Cassazione Penale, Sez. 4, 02 dicembre 2016, n. 51540 - Infortunio durante le operazioni di carico di una nave. Mancata formazione e informazione e responsabilità datoriale


 

 

 

 

Presidente: BIANCHI LUISA Relatore: CAPPELLO GABRIELLA Data Udienza: 09/11/2016

 

Fatto

 

1. La Corte d'Appello di Reggio Calabria, in riforma della sentenza del Tribunale di Palmi, appellata dall'imputato T.O., ha dichiarato non doversi procedere in relazione al reato ascrittogli perché estinto per prescrizione, confermando le statuizioni civili.
2. In particolare, al T.O. è stato contestato il reato di cui all'art. 590 co. 1, 2 e 3 cod. pen., per avere omesso, nella qualità di datore di lavoro, in violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni, di rendere edotto il lavoratore I.S. dei rischi specifici cui era esposto e di portare a sua conoscenza le norme essenziali di prevenzione mediante affissione negli ambienti di lavoro degli estratti delle norme (art. 4 lett. b del d.P.R. 547/55) e, comunque, per avere, per negligenza ed imperizia, cagionato al predetto lesioni personali gravi, con prognosi riservata; nonché il reato di cui all'art. 4 lett. b in relazione all'art. 389 lett. c) d.P.R. 547/55 perché, nella qualità di legale rappresentante della ditta COOPMAR s.c.a r.l., ometteva di rendere edotti i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti e di portare a loro conoscenza le norme essenziali di prevenzione mediante affissione, negli ambienti di lavoro, di estratti delle norme (fatti accaduto il 30/03/2005 in Gioia Tauro).
Questi in sintesi i fatti.
Il giorno 12/01/2005, all'Interno dell'area portuale di Gioia Tauro, I.S., dipendente della COOPMAR s.c. a r.rl., (a sua volta incaricata dalla MCT - MEDCENTER CONTAINER TERMINAL, società gerente l'area interprotuale), si era trovato insieme ad altri lavoratori dipendenti della COOPMAR ad effettuare operazioni di carico su una nave container battente bandiera di Hong Kong. Sceso nella stiva della nave per assolvere ai suoi compiti (bloccaggio dei containers con le aste, dette "rizze"), l'I.S. si era portato su una passerella metallica di 80 cm. di larghezza, priva di protezioni laterali e posta a circa 5 m. dal pavimento della stiva, per il recupero di alcuni piedini e twists metallici, facenti parte del sistema di bloccaggio che il "rizzatore" deve raccogliere, cadendo accidentalmente al suolo e riportando per effetto della caduta fratture multiple, successivamente refertate.
3. L'imputato ha proposto ricorso a mezzo di difensore, formulando due distinti motivi.
Con il primo, ha dedotto violazione di legge con riferimento alla individuazione delle condotte esigibili, rilevando che la COOPMAR e la MEDCENTER avevano elaborato un documento comune di valutazione dei rischi (denominato verbale di sopralluogo e coordinamento, acquisito al giudizio), in cui era stato specificamente regolamentato il rischio interferenziale, attraverso la previsione della figura del "deckman", coordinatore delle attività relative al carico/scarico dei containers e preposto all'espletamento delle mansioni di cui all'art. 4 del d.lgs. 626/94.
Nel caso di specie, il R., quale titolare di tale posizione di garanzia, non aveva esercitato il dovuto controllo sullo svolgimento delle attività dei dipendenti COOPMAR e MEDCENTER sulla nave, allontanandosi e disinteressandosi di esse subito dopo l'accesso dei due lavoratori nella stiva.
Quanto alla omessa informazione del lavoratore sul rischio insito nell'attività lavorativa svolta sulle passerelle, la difesa ha rilevato che, nel caso di specie, l'I.S. era un operaio esperto che aveva preso parte agli incontri formativi e ricevuto le dovute informazioni.
Con il secondo motivo ha dedotto vizio motivazionale, ravvisando contraddittorietà e illogicità nel ragionamento svolto dalla Corte di merito che, dopo aver affermato che la raccolta dei twists anche in parti sopraelevate della stiva delle navi rientrava nelle mansioni ordinariamente svolte dai dipendenti COOPMAR, aveva poi ritenuto che il "via libera" del deckman R. non valeva ad esimere da responsabilità il datore di lavoro, trattandosi di affermazioni inconciliabili, atteso che se la passerella era un "luogo di lavoro", allora il R. avrebbe dovuto sospendere le operazioni.
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso va rigettato.
2. La Corte territoriale ha dato atto in sentenza che la dinamica dell'incidente era stata ricostruita ex post dagli Ispettori del Lavoro attraverso l'audizione della p.o. e degli altri soggetti informati sui fatti, tra cui il teste R., dipendente della appaltatrice MEDCENTER.
In sede di appello, la parte aveva contestato che il recupero dei piedini trovasse causa nell'espletamento delle mansioni del lavoratore, con conseguente errato dimensionamento della posizione di garanzia del datore di lavoro, al quale non poteva attribuirsi il compito di prevenire infortuni derivanti dal movimento dei lavoratori in aree della nave in cui costoro non dovevano operare, opponendo una diversa lettura degli elementi di fatto, intesa a valorizzare, in chiave liberatoria, la posizione di garanzia prevista nel documento di coordinamento in materia di sicurezza sul lavoro, sottoscritto tra l'appaltatrice COOPMAR e la terminalista/appaltante MEDCENTER. In base a quel documento, infatti, l'accesso alla nave in sicurezza per i "rizzatorì" doveva avvenire dopo il via libera del "deckman", compito svolto da un dipendente della appaltante (nel caso di specie il citato R.), al quale, in definitiva, secondo la prospettazione difensiva, doveva ascriversi la responsabilità della verifica della conformità a legge degli ambienti di lavoro e il controllo dei lavoratori.
La Corte d'Appello ha di contro ritenuto accertato, a fronte di tali censure, che l'infortunio era avvenuto nel corso dell'espletamento di mansioni lavorative e che non poteva essere ascritto ad un comportamento abnorme del lavoratore - la raccolta dei piedini-twists rientrando specificamente nelle mansioni dell'infortunato - dovendo esso ascriversi piuttosto alla omessa compiuta elaborazione dei rischi per la sicurezza dei lavoratori, specificamente connessi a quel tipo di ambiente di lavoro, valutazione che avrebbe dovuto tener conto delle variabili connesse alle diverse conformazioni delle stive delle navi, nelle quali i "rizzatorì" erano chiamati a muoversi ed, in particolare, per il caso che ci occupa, della possibilità di un recupero dei piedini/twists anche in parti delle navi poste ad altezze rilevanti e non adeguatamente protette. 
Sul punto, peraltro, la Corte ha valorizzato la deposizione di un teste, anch'egli lavoratore dipendente della COOPMAR, impegnato nell'occorso nelle medesime attività della p.o., tra le quali proprio il recupero dei piedini sulle passerelle, non assegnando rilievo alla deposizione di altro lavoratore dipendente, non presente all'interno della nave, poiché costui si era limitato a riferire in ordine alle modalità dell'accesso dei lavoratori all'interno di piccole navi come quella in cui si verificò l'infortunio e ad affermare che il recupero dei piedini dalle passerelle non costituiva compito dell'I.S., dovendo costui limitarsi a recuperare solo quelli posti sul pavimento della stiva.
In merito, la Corte territoriale ha osservato che, anche a voler ritenere dimostrata l'esistenza di una precisa indicazione lavorativa sul divieto di recuperare i piedini sulle passerelle, il T.O. sarebbe comunque incorso nella violazione del generico dovere di salvaguardia, quale titolare di una posizione di garanzia, essendo mancata un'adeguata informazione dei lavoratori circa l'esistenza di una simile indicazione, a tale regola non essendosi attenuto non solo l'I.S., ma anche l'A., ciò dimostrando che i lavoratori della COOPMAR erano soliti procedere al recupero di quei pezzi anche sulle passerelle.
Quanto al documento di coordinamento, la Corte ha ritenuto che la posizione di garanzia eventualmente rinvenibile in capo a terzi (il c.d. "deckman" R.) non valeva ad esimere da responsabilità il T.O. per non avere adeguatamente valutato i rischi, né informato di essi i lavoratori, con riferimento alla specifica attività di recupero dei piedini sulle passerelle, né approntato appositi dispositivi di sicurezza (come imbracature), o inibito detta attività nel caso di impossibilità di recupero in condizioni di sicurezza.
3. Il primo motivo è infondato.
Non si ravvisa, infatti, alcuna violazione di legge con riferimento alla ricostruzione della posizione di garanzia del datore di lavoro, nel contesto del rischio interferenziale evocato dal ricorrente, una volta chiarito che al T.O. è stata contestata la violazione degli obblighi di formazione e informazione sui rischi in ambiente di lavoro, connessi alla specifica lavorazione effettuata e, a titolo di colpa generica, anche la violazione di un generale dovere di salvaguardia rinvenuto nella omessa predisposizione di adeguati controlli sulla osservanza delle norme antinfortunistiche.
Premesso, infatti, che il datore di lavoro, essendo tenuto a rendere edotti i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti e a fornir loro adeguata formazione in relazione alle mansioni cui sono assegnati, risponde degli infortuni occorsi in caso di violazione di tale obbligo [cfr. Sez. 4 n. 11112 del 29/11/2011 Ud. (dep. 21/03/2012), Rv. 252729], giovi pure considerare che, in tema di infortuni sul lavoro, qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell'obbligo di tutela impostogli dalla legge fin quando si esaurisce il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola posizione di garanzia, per cui l'omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione (cfr. Sez. 4 n. 18826 del 09/02/2012, Rv. 253850, in fattispecie in cui la S.C. ha ritenuto la responsabilità del datore di lavoro per il reato di lesioni colpose nonostante fosse stata dedotta l'esistenza di un preposto di fatto; n. 46849 del 03/11/2011, Rv. 252149).
In merito, questa Sezione ha recentemente affermato che neppure il conferimento a terzi della delega, relativa alla redazione del documento di valutazione dei rischi, è idonea a esonerare il datore di lavoro dall'obbligo di verificarne l'adeguatezza e l'efficacia, di informare i lavoratori dei rischi connessi ai lavori in esecuzione e di fornire loro una formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza e salute, con particolare riferimento al proprio posto di lavoro e alle proprie mansioni (cfr. Sez. 4 n. 22147 del 11/02/2016, Rv. 266859).
Peraltro, tale attività non è neppure superata dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore, ricollegabile alla sua lunga esperienza operativa o ad un travaso di conoscenza che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori, atteso che la condivisione delle esperienze e delle prassi lavorative non si identifica, né vale a surrogare le attività di informazione e di formazione previste dalla legge (cfr. Sez. 4 n. 21242 del 12/02/2014, Rv. 259219; n. 22147 dell'11/02/2016, 266860).
Tale ultima osservazione serve a superare il rilievo difensivo svolto nel primo motivo di ricorso, laddove si è operato un diretto riferimento alla esperienza dell'I.S. quale socio lavoratore della Cooperativa che svolgeva quel lavoro da ben sette anni.
Quanto alla specificità del segmento di lavorazione sul quale ha inciso eziologicamente il gap formativo ed informativo ritenuto dai giudici di merito, si consideri che il datore di lavoro ha l’obbligo di analizzare e individuare con il massimo grado di specificità, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda, avuto riguardo alla casistica concretamente verificabile in relazione alla singola lavorazione o all'ambiente di lavoro (cfr. Sez. 4 n. 20129 del 10/03/2016, Rv. 267253). Tale aspetto è stato specificamente analizzato dal giudice d'appello che ha, infatti, valorizzato la prassi (accertata sulla scorta della testimonianza A.), per la quale il recupero dei piedini riguardava non solo quelli che si trovavano sul pavimento della stiva delle navi, ma anche quelli posti sulle passerelle sfornite di protezione.
Ciò vale anche a confutazione, in punto di diritto, dell'argomento difensivo che fa leva sulla presunta abnormità del comportamento del lavoratore e della scelta di operare quel recupero in una zona meno sicura dell'ambiente di lavoro: tale scelta, infatti, non costituisce comportamento abnorme o eccezionale rispetto all'attività da eseguire, alla luce dei criteri elaborati dalla giurisprudenza consolidata di questa stessa sezione, secondo cui "In tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore faccia venir meno la responsabilità del datore di lavoro, occorre un vero e proprio contegno abnorme del lavoratore medesimo, configurabile come un fatto assolutamente eccezionale e del tutto al di fuori della normale prevedibilità, quale non può considerarsi la condotta che si discosti fisiologicamente dal virtuale ideale" (cfr. Sez. 4 n. 22249 del 14/03/2014, Rv. 259127). Sempre con riferimento al concetto di "atto abnorme", si è pure precisato che tale non può considerarsi il compimento da parte del lavoratore di un'operazione che, pure inutile e imprudente, non sia però eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate nell’ambito del ciclo produttivo [cfr. Sez. 4 n. 7955 del 10/10/2013 Ud. (dep. 19/02/2014), Rv. 259313].
L'abnormità del comportamento del lavoratore, dunque, può apprezzarsi solo in presenza della imprevedibilità della sua condotta e, quindi, della sua ingovernabilità da parte di chi riveste una posizione di garanzia. Sul punto, si è peraltro efficacemente sottolineato che tale imprevedibilità non può mai essere ravvisata in una condotta che, per quanto imperita, imprudente o negligente, rientri comunque nelle mansioni assegnate, poiché la prevedibilità di uno scostamento del lavoratore dagli standards di piena prudenza, diligenza e perizia costituisce evenienza immanente nella stessa organizzazione del lavoro. Il che, lungi dall’avallare forme di automatismo che svuotano di reale incidenza la categoria del "comportamento abnorme", serve piuttosto ad evidenziare la necessità che siano portate alla luce circostanze peculiari - interne o esterne al processo di lavoro - che connotano la condotta dell’infortunato in modo che essa si collochi al di fuori dell’area di rischio definita dalla lavorazione in corso (cfr. in motivazione Sez. 4 n. 7955/2013 richiamata). Tale comportamento "...è "interruttivo" non perché "eccezionale" ma perché eccentrico rispetto ai rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare" (Sez. 4, n. 49821 del 23/11/2012, Rv. 254094).
4. Anche il secondo motivo è infondato.
Non si rinviene alcuna contraddizione nel ragionamento svolto dal giudice territoriale in ordine alla delimitazione dell'ambiente di lavoro, da considerarsi esteso anche alle passerelle poste all'interno della stiva, alla luce della posizione di garanzia che la difesa ritiene sussistente in capo ad un terzo soggetto (il R.): l'argomento difensivo, invero esposto in maniera non del tutto chiara, chiama in causa ancora una volta una presunta valenza esimente dei compiti del "deckman" rispetto agli obblighi direttamente ricollegabili alla diversa posizione di garanzia del datore di lavoro, tema sul quale si rinvia a quanto già ampiamente esposto nel corso della disamina del primo motivo di ricorso.
5. Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 

 

P.Q.M.
 

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Deciso in Roma il 09 novembre 2016