Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. 6, 01 febbraio 2017, n. 2683 - Domanda per il riconoscimento dell'indennizzo in relazione alla malattia professionale. Ricorso inammissibile


 

 

 

Presidente: CURZIO PIETRO Relatore: GARRI FABRIZIA Data pubblicazione: 01/02/2017

 

 

 

FattoDiritto

 


La Corte di appello di Bologna ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva rigettato la domanda di G.Y. volta al riconoscimento dell’indennizzo in relazione alla malattia di natura professionale accertata dall’Istituto.
La Corte territoriale ha escluso che la sentenza fosse nulla evidenziando che la motivazione della decisione era integrata per relationem alla consulenza disposta in primo grado, conformemente a quanto disposto dall’art. 118 disp. att. c.p.c. nel testo novellato dalla legge n. 69 del 2009 attraverso una succinta esposizione dei fatti rilevanti e delle ragioni giuridiche della decisione. Inoltre sottolinea che con la nota integrativa all’elaborato peritale si è tenuto conto dei rilievi mossi dal ctp.
Per la cassazione della sentenza ricorre G.Y. che articola due motivi con i quali denuncia l’omessa insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione ad un punto decisivo della controversia e la violazione ed errata applicazione degli artt. 111 comma 2 Cost, 6 e 47 CLDU, 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c..
L’Inail si è difeso con controricorso.
Tanto premesso il ricorso è inammissibile sotto vari profili.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile sia perché propone censure che mirano a sollecitare un nuovo esame delle emergenze dell’istruttoria svolta, sia, ed ancor prima, perché non riportano il contenuto delle note aggiuntive redatte dal consulente che la Corte ha accertato che avevano dato una compiuta e convincente risposta alle osservazioni critiche formulate dal consulente di parte all’elaborato peritale.
Va poi rammentato che l'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). In cassazione è denunciabile solo l'anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, cosicché tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione.
Il secondo motivo, con il quale ci si duole nella sostanza del fatto che la Corte territoriale abbia ritenuto adeguata la motivazione per relationem della sentenza di primo grado, è carente nella specificazione del contenuto della sentenza che si assume essere stata erroneamente ritenuta sufficientemente motivata.
In nessuna parte del ricorso, infatti è riportato il contenuto della sentenza di primo grado che si assume essere totalmente inesistente. 
In conclusione per le ragioni esposte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell'applicabilità dell'art. 13, comma 1 qnater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'alt. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l'applicazione dell'ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poiché l'obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo - ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione - del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l'impugnante, dell'impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell'ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell'apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass., Sez. Un., n. 22035/2014).
 

 

P.Q.M.

 


La Corte, dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in e 2500,00 per compensi professionali, £ 100,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie. Accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 qnater del d.P.R. n. 115 del 2002 da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato d.P.R..
Così deciso in Roma il 1 dicembre 2016