Cassazione Penale, Sez. 4, 23 gennaio 2017, n. 3321 - Lavoratore cade all'interno di una vasca di decantazione svuotata. Nessuna misura di sicurezza per i lavori in quota


 

Presidente: D'ISA CLAUDIO Relatore: CAPPELLO GABRIELLA Data Udienza: 06/12/2016

 

 

 

 

 

Fatto

 

1. La Corte d'Appello di Brescia ha confermato la sentenza del Tribunale di quella città, appellata dall'imputato G.DG.S., con la quale questi era stato condannato per il reato cui agli artt. 590 commi 1 e 3, 583 co. 1 cod. pen. perché, nella qualità di procuratore speciale per l'esercizio dell'impresa della società M. Siderurgica S.p.A., con delega specifica per gli aspetti di sicurezza sul lavoro dell'azienda, nonché datore di lavoro dell'infortunato, per colpa cagionava a C.M. lesioni personali gravi, poiché costui, mentre percorreva la sommità del muro di perimetrazione di una vasca di decantazione al fine di eseguire sulla stessa, preventivamente svuotata del liquido di contenimento, un intervento di manutenzione, perdeva inavvertitamente l'equilibrio cadendo all'interno della vasca da un'altezza di circa 4 mt., riportando le lesioni meglio descritte in imputazione; colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia e inosservanza di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, non adottando le misure che secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, erano necessarie a tutelare l'integrità fisica dei lavoratori ed, in particolare, nella violazione degli artt. 75, 77, 111 e 115 T.U. 81/2008 in quanto, per l'esecuzione dei lavori con la necessità di passaggio e posizionamento in quota, ometteva di adottare le necessarie misure ed attrezzature collettive ed individuali, atte ad assicurare la protezione dei lavoratori dal pericolo di caduta dall'alto; nello specifico, non dotava di idonei parapetti il percorso pedonabile esistente sulla sommità del muro perimetrale della vasca da percorrere necessariamente per le ordinarie attività di manutenzione e non forniva agli addetti le idonee cinture di sicurezza ancorate a parti stabili della struttura fissa o, comunque, non ne pretendeva l'uso (fatto commesso in Brescia il 15/06/2009).
2. L'imputato ha proposto ricorso a mezzo di difensore, deducendo cinque distinti motivi.
Con il primo, ha dedotto vizio della motivazione per essere il giudice del gravame incorso nel medesimo errore di giudizio del Tribunale, ritenendo che successivamente all'infortunio l'azienda avesse adottato le cautele pretermesse. Sul punto, la parte ha rilevato che tale errore, opposto in sede di appello, era dipeso da un travisamento delle riproduzioni fotografiche, essendo emerso che l'intervento di modifica impiantistica che aveva interessato quello stabilimento dopo l'infortunio era consistito nel posizionamento di un grigliato metallico non sulla sommità del muro dal quale è precipitato il lavoratore, bensì in posizione adiacente ad esso, atteso che la sommità del muro non era destinata ad alcun tipo di camminamento. Detto vizio avrebbe il carattere della decisività atteso che, una volta eliminato il grigliato metallico dalla sommità del muro che resta, quindi, in cemento e non adatto al camminamento, la valutazione dello stato dei luoghi ai fini della verifica della esistenza dei presidi di sicurezza contro la caduta all'interno della vasca muterebbe in senso nettamente favorevole all'imputato, atteso che la conclusione errata secondo cui il grigliato metallico sarebbe stato collocato sopra quel muro costituiva una sorta di legittimazione implicita che un transito in quel punto fosse comunque previsto, laddove, l'assenza di qualsivoglia superficie di camminamento sulla sommità del muro, come confermato da quelle immagini, avrebbe al contrario il significato esattamente opposto.
Sotto altro profilo, la parte rileva che l'accesso alla sommità del muro era sufficientemente interdetto dalla sua altezza da terra e dalla presenza di un parapetto, non essendo ipotizzabile alcuna ulteriore norma di salvaguardia atteso che il posizionamento del lavoratore in quel punto era dipeso dal superamento della barriera esistente.
La Corte avrebbe inoltre operato un errato sillogismo, affermando che il lavoratore doveva scendere all'Interno della vasca per verificarne lo stato: tale assunto si fonderebbe su un ulteriore travisamento probatorio, atteso che il lavoratore non doveva eseguire operazioni di pulizia del fondo della vasca, ma semplicemente operare una ispezione visiva di esso, peraltro visibile anche senza raggiungere il muro posto sulla sommità.
Con il secondo, ha dedotto mancanza parziale della motivazione con riferimento alla sussistenza del nesso di causalità, affidata ad una sola affermazione apodittica ed assertiva, secondo cui il rischio che la cautela doveva presidiare si sarebbe concretizzato nell'evento verificatosi, a fronte di una specifica doglianza con la quale l'appellante aveva rilevato che la mancanza del parapetto nel punto di caduta, anche ove fosse stato in grado di integrare un addebito per colpa, non poteva considerarsi concretizzazione del rischio che la norma cautelare intendeva evitare, poiché l'intervento posto in essere dalla p.o. (ispezione visiva) rientrava perfettamente nell'ambito di tutela del parapetto a protezione del ballatoio, dal quale l'infortunato avrebbe potuto in tutta sicurezza espletare il suo controllo.
Con il terzo motivo, ha dedotto vizio della motivazione con riferimento al punto autonomo della decisione, rappresentato dal secondo addebito, vale a dire la mancata corretta valutazione del rischio relativo all'attività di pulizia delle pompe, non avendo il giudice considerato che l'infortunato stava compiendo una ispezione dall'alto e non la pulizia del fondo della vasca, né aveva in programma di accedervi, non potendo l'obbligo di valutazione dei rischi estendersi fino alla previsione di procedure specifiche relative ad attività di dettaglio.
Con il quarto motivo, ha dedotto vizio di mancanza parziale della motivazione con riferimento alla declaratoria di improcedibilità del reato per difetto di querela, conseguente alla eliminazione delle violazioni alla normativa antinfortunistica.
Infine, con il quinto motivo, ha dedotto violazione di legge nella parte in cui il giudice ha fatto ricorso a semplici clausole di stile per negare il beneficio della sostituzione della pena detentiva.

 

 

 

Diritto

 


1. Il ricorso è inammissibile. 
2. La Corte territoriale ha dato conto del fatto che con l'atto di appello la parte aveva contestato l'affermazione di colpevolezza, in via subordinata evidenziando quantomeno l'insussistenza degli addebiti di colpa specifica e conseguentemente l'improcedibilità per difetto di querela, contestando altresì la dosimetria della pena ed il diniego del beneficio della sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria.
I punti specifici rassegnati al vaglio del giudice del gravame, secondo quanto riportato nella sentenza impugnata, hanno riguardato le stesse circostanze sulle quali il ricorrente ha articolato i motivi di ricorso. Con essi, in sostanza, la parte lamenta un deficit motivazionale e il travisamento di alcuni elementi di prova (sia con riferimento ai fotogrammi ritraenti l'impianto dopo l'infortunio e successivamente all'intervento di modernizzazione effettuato, che il tipo di attività lavorativa che l'infortunato doveva svolgere, tale da non necessitare il raggiungimento del punto dal quale precipitò), nonché il difetto del nesso causale tra la mancata valutazione del rischio e l'evento verificatosi, atteso che l'operaio stava guardando il fondo della vasca con una modalità scelta di sua iniziativa e non necessaria.
Entrambi i profili sono stati disattesi dalla Corte territoriale che ha precisato come l'istruttoria (e, segnatamente, la testimonianza dell'infortunato e dell'A., soggetto che successivamente aveva acquisito la qualità di direttore dello stabilimento e deciso di effettuare le migliorie di cui si è detto) avesse consentito di accertare che l'operaio si era trovato nel punto dal quale era caduto, in assenza di opere di salvaguardia, proprio per controllare l'interno della vasca oggetto di manutenzione, operazioni il cui svolgimento era affidato ad una prassi, in difetto di disposizioni scritte su come accedere all'interno di essa.
A tale prassi l'infortunato si era, nel caso di specie, attenuto con una condotta rientrante nelle sue mansioni e in totale difetto di una valutazione del rischio relativo, tramite l'imposizione di prescrizioni o procedure atte a tutelare la sicurezza dei lavoratori.
3. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Quanto alla valutazione della natura della modifica impiantistica successiva all'Infortunio, la stessa, contrariamente all'assunto difensivo, non è decisiva. Infatti, l'argomento è stato utilizzato dal giudicante quale corollario conclusivo del ragionamento svolto sulla scorta di ben altri elementi probatori, rappresentati da una convergente prova orale, da cui era emerso che la p.o. non aveva fatto altro che seguire una prassi consolidata per espletare l'incombente lavorativo, trovandosi necessariamente nel punto dal quale poi precipitò.
A fronte di tale acquisizione, di scarso rilievo appare l'eventuale errore sull'esatto posizionamento del grigliato successivamente aggiunto (non sul muro che restò di cemento, bensì adiacente ad esso), atteso che anche a ritenere più corretta la lettura delle riproduzioni fotografiche ipotizzata dal ricorrente, resta comunque il dato certo che il C.M. aveva optato per il camminamento sul muro sfornito di protezione in virtù della prassi consolidata e, soprattutto, in difetto di una valutazione del rischio specifico.
Le stesse considerazioni valgono a togliere pregio alla seconda osservazione. La parte ha sostenuto che per vedere il fondo della vasca il lavoratore non doveva raggiungere il punto dal quale precipitò, cosicché avrebbe errato la Corte territoriale nel ritenere necessario che egli dovesse scendere all'interno della vasca. Invero, la censura sconta un mancato effettivo confronto con le ragioni della decisione, avendo il giudice del gravame richiamato le dichiarazioni del teste A., il quale aveva affermato che il fondo poteva essere visto anche dal carro disincagliatore, ma che in ogni caso bisognava pulire prima, mentre la p.o. aveva precisato che per capire cosa ci fosse all'interno della vasca era comunque necessario scendere al suo interno e che per scendere bisognava comunque andare sul muretto.
Tali considerazioni decretano l'infondatezza del secondo motivo che si fonda sull'assunto, invero smentito dall'istruttoria, che il lavoratore non dovesse accedere al muro per l'espletamento delle sue mansioni lavorative.
Peraltro, con riferimento alle modalità di espletamento delle mansioni incombenti sull'infortunato, erra la parte a ritenere che tale scelta configuri un comportamento abnorme o eccezionale rispetto all'attività da eseguire, alla luce dei criteri elaborati dalla giurisprudenza consolidata di questa stessa sezione, secondo cui "In tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore faccia venir meno la responsabilità del datore di lavoro, occorre un vero e proprio contegno abnorme del lavoratore medesimo, configurabile come un fatto assolutamente eccezionale e del tutto al di fuori della normale prevedibilità, quale non può considerarsi la condotta che si discosti fisiologicamente dal virtuale ideale" (cfr. Sez. 4 n. 22249 del 14/03/2014, Rv. 259127). Sempre con riferimento al concetto di "atto abnorme", si è pure precisato che tale non può considerarsi il compimento da parte del lavoratore di un'operazione che, pure inutile e imprudente, non sia però eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate nell'ambito del ciclo produttivo (cfr. Sez. 4 n. 7955 del 10/10/2013 Ud. (dep. 19/02/2014), Rv. 259313).
L'abnormità del comportamento del lavoratore, dunque, può apprezzarsi solo in presenza della imprevedibilità della sua condotta e, quindi, della sua ingovernabilità da parte di chi riveste una posizione di garanzia. Sul punto, si è peraltro efficacemente sottolineato che tale imprevedibilità non può mai essere ravvisata in una condotta che, per quanto imperita, imprudente o negligente, rientri comunque nelle mansioni assegnate, poiché la prevedibilità di uno scostamento del lavoratore dagli standards di piena prudenza, diligenza e perizia costituisce evenienza immanente nella stessa organizzazione del lavoro. Il che, lungi dall'avallare forme di automatismo che svuotano di reale incidenza la categoria del "comportamento abnorme", serve piuttosto ad evidenziare la necessità che siano portate alla luce circostanze peculiari - interne o esterne al processo di lavoro - che connotano la condotta dell'infortunato in modo che essa si collochi al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso (cfr. in motivazione Sez. 4 n. 7955/2013 richiamata). Tale comportamento "...è "interruttivo" (per restare al lessico tradizionale) non perché "eccezionale" ma perché eccentrico rispetto ai rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare" (Sez. 4, n. 49821 del 23/11/2012, Rv. 254094).
Nel caso di specie l'istruttoria ha confermato che la scelta di salire su quel muro era necessitata e che soprattutto costituiva prassi costante seguita in quell'impianto in occasione dei periodici interventi manutentivi.
Anche il secondo motivo è manifestamente infondato.
La Corte ha adeguatamente dato conto del nesso causale tra l'evento e la violazione delle regole di normale prudenza e di quella cautelare specifica. La mancanza di protezioni sul camminamento normalmente usato per effettuare quegli interventi e la omessa valutazione di quel rischio sono stati posti in correlazione al prodursi dell'evento secondo un ragionamento che rispetta i parametri elaborati dalla giurisprudenza sul punto specifico. A fronte di una stringata motivazione, giustificata dalla particolare pregnanza delle violazioni contestate, la parte ha continuato a ignorare gli esiti dell'istruttoria svolta, dai quali è emerso che la presenza del parapetto a protezione del ballatoio non era sufficiente a escludere l'addebito per colpa in capo al datore di lavoro, atteso che la prassi richiedeva ai lavoratori di accedere alla zona non presidiata.
Lo stesso errore di prospettiva, invero, inficia anche la fondatezza del terzo motivo, rilevandosi che correttamente, sempre sulla scorta delle risultanze dell'istruttoria, la Corte ha considerato l'obbligo di valutare i rischi connessi alla lavorazione specifica, rimanendo del tutto apodittica l'affermazione che, nel caso di specie, il rischio sarebbe stato correlato ad un'attività di dettaglio.
La manifesta infondatezza del quarto motivo, poi, è strettamente correlata alla sussistenza della violazione della normativa antinfortunistica, senza che possa rilevarsi un vizio motivazionale con riferimento ad una statuizione il cui presupposto ha costituto oggetto di rilievi difensivi ampiamente esaminati e ritenuti infondati dal giudice d'appello.
Infine, quanto al quinto motivo, deve rilevarsi che la Corte bresciana ha ancorato la dosimetria della pena alla condotta omissiva che ha costituito l'addebito mosso all'imputato, evidenziandone il grado di colpa, anche in relazione allo stato dei luoghi e alla esistenza di una prassi di controllo del fondo della vasca ad alto rischio e senza "alternative", né programmazione alcuna o indicazione di modelli comportamentali corretti da parte del soggetto che rivestiva la relativa posizione di garanzia, ritenendo equa la pena detentiva individuata dal Tribunale e non equa una sua sostituzione con la pena pecuniaria.
Nessun vizio deducibile in questa sede inficia tale valutazione che è affidata alla discrezionalità del giudice di merito, in questo caso esercitata in maniera congrua, logica e non contraddittoria.
4. Alla declaratoria d'inammissibilità del ricorso segue, a norma dell'alt. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene equo liquidare in € 2.000,00 in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità (cfr. C. Cost. n. 186/2000).
 

 

P.Q.M.

 


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Deciso in Roma il 06 dicembre 2016.