 17 febbraio 2014, I.B. ricorre per cassazione con quattro motivi, cui resiste Imap Group s.p.a. con controricorso.
 

 

Diritto

 



Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 2712 c.c., ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per omessa valutazione delle riproduzioni video, mai disconosciute da controparte, fornite dal teste C., su debita autorizzazione del giudice, relative ad operai in atto di fumare all'interno dello stabilimento, a conferma della tolleranza datoriale.
Con il secondo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 7 l. 300/1970, 2106 c.c. e 81, lett. m) del CCNL Legno industria, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per omessa considerazione della tolleranza datoriale in ordine, secondo le scrutinate risultanze istruttorie, alla diffusione del fumo dei lavoratori all'interno dello stabilimento: dato non valutato a fini di proporzionalità della sanzione al fatto contestato, incidente sulla percezione soggettiva della sua gravità da parte del lavoratore.
Con il terzo, il ricorrente deduce omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., quale la tolleranza datoriale, risultante dalle riproduzioni video e dalla dichiarazione del teste C., non valutate dalla Corte territoriale.
Con il quarto, il ricorrente deduce nullità della sentenza per grave illogicità e contraddittorietà della motivazione, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., in ordine a due passaggi argomentativi: di inferenza del compimento del fatto contestatogli dalla richiesta del lavoratore di essere perdonato; di integrazione dei requisiti di giusta causa del licenziamento nella condotta addebitata al lavoratore. Il primo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell'art. 2712 c.c., per omessa valutazione di riproduzioni video, in epoca successiva al licenziamento per cui è causa mai disconosciute da controparte, di operai in atto di fumare all'interno dello stabilimento, è inammissibile.
Lungi dal configurare la violazione di legge formalmente enunciata in rubrica, il mezzo si risolve nella contestazione della valutazione delle prove (tra le quali le riproduzioni video e le dichiarazioni del teste C., di cuildenunciata la pretermissione) così come operata dal giudice di merito: cui solo spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l'attendibilità e la concludenza e di scegliere, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge, tra le complessive risultanze del processo, quelle / ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così libera prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti (Cass. 10 giugno 2014, n. 13054; Cass. 27 gennaio 2015, n. 1547).
E ciò in virtù dell'esercizio di un potere insindacabile dal giudice di legittimità, al quale è rimessa soltanto la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni del giudice di merito: non equivalendo il sindacato di logicità del giudizio di fatto a revisione del ragionamento decisorio della Corte territoriale, qualora congruamente e correttamente motivato (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694), come nel caso di specie (per le ragioni al punto 5 di pg. 4 della sentenza). Il secondo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 7 I. 300/1970, 2106 c.c. e 81, lett. m) del CCNL Legno industria, per omessa considerazione della tolleranza datoriale in ordine alla diffusione del fumo dei lavoratori all'interno dello stabilimento a fini di proporzionalità della sanzione al fatto contestato, è pure inammissibile.
Con esso il ricorrente non si duole, infatti, dell'inesatta interpretazione di norme né del non corretto esercizio del processo di sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta regolata dalle denunciate disposizioni di legge e contrattuale collettiva (quest'ultima, così recitante: "Fermo restando l'ambito di applicazione delle procedure previste dalla legge, il licenziamento - con immediata sospensione cautelare del rapporto di lavoro - può essere inflitto, con la perdita dell'indennità di preavviso, all'operaio che commetta gravi infrazioni alla disciplina ed alla diligenza del lavoro o che provochi all'azienda grave nocumento morale o materiale o che compia azioni delittuose in connessione con lo svolgimento del rapporto di lavoro. In via esemplificativa ricadono sotto questo provvedimento le seguenti infrazioni: ... m) fumare nell'ambito dello stabilimento in quei luoghi dove tale divieto è espressamente stabilito o comunque dove ciò può provocare pregiudizio all'incolumità delle persone od alla sicurezza degli impianti o dei materiali').
D'altro canto, esse individuano correttamente la ragione disciplinare del licenziamento nel comportamento del lavoratore di pericolo per la sicurezza dell'ambiente di lavoro. I.B. lamenta piuttosto la concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi costitutivi del parametro normativo e delle sue specificazioni, nonchè della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento: sotto il profilo della sua effettiva sussistenza in quanto neppure proporzionato alla gravità del fatto contestato, in ipotesi tollerato. E pertanto il mezzo si muove sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e sindacabile in cassazione, a condizione che la contestazione non si limiti ad una censura generica e di mera contrapposizione ricostruttiva dei fatti, ma contenga una specifica denuncia di incoerenza rispetto agli standards, conformi ai valori dell'ordinamento, esistenti nella realtà sociale (Cass. 15 aprile 2016, n. 7568; Cass. 26 aprile 2012, n. 6498; Cass. 2 marzo 2011, n. 5095): il che non è, per le ragioni dette, nel caso in esame.
Il terzo motivo, relativo ad omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti, quale la tolleranza datoriale, risultante dalle riproduzioni video e dalla dichiarazione del teste C., è inammissibile.
La censura riguarda, non già l'omesso esame di un fatto storico, ma la valutazione derivante dalla lamentata pretermissione di elementi istruttori, quali appunto quelli suindicati: sicchè, esorbita dal perimetro di denunciabilità delimitato dal novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., applicabile ratione temporis. Tale vizio è, infatti, denunciabile per omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, nel senso che, qualora esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia; fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie: con la conseguente preclusione nel giudizio di cassazione dell'accertamento dei fatti ovvero della loro valutazione a fini istruttori (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 26 giugno 2015, n. 13189; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439).
Il quarto motivo, relativo a nullità della sentenza per grave illogicità e contraddittorietà della motivazione, quale error in procedendo, è pure inammissibile.
Innanzi tutto, l'effettiva natura del mezzo non è compatibile con la sua formale rubricazione alla stregua di error ín procedendo: questo consistendo in un vizio di nullità del procedimento o della sentenza impugnata, tale da abilitare il giudice di legittimità ad un esame diretto degli atti processuali e dei documenti, senza limitarne la cognizione all'esame di sufficienza e logicità della motivazione (Cass. 21 aprile 2016, n. 8069; Cass. s.u. 22 maggio 2012, n. 8077).
Esso consiste piuttosto nella denuncia di un esplicito vizio di motivazione, non esaminabile alla stregua del novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., la cui riformulazione deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art./ 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione. Sicchè, è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 26 giugno 2015, n. 13189; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439)
Dalle superiori argomentazioni discende coerente il rigetto del ricorso con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza.
L'attuale condizione della ricorrente di ammessa al patrocinio a spese dello Stato esclude, allo stato, la sussistenza dei presupposti per il versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dall'art. 13, comma lquater del d.p.r. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012 (Cass. 15 ottobre 2015, n. 20920; Cass. 2 settembre 2014, n. 18523).

 

 

P.Q.M.

 



La Corte
rigetta il ricorso e condanna I.B. alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 100,00 per esborsi e € 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15 % e accessori di legge.