Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 13 febbraio 2017, n. 6604 - Terremoto a L'Aquila e crollo della Casa dello studente. Respinto il ricorso degli ingegneri e architetti che avevano provveduto alla ristrutturazione


 

Depositate il 13 febbraio le conclusioni della Corte di Cassazione sulla tragica vicenda della ormai nota "Casa dello Studente" a l'Aquila. La Corte respinge i ricorsi e conferma le condanne a quattro anni di reclusione per gli ingegneri B.D.P., P.C. e T.R., e a due anni e sei mesi per P.S., il presidente della Commissione collaudo dell'Azienda per il diritto agli studi universitari.

La figura del progettista, ove si inserisca in una situazione in cui altri siano già intervenuti, è tenuta ad informarsi circa i pregressi interventi e, se del caso, a proporre o ad effettuare i necessari adeguamenti: è questo il principio di diritto affermato dalla Suprema Corte esaminando quanto è successo alla Casa dello studente, un principio applicabile a tutti i disastri, come quello di Rigopiano, nei quali un evento naturale fa da detonatore a grossi errori di progettazione.

Gli imputati hanno infatti trascurato che la casa dello studente era stata trasformata da edificio destinato, negli anni '60, ad abitazioni private, in una vera e propria struttura alberghiera e, come tale, completamente stravolta rispetto all'originaria destinazione d'uso. Dunque è chiaro che non è loro addebitabile la realizzazione della variazione, avvenuta molti anni prima, ma è altrettanto chiaro che tale situazione non andava ignorata.

La Cassazione, in diversi punti, afferma poi che la zona in questione è zona considerata a rischio sismico almeno dal 1965 e proprio per questo il sisma del 6 aprile non è stato nè imprevedibile nè eccezionale.


 

 

Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO Relatore: CENCI DANIELE Data Udienza: 11/05/2016

 

 

 

Fatto

 


1.- Dictum della sentenza impugnata. - Con sentenza del 28 aprile 2015 la Corte di appello di L'Aquila, in parziale riforma della sentenza del 16 febbraio 2013 resa all'esito di giudizio abbreviato dal G.u.p. del Tribunale di L'Aquila ed appellata dagli imputati B.D.P., P.C., T.R. e P.S., per quanto in questa sede rileva, ha eliminato la pena accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici inflitta in primo grado agli imputati B.D.P., P.C. e T.R. ed ha confermato la decisione nel resto, condannando il solo P.S., in quanto integralmente soccombente, al pagamento delle spese processuali e tutti gli imputati, in solido tra di loro, alla refusione delle spese di patrocinio relative al secondo grado di merito sostenute dalle sessantaquattro parti civili (sessantuno persone fisiche e tre enti) costituite.
Ricorrono per la cassazione della sentenza, come meglio si vedrà in prosieguo (ai punti nn. 7 e ss. del "ritenuto in fatto"), gli imputati B.D.P., P.C., T.R. e P.S..
 

 

2. - Capi di accusa. - Le contestazioni che nel lungo capo di accusa si muovono a tutti gli imputati sono, in cooperazione colposa tra di loro (art. 113 cod. pen.):
disastro colposo (434, commi 1 e 2, cod. pen., in relazione all'art. 449 cod. pen.);
omicidio colposo plurimo (art. 589 cod. pen.);
lesioni colpose plurime (art. 590, commi 3 e 5, cod. pen.).
In particolare, si contesta agli ingegneri B.D.P., P.C., T.R. ed all'architetto P.S., in cooperazione colposa tra di loro, nelle qualità e con le condotte sia commissive che omissive di cui appresso (punti nn. 2.1. e 2.2. del "ritenuto in fatto"), di avere cagionato il crollo o, comunque, di avere cooperato nel porre le condizioni del crollo di porzione dell'ala nord dell'edificio sito in L'Aquila e denominato "Casa dello studente" in occasione della scossa di terremoto del 6 aprile 2009, ore 03.32, e la conseguente morte di otto persone (sette studenti universitari che risiedevano presso l'edificio ed il portiere dello stabile), oltre al ferimento ed all'insorgenza di malattie anche psicologiche relativamente a ventiquattro persone (ventitré studenti ed un altro portiere dello stabile).
2.1. - Gli imputati ingegneri B.D.P., P.C. e T.R. sono stati chiamati a rispondere dei reati nelle seguenti qualità:
tutti - in veste di progettisti e di direttori dei lavori, il primo dei tre (ing. B.D.P.) con la qualifica di ingegnere capo, di «restauro e risanamento dell'edificio sede della casa dello studente», lavori concernenti, tra l'altro, «la ridistribuzione interna degli spazi e delle stanze per gli studenti dal primo al quarto piano dell'edificio, con realizzazione di nuovi locali e nuovi servizi igienici, rifacimento degli impianti, adeguamento alle norme di sicurezza», come da incarico loro affidato con delibera n. 146 del 26 agosto 2008 dell'ADISU (acronimo di: Azienda per il Diritto allo Studio Universitario) di L'Aquila, ente di gestione con personalità giuridica di diritto pubblico, con approvazione del progetto e del relativo bando di gara con delibere nn. 277 e 279 del 30 dicembre 1998, affidamento in esecuzione avvenuto tra novembre e dicembre 1999 e sottoposizione a visita finale di collaudo tecnico amministrativo ai sensi del d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 (recante il regolamento di attuazione della "Legge-quadro in materia di lavori pubblici" 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni) effettuata il 10 maggio 2002 da parte di commissione presieduta dall'arch. P.S., responsabile dell'area tecnica ADISU dal 2001 e responsabile unico del procedimento per detti lavori.
Ebbene, nelle qualità indicate, si è contestato ai tre progettisti, nel contempo direttori dei lavori, per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia e in violazione di norme specifiche (d.m. Ministero dei lavori pubblici 16 gennaio 1996; art. 1, comma 4, legge 14 novembre 2000, n. 338; d.m. Ministero Istruzione, Università e Ricerca del 9 maggio 2001) le seguenti condotte, sia commissive che omissive:
non avere effettuato, né in via preveniva né in via successiva, alcun tipo di valutazione di adeguatezza statica e sismica delle strutture dell'edificio;
non avere proceduto alla verifica del dimensionamento strutturale di progetto;
non avere predisposto alcun tipo di intervento di verifica, di consolidamento o di adeguamento sismico delle strutture;
non avere accertato o, comunque, non avere approfondito in modo adeguato l'effettiva consistenza strutturale dell'edificio, caratterizzata da gravi carenze;
non avere ordinato l'esecuzione di alcuna prova di carico su pali di fondazione, solai, balconi e qualsiasi altra struttura portante di notevole importanza statica (in riferimento all'art. 69, punto n. 7, del capitolato speciale d'appalto);
avere omesso di considerare che le dimensioni rilevate dei pilastri erano diverse da quelle dell'originario progetto del 1965 e che alcuni pilastri non risultavano nelle tavole di progetto esecutive;
inoltre, a fronte della completa alterazione distributiva, rispetto alla originaria edificazione e all'originario progetto dell'anno 1965 dell'ing. B., degli spazi e delle stanze nei piani da primo al quarto, con realizzazione di nuovi locali e di nuovi servizi igienici, con un incremento di carichi, rispetto al progetto originariamente predisposto dall'ing. B., dell'ordine di grandezza compreso tra il 50 % ed il 90 % e con variazione di destinazione d'uso, non avere effettuato alcuna verifica relativa ai carichi agenti sulla struttura e non avere effettuato alcuna conseguente verifica di sicurezza (in riferimento al d.m. Ministero Lavori Pubblici del 16 gennaio 1996); 
ancora, non avere garantito, a fronte della realizzazione di tutte le opere di progetto per manutenzione straordinaria, recupero o ristrutturazione, il rispetto delle esigenze relative alla sicurezza ed alla prevenzione antisismica (in riferimento all'art. 1, comma 4, della legge 14 novembre 2000, n. 338);
infine, avere inserito, nella descritta redistribuzione degli spazi, una parete denominata REI 60, prima non esistente, antistante l'ascensore dei piani dal primo al quarto, la cui rigidezza influenzava, in senso peggiorativo, il regime statico dell'edificio e le conseguenze del crollo a causa della insufficiente resistenza della trave portante, non progettata e non armata in relazione a tale parete aggiunta.
2.2. - L'imputato architetto P.S. è stato chiamato a rispondere: in veste di presidente della Commissione di collaudo dei lavori di «restauro e risanamento dell'edificio sede della Casa dello studente», approvati con le richiamate delibere nn. 277 e 279 dell'ADISU del 30 dicembre 1998 e sottoposti a visita finale di collaudo tecnico amministrativo in data 10 maggio 2002;
inoltre, in veste di responsabile dell'area tecnica dell'ADISU dall'anno 2001; ed anche in veste di responsabile unico del procedimento (acronimo: r.u.p.) per i detti lavori.
Si contestano, dunque, all'arch. P.S., nelle qualità appena indicate, per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia ed in violazione di norme specifiche (d.P.R. 22 aprile 1994, n. 425; d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554; d.m. Ministero Lavori Pubblici del 16 gennaio 1996; art. 1, comma 4, della legge 14 novembre 2000, n. 338; d.m. Ministero Istruzione, Università e Ricerca del 9 maggio 2001), le seguenti condotte di tipo omissivo:
avere omesso di vigilare sull'adeguatezza statica e sismica delle strutture dell'edificio sia in relazione alla originaria (e deficitaria) consistenza strutturale dell'edificio sia in relazione agli interventi (di ristrutturazione, restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria che mai avevano valutato l'adeguatezza statica e simica delle strutture dell'edificio e che mai avevano proceduto alla verifica del dimensionamento strutturale di progetto originario) succedutisi nel corso degli anni;
non avere garantito, a fronte della realizzazione di tutte le opere di progetto per manutenzione straordinaria, recupero o ristrutturazione, il rispetto delle esigenze relative alla sicurezza e alla prevenzione antisismica (in violazione dell'art. 1, comma 4, legge 14 gennaio 2000, n. 338);
avere omesso di disporre lo sgombero dell'edificio della Casa dello studente o, quanto meno, di segnalare la necessità di tale provvedimento al direttore o al presidente dell'ADISU, così inducendo gli studenti ospiti a non lasciare l'edificio nonostante gli evidenti segni di instabilità del medesimo; 
avere proceduto alla visita finale di collaudo tecnico amministrativo, ai sensi del d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, in assenza del collaudo statico e del deposito dei progetti presso gli uffici del Genio civile (in violazione del d.P.R. 22 aprile 1994, n. 425).

 


3. - Informazioni essenziali in fatto. - Si riassumono di seguito le informazioni essenziali, che si traggono dalle sentenze di merito, utili ad inquadrare correttamente la vicenda.
Alle ore 03.32 del 6 aprile 2009 L'Aquila ed altri comuni abruzzesi venivano, come noto, colpiti da un terremoto di magnitudo 6.6 della scala Richter a seguito del quale, sotto le macerie di molti edifici crollati, perdevano la vita più di trecento persone; ingenti i danni al patrimonio immobiliare, anche di importanza storico-artistico-culturale.
Il presente processo riguarda il crollo dell'ala nord dell'edificio Casa dello studente di L'Aquila, crollo nel quale persero la vita sette studenti ed un custode e molte altre persone riportarono ferite nel corpo o traumi psicologici.
Si tratta di un immobile costruito nell'anno 1965 alla via XX Settembre, ai numeri civici da 46 a 52, di L'Aquila, detto "Palazzo Angelini", siccome costruito da Igino Angelini, legale rappresentante della A.C.R.A.F. (acronimo della ditta "Aziende Chimiche Riunite Angelini Francesco"), con licenza di costruire del 1° luglio 1965, su progetto dell'ing. Claudio B.: il 15 dicembre 1967 veniva rilasciato il certificato di conformità del Genio civile ed il 20 aprile 1971 era rilasciata la dichiarazione di abitabilità.
Il palazzo fu inizialmente adibito, in parte, a civile abitazione (i quattro piani rialzati, con tre appartamenti per piano), in altra parte ad uffici (il piano terra) ed in altra parte ancora (due piani seminterrati) a deposito di merce della ditta farmaceutica Angelini; poi la parte già di civile abitazione fu adibita ad uffici - Centro direzionale Enel - e quindi, una volta acquistato l'immobile il 5 luglio 1979 dall'ente Opera Universitaria, fu trasformato, nel corso dell'anno 1980, nella Casa dello studente universitario, trasformazione in relazione alla quale, in accoglimento di domanda avanzata il 9 gennaio 1980, il 6 febbraio 1989 il Comune rilasciava la concessione edilizia n. 541/1989 per cambio di destinazione d'uso a casa dello studente, mensa ed uffici dell'ente per il diritto allo studio (nel frattempo, l'11 dicembre 1980 era stata rilasciata concessione edilizia per ristrutturazione interna).
Nel 1982 il patrimonio immobiliare dell'Opera Universitaria, in attuazione di legge nazionale, veniva trasferito alla Regione Abruzzo, che nel 1994 concedeva l'immobile in comodato gratuito all'ente Azienda per il Diritto allo Studio (ADISU), che era subentrato nei compiti già svolti dalla Opera Universitaria. 
Il 26 agosto 1988 il Consiglio di amministrazione dell'ADISU affidava agli ingegneri B.D.P., P.C. e T.R., in qualità di progettisti e di direttori dei lavori, la realizzazione di opere di ristrutturazione e di risanamento conservativo dell'immobile che ospita la Casa dello studente: i lavori venivano divisi in due stralci: lo stralcio I ricomprendeva le opere, per così dire, "meno impegnative", da realizzare mediante richiesta di DIA (in data 19 aprile 1999); lo stralcio II riguardava le opere che richiedevano il previo rilascio di concessione edilizia, che veniva richiesta il 15 luglio 1999 e rilasciata (n. 541 del 1999) il 28 dicembre 1999.
Il 29 ottobre 2001 l'ADISU incaricava l'arch. P.S., responsabile dell'area tecnica dell'ADISU, di presiedere la Commissione di collaudo dei lavori di ristrutturazione e di risanamento conservativo dell'immobile.
Il 10 maggio 2002 avveniva la visita finale di collaudo, presente anche l'arch. P.S., e veniva redatto il certificato, che veniva approvato dall'ADISU il 25 settembre 2002.
Un'ultima informazione, tratta dalle sentenze di merito, è necessaria all'esatto inquadramento dei fatti: la città di L'Aquila è stata da sempre, e comunque da prima del 1965, ricompresa in zona sismica di seconda categoria, cioè a sismicità media.
 

 

4. - Sentenza di primo grado. - Costituendo le due sentenze di merito, che si integrano reciprocamente, doppia valutazione conforme (la sentenza di secondo grado, infatti, disattende tutti i motivi di appello proposti, fatta eccezione unicamente per quelli riguardanti la pena accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici, che revoca, in quanto non applicabile per reati colposi), ed effettuando quella di appello, oggetto del ricorso, plurimi rinvìi alla struttura motivazionale di primo grado, appare opportuno prendere le mosse dalla sentenza del G.u.p.
4.1. - In generale. - La sentenza di primo grado ha ripercorso ampiamente il momento centrale dell'istruttoria, che è consistito nell'articolatissimo incarico, affidato al perito del Tribunale, prof.ssa Maria Grazia Muías (autrice di una relazione scritta di ben 1300 pagine), onde accertare, accanto a numerosi altri aspetti, due circostanze di centrale rilevanza:
perché l'edificio (recte: l'ala nord dell'edificio) fosse crollato, in un contesto in cui tutti quelli vicini non avevano subito analoga sorte;
e quale fosse la storia del palazzo, dalla sua fondazione (nel 1965) al crollo (nel 2009), con l'esame di tutti gli interventi di natura edilizia sull'immobile svolti e della possibile efficacia concausale o meno - con il sisma - di alcuni di essi nel crollo. 
La decisione del G.u.p. del Tribunale, dunque, ha ricostruito in maniera necessariamente minuziosa i passaggi di proprietà, i mutamenti di destinazione d'uso e gli interventi edilizi svolti nel corso degli anni sull'immobile denominato Palazzo Angelini.
Ha indicato gli interventi di «ristrutturazione e adeguamento della casa dello Studente alle norme di sicurezza» previsti da parte degli ingegneri B.D.P., P.C. e T.R., riuniti in un gruppo di progettazione, con l'ing. B.D.P. indicato quale ingegnere capo e coordinatore per la progettazione e gli altri due come coordinatori per l'esecuzione dei lavori. Si tratta di lavori di: ridistribuzione dei piani camere degli studenti; rifacimento del locale mensa e raffrescamento delle camere; sostituzione ascensori e montacarichi; sostituzione infissi esterni e nei piani camere; adeguamento ed integrazione degli arredi camere; realizzazione di un locale lavanderia al quinto piano.
Il giudicante ha, poi, ricostruito, anche attraverso il richiamo a qualificati contributi dei consulenti del Pubblico Ministero, tra i quali il prof. Luis D., la storia sismica del territorio aquilano, per concludere che il terremoto del 6 aprile 2009 non è stato eccezionale, essendo in linea con la sismicità storica dell'area, e che il sisma in questione è scientificamente definibile di tipo strong, categoria nell'ambito della quale si verificano ogni anno circa 120 terremoti al mondo, in definitiva ritenendo che non può trovare applicazione la categoria della causa atipica o eccezionale ex art. 41 cod. pen.
Si è dato atto che, per effetto del sisma, sono, totalmente o parzialmente, crollati nel capoluogo abruzzese soltanto quindici edifici, cioè meno dell'1 % del patrimonio edilizio della città; e che altri edifici, siti accanto a quelli crollati, ma sostanzialmente uguali per vetustà, per materiali utilizzati e per conformazione, sono rimasti in piedi, assumendo quelli crollati una conformazione nella pianta della città "a macchia di leopardo": al riguardo, il perito prof. Mulas, fornendo approfondita spiegazione di tipo tecnico basata anche sugli indici di accelerazione, ha attribuito la diversa resistenza non già alla tipologia del terremoto ma a difetti progettuali, a carenze costruttive e ad errati interventi di manutenzione nei palazzi crollati, tra i quali, appunto, Palazzo Angelini, crollato ma soltanto nell'ala nord.
Il G.u.p., facendo propria la ricostruzione del perito, ha in più passaggi affermato che scossa sismica è stata certamente concausa del crollo, ma che essa deve essere valutata unitamente alle gravi deficienze strutturali che caratterizzavano l'edificio. La prof.ssa Mulas ha infatti, con ampie argomentazioni tecniche, spiegato che l'edificio presentava della originarie fragilità strutturali riconducibili, anzitutto, al progetto redatto dall'ingegnere Claudio B., esecutore dei calcoli strutturali e direttore dei lavori, oltre che progettista del palazzo edificato nel 1965: è emerso, infatti, sia che il suo progetto strutturale ed i calcoli effettuati sono risultati connotati da una - ritenuta - sconcertante superficialità ed incompletezza sia che, a lavori ultimati, le strutture dell'edificio effettivamente costruito non soddisfacevano i requisiti della normativa vigente nel 1965 per quanto attiene alla verifica sismica.
A questo punto, il giudice di merito, affermato che la cause in senso stretto del crollo erano da ricondurre a due, e cioè 1) il sisma e 2) e le gravi carenze progettuali originarie, in conformità alla ricostruzione svolta dal perito, ha individuato e ha analizzato plurimi elementi di appesantimento operanti su tutti i piani della struttura per effetto dei vari interventi di ristrutturazione, «appesantimenti intervenuti su tutti i piani della struttura [e che], pur non avendo di per sé stessi determinato il crollo - come già detto ascrivibile alle due concause costituite dalla scossa sismica e dalle inammissibili carenze dei calcoli che caratterizzarono l'originario progetto dell'edificio - vengono a porsi, tuttavia, quali autonomi elementi riconducibili all'elemento umano, anch'essi incidenti nel crollo, meglio ancora e più precisamente nelle conseguenze del crollo» (cosi alla p. 74 della sentenza di primo grado).
Tra gli elementi di appesantimento dei carichi, complessivamente innalzati nella percentuale del 50 % e persino in misura prossima al 100 %, senza l'effettuazione di alcuna verifica relativa ai carichi agenti sulla struttura e, conseguentemente, alla sicurezza, due sono specialmente evidenziati dal perito:
1) il «terrazzo di copertura del quinto piano [..., dove] senza asportare il preesistente, è stato aggiunto un nuovo massetto di sottofondo ed è stata cambiata la pavimentazione; sono state aggiunte le macchine ed il relativo massetto in calcestruzzo pieno di circa dieci cm. (si vedrà nel prosieguo della presente trattazione come tale ultima circostanza rivesta un notevole ruolo in ordine aita responsabilità dell'imputato architetto P.S., il quale, in occasione dei collaudo che gli fu demandato, omise totalmente di rilevare tanto l'incidenza di quel massetto, quanto quella dei supporti di cemento su cui furono poggiati i macchinari posti nelle immediate adiacenze, non considerando di conseguenza come l'aumento dei carichi derivati da tali interventi potesse determinare significative e gravi conseguenze in occasione di un terremoto)» (così alle pp. 72-73 della sentenza del Tribunale);
2) ed il «muro parete REI, in parte sottostante alla trave denominata 18-29, previsto come non-strutturale ma dotato di notevole rigidezza e resistenza, causa [tivo di] un totale cambiamento del regime statico della trave stessa; il suo inserimento sarebbe pertanto dovuto essere oggetto di attenta considerazione in relazione ad aspetti di sicurezza strutturale [...] il collasso ha riguardato soltanto l'ala nord in quanto nella stessa risultavano concentrati gli elementi più rigidi, resistenti nei confronti delle azioni simiche nord-sud» (così alle pp. 74 e 76-77 della sentenza).
4.2. - Posizione degli imputati B.D.P., P.C. e T.R.. - Ciò posto, il giudice di primo grado, fatte proprie le valutazioni del perito, ha osservato che «[...] i successivi interventi cui è stato sottoposto l'edificio ne hanno pesantemente minato la sicurezza statica rispetto al rischio sismico [...] la Casa dello Studente è stata trasformata da edificio realizzato negli anni 60 destinato ad abitazioni private, in una vera e propria struttura alberghiera, munita di tutte le relativa dotazioni, che ne hanno palesemente stravolto l'originaria conformazione interna. Il palazzo è stato in tutto e per tutto modificato, rimanendo tuttavia identico all'originale soltanto per ciò che attiene alle sue componenti statiche, rispetto alle quali né i tre progettisti né il collaudatore si sono minimamente posti il problema se tutto quello che era stato realizzato, con le radicali e totali modificazioni conseguitene, fosse ancora compatibile con quanto era stato progettato e valutato quasi quaranta anni prima e per tutt'altra destinazione» (così alle pp. 74-75 della sentenza).
Quanto, in particolare, alla posizione di garanzia dei tre imputati ingegneri ed ai relativi profili di colpa, nella sentenza di primo grado vengono svolte le considerazioni che di seguito si riferiscono.
Si è richiamata l'emersione istruttoria realizzatasi «allorché la professoressa Mulas, nel pieno del contraddittorio con i consulenti ed i difensori degli imputati, affermò, con il massimo dell'energia possibile [...] che sarebbe stato sufficiente anche soltanto leggere la prima pagina del progetto dell'ingegner B. per rendersi conto che quell'edificio, così come era stato realizzato, non poteva garantire nessuna sicurezza alle persone che vi dimoravano in caso di terremoto e dunque gli ingegneri B.D.P., P.C. e T.R., nel progettare e realizzare i radicali interventi che interessarono l'edificio, avrebbero imprescindibilmente dovuto prendere cognizione di quel progetto, rilevarne immediatamente le gravissime carenze sotto il profilo della sicurezza sismica e, di conseguenza, orientare gli interventi da realizzare in tutt'altro modo, dando priorità assoluta al primario obiettivo di assicurare la sicurezza a chi quell'edificio era destinato ad abitare, vale a dire i giovani ospitati dalla Casa dello Studente. Appare doveroso segnalare come tale omissione abbia rappresentato per i citati tecnici ed anche, in un momento successivo, per il collaudatore architetto P.S., una gravissima violazione rispetto alla posizione di garanzia loro assegnata dalla legge, ma anche dal contratto stipulato con la proprietà al momento di conferimento dell'Incarico» (così alle pp. 79-80 della sentenza). 
Ha affermato che «il cedimento dei pilastri posti alla base dell'edificio di per sé stesso non avrebbero certamente determinato i crolli a cascata che lo hanno accompagnato, ovvero immediatamente seguito, se i piani superiori, posti in corrispondenza e direttamente collegati a quei pilastri, non fossero stati gravati da carichi sulle strutture su cui erano stati poggiati che non erano in grado di sopportare», per concludere che «è proprio nella considerazione che precede che trae origine la convinzione dei giudicante in ordine al ruolo penalmente rilevante assunto dalle condotte degli imputati B.D.P., P.C. e T.R.» (p. 81 della sentenza), la cui posizione di garanzia si rinviene in tutte le norme puntualmente richiamate dal Pubblico Ministero nel capo di accusa, principalmente nel paragrafo C.9.1.1. dell'allegato al d.m. 16 gennaio 1996 recante, appunto, "Norme tecniche per le costruzioni in zone sismiche", essendo «preciso obbligo dei suddetti progettisti e direttori dei lavori, prima di procedere all'esecuzione di modificazioni così radicali e significative dell'edificio, effettuarne l'adeguamento sismico e dunque procedere all'esecuzione di un complesso di opere idonee a rendere l'edificio adatto a resistere alle azioni sismiche» (p. 85 della sentenza).
Per concludere il G.u.p., quanto agli imputati B.D.P., P.C. e T.R., che «le condotte colpose penalmente rilevanti [dei tre ingegneri] si sostanziano tanto in colpa omissiva quanto in quella commissiva: la prima è correlata all'omesso esame e verifica del progetto originario dell'ingegner B. nel momento in cui fu loro conferito l'incarico di progettare e realizzare la ristrutturazione dell'edificio e si è già rilevato come quella verifica avrebbe subito segnalato, "sin dalla lettura della prima pagina", l'assoluta inadeguatezza strutturale dell'edificio rispetto ad un evento sismico e la necessità di anteporre a qualsiasi altra opera la messa in sicurezza della Casa dello Studente, per poi procedere, successivamente, ad ogni altro tipo di intervento. Il profilo commissivo della responsabilità dei tre ingegneri è stato individuato nei rilevante aumento dei carichi verticali che sono derivati dagli interventi di ristrutturazione progettati ed effettuati, ancora una volta senza tenere in alcun conto le entità dell'aumento dei carichi apportati rispetto ai valore assunto in sede di originario progetto» (così alle pp. 86-87 della sentenza).
Con la seguente, ulteriore, precisazione: «il perito ha respinto totalmente la tesi sostenuta dal consulente della difesa secondo la quale l'aumento dei carichi apportati andava effettuato con riferimento all'intervento immediatamente precedente, nel qual caso non si sarebbe superata la soglia massima del 20 % previsto dalla legge [cioè dal richiamato paragrafo C.9.1.1., lett. b), delle norme tecniche allegate al d.m. 16 gennaio 1996 recante "Norme tecniche per le costruzioni in zone sismiche"]. Il perito ha chiarito come tale interpretazione della norma del DM 16/1/1996 sia assolutamente inaccettabile, dovendosi viceversa ritenere che l'entità dell'aumento dei carichi andava rapportata al progetto originario, essendo evidente che se fosse conforme a legge l'assunto difensivo, si avallerebbe il risultato paradossale che, in caso di reiterati interventi sul fabbricato, ciascuno dei quali comportante un aumento dei carichi inferiore al 20 % non ci sarebbe, di fatto, un limite finale per i suddetti aumenti» (p. 87 della sentenza).
4.3. - Posizione dell'imputato P.S.. - Passando ad esaminare la posizione dell'architetto P.S., il G.u.p., richiamati sia l'editto, con particolare riferimento alle qualità rivestite dall'imputato, sia tutte le considerazioni svolte a proposito dei profili di colpa omissiva addebitata ai tre ingegneri, ha svolto le seguenti considerazioni:
«[...] la posizione processuale dell'imputato appare strettamente correlata a quella dei tre progettisti e direttori dei lavori di cui si è detto [...] le considerazioni svolte a proposito degli altri tre imputati possono essere ripetute anche nei suoi confronti; ciò vale soprattutto in riferimento alla grave omissione, anche a lui ascrivibile, correlata al mancato esame dell'originario progetto dell'ing. B., che avrebbe immediatamente segnalato alla sua attenzione l'assoluta inadeguatezza del progetto stesso, con particolare riferimento alla sicurezza statica dell'edificio in caso di evento sismico [...] la sua qualifica professionale e la natura dell'incarico ricevuto avrebbero dovuto trovare la prima estrinsecazione proprio nella consultazione di quel progetto. Chiamato a collaudare i lavori realizzati, suo compito primario, una volta constatata la loro notevole rilevanza e la conseguente radicale modificazione subita dall'edificio, era proprio quello di assicurarsi che fosse rimasta impregiudicata la sicurezza statica del palazzo. La sua qualifica professionale e l'essere anche inserito direttamente all'interno della struttura amministrativa della Casa dello Studente gli imponevano, sì, un esame di natura burocratica nel momento del collaudo tecnico amministrativo, ma dovevano altresì indurlo, prioritariamente, a riflettere e valutare con attenzione che lavori così significativi e comportanti profonde modifiche avevano interessato una struttura realizzata oltre trentanni prima. E se a tutto ciò si aggiunge la sua consapevolezza che già nel 1980 era avvenuta la modificazione della destinazione d'uso dell'edificio, che da appartamenti per civile abitazione era stata trasformata in struttura alberghiera destinata alla residenza degli studenti universitari, appare francamente inconcepibile e privo di qualsiasi giustificazione l'avere omesso una verifica, peraltro semplice e banale, dell'originario progetto dell'edificio. Questo è il motivo per cui l'attività omissiva dell'architetto P.S. rientra a piena titolo nel novero dei fatti giuridicamente rilevanti, che hanno svolto un ruolo causalmente collegato alle tragiche conseguenze de! crollo dell'ala nord della Casa dello Studente. Come già osservato per i tre progettisti B.D.P., P.C. e T.R., i lavori di cui si tratta non hanno certamente costituito la causa che ha determinato il crollo, ormai pacificamente individuata grazie ai lavoro della prof.ssa Muías, nella scossa sismica del 6 aprite 2009 e nei gravi errori nei calcoli di progetto commessi dall'ingegner B. all'epoca della realizzazione dell'edificio. E tuttavia anche le omissioni del P.S., con le relative violazioni di precise prescrizioni normative, hanno determinato un sicuro aggravamento delle conseguenze del crollo stesso» (pp. 90-91 della sentenza).
Le prescrizioni normative violate sono indicate in sentenza in quelle individuate dal perito a proposito del collaudo statico e, soprattutto, nell'art. 188, comma, 6, del d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, recante "Regolamento di attuazione della legge quadro in materia di lavori pubblici 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni" (che recita: «Per i lavori comprendenti strutture, al soggetto incaricato del collaudo o ad uno dei componenti della commissione di collaudo è affidato anche il collaudo statico, purché essi abbiano i requisiti specifici previsti dalla legge. Per i lavori eseguiti in zone classificate come sismiche, il collaudo è esteso alla verifica dell'osservanza delle norme sismiche»)- ed è stato sottolineato che la posizione di garanzia dell'imputato P.S. trae origine anche negli obblighi assunti nel momento in cui gli è stato affidato l'incarico di Presidente della Commissione di collaudo.
Ha affermato inoltre la sentenza del G.u.p. che, per valutare il tipo di lavori affidati, svolti e da collaudare, al fine di definire il regime giuridico applicabile in concreto, al di là delle denominazioni formali, è decisiva la sostanza e la consistenza dei lavori medesimi.
Il giudice di primo grado ha, poi, confutato le obiezioni difensive incentrate sulla natura del controllo demandato all'imputato, che, secondo i difensori, sarebbe dovuto essere meramente documentale (cioè verifica dei titoli autorizzativi rilasciati dalle pubbliche amministrazioni ed esame formale del "collaudo" redatto dagli stessi tre progettisti), svolgendo al riguardo due ragionamenti.
Sotto un primo profilo, ha osservato che apparirebbe incomprensibile la scelta dell'ADISU di incaricare un architetto, dunque un professionista specializzato, e non già un impiegato amministrativo, per un controllo sostanzialmente notarile e di verifica meramente formale degli atti.
Sotto un secondo profilo, ha rilevato che, «per definizione, l'incarico ricevuto obbligava prioritariamente l'imputato alla osservazione diretta ed approfondita dei lavori che erano stati eseguiti. Lo obbligava, in particolare, a salire fino ai terrazzo posto alla sommità dell'edificio ed a rendersi conto, come evidenziato dalla prof.ssa Muías, che invece di procedere alla sostituzione della pavimentazione ivi esistente, come era accaduto per analoghi lavori effettuati in precedenza ai piano terra dell'edificio, era stato aggiunto un gradino di circa 20 cm di spessore, senza effettuare la preventiva rimozione della copertura esistente. L'ovvia ed elementare conseguenza di tale constatazione sarebbe stata quella di doversi porre immediatamente il problema di quanto quell'aggravio di pesi poteva incidere sulla stabilità e resistenza sismica dell'edificio. Sempre attraverso un'ispezione effettuata nella stessa zona alta del fabbricato, il verificatore dei lavori si sarebbe reso conto anche che aita base dei macchinari installati erano stati realizzati dei supporti in cemento, anch'essi costituenti nuovi carichi aggiuntivi rispetto a quelli preesistenti» (così alla p. 93 della sentenza).
La sentenza ha anche escluso che gli atti redatti dai tre ingegneri fossero certificazioni, assistite da fede privilegiata, come sostenuto dalle difese, stimando gli stessi essere mera asseverazione dei lavori effettuati, che nulla hanno a che vedere con il collaudo in senso stretto, da affidare, per sua essenza ontologica, ad un professionista diverso - altra persona fisica, insomma - e con le medesime competenze professionali.
A riguardo dell'ulteriore contestazione difensiva incentrata sulla mancanza di un incarico all'arch. P.S. con oggetto verifica statica dell'edificio, evidenzia la sentenza di primo grado sia che i lavori eseguiti a partire dalla fine degli anni 90 sono erroneamente descritti come di restauro e di risanamento conservativo, mentre in realtà si tratta di vere e proprie opere di ristrutturazione, idonee ad incidere sui carichi della struttura originaria e, dunque, sulla statica complessiva dell'immobile, sia che la richiesta di collaudo statico contenuta nella concessione edilizia del 28 dicembre 1999 avrebbe dovuto, comunque, indurre P.S. ad effettuare non un mero collaudo tecnico-amministrativo ma anche un collaudo statico. Così emergendo - si sottolinea - che non vi è stata piena ottemperanza alle prescrizioni contenute nei titoli edilizi rilasciati.
Per concludere con lo svolgimento del giudizio controfattuale nei seguenti termini: «Se [l'architetto P.S.] avesse correttamente adempiuto all'incarico [affidatogli dall'ADISU] si sarebbe accorto delle omissioni e delle condotte colpose dei progettisti e direttori dei lavori, tanto quelle riferite all'ingegner B., quanto quelle degli imputati B.D.P., P.C. e T.R.. Se non avesse omesso di compiere le verifiche prescritte dalla legge [quale presidente della Commissione di collaudo] in relazione alla natura e consistenza delle nuove opere realizzate - e dunque avesse osservato le specifiche prescrizioni normative a contenuto cautelare, dettagliatamente indicate nel capo di imputazione, relative alla necessità di effettuazione del collaudo statico - i tragici eventi seguiti aita scossa sismica del 6 aprile 2009 non si sarebbero verificati. I profili di colpa ravvisabili nella sua condotta omissiva hanno dunque avuto un ruoto certamente rilevante sotto il profilo penale, dovendosi ravvisare un evidente nesso di causalità tra le sue omissioni e quanto accaduto [...] l'incarico che gli era stato affidato aveva un ruolo particolarmente importante e delicato, che se fosse stato adempiuto in maniera corretta e scrupolosa avrebbe potuto fornire ai dirigenti dell'AD[l]SU preziose informazioni circa le condizioni statiche dell'edificio e la sua idoneità a fronteggiare scosse sismiche neppure eccezionali come quella del 6 aprile 2009. L'architetto P.S. è dunque l'ultimo anello della catena costituita da tutti i soggetti che, a vario titolo ed in diversi momenti, hanno contribuito a determinare, insieme al terremoto, la morte degli otto ragazzi oltre alle altre conseguenze, meno drammatiche, patite da altri giovani. Dopo i gravi errori commessi nel 1965 dall'ingegner B., dopo le omissioni dei progettisti B.D.P., P.C. e T.R., dopo che questi ultimi ebbero diretto i lavori che modificarono radicalmente l'edificio Casa dello Studente senza attribuire la doverosa osservanza dell'obbligo di garantire la sicurezza dei ragazzi che dovevano esservi ospitati, l'architetto P.S. ha purtroppo anch'egli mancato l'ultima occasione per scongiurare quanto accaduto, omettendo di espletare l'incarico ricevuto nella piena osservanza delle primarie norme poste a tutela della sicurezza e dell'incolumità delle persone» (pp. 95-96 della sentenza).
 

 

5. - Motivi di appello (cenni). - Si riferiscono, in estrema sintesi, i temi sviluppati negli atti di appello nell'interesse degli imputati, siccome in larga parte successivamente riproposti nel ricorso per cassazione che, come si vedrà (ai punti nn. 8 e 9 del "ritenuto in fatto" in relazione ai ricorsi nell'interesse, rispettivamente, di B.D.P., P.C., T.R. e di P.S.), presenta, in aggiunta, il motivo incentrato sull'omessa assunzione di - ritenuta dalla difesa - prova decisiva in appello.
5.1. - Difesa di B.D.P., P.C. e T.R.. - La difesa dei tre ingegneri imputati ha sostenuto l'insussistenza dei profili di colpa contestati, con particolare riferimento, in relazione all'entità delle opere realizzate, alla mancanza di un obbligo di verifica dell'adeguatezza statica e sismica dell'edificio ed all'irrilevanza della realizzazione della parete REI 60.
Sotto il profilo dell'elemento oggettivo, è stato evidenziato che il crollo non sarebbe stato causato dalle condotte degli ingegneri ma, in via principale ed autonoma, dalle carenze originarie dell'immobile, realizzato nell'anno 1965 su progetto e direzione dei lavori dall'ing. B., e dall'intensità del sisma del 6 aprile 2009.
Sono stati sottoposti a critica plurimi aspetti della sentenza di primo grado, in particolare evidenziando che l'immobile aveva subito il mutamento di destinazione d'uso già dall'anno 1980, quando era stato adibito a Casa dello studente, con conseguente inapplicabilità del d.m. 16 gennaio 1996, e, soprattutto, contestando l'impostazione del giudice di primo grado, adesiva alla ricostruzione effettuata nella perizia, a proposito dei concetti di carichi originari e di incremento dei carichi.
E' stata chiesta la rinnovazione parziale del dibattimento in appello, sub specie di acquisizione di un DVD contenente simulazione, ad opera di tecnico incaricato dalle difese, di calcoli e di verifiche sismiche in tre diverse situazioni (e cioè: 1. simulazione di crollo della struttura, così come trasformata dall'intervento dei tre ingegneri, ma senza la parete REI 60; 2. simulazione come al punto n. 2 ma con la presenza della parte REI 60, onde constatare l'eventuale differenza di comportamento della struttura nella sequenza del crollo; 3. simulazione del crollo della struttura nelle condizioni in cui si trovava prima dell'intervento dei tre ingegneri).
In via meramente subordinata, è stata domandata la riduzione delle pene irrogate, con concessione dei benefici di legge, e la revoca della pena accessoria.
 

 

5.2. - Difesa di P.S.. - La difesa dell'arch. P.S. ha evidenziato il rilascio da parte degli organi competenti dei provvedimenti attestanti la regolarità delle opere realizzate su progetto e direzione dei lavori di B.D.P., P.C. e T.R..
Per dimostrare l'insussistenza dell'elemento psicologico, ha richiamato l'asserzione del perito a proposito del possibile "errore" indotto nel P.S. dalla frammentazione dei lavori e, quindi, dalla pluralità di titoli abilitativi chiesti dagli ingegneri, DIA e concessione edilizia.
Avendo i lavori ad oggetto interventi di "restauro e risanamento conservativo", ha sottolineato la mancanza di un obbligo in capo all'imputato di verificare l'adeguatezza statica e sismica dell'edificio, non essendo previsto il collaudo statico da nessuna delle prescrizioni contenute negli atti autorizzatori.
Ha sostenuto l'inapplicabilità nel caso di specie del d.m. 16 gennaio 1996.
Ha, infine, invocato il principio di affidamento, essendosi l'arch. P.S. fidato dell'assoluta veridicità delle asseverazioni formali e sostanziali e della loro ufficializzazione tramite il rilascio di autorizzazioni amministrativa da parte dell'organo pubblico.
In subordine, ha chiesto la riduzione della pena irrogata, la concessione delle circostanze attenuanti generiche e della pena sospesa e l'eliminazione della provvisionale.
 

 

6. - Sentenza di appello. - La sentenza di secondo grado ha disatteso tutti i motivi di appello proposti, fatta eccezione per quelli riguardanti la pena accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici, che ha revocato nei confronti di coloro cui era stata applicata, in quanto non prevista per i reati colposi, svolgendo le considerazioni che di seguito si sintetizzano.
6.1. - In generale. - In larga parte la sentenza della Corte di appello ha ribadito considerazioni in fatto e valutazioni già svolte in primo grado, che ha integrato, nella misura in cui ritenuto opportuno, con richiamo di massime di legittimità e con ulteriori considerazioni di cui, ove utili alla valutazione dei ricorsi, si darà via via atto.
I giudici di secondo grado hanno, in primo luogo, riferito alcuni passaggi della relazione peritale a proposito sia del grado del terremoto, stimato «di severità compatibile con le azioni di progetto della normativa sismica in vigore nel 1965», anno di realizzazione dell'immobile (con richiamo alla p. 270 della relazione della prof.ssa Mulas), sia del tipo di danni subiti da Palazzo Angelini, ascrivibili al moto del fabbricato nella direzione nord-sud e severi in tale direzione, con buon comportamento invece dei telai lungo la direttrice est-ovest dell'edificio, che non hanno subito deformazioni eccessive (con richiamo alle pp. 245-246 della relazione della prof.ssa Mulas).
6.2. - Posizione degli imputati B.D.P., P.C. e T.R.. - La Corte territoriale, poi, esaminati analiticamente i lavori commissionati dall'ADISU ai tre ingegneri, lavori già elencati nella sentenza di primo grado, sia nelle loro categorie formali sia nella loro portata effettiva, condivisa la valutazione del giudice di primo grado circa la necessità di verificare la vera natura dei lavori, piuttosto che affidarsi alle definizioni delle opere date nella documentazione, si è soffermata sulle nozioni di restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione edilizia, di manutenzione straordinaria e ordinaria, con richiamo di giurisprudenza, penale ed amministrativa, per concludere che, nel caso di specie, le opere realizzate dai tre ingegneri in attuazione della delibera dell'ADISU del 26 aprile 1988 devono ritenersi, diversamente da quanto affermato dagli imputati, di ristrutturazione.
Richiamata la storia dell'edificio, ha puntualizzato che l'originaria divisione del palazzo in appartamenti autonomi aveva subito modifiche al momento della trasformazione in Casa dello studente, essendosi create stanze per ospitare i ragazzi e relativi servizi ed essendo stata centralizzata la cucina, e che nell'anno 1980 si era operato sull'immobile un intervento edilizio da ritenersi in realtà sostanzialmente abusivo, perché non sottoposto al preventivo vaglio dell'organo amministrativo, come previsto dalla normativa vigente per la realizzazione di opere finalizzate ad ottenere un mutamento di destinazione d'uso, e che, al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che l'intervento su una costruzione illegittimamente realizzata, ancorché l'abuso non sia stato represso, costituisce sempre ripresa dell'attività criminosa originaria integrante un nuovo reato simile a quello precedente, e non attività irrilevante sotto il profilo penale (Sez. 3, n. 40843 del 11/10/2005, Daniele, Rv. 232364). Ha concluso allora la Corte di merito, sullo specifico aspetto, che non si possono realizzare interventi di ristrutturazione o di manutenzione straordinaria su un manufatto abusivo, che non sia stato oggetto di sanatoria edilizia, e che tale ulteriore attività costruttiva va valutata in modo unitario rispetto alle opere precedentemente realizzate; ed anche sotto questo profilo - prosegue la sentenza di secondo grado - le opere realizzate dagli imputati dovevano essere valutate in modo unitario rispetto al precedente mutamento di destinazione d'uso ed erano, dunque, soggette al preventivo rilascio di concessione edilizia.
La Corte territoriale ha puntualizzato le fonti degli obblighi, già individuate dal perito, da parte dei tre ingegneri di verificare l'adeguatezza statica e sismica della strutture dell'edificio, fonti consistenti sia in norme di legge sia nel contenuto delle convenzioni stipulate dagli imputati con l'ente pubblico.
Quanto alle fonti di legge, ha indicato: l'art. 1, comma 4, della legge 14 novembre 2000, n. 338 recante "Disposizioni in materia di alloggi e residenze per studenti universitari", nella parte in cui fa riferimento all'esigenza di garantire comunque il rispetto delle esigenze relative alla sicurezza ed alla prevenzione antisismica; e l'allegato di cui alla lett. C.9.1.1. al d.m. Ministero Lavori Pubblici del 16 gennaio 1996, recante "Norme tecniche per le costruzioni in zone sismiche", secondo cui è fatto obbligo di precedere ad intervento di adeguamento (per tale intendendosi un complesso di opere sufficienti per rendere l'edificio atto a resistere alle azioni sismiche) a chiunque intenda, tra l'altro, apportare variazioni di destinazione che comportino, nelle strutture interessate dall'intervento, incrementi dei carichi superiori al 20 %.
In ordine alla fonte ulteriore, di tipo convenzionale, ha rammentato la Corte di appello che le convenzioni per il progetto di massima e per quello definitivo stipulate con gli imputati, rispettivamente, nell'anno 1997 e nell'anno 1998, prevedevano espressamente, oltre, come è ovvio, al rispetto di tutte le norme prevista da leggi e regolamenti, statali e ragionali, in materia, che i progetti comprendessero anche i calcoli preliminari di strutture ed impianti (art. 1 di entrambe le convenzioni); e che l'art. 69, punto 7, del capitolato speciale d'appalto comprendeva, tra gli oneri a carico dell'appaltatore, quello di effettuare «la esecuzione di ogni prova di carico che sia ordinata dalla Direzione dei lavori su pali di fondazione, solai, balconi e qualsiasi altra struttura portante, di notevole importanza statica»: ne consegue che anche il capitolato prevedeva che fossero eseguite, su disposizione della Direzione dei lavori, verifiche della staticità dell'immobile mediante prove di carico sulle strutture portanti. 
Avendo le difese degli imputati contestato l'applicabilità nel caso di specie del d.m. 16 gennaio 1999, punto C.9.1.1., in quanto ne difetterebbero i presupposti sia quanto al mutamento della destinazione d'uso sia quanto alla percentuale di incremento del 20 %, la Corte territoriale ha convintamente aderito alla lettura, mutuata dal perito e già fatta propria dal Tribunale, secondo cui, ove la valutazione delle opere non fosse da farsi neN'insieme, cioè in maniera unitaria comprensiva delle precedenti vicende, l'eventuale frammentazione degli interventi, sia sincronica che diacronica, ne determinerebbe la sostanziale disapplicazione, con conseguenze gravissime, specialmente accentuate in zone sismiche, di pericolosi sovraccarichi, ben oltre il 20 % consentito nella percentuale massima. Ha, pertanto, respinto l'approccio teso a valutare il solo aumento in percentuale rispetto all'ultimo intervento operato prima di quello posto in essere dagli odierni imputati.
Sempre in relazione al tema del complessivo incremento dei carichi, ha richiamato, poi, il contenuto della tabella 6.1. di p. 203 della relazione peritale, ove gli incrementi dei carichi originari sono stati stimati: nella percentuale del 91,6 % per il terrazzo di copertura, dove sono stati installati una pesante soletta in cemento armato di dieci centimetri (con carico, peraltro, gravante su di una trave su cui non è stata eseguita alcuna verifica di natura strutturale) e, fissate al pavimento, le macchine per l'aria condizionate; nella misura del 65 % per il solaio del primo piano; in quella del 37 % per il solaio del secondo piano; infine, in quella del 48 % per il solaio del terzo e del quarto piano. Con la puntualizzazione ulteriore che, quanto al terrazzo di copertura, non risultano essere state rispettate le prescrizioni del progetto, che prevedevano la rimozione della pavimentazione pre-esistente, che è rimasta invece al suo posto e sulla quale si è apposta la nuova pavimentazione, con inevitabile aumento ulteriore dei carichi.
In definitiva, ha concluso la Corte di appello sul punto in questione, il - complessivo - notevole incremento dei carichi avrebbe sicuramente imposto la verifica dell'adeguatezza statica e sismica delle strutture dell'edificio.
Peraltro, non sarebbe stata rispettata da parte degli imputati la prescrizione espressamente contenuta nella concessione edilizia n. 541 del 28 dicembre 1999, relativa al cd. 11° stralcio, che imponeva di ottemperare - anche - al d.P.R. 22 aprile 1994, n. 425, contenente il regolamento recante la disciplina dei procedimenti di autorizzazione all'abitabilità, di collaudo statico e di iscrizione nel catasto.
Quanto, poi, all'argomento difensivo che fa leva sul rilascio, avvenuto il 15 dicembre 1967, del certificato del Genio civile attestante - anche - la "perfetta rispondenza" del fabbricato di Palazzo Angelini alle norme per l'edilizia antisismica, esso è stato disatteso dai giudici di appello sulla base del rilievo che, in considerazione del lungo tempo trascorso e dei significativi mutamenti operati per adattare la struttura a Casa dello studente, era prevedibile che la situazione originaria avesse subito modifiche rilevanti.
Anche con riguardo alla efficacia con-causale, nel determinare le conseguenze del terremoto, della parete REI 60, la Corte di appello ha fatto propria, come già il Tribunale, la ricostruzione del perito, secondo cui, posto che la causa principale del cedimento dei pilastri del piano terra è stata l'insufficiente resistenza delle strutture dell'edificio, per quanto attiene alle forze sismiche in direzione nord-sud, l'inserimento, ad opera dei tre ingegneri, nell'area antistante l'ascensore dei quattro piani fuori terra, della parete in questione, in ragione della sua rigidezza, ha influenzato il regime statico dell'edificio e, soprattutto, ha influenzato le conseguenze del crollo: e ciò proprio nell'ala nord dell'Immobile, dove erano concentrati gli elementi più rigidi e più resistenti, mentre gli elementi verticali delle altre due ali dell'immobile, siccome più deformabili, hanno subito gli stessi spostamenti, senza però manifestare danni rilevanti.
Si è respinto anche l'ulteriore argomento, incentrato sulla ritenuta obbligatorietà dell'Inserimento della parte REI 60, siccome ciò richiesto dai Vigili del Fuoco, osservando che incombeva agli ingegneri B.D.P., P.C. e T.R., in quanto progettisti e direttori dei lavori, verificare la fattibilità ed eventualmente concordare soluzioni alternative, che fossero nel contempo idonee ai fini sia antincendio sia antisismici, con i Vigili del Fuoco.
La sentenza ha, a questo punto, affrontato il tema della richiesta difensiva di rinnovazione dell'istruttoria, mediante acquisizione di DVD contenente, in buona sostanza simulazioni, effettuate dal c.t. di parte ing. Ch., degli effetti di un terremoto come quello del 6 aprile 2009 con e senza le modifiche introdotte dagli imputati al fine di dimostrare che l'intervento del 2000, progettato e diretto dagli imputati, non ha influito sulle probabilità di crollo (in particolare, il contenuto del DVD offerto dalla difesa comproverebbe, in tesi: 1. che il progetto originario dell'ing. B., risalente al 1965, anno di costruzione dell'edificio, se realizzato, avrebbe comportato il crollo della struttura con un terremoto come quello che si è verificato il 6 aprile 2009; 2. che la realizzazione del progetto, con molte modifiche ed incremento dei carichi, avrebbe comportato, ancora di più, il crollo della struttura con un terremoto come quello del 6 aprile 2009; 3. che gli interventi a cura degli imputati con il progetto del 2000, consistiti nelle sole modifiche di impianti, tramezzature interne ed inserimento della parete REI, hanno comportato il crollo con la stessa probabilità rispetto ai due casi precedenti; 4. che la parete REI è stata del tutto ininfluente agli effetti del crollo dell'ala nord dello stabile; 5. che, in definitiva, il confronto tra i casi di cui ai punti nn. 2 e 3 consentirebbe di rimarcare lo stato di rischio del fabbricato per ben 44 anni, cioè dalla costruzione, nel 1965, al terremoto, nel 2009, e che l'intervento del 2000, progettato e diretto dagli imputati, non ha influito sulle probabilità di crollo). Conseguirebbe, in definitiva, ad avviso delle difese B.D.P., P.C. e T.R., la necessaria conclusione che il crollo dell'edificio sarebbe avvenuto perché lo stesso era già a rischio di crollo sin da prima dei lavori del progetto del 2000.
Rispetto a tale prospettiva, ha ritenuto la Corte territoriale non necessaria l'integrazione istruttoria richiesta, in quanto volta a dimostrare, ma solo ad abundantiam, quanto in realtà già emerso in primo grado e cioè che l'edificio, per come progettato e concretamente realizzato nel 1965, sarebbe crollato con il terremoto del 6 aprile 2009, indipendentemente dai lavori di manutenzione straordinaria eseguiti nell'anno 2000 dai tre imputati; ma anche, al tempo stesso, già raggiunta la prova che gli interventi riconducibili all'azione degli imputati hanno aggravato gli effetti del crollo. Al riguardo ha, infatti, ribadito il giudice di secondo grado la convinzione che «le considerazioni svolte in precedenza hanno dimostrato che, ferme restando le inadeguatezza dei progetto originario, gii interventi di ristrutturazione effettuati negli anni 1998 - 2000 hanno avuto un'incidenza causale sull'evento crollo, sicuramente aggravandone gli effetti. I profili di colpa contestati ai prevenuti concernono proprio il mancato espletamento di quelle verifiche, necessarie a fronte dell'incisività degli interventi edilizi progettati e realizzati, che avrebbero consentito di valutarne le conseguenze, in relazione sia alla situazione preesistente, sia alle modifiche da apportare. Come già evidenziato, la parete REI non è stata causa del crollo, ma, con la sua diversa rigidezza, ne ha modificato le modalità, amplificandone le conseguenze: la diversa torsione subita da quella parte dell'edificio ha impedito allo stesso di "accartocciarsi" su se stesso, come è avvenuto per le altre parti del medesimo stabile, con conseguenze sicuramente meno devastanti» (cosi alla p. 23 della sentenza).
6.3 - Posizione dell'imputato P.S.. - Quanto all'arch. P.S., la sentenza della Corte territoriale ha osservato quanto segue (pp. 24-26).
Si è premesso che dalla documentazione in atti risulta che P.S.: il 10 ottobre 2001 è stato nominato responsabile dell'Ufficio "Attività tecnica ed informatica" dell'ADISU; il 29 ottobre 2001 è stato incaricato di presiedere la "Commissione di collaudo lavori di restauro e risanamento conservativo" previsti dalla concessione edilizia n. 541 del 28 dicembre 1999 e dalla DIA n. 13482 del 19 aprile 1999 (stralcio I e II); il 10 maggio 2002 ha personalmente effettuato la visita finale di collaudo; il 16 settembre 2002 ha partecipato alla conferenza dei servizi sullo stato dei lavori di completamento relativi al primo ed al secondo stralcio rimanenti dopo il collaudo.
Ciò posto e richiamate integralmente le considerazioni svolte a proposito dei tre coimputati, la Corte territoriale ha ritenuto che la responsabilità a carico dell'imputato P.S. derivi dall'avere presieduto le operazioni di collaudo, ai sensi del d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, recante il "Regolamento di attuazione della legge quadro in materia di lavori pubblici 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni" (l'art. 188, comma 6, del d.P.R. n. 554 del 1999 recita: «Per i lavori comprendenti strutture, al soggetto incaricato del collaudo o ad uno dei componenti della commissione di collaudo è affidato anche il collaudo statico, purché essi abbiano i requisiti specifici previsti dalla legge. Per i lavori eseguiti in zone classificate come sismiche, il collaudo è esteso alla verifica dell'osservanza delle norme sismiche»), senza verificare opportunamente se le prescrizioni previste dai titoli autorizzativi fossero state ottemperate.
Ha ritenuto la decisione di secondo grado che l'intervento edilizio realizzato alla fine degli anni novanta (1999-2000) sull'immobile che ospitava la Casa dello studente non era rivolto a conservare l'organismo edilizio e ad assicurane la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali, ne consentisse destinazioni d'uso con essi compatibili ma che, «viceversa, i lavori posti in essere hanno determinato il definitivo e formale mutamento di destinazione d'uso dell'immobile, solo avviato nell'anno 1980. Pertanto, il collaudo, affidato proprio ad una commissione di tecnici, doveva valutare la regolarità delle opere realizzate, non solo sotto il profilo formale, ma in relazione alle ripercussioni sulla staticità dell'edificio, considerata anche la sismicità della zona. La valutazione richiesta, quindi, doveva necessariamente prescindere dalla definizione data dai progettisti e direttori dei lavori, dovendo, invece, operarsi un'analisi oggettiva dei lavori» (cosi alla p. 25 della sentenza).
Alla stregua della disposizione di cui all'art. 188, comma 6, del d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, recante il "Regolamento di attuazione della legge quadro in materia di lavori pubblici 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni" (secondo cui «Per i lavori comprendenti strutture, al soggetto incaricato dei collaudo o ad uno dei componenti della commissione di collaudo è affidato anche il collaudo statico, purché essi abbiano i requisiti specifici previsti dalla legge. Per i lavori eseguiti in zone classificate come sismiche, il collaudo è esteso alla verifica dell'osservanza delle norme sismiche»), deve ritenersi - ha proseguito la Corte di appello - che la verifica dell'osservanza della normativa sismica è dovuta anche quando sia effettuato il solo collaudo tecnico-amministrativo: di conseguenza, tale verifica era dovuta pure in assenza di una prescrizione espressa in tal senso nei titoli abilitativi. Con la conseguenza che «la verifica del rispetto della normativa sismica comporta, dunque, che, in ipotesi di collaudo, indipendentemente dalla natura delle opere, dovesse essere effettuato anche il collaudo sismico, nel quale rientra la verifica dei carichi e dei sovraccarichi» (p. 25 della sentenza).
Ciò affermato, la decisione di secondo grado è passata a confutare l'argomentazione contenuta nell'appello ed incentrata su di un preteso "errore" in cui sarebbe potuto incorrere l'arch. P.S., in ragione della frammentazione delle opere e dell'attivazione di distinti procedimenti amministrativi: al riguardo ha fatto presente che il supposto errore rappresenta una mera ipotesi formulata dal perito, che non varrebbe, in ogni caso, a scriminare la condotta dell'imputato, il quale, alla luce di tutte le considerazioni svolte, non si sarebbe dovuto fermare al dato formale ma, per la sua qualità di collaudatore, avrebbe dovuto invece svolgere una valutazione obiettiva delle opere indipendentemente dalla denominazione utilizzata dai progettisti e direttori dei lavori ed indipendentemente dai titoli abilitativi rilasciati.
La sentenza di appello ha condiviso l'attribuzione di una posizione di garanzia, già ritenuta in primo grado, in capo all'arch. P.S., proprio «in considerazione della sua qualità di collaudatore: questa funzione di terzietà imponeva un obbligo di controllo e verifica dell'operato di coloro che avevano progettato e realizzato le opere.
In realtà, le opere, sia con l'aumento dei carichi, che con la realizzazione della parete REI 60 hanno modificato l'immobile sotto il profilo statico e sismico e, dunque, nella fase del collaudo, dovevano essere effettuate le dovute verifiche tecniche» (così alla p. 25 della sentenza).
Ulteriori argomenti che erano stati sviluppati nell'appello dell'imputato P.S. ma non condivisi dalla Corte territoriale attengono al richiamo al principio di affidamento sulla correttezza dell'attività degli ingegneri B.D.P., P.C. e T.R. ed al rilascio di documentazione sia da parte dei coimputati che da parte di enti pubblici.
Quanto al primo aspetto, ha osservato il giudice di secondo grado: che la Commissione non poteva "fidarsi" delle asseverazioni e della documentazione proveniente dai progettisti e direttori dei lavori, il cui operato doveva, invece, essere sottoposto a controllo; che, a ben vedere, il principio di affidamento potrebbe essere invocato dai terzi, tra cui coloro che hanno occupato l'immobile e che legittimamente potevano fare affidamento sulla sicurezza dello stesso, ma non già dall'imputato P.S.; che la verifica, ove meramente documentale e formale, poteva ben essere affidata - ma così non fu - ad un funzionario, senza la necessità di nominare un organo tecnico ad hoc, peraltro collegiale. 
In ordine, infine, al rilascio di documentazione sia da parte dei coimputati B.D.P., P.C. e T.R., che da parte di enti pubblici, ha rilevato la sentenza di appello che tale dato era, in concreto, irrilevante ai fini del corretto espletamento della funzione di controllo attribuita alla commissione presieduta dall'architetto P.S., che, come si è già detto, doveva controllare l'operato dei tre ingegneri e che, «in particolare, il rilascio del "certificato di agibilità / abitabilità" ai quale è stato attribuito rilievo da parte dell'appellante, era ininfluente, sia per le ragioni già esposte, sia perché avvenuto in seguito alla formazione del silenzio-assenso, quindi in difetto di qualsiasi valutazione da parte dell'organo pubblico» (così alla p. 26 della sentenza impugnata).

 


7. - Ricorso per cassazione. - Ricorrono per la cassazione della sentenza gli imputati, tramite difensori di fiducia, deducendo promiscuamente violazioni di legge e difetti motivazionali, sotto i profili della manifesta illogicità e della contraddittorietà della motivazione e del travisamento della prova, oltre che omesso esame dei motivi di appello, e chiedono l'annullamento della decisione.
Per comodità e chiarezza espositiva, si è ritenuto di sintetizzare in un titoletto l'oggetto essenziale del motivo di impugnazione; inoltre, onde inquadrare le censure difensive, si è riferito sinteticamente, per ciascuna di esse, la parte della motivazione della sentenza di appello rilevante al riguardo.
Appare opportuno prendere le mosse dalla disamina dei motivi di ricorso avanzati nell'interesse dei tre ingegneri direttori dei lavori incaricati dall'ente per il diritto allo studio dell'Università abruzzese, tutti difesi dallo stesso collegio difensivo (punto n. 8 del "ritenuto in fatto"), per poi passare ad esaminare quelli svolti nell'interesse dell'ulteriore imputato (punto n. 9 del "ritenuto in fatto").
 

 

8. - Il ricorso di B.D.P., P.C. e T.R.. - La difesa degli ingegneri B.D.P., P.C. e T.R. articola sei motivi di ricorso, che riguardano, contenutisticamente: 1. "Stato dei luoghi" e responsabilità degli imputati; 2. Nesso di causalità; 3. Mancata assunzione di prova decisiva; 4. Mancanza di prove, sotto il profilo della violazione della regola dell' "oltre ogni ragionevole dubbio"; 5. Intervenuta prescrizione del reato di disastro - crollo colposo; 6. Diniego delle attenuanti generiche. Si passa a sintetizzarli, secondo quanto prescritto dall'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
8.1. - "Stato dei luoghi" e responsabilità degli imputati. - Un primo motivo di contraddittorietà "interna" della sentenza di appello si ravviserebbe, ad avviso dei ricorrenti B.D.P., P.C. e T.R., nel contrasto tra la parte della motivazione che assume avere la distribuzione interna originaria di ciascuno dei quattro piani subito, a seguito dei lavori iniziati nel 1999, un sostanziale mutamento di destinazione d'uso (p. 13 della sentenza della Corte di appello) ed altra parte della decisione in cui si assume che, al momento dell'intervento degli imputati, il mutamento di destinazione era stato già operato, anche mediante la rimozione delle cucine (p. 15 della sentenza impugnata).
L'apparente "collante" tra i due indicati passaggi motivazionali di cui si assume la insanabile discrasia viene individuato dalla Corte territoriale nel seguente argomento: nell'anno 1980 sarebbe stato operato un intervento edilizio sostanzialmente abusivo, perché non sottoposto al, pur previsto, vaglio preventivo dell'autorità amministrativa per ottenere un mutamento di destinazione d'uso; richiamata, dunque, da parte della Corte territoriale l'affermazione della giurisprudenza di legittimità (Sez. 3, n. 40843 del 11/10/2005, Daniele, Rv. 232364, la cui massima ufficiale è: «L'intervento di ristrutturazione di una costruzione originariamente abusiva costituisce ripresa dell'attività illecita, integrando un nuovo reato edilizio, in quanto allorché l'opera precedentemente realizzata perisce in tutto o in parte il proprietario non acquista il diritto di ricostruirla o comunque di ristrutturarla senza alcun titolo abilitativo anche se l'abuso non sia stato originariamente represso») secondo cui l'intervento su una costruzione illegittimamente realizzata, ancorché l'abuso non sia stato represso, costituisce sempre ripresa dell'attività criminosa originaria integrante un nuovo reato simile a quello precedente, e non attività irrilevante sotto il profilo penale, si conclude nel senso che non si possono realizzare interventi di ristrutturazione o di manutenzione straordinaria su un manufatto abusivo, che non sia stato oggetto di sanatoria edilizia, e che tale ulteriore attività costruttiva va valutata in modo unitario rispetto alle opere precedentemente realizzate; ed anche sotto questo profilo - ritiene la Corte di appello - le opere realizzate dagli imputati, al di là della terminologia impiegata, dovevano essere valutate in modo unitario rispetto al precedente mutamento di destinazione d'uso ed erano, dunque, soggette al preventivo rilascio di concessione edilizia (p. 15 della sentenza).
L'argomento appena riferito sarebbe però, ad avviso dei ricorrenti, nulla più che un «sorprendente [...] artifizio» (p. 18 del ricorso), derivante da un vero e proprio travisamento della prova, oltre che "appoggiato" su di un precedente giurisprudenziale inconferente.
Quanto al primo aspetto (il dedotto travisamento della prova), si segnala che dagli atti di causa risulta pacificamente non soltanto che la realizzazione della casa dello studente, con trasformazione di destinazione d'uso, era stata realizzata, in effetti, già prima del 1980, ma che essa era stata autorizzata dal Comune: infatti, in un primo momento la società Angelini, che aveva realizzato un palazzo a più piani con tre appartamenti per piano destinati ad abitazione, lo aveva locato all'Enel che, trasformati i vari ambienti e le cucine in uffici, vi aveva trasferito il proprio centro direzionale; nel 1980 quegli stessi locali, già appartamenti e poi uffici, erano stati adattati alle esigenze degli studenti universitari per iniziativa dell'allora Opera Universitaria (poi ADISU); in ogni caso, nell'anno 1999 era stata rilasciata da parte del Comune concessione edilizia (n. 541 del 28 dicembre 1999).
Di entrambi tali rilevanti dati fattuali, pur emersi dall'istruttoria, la Corte non avrebbe tenuto conto, tanto da non fare nessun accenno in sentenza alla decisiva circostanza del trasferimento nell'immobile, già adibito ad abitazione, degli uffici Enel, peraltro con conversione successiva in alloggi per studenti, così incorrendo in un vero e proprio travisamento della prova, in particolare per omessa valutazione di una prova decisiva (p. 19 del ricorso).
Sotto l'aspetto del richiamo alla giurisprudenza di legittimità, il precedente evocato dalla Corte territoriale farebbe riferimento ad un caso diverso da quello per cui è processo e non conferente, perché di "ripresa di attività criminosa" può parlarsi, secondo consolidata giurisprudenza, soltanto in caso di realizzazione, ma non già di mera modifica di uso, di una costruzione già realizzata in precedenza (p. 18 del ricorso).
Da tali rilievi critici discenderebbe la sicura circostanza che non è stata realizzata dagli imputati - né autonomamente né quale prosecuzione di illecita attività da altri in passato intrapresa - alcuna variazione di uso dell'immobile.
Con la conseguenza - sottolineano i ricorrenti - che difetterebbe il presupposto per la doverosità delle verifiche sismiche, doverosità che il d.m. 16 gennaio 1996, punto C.l.l., recante norme tecniche per le costruzioni in zone sismiche, collega, appunto, alle ipotesi di cambiamento di destinazione di uso di un immobile e non già ad un'attività di mera manutenzione, ordinaria e straordinaria, non necessitante peraltro alcuna concessione edilizia.
Sottolineano i ricorrenti, inoltre, che l'istruttoria avrebbe dimostrato, senza ombra di dubbio, sia che nessuna alterazione della distribuzione degli spazi e delle stanze nei piani da uno a quattro era stata realizzata dagli imputati, in quanto, al contrario, i lavori si erano limitati a modificare alcuni tramezzi interni ed a migliorare le stanze ed i servizi igienici, addirittura diminuendo di tre unità il numero dei vani a disposizione degli ospiti rispetto alla situazione preesistente, sia che nessuna alterazione peggiorativa dei carichi vi era stata, in quanto: secondo il consulente tecnico della difesa, ing. Ch., si era addirittura verificato un decremento dei carichi stimato nel - 1,49 %, mentre secondo il perito del Tribunale, prof.ssa Mulas, l'incremento vi era stato ma esso era contenuto nella percentuale del + 5,3 %, quindi di gran lunga inferiore al + 20% di cui al punto C.9.1.1., lett. b), dell'allegato al d.m. Ministero dei Lavori Pubblici del 16 gennaio 1996, recante "Norme tecniche per le costruzioni in zone sismiche". Peraltro, l'avere omesso di riferire il ridimensionamento, operato in udienza dal perito Mulas, dell'incremento dei carichi, nei termini del 5,3 % appena indicati, costituirebbe ulteriore travisamento della prova da parte della Corte di appello, per avere omesso di riferire e di valutare un'informazione decisiva ai fini della pronunzia (p. 19 del ricorso).
Verrebbe meno, anche attraverso la presa d'atto di tali risultati istruttori, la necessità di verifica sismica e stabile dell'Immobile, che è collegata dal richiamato d.m. 16 gennaio 1996 ad un incremento di carichi gravitazionali non realizzatosi nel caso di specie.
La sentenza conterebbe (alla p. 20), inoltre, una circostanza assolutamente inveritiera, e cioè che le opere da effettuarsi dai tre professionisti «per la loro consistenza Incidevano sulla staticità dell'Immobile», mentre il contrario avrebbe sostenuto il perito del giudice, prof.ssa Mulas (p. 20 del ricorso).
La decisione di merito sarebbe, poi, manifestamente illogica nella parte in cui afferma (alla p. 20) l'irrilevanza, ai fini dell'accertamento della responsabilità penale, del rilascio da parte del Genio civile, il 15 dicembre 1967, del certificato di conformità dell'immobile, in quanto tale documento, che dà atto della ricognizione effettuata dal funzionario del genio civile e dal progettista direttore dei lavori dell'epoca, ing. B., e conclude per la perfetta rispondenza del fabbricato alle norme per l'edilizia antisismica, al contrario, se valutato in modo corretto, dimostrerebbe ulteriormente la estraneità degli imputati ai fatti contestati, in applicazione del noto principio dell'affidamento (p. 20 del ricorso).
Infine, si denunzia un errore di diritto nella parte in cui la Corte di appello (p. 19) richiama l'art. 1, comma 4, legge 14 novembre 2000, n. 338 (valorizzandolo addirittura come "chiave di lettura del d.m. 16.1.1996"), nella parte in cui impone di garantire per le residenze universitarie il rispetto delle esigenze relative, tra l'altro, alla prevenzione antisismica, trascurando quanto già sottolineato dal consulente di parte ing. Ch. nel suo esame e dalla difesa nella discussione svolta in appello, e cioè che il decreto applicativo della richiamata legge n. 338 del 2000 era stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 21 maggio 2002 e, quindi, era entrato in vigore quando i lavori progettati e diretti dai tre imputati erano già ultimati, siccome terminati, al più tardi, il 27 agosto 2001, e collaudati il 10 maggio 2002.
«Peraltro [prosegue la difesa], tale normativa non aveva previsto nulla di nuovo in materia antisismica, per cui l'unica disposizione da rispettare era il noto D.M. 16.1996 (punto C.9.1.1., comma 2, lett. b, dell'allegato all'art. 1), il quale però [...] non poteva trovare applicazione nel caso de quo, visto che con quei lavori del 1998-2000 non si era avuta una modificazione della destinazione d'uso dell'immobile (avvenuta almeno dal 1980), né si era avuto un aumento dei carichi superiore ai 20 %» (così alle pp. 19-20 del ricorso). Insomma, secondo i ricorrenti, «la natura delle opere realizzate non richiedeva gli adempimenti previsti dal D.M. 16 gennaio 1996» (così alla p. 21 del ricorso)
8.2. - Nesso di causalità. - Si denunzia, inoltre, violazione della legge penale sostanziale e manifesta illogicità della motivazione, anche per ulteriore travisamento della prova, sotto il profilo dell'insussistenza del nesso di causalità, in quanto la Corte di appello (pp. 22-23 e 29 della motivazione) avrebbe frainteso il contenuto della relazione del perito di ufficio e l'esito del confronto svolto in primo grado tra il consulente della difesa, ing. Ch., ed il perito del giudice, prof.ssa Mulas (atti istruttori il cui contenuto è, in parte, riportato per stralcio nel testo del ricorso e in note in fondo al testo), confronto da cui sarebbe emerso che nessun nesso causale sussiste tra la realizzazione delle opere da parte dei tre imputati e l'evento, in quanto le sole ed uniche concause che avevano determinato il crollo e tutte le tragiche conseguenze erano le carenze originarie della costruzione e l'intensità del sisma del 6 aprile 2009 (p. 21 del ricorso).
Analoga considerazione si svolge in relazione all'incidenza causale dell'inserimento, a cura degli ingegneri imputati, nella redistribuzione degli spazi della parete REI 60, antistante l'ascensore dei piani dal primo al quarto, parete la cui rigidezza, secondo il capo di accusa, avrebbe influenzato, in senso peggiorativo, il regime statico dell'edificio e le conseguenze del crollo: ciò in quanto la stessa prof.ssa Mulas avrebbe espressamente escluso, sia nell'elaborato scritto sia nel corso dell'esame in udienza (stralci dei quali vengono riportati nel corpo del ricorso ed in allegato allo stesso), l'efficacia causale dell'Inserimento di tale parete nel crollo.
8.3. - Mancata assunzione di prova decisiva. - Con il terzo dei sei motivi di ricorso si denunzia la mancata assunzione di prova decisiva, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., con motivazione reiettiva che si addita a gravemente insufficiente e contraddittoria.
Al riguardo, richiamano i ricorrenti la circostanza che in primo grado si era proceduto nelle forme del giudizio abbreviato condizionato all'esame del consulente della difesa ing. Ch., anche in contraddittorio con il perito del G.u.p., e che, proprio in linea con la fisionomia del rito prescelto, si era chiesto alla Corte di appello di acquisire un DVD contenente le immagini ed i risultati delle simulazioni virtuali di calcolo e verifiche sismiche effettuate dal c.t. ing. Ch. al fine di dimostrare: 1) che il progetto originario dell'ing. B., risalente al 1965, anno di costruzione dell'edificio, se realizzato, avrebbe comportato il crollo della struttura con un terremoto come quello che si è verificato il 6 aprile 2009; 2) che la realizzazione del progetto, con molte modifiche ed incremento dei carichi, avrebbe comportato ancora di più il crollo della struttura con un terremoto come quello del 6 aprile 2009; 3) che le modifiche introdotte dagli imputati con il progetto del 2000, consistite nelle sole modifiche di impianti, tramezzature interne ed inserimento della parete REI, hanno comportato il crollo con la stessa probabilità rispetto ai due casi precedenti; 4) che la parete REI è stata del tutto ininfluente agli effetti del crollo dell'ala nord dello stabile; 5) che il confronto tra i casi di cui ai punti nn. 2 e 3 consente di rimarcare lo stato di rischio del fabbricato per ben 44 anni, cioè dalla data di costruzione (anno 1965) al terremoto (anno 2009) e che, in definitiva, l'intervento del 2000, progettato e diretto dagli imputati, non ha influito sulle probabilità di crollo; con la conseguenza che il crollo dell'edificio sarebbe avvenuto perché lo stesso era già a rischio di crollo prima dei lavori del progetto del 2000.
Sottolinea, dunque, la difesa l'assoluta centralità del tema di prova sviluppabile mediante l'acquisizione richiesta rispetto alla sussistenza o meno del nesso di causalità, in quanto l'esito della verifica degli aspetti fattuali indicati sarebbe idonea a sovvertire l'esito del giudizio di primo grado (p. 25 del ricorso).
Ciò posto, ritengono i ricorrenti che la decisività degli accertamenti richiesti e la tipologia della motivazione del rigetto da parte della Corte di appello (pp. 22-24 della sentenza), che sarebbe affidata a clausole di stile talmente insufficienti da far prefigurare una motivazione sostanzialmente omessa, costituirebbero profili di illegittimità della decisione reiettiva della Corte territoriale, specie a fronte dell'affermazione perentoria del perito del giudice, prof.ssa Mulas, riferita per stralcio nel ricorso e già oggetto di evidenziazione nell'atto di appello, secondo cui la variazione dei carichi conseguente alle ristrutturazioni operate dagli imputati non costituisce concausa determinante nel crollo (p. 268 dell'elaborato peritale - riportato per stralcio nell'allegato n. 6 al ricorso) e che l'edificio sarebbe comunque crollato anche sotto i carichi già previsti ab origine dall'ing. B. (p. 27 del ricorso).
In buona sostanza - scrive la difesa a conclusione della illustrazione dello specifico motivo di ricorso - «i giudici abruzzesi, andando molto oltre la discrepanza logico-giuridica del Gup, non solo hanno confermato la condanna dei prevenuti ma hanno anche rigettato immotivatamente la richiesta di prova integrativa di natura scientifica avanzata dalla difesa di questi ultimi ad ulteriore supporto del risultato peritale di primo grado già favorevole agli stessi» (cosi alle pp. 27-28 del ricorso). 
8.4. - Mancanza di prove, sotto il profilo della violazione della regola dell' "oltre ogni ragionevole dubbio". - Con ulteriore motivo si censura violazione di legge in relazione alla regola dell' "oltre ogni ragionevole dubbio" posta dall'art. 533, comma 1, cod. proc. pen. e carenza di motivazione.
Con tale motivo, richiamati i passaggi argomentativi, in diritto ed in fatto, svolti nei precedenti motivi di ricorso, sviluppano i ricorrenti, come corollario di quanto già esposto, il ragionamento cha appare utile riportare testualmente:
«[...] dalla precedente e approfondita disamina delle risultanze probatorie ex actis, in punto di manifesta illogicità della motivazione e travisamento delle prove, può desumersi anche l'error in procedendo relativo all'inosservanza della disposizione processuale [... di cui all'art. 533 cod. proc. pen.; poiché] il compendio probatorio acquisito, e segnatamente le più volte richiamate dichiarazioni rese dallo stesso perito prof.ssa Mulas, sia sull'effettivo incremento dei carichi provocato dai lavori effettuati dai ricorrenti, sia sull'influenza della parete REI 60 nella cinematica del crollo, hanno escluso in positivo qualsivoglia incidenza causale tra la condotta ascritta agii imputati e la verificazione dell'evento (crollo, morte di otto giovani e numerosi feriti) [,...] discende che per come sviluppatasi, l'attività istruttoria ha corroborato la tesi assolutoria sostenuta dalla difesa, dando conto per tabulas della razionalità degli asserti difensivi, tutti - giova ribadirlo - supportati da dati acquisiti ai processo, e non meramente ipotetici o congetturali (Cass., Sez. V, 19.2.2014, n. 18999). Del resto specie in punto di descrizione degli asseriti effetti peggiorativi del crollo determinati dalia parete REI 60, né il perito prof, ssa Mulas, né il giudice dell'abbreviato, né la corte abruzzese hanno saputo dire alcunché, limitandosi a semplici congetture prive di rilevanza probatoria.
Di fronte ad un quadro probatorio così incerto riguardo ai profili di colpevolezza ascritti agli imputati e, per converso, molto più preciso nei dare atto la Mulas che l'opera dei tre ingegneri progettisti "non è da ritenersi concausa determinante del crollo" (pag. 268, rel. peritale), il rispetto della regola di giudizio imposta dall'art. 533, comma 1, c.p.p. giammai avrebbe potuto condurre a una doppia conforme statuizione di condanna. E pertanto, la sentenza emessa dai giudici di appello risulta viziata agii effetti dell'osservanza della norma processuale in parola e difetta per giunta di un solido apparato argomentativo capace di supportare la pronuncia di condanna in parola [...] le carenze motivazionali sono tutte quelle addotte dalla difesa e basate proprio sulle risultanze incontestabili degli elaborati peritali» (così alle pp. 28-29 del ricorso).
8.5. - Intervenuta prescrizione del reato di disastro - crollo colposo. - Ancora, si critica la sentenza per erronea applicazione della legge penale sostanziale (artt. 157, 434, comma 2, e 449 cod. pen.), oltre che per insufficienza e contraddittorietà della motivazione, per avere errato, in tesi di parte ricorrente, a proposito della individuazione del momento consumativo del reato di disastro colposo addebitato agli imputati e, conseguentemente, del dies a quo per il calcolo del relativo termine di prescrizione, evento estintivo che sarebbe, ad avviso del ricorrente, ormai spirato.
Va premesso che la Corte di appello, nel respingere specifica eccezione difensiva, ha ritenuto che nel reato di disastro-crollo colposo, il momento consumativo sia da individuarsi nel verificarsi dell'evento, a differenza della corrispondente figura di reato doloso, in cui, in ragione della maggiore gravità della condotta, la consumazione è anticipata al momento in cui l'interesse protetto è messo in pericolo, cioè al momento in cui sorge pericolo per la pubblica incolumità; e se il disastro si verifica, risulta integrata la fattispecie aggravata di cui all'art. 434, comma 2, cod. pen. In conseguenza, la Corte territoriale ha ritenuto perfezionato il reato di cui agli artt. 434 e 449 cod. pen. alla data del sisma, cioè il 6 aprile 2009, anziché alla data di collaudo dei lavori effettuati, il 10 maggio 2002 (p. 26 della sentenza).
Ebbene, i ricorrenti censurano tale affermazione richiamando «cospicua giurisprudenza formatasi in ordine alla natura giuridica del delitto di crollo di costruzioni e culminata nella recente pronunzia della Corte di cassazione sul caso Thyssenkrupp [...], con la quale, nel dichiarare la prescrizione del reato ascritto all'imputato, i giudici di legittimità sono tornati a ribadire che quella contemplata dall'alt. 434, comma 2, c.p. è una tipica ipotesi di reato di pericolo aggravato dall'evento [..., con] la conclusione secondo cui il momento consumativo del reato - e dunque il dies a quo della prescrizione - retroagisce alla cessazione delle condotte che hanno dato origine alla situazione di pericolo». I ricorrenti precisano di essere consapevoli che nel caso esaminato nella sentenza Thyssenkrupp il reato considerato era di natura dolosa (art. 434 cod. pen.) ma nel contempo sottolineano che nessuna indicazione contraria, per quanto qui interessa, è stata fornita dalla Corte di cassazione rispetto alle ipotesi colpose ex art, 449 cod. pen. ascritte ai tre imputati, anzi evidenziando che il richiamato ragionamento della S.C. è incentrato «sulla materialità del reato in parola, che è identica sia che il delitto di crollo di costruzioni venga contestato a titolo di dolo, sia che venga contestato a titolo di colpa. In ambedue i casi, infatti, unica è la condotta penalmente rilevante; ed unico è l'evento in senso giuridico dagli stessi determinato, vale a dire H pericolo per la pubblica incolumità, da non confondere però con i possibili effetti ulteriori che aggravano il reato, ma assolutamente insuscettibili di per sé di spostare in avanti il momento di consumazione dello stesso. Ne consegue che, a parità di struttura materiale delle fattispecie, ai fini della consumazione del reato, nessun rilievo può essere attribuito all'elemento psicologico, che [...] non è suscettibile di determinare una diversa conformazione del delitto dal punto di vista della sua compiuta realizzazione. Fin troppo palese dunque l'error in judicando della Corte di appello di L'Aquila [...], essendo stato il termine a quo per la prescrizione malamente individuato nella data dell'evento tellurico verificatosi il 6.9.2009, e non già [...] nella cessazione delle condotte omissive e commissive addebitate agli imputati e causative della situazione di pericolo, nella specie coincidenti con la data del 10.05.2002 in cui i lavori affidati agli imputati erano stati sottoposti al prescritto collaudo tecnico amministrativo da parte dell'Arch. P.S.. Va da sé che correttamente retrodatata il dies a quo della decorrenza della prescrizione, le ipotesi di reato ex artt. 434, commi 1 e 2, c.p. e 449 c.p. alla data della decisione d'appello (28.4.2015) erano sicuramente prescritte».
Insufficiente, poiché stimata tautologica, apodittica e mancante di adeguato supporto argomentativo sarebbe, dunque, la motivazione della Corte di appello sullo specifico punto della prescrizione del reato di disastro colposo, oltre che illogica e contraddittoria, in quanto il giudice di secondo grado scrive che la contestata fattispecie di cui all'art. 449 cod. pen. è un reato di evento, sicché il momento consumativo è da individuarsi, appunto, nel verificarsi dell'evento, mentre dalla mera lettura dell'Imputazione elevata dal P.M. emergerebbe in maniera inconfutabile un'informazione non compatibile con il contenuto della sentenza: poiché, infatti, il capo di accusa opera il richiamo del comma 2 dell'art. 434 cod. pen. in relazione aN'art. 449 cod. pen., si desume che l'ipotesi ex art. 449 cod. pen., difformemente da quanto affermato dalla Corte di appello, non è costruita come fattispecie di evento poiché, in tal caso, non sarebbe stato necessario indicare espressamente in rubrica il comma 2 dell'art. 434 cod. pen., che aggrava la fattispecie generale di pericolo per i casi di concreto verificarsi dell'evento.
Si chiede, in conclusione, l'annullamento senza rinvio della sentenza in parte qua per estinzione del reato di disastro colposo per intervenuta prescrizione.
8.6. - Diniego delle attenuanti generiche. - Da ultimo, si denunzia erronea applicazione di legge penale ed insufficienza della motivazione in riferimento al diniego da parte della Corte di appello delle attenuanti generiche.
Va premesso che la sentenza di secondo grado sviluppa, in relazione alla conferma del diniego delle circostanze attenuanti generiche da parte del G.u.p. del Tribunale, un duplice ragionamento: in diritto ed in fatto.
In diritto, afferma che «le circostanze attenuanti generiche non sono state concesse ma, in ogni caso, non si sarebbe potuto operare il giudizio di bilanciamento, in quanto, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, la fattispecie disciplinata dall'art. 589 u.c. non costituisce un'autonoma figura di reato complesso, né dà luogo alla previsione di circostanza aggravante rispetto al reato previsto dall'art. 589, comma primo, cod. pen., ma prevede un'ipotesi di concorso formale di reati, unificati solo quoad poenam, con la conseguenza che ogni fattispecie di reato conserva la propria autonomia e distinzione (Cass. Pen., Sez. 4, Sentenza n. 35805 del 15/06/2011, dep. 03/10/2011, Presidente: Marzano F. Estensore: Foti G. Imputato: Sinuelli)».
In fatto, ritiene che «la gravità dei fatti (aver agito colposamente nonostante la consapevolezza che in quell'immobile vi sarebbe stato stabilmente un numero rilevante di giovani, provocando, infatti, il decesso di sette studenti e del portiere), valutata congiuntamente alla mancanza di elementi favorevoli (la sola mancanza di precedenti penali non è sufficiente a tal fine) non consente la concessione delle circostanze attenuanti generiche» (così alle pp. 26-27 della motivazione).
Ciò posto, l'impugnazione mira a confutare entrambi gli aspetti.
In diritto, censura l'inconferenza del riferito ragionamento, non comprendendosi quale sia il rapporto tra la concedibilità o meno delle attenuanti generiche e lo svolgimento del giudizio di bilanciamento, in quanto in un caso, come quello in esame, in cui il giudice applichi il cumulo giuridico delle pene (ex art. 589, ultimo comma, cod. pen.) perché in presenza di un concorso formale di reati, ben potrà essere operata la diminuzione ex art. 62-bis cod. pen.
Quanto al profilo del diniego delle attenuanti generiche, si denunzia insufficienza motivazionale, per non avere assolto l'obbligo, richiesto da giurisprudenza di legittimità che si richiama, di giustificare sotto ogni possibile profilo la insussistenza della meritevolezza della mitigazione del trattamento sanzionatorio: nel caso di specie, non risulta in motivazione nessun riferimento alla personalità ed alla capacità a delinquere degli imputati, professionisti seri e mai coinvolti in vicende giudiziarie, alla condotta degli stessi antecedente, contemporanea e susseguente al fatto ed al comportamento processuale collaborativo tenuto dagli stessi.
La motivazione resa al riguardo («[..]la mancanza di elementi favorevoli (la sola mancanza di precedenti penali non è sufficiente a tal fine) non consente la concessione delle circostanze attenuanti generiche»-, p. 27 della sentenza di appello) è valutata dai ricorrenti sostanzialmente sbrigativa, non idonea ad assolvere ai precisi oneri motivazionali richiesti dalla giurisprudenza di legittimità e, inoltre, in quanto «grossolan[amente]» applicativa del comma 3 dell'art. 62- bis cod. pen. (secondo cui «In ogni caso, l'assenza di precedenti condanne per altri reati a carico del condannato non può essere, per ciò solo, posta a fondamento della concessione delle circostanze di cui al primo comma»), introdotto dall'art. 1, comma 1 -bis, lett. f-bis), del d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, nella legge 24 luglio 2008, n. 125, anche illegittima in quanto l'art. 62-bis, comma 3, cod. pen. è inapplicabile a reati commessi anteriormente alla sua entrata in vigore, trattandosi di disposizione aggravatrice del trattamento sanzionatorio (richiamato l'insegnamento di Sez. 5, 28.2.2015, n. 13072), in quanto i lavori di restauro risalgono a molti anni prima della modifica in questione.
9. - In particolare il ricorso nell'interesse di P.S.. - La difesa dell'architetto P.S. si affida ad otto motivi di ricorso che di seguito si sintetizzano.
9.1. - Insussistenza dell'obbligo di effettuare verifiche di carattere sismico da parte dei coimputati. - Il primo motivo di ricorso prende le mosse dalla constatazione che la sentenza impugnata dedica tre pagine, da 24 a 26, all'esame della posizione dell'imputato e richiama l'affermazione, ivi contenuta, secondo cui l'imputato deve rispondere dei reati in rubrica per avere proceduto alla vista finale di collaudo tecnico-amministrativo in assenza di collaudo statico e del deposito dei progetti presso gli uffici del Genio civile, in quanto - si legge proseguendo nella motivazione - il collaudo, affidato proprio ad una Commissione di tecnici, doveva valutare la regolarità delle opere realizzate non soltanto sotto il profilo formale, ma in relazione alle ripercussioni sulla staticità dell'edificio considerata anche la sismicità della zona.
9.1.1. - Pars destruens. - Tale passaggio motivazionale è oggetto di serrata critica difensiva, tesa a rilevare che si tratterebbe di una vera e propria «petizione di principio, in quanto assume come premessa maggiore la conclusione cui si intende arrivare: il collaudo statico doveva essere fatto poiché si era compromessa la stabilità dell'edificio. Ma, affermando tautologicamente che il collaudo statico doveva essere fatto perché doveva essere fatto (stante la precarietà dell'immobile), non si dimostra che sulla Commissione gravasse tale obbligo. Né vale a sorreggere il sofisma quel successivo richiamo all'art. 188 del DPR 554/99 che disciplina i "lavori comprendenti strutture", perché nel caso di specie il progetto appaltato non interessava le strutture della Casa dello Studente, bensì una diversa distribuzione logistica degli spazi destinati alla ricettività nei vari piani» (cosi alla p. 3 del ricorso).
E che i lavori non interessassero le strutture della Casa dello studente, bensì soltanto una diversa distribuzione logistica degli spazi destinati alla ricettività nei vari piani, si desumerebbe, ad avviso del ricorrente dai seguenti elementi:
1) dalla relazione asseverata del progetto esecutivo degli ingegneri B.D.P., T.R. e P.C. del 26 aprile 1999 (allegata al ricorso sub n. 1), che, nel descrivere il tipo di intervento, tramite il richiamo all'allegato sub lett. e) del comma 7 dell'art. 4 della legge 4 dicembre 1993, n. 493, come modificata dal comma 60 dell'art. 2 della legge 23 dicembre 1996, n. 662, attesterebbe che le opere non recano pregiudizio alla statica dell'immobile;
2) dal contenuto della "dichiarazione tecnica asseverata" degli stessi progettisti e direttori dei lavori del 10 dicembre 2000 (del pari allegata al ricorso sub n. 2), dichiarazione in cui si dà atto della conformità delle opere realizzate alla normativa di settore;
3) infine, dalla stessa regolarità dei complesso iter amministrativo dei lavori in questione (iter che è riassunto alle pp. 4-5 del ricorso), comprensivo, tra l'altro, di DIA e di concessione edilizia comunale, progettato e collaudato dagli imputati ingegneri, munito di agibilità maturata per silenzio-assenso, comprendente, insomma, atti redatti da pubblici ufficiali ed assistiti da presunzione di legittimità, sino ad approdare alla fase finale del collaudo tecnico-amministrativo affidato ad una Commissione presieduta dall'imputato, quale tecnico, e composta anche da due membri amministrativi, Commissione che si occupò di attestare la conformità delle opere al contratto e la correttezza della relativa contabilità definendo i rapporti con la impresa appaltatrice.
Ciò posto, censura il ricorrente la ritenuta - dalla Corte territoriale - irrilevanza di tutti gli atti del complesso iter amministrativo, sul presupposto, additato ad assiomatico e semplicistico, che «il rilascio di documentazione da parte sia degli imputati B.D.P. , P.C. , T.R. , sia di enti pubblici, costituiva un dato del tutto irrilevante ai fini del corretto espletamento della funzione di controllo attribuito alla Commissione presieduta da P.S.» (così alla p. 26 della sentenza).
Si rileva al riguardo che la sentenza non esplicita quale sia "la corretta funzione di controllo" né indica quale sia la norma che la disciplina, sottolineando il vizio di contraddittorietà intesa come non congruità logica della motivazione, che ne inficia la coerenza intrinseca, in quanto la norma che disciplina le competenze della Commissione esiste: si tratta, secondo il ricorrente, della legge quadro sui lavori pubblici, legge 11 febbraio 1994, n. 109, con il relativo regolamento di attuazione - d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 -, normative che fanno riferimento - sì - ad adempimenti, verifiche e certificazioni, ma non al "collaudo statico delle strutture".
Il collaudo statico delle strutture, secondo il ricorrente, è adempimento che attiene, invece, ad una diversa disciplina ed è imposto unicamente per le "opere di conglomerato cementizio armato ed a struttura metallica" e per le strutture portanti ma - si assume - nel caso di specie tale verifica non era dovuta perché le strutture erano state precedentemente collaudate staticamente, trattandosi di edificio che possedeva da tempo - si sottolinea - le autorizzazioni, la destinazione d'uso e l'agibilità. Tanto che - si evidenzia - il progetto degli ingegneri B.D.P., P.C. e T.R. non era stato depositato presso il Genio civile.
In conclusione, sullo specifico punto dei compiti della Commissione, la Corte di appello avrebbe operato una erronea ed illegittima contaminazione tra due distinti regimi normativi.
9.1.2. - Pars construens. - Così, ritenuto di avere svolto la pars destruens, il ricorso affida la pars construens, sullo specifico punto, al richiamo alla legge quadro sui lavori pubblici dell'11 febbraio 1994, n. 109, con il relativo regolamento di attuazione - d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 -, secondo cui l'incarico di collaudo tecnico-amministrativo si riferisce esclusivamente al contratto dei lavori appaltati, sottolineando inoltre:
che i lavori in questione prevedevano opere edili ed impiantistiche ma non strutturali;
che la procedura di collaudo riguarda sia aspetti amministrativi che aspetti tecnici e che, quanto a questi ultimi, il collaudatore deve accertare la qualità dei lavori effettuati e la rispondenza alle norme tecniche di settore attraverso controlli diretti e certificazioni rilasciate dai produttori;
che, nella fattispecie, il collaudatore ha controllato direttamente la qualità, le dimensioni delle opere edili e la funzionalità delle opere impiantistiche attraverso le certificazioni di collaudo tecnico-funzionale;
che, per contro, non era necessario nessun controllo o verifica delle strutture portanti, già originariamente collaudate, le quali non avevano subito nei lavori alcuna modifica rispetto alle condizioni originarie;
quanto alle modifiche di sollecitazione delle strutture per effetto della variazione dei carichi statici conseguente ai lavori edili realizzati, i carichi gravitazionali erano globalmente diminuiti rispetto alla situazione esistente prima degli interventi o, comunque, erano stati incrementati nella limitata misura del 5,3 %, come riferito dal perito del giudice prof.ssa Muías nel corso dell'udienza del 20 ottobre 2012 (dichiarazione riferita, per stralcio, nel ricorso ed il cui verbale, pp. 79-80, è allegato allo stesso), in misura cioè di gran lunga inferiore al 20 % di cui al punto C.9.1.1., lett. b), dell'allegato al D.M. 16 gennaio 1996 recante "Norme tecniche per le costruzioni in zone sismiche" (pp. 7-8 del ricorso);
la prof.ssa Mulas ha altresì significativamente precisato che «[...] non è che loro hanno messo quel tot di carico In più per cui è scattato qualcosa, l'edificio è crollato. No. L'edificio sarebbe crollato anche sotto i carichi dell'ingegner B.» (passaggio di dichiarazione riferito per stralcio, p. 8 del ricorso; verbale di udienza del 20 ottobre 2012 allegato sub n. 5); 
in conseguenza, non era necessario, secondo il ricorrente arch. P.S., eseguire verifiche di carattere sismico, non essendo intervenuta alcuna variazione strutturale che le rendesse necessarie secondo la normativa vigente, cioè il d.m. 16 gennaio 1996, punto C.9.1.1.
9.1.3. - Denunzia di travisamento della prova. - Si denunzia, infine, un vizio di travisamento della prova sotto il profilo della ritenuta - da parte della Corte di appello - influenza della parete REI 60 sul comportamento sismico dell'edificio.
Si segnala, al riguardo, sia che l'eventuale influenza della parete in questione sul comportamento sismico implicava una valutazione di esclusiva pertinenza dei progettisti e direttori dei lavori, non già del collaudatore tecnico-amministrativo, sia, richiamato un allegato tecnico al ricorso (all. n. 6), che, essendo stata la parete in questione posta lungo l'intero vano scala dell'edificio e non già soltanto nell'ala nord crollata, sarebbe stata posta a base della sentenza un risultato di prova inconfutabilmente diverso da quello effettivo.
9.2. - Insussistenza di una "posizione di garanzia" in capo all'imputato P.S.. - Si assume, poi, inficiata da violazione di legge l'individuazione in sentenza di una "posizione di garanzia" in capo all'imputato.
La decisione ricava tale posizione dalla funzione di collaudatore, definita come funzione di terzietà che imponeva un obbligo di controllo e verifica di coloro che avevano progettato e realizzato le opere (p. 25 della sentenza).
Sostiene, invece, la difesa dell'imputato che nessuna norma imponeva al soggetto di eseguire anche il collaudo statico, con conseguente inapplicabiltà dell'art. 40 cod. pen.
Il richiamo in motivazione alla funzione di terzietà altro non sarebbe che un mero espediente motivazionale, poiché il ritenuto (dalla Corte territoriale) obbligo di controllo e di verifica dell'operato di coloro che avevano progettato e realizzato l'opera deve essere specificamente dettato da una norma, mentre gli artt. 28 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e 187 del d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, non comprendono l'obbligo indicato in sentenza.
9.3. - Insussistenza di una regola cautelare violata. - Ulteriore censura prende le mosse dalla constatazione che entrambe le sentenze di merito, utilizzando espressioni diverse («lavori significativi e di notevole rilevanza comportanti profonde modifiche»-, sentenza G.u.p., p. 90; «complessità dell'insieme delle opere realizzate»: sentenza Corte di appello, p. 26), mettono a fuoco la posizione dell'arch. P.S. enfatizzando la portata complessiva dell'intervento edilizio, la cui mole, insomma, - si sostiene - avrebbe dovuto richiamare l'attenzione dell'imputato sulle possibili ripercussioni dei lavori sulla statica del palazzo (segnatamente: «l'incarico ricevuto obbligava prioritariamente l'imputato [P.S.] alla osservazione diretta ed approfondita dei lavori che erano stati eseguiti»: così sentenza G.u.p., p. 93; «la valutazione richiesta doveva necessariamente prescindere dalla definizione data dei progettisti e direttori dei lavori, dovendo invece operarsi una analisi oggettiva dei lavori»-, così sentenza Corte di appello, p. 25).
Il ricorrente respinge tale impostazione, che sarebbe, a suo avviso, fondata su di una visione, ormai ripudiata da circa mezzo secolo, di un approccio che definisce connotato da «una impostazione del problema in termini intimistici e psicologici» (p. 12 del ricorso) della colpa, fondata su di una negligenza interiore, dovendosi, invece, la rimproverabilità all'imputato basarsi su di una ben precisa regola cautelare violata e non già, come sarebbe accaduto nel caso di specie, su mere impressioni ex ante incentrate sulla mole dei lavori.
Ebbene, la regola cautelare di cui fare applicazione sarebbe rappresentata dall'art. 187 del d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, cosiddetto regolamento di attuazione della legge Merloni, che stabilisce che il collaudo ha lo scopo di verificare e di certificare che l'opera o il lavoro sono stati eseguiti a regola d'arte e secondo le prescrizioni tecniche prestabilite, in conformità del contratto, e di verificare che i dati della contabilità corrispondano con le risultanze di fatto. Ciò che sarebbe scrupolosamente avvenuto, come si legge nella relazione di collaudo del 10 maggio 2002 (allegata sub n. 7 al ricorso), redatta e sottoscritta dalla Commissione dopo due visite e sette controlli dei lavori eseguiti e confrontati con le previsioni progettuali e dopo i riscontri contabili dello stato finale, relazione di collaudo di cui, peraltro, le sentenze di merito non evidenziano lacune o carenze.
9.4. - Insussistenza dell'obbligo di effettuare verifiche di carattere sismico da parte dell'arch. P.S.. - Si denunzia poi, ulteriore violazione di legge nel passaggio motivazionale relativo all'obbligo in capo al collaudatore della verifica sismica, che sarebbe dovuta, secondo entrambi i giudici di merito, anche quando sia effettuato il solo collaudo tecnico-amministrativo.
Sostiene il ricorrente che, in realtà, la norma di riferimento, cioè l'art. 188, comma 6, d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, la prevede soltanto nel caso di lavori comprendenti strutture [appare al riguardo opportuno dare atto che l'art. 188, comma 6, d.P.R. n. 554 del 1999 recita: «Per i lavori comprendenti strutture, al soggetto incaricato del collaudo o ad uno dei componenti della commissione di collaudo è affidato anche il collaudo statico, purché essi abbiano i requisiti specifici previsti dalla legge. Per i lavori eseguiti in zone classificate come sismiche, il collaudo è esteso alla verifica dell'osservanza delle norme sismiche»].
In definitiva, poiché i lavori in questione non interessavano le strutture, non sussisteva alcun obbligo giuridico di verifica sismica in capo all'arch. P.S.. 
9.5. - Principio di affidamento. - La sentenza sarebbe erronea anche nella parte in cui disattende il motivo di appello incentrato sulla non esigibilità della condotta omissiva rimproverata all'imputato, per avere lo stesso fatto affidamento sulla assoluta veridicità delle asseverazioni formali e sostanziali e sulle autorizzazioni amministrative rilasciate nella complessiva procedura in questione.
La sintetica confutazione operata al riguardo da parte della Corte di appello («la qualifica di presidente della Commissione di collaudo imponeva a P.S. di non fare affidamento su quanto a lui rappresentato da coloro il cui agire doveva essere oggetto di verifica»-, p. 26 della sentenza) sarebbe insufficiente, illogica e contraddittoria, in quanto in contrasto con il noto principio di affidamento, riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità.
In conseguenza, secondo il ricorrente, «non è consentito addossare all'imputato l'onere di verificare se il Progetto - contrariamente alle asseverazioni ed alle successive approvazioni ufficiali - andasse previamente depositato presso il Genio civile perché incidente sulle strutture» (p. 16 del ricorso).
9.6. - Prevedibilità. - Ancora. La sentenza avrebbe operato una scorretta operazione logica addebitando all'imputato, in quanto stimato prevedibile, il realizzarsi dell'indebolimento che i carichi aggiunti e la parete REI avrebbero determinato sulla stabilità dell'edificio (si legge alla p. 25 della sentenza di appello che «L'aumento dei carichi e la parete REI hanno modificato l'immobile sotto il profilo statico e sismico, e dunque nella fase di collaudo dovevano essere effettuate le dovute verifiche tecniche»).
Tali elementi sono però emersi - rileva il ricorrente - soltanto a posteriori e sono stati inseriti come concause sopravvenute al sisma sulla base di valutazioni scientifiche fatte dal perito ma non potrebbero essere addebitati all'imputato, essendo la prevedibilità degli stessi assolutamente indimostrata.
9.7. - Silenzio-assenso. - Premette il ricorrente che a proposito del motivo di appello incentrato sull'avere l'imputato ricevuto l'incarico di collaudatore tecnico-amministrativo quando l'immobile aveva già conseguito la agibilità/abitabilità, la Corte di appello ha stimato l'ininfluenza del certificato di agibilità ed abitabilità perché avvenuto in seguito alla formazione del silenzio-assenso e, quindi, in difetto di valutazione da parte dell'organo pubblico (p. 27 della sentenza).
Al riguardo puntualizza, tuttavia, il ricorrente che il direttore dell'ADISU il 4 settembre 2001, cioè prima ancora dell'ingresso dell'arch. P.S. nei ruoli ADISU, aveva inoltrato domanda di agibilità corredata dalla documentazione tecnica e che, in applicazione dell'art. 4 del d.P.R. 22 aprile 1994, n. 425, il silenzio-assenso era maturato il 19 ottobre 2001, con la conseguenza che alla data di nomina della Commissione, il 29 ottobre 2002, l'edificio era pienamente agibile ed abitabile.
Discende, ad avviso del ricorrente, che «il silenzio-assenso [...] legittima la agibilità ai pari dei provvedimento espresso; né risulta giuridicamente corretto operarne una distinzione sul piano degli effetti, e soprattutto gravare l'imputato dell'onere di dubitare della efficacia dell'atto stravolgendo la ratio dell'istituto» richiamato (p. 20 del ricorso).
9.8. - Nesso di causalità. - Con l'ultimo motivo di ricorso la difesa dell'arch. P.S. affronta il tema del nesso di causalità tra la condotta dell'imputato e l'evento.
Prende le mosse dall'assunto secondo il quale sarebbe stato necessario dimostrare - e rigorosamente - che il collaudo statico, che si assume essere stato omesso, benché doveroso, dai coimputati B.D.P., P.C. e T.R., avrebbe, ove effettuato, prevenuto il crollo. In particolare, alle luce degli insegnamenti contenuti nella nota sentenza della S.C. Franzese, si sarebbe dovuta raggiungere la certezza che, senza l'alterazione del carico che si addebita agli imputati ingegneri e senza l'apposizione della parete REI 60, il palazzo non sarebbe crollato, poiché soltanto in questo caso - opina il ricorrente - si sarebbe potuto affermare che la condotta omissiva consistita nel mancato collaudo statico fu la condizione necessaria dell'evento.
Sottolinea, tuttavia, il ricorrente che siffatto accertamento non fu compiuto in sede di merito, avendo, anzi, la Corte di appello rifiutato l'accertamento supplementare, stimato - si assume illogicamente - non necessario ai fini della decisione, sull'assunto che i periti ed i consulenti si erano già confrontati sulla incidenza delle concause (pp. 23-24 della sentenza impugnata); con ciò, sostanzialmente, la Corte territoriale eludendo uno specifico motivo dedotto con l'appello.
Si denunzia, pertanto, insufficienza ed incertezza del riscontro probatorio a proposito della ricostruzione del nesso eziologico derivante dalla mancanza in entrambi i gradi di merito di un giudizio controfattuale, oltre che mancata assunzione di una prova decisiva ex art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen. in relazione al rigetto dell'istanza di innovazione parziale del dibattimento.
Il ricorrente appunta, inoltre, le proprie censure sulla valutazione operata dalla Corte di appello circa la rilevanza o meno dell'apposizione della parete REI 60, la cui eventuale influenza sulle conseguenze del sisma è, in realtà, di incerta valutazione, peraltro con riferimento a rilievi che sono stati possibili soltanto ex post, mentre la sentenza di appello attribuisce il crollo, almeno in parte, ad una presunta "rigidezza" della parete stessa con ragionamento che non è fondato su certezze ma su di una «mera ad astratta verosimiglianza, mutando dalla CTU il seguente sommarlo giudizio: "D'altronde rimane il dato obiettivo costituito dalle modalità del crollo, che ha interessato solo l'ala dell'edificio nella quale era stata realizzata questa parete, le ali adiacenti, evidentemente interessate dal medesimo fenomeno tellurico, hanno reagito in modo diverso con conseguenze meno gravi", con buona pace dell' "effetto sito" [... poiché] come in tanti eventi sismici distruttivi è la varietà del sottosuolo che esercita differenti trasmissioni dell'evento sismico agli edifici sovrastanti. Pertanto, in relazione alle modalità costruttive delle strutture, si possono avere casi di crolli parziali, di edifici limitrofi che restano in piedi e di crolli a breve distanza» (pp. 21-22 del ricorso).
In realtà, ritiene il ricorrente emerso che «il vizio latente e silente dell'Immobile, la mancanza di apparenti segni premonitori nel corso di circa mezzo secolo, la continuità ininterrotta della sua destinazione a Casa dello Studente, costituiscono circostanze dissuasorie di allarmi nell'ambito della proprietà e del suo comodato d'uso da parte dell'azienda pubblica regionale e dei suoi mandatari» (pp. 22-23 del ricorso).
Inoltre, e concludendo, si richiama lo specifico (per stralcio nel ricorso, p. 24, ed in allegato sub n. 5) passaggio della deposizione resa in udienza del perito del G.u.p., prof.ssa Mulas, secondo cui «non è che loro [gli ingegneri imputati] hanno messo quel tot di carico in più per cui è scattato qualcosa, l'edificio è crollato; no; l'edificio sarebbe crollato anche sotto i carichi dell'ingegnere B.», per inferirne ulteriormente l'illegittimità e l'erroneità della decisione, che, pur disponendo «della prova che l'evento non era frutto dell'intervento manutentivo contestato in rubrica, ma derivò direttamente ed esclusivamente dalla intrinseca vulnerabilità dell'edificio risalente alla sua originaria progettazione» (p. 24 del ricorso), ha tuttavia - si stima ingiustamente - condannato gli imputati, inanellando una serie di errori di metodo e di merito che hanno alterato il risultato: partendo, cioè, dalla falsa premessa che i lavori del 1999 abbiano interessato le strutture dell'Immobile; rifiutando di assumere una prova decisiva; senza avere raggiunto la prova scientifica che il crollo non sarebbe avvenuto se gli imputati non avessero realizzato il progetto; in ogni caso, senza tenere in alcuna considerazione i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità a proposito del doveroso giudizio controfattuale.

 


10. - Memorie. - Occorre dare atto che con memoria depositata il 26 aprile 2016 intitolata "motivi nuovi (ex art. 585 c.p.p.)" i difensori di B.D.P., P.C. e T.R. hanno ribadito, anche mediante richiami giurisprudenziali (in particolare, Sez. 4, n. 31462 del 26/05/2006, Capobianchi e altri, Rv. 235423), gli argomenti svolti con il primo, il terzo ed il quinto motivo di ricorso, riguardanti, rispettivamente:
l'affidamento che i tre imputati potevano riporre nella verifica effettuata dal Genio civile il 15 dicembre 1967 attestante - anche - la perfetta rispondenza alle norme per l'edilizia antisismica, nell'assenza di concreti elementi rilevatori di rischio, ed il tema della prevedibilità ex ante ed in concreto dell'evento lesivo da parte degli imputati;
la mancata assunzione della prova decisiva in appello e consistente in simulazioni di calcolo e verifiche sismiche, descritta come "controprova decisiva", con la sottolineatura che l'inserimento della parete REI, ritenuto dai ricorrenti del tutto ininfluente nella verificazione del crollo dello stabile, era stato imposto dai Vigili del Fuoco senza previa autorizzazione del Genio civile in quanto ritenuta superflua;
il dies a quo della prescrizione nel reato di crollo colposo di costruzioni, aspetto a riguardo del quale si richiama l'ordinanza resa da Sez. 4, n. 18122 del 18/03/2015, Pmt e altri, Rv. 263441, con la quale è stata sollevata la questione di costituzionalità dell'art. 157, comma 6, cod. pen. nella parte in cui prevede che il termine di prescrizione del reato di disastro colposo (art. 449 in riferimento all'art. 434 cod. pen.) è raddoppiato, stante il contrasto con l'art. 3 Cost. nel duplice profilo uguaglianza / ragionevolezza, in quanto la norma censurata stabilisce la durata del termine di prescrizione, per il meno grave reato di disastro colposo, in misura sovrapponibile, rispetto alla più grave corrispondente fattispecie dolosa, di cui all'art. 434, comma 2, cod. pen.
Con specifico riguardo a tale ultimo aspetto, si segnala che la Corte costituzionale ha fissato la decisione della questione all'udienza pubblica del 5 luglio 2016 e si chiede, anche attraverso autonoma e separata istanza (depositata lo stesso 26 aprile 2016), il rinvio della causa a data successiva alla decisione della Consulta, ritenuta rilevante ai fini della decisione del presente ricorso, con espressa sospensione della prescrizione ai sensi dell'art. 159, comma 1, n. 3, cod. pen.
Infine, ulteriore "memoria riepilogativa" di tutti e sei i motivi di ricorso è stata depositata in Cancelleria dalle difese dei tre ingegneri il 6 maggio 2016.
 

 

Diritto

 


1. - Rigetto della richiesta di rinvio. - Deve, anzitutto, spiegarsi la ragione della mancata concessione del rinvio che è stato chiesto nell'interesse degli imputati ingegneri B.D.P., P.C. e T.R. (di cui si è dato atto al punto n. 10 del "ritenuto in fatto"). 
La circostanza dell'avvenuta fissazione, per la data del 5 luglio 2016, dell'udienza pubblica innanzi alla Corte costituzionale della questione di costituzionalità, sollevata dalla S.C., Sez. 4, ord. n. 18122 del 18/03/2015, Pmt e altri, Rv. 263441, relativa alla, stimata ingiustificata, uguale durata della prescrizione per i reati, di differente gravità, di disastro doloso e di disastro colposo (la massima ufficiale recita: «Non è manifestamente infondata, in riferimento all'art. 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 157, comma sesto, cod. pen. nella parte in cui prevede che il termine di prescrizione del reato di disastro colposo (art. 449 in riferimento all'art. 434 cod. pen.) è raddoppiato, stante il contrasto con l'art. 3 Cost. nel duplice profilo uguaglianza/ragionevolezza, in quanto la norma censurata stabilisce la durata del termine di prescrizione, per il meno grave reato di disastro colposo, in misura sovrapponibile, rispetto alla più grave corrispondente fattispecie dolosa, di cui all'art. 434, comma secondo, cod. pen.»), non assume alcuna rilevanza ai fini in esame.
Infatti il ragionamento dei difensori richiedenti poggia sul presupposto, erroneo, che il dies a quo per il calcolo della prescrizione del reato contestato coincida con la personale condotta, commissiva ovvero omissiva, degli imputati, nel caso di specie collocabile, al più tardi, nell'anno 2002. La prescrizione, in realtà, nell'ipotesi di disastro colposo decorre da quando l'evento, che sia causalmente riconducibile ad un tacere ovvero ad un'omissione degli imputati, si sia realizzato nel mondo fenomenico: ergo dal crollo dell'edificio, con conseguente morte e ferimento delle vittime, avvenuto il giorno del sisma, 6 aprile 2009. Infatti è ben noto che «In tema di delitti contro l'incolumità pubblica, le condotte colpose integranti pericolo di crollo di una costruzione non configurano il delitto di cui all'art. 449 cod.pen., che richiede il verificarsi di un disastro inteso come disfacimento dell'opera» (Sez. 4, n. 18977 del 09/03/2009, Innino, Rv. 244043; nello stesso senso v. Sez. 4, n. 14859 del 13/03/2015, Gianca, Rv. 263146; Sez. 4, n. 15444 del 18/01/2012, Tedesco e altri, Rv. 53500; al contrario, nel reato di disastro doloso, la soglia per integrare il reato è anticipata al momento in cui sorge il pericolo per la pubblica incolumità, mentre, ove il disastro doloso si verifichi materialmente, risulta integrata la fattispecie aggravata prevista dal comma 2 dell'art. 434 cod. pen.: cfr. Sez. 1, n. 7941 del 19/11/2014, dep. 2015, Schmidheiny, Rv. 272788; Sez. 4, n. 36626 del 05/05/2011, Mazzei, Rv. 251428; Sez. 4, n. 18977 del 09/03/2009, Innino, cit., in motivazione; Sez. 4, n. 4675 del 17/05/2006, dep. 2007, Bartalini e altri, Rv. 235668). 
Discende, quale logica conseguenza, che i delitti contestati agli imputati non potrebbero in alcun modo essere prescritti alla data dell'udienza (11 maggio 2016).
 

 

2. - Premessa. - Ciò posto, occorre prendere le mosse dalla constatazione che, oltre ad alcune denunziate violazioni di legge, i ricorsi in esame censurano, in larga parte, difetto di motivazione.
2.1. - E' ben noto che, nell'esaminare le doglianze attinenti alla tenuta argomentativa della sentenza, particolarmente rigorosi sono i limiti del controllo di legittimità sulla sentenza di merito (cfr. ad esempio, ex plurimis, le considerazioni svolte nella parte motiva della sentenze di Sez. 4 n. 19710 del 03/02/2009, Buraschi, Rv. 243636, specc. ai punti nn. 4.1. e 4.2.).
Infatti, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., il controllo di legittimità sulla motivazione non concerne né la ricostruzione dei fatti né l'apprezzamento operato dal giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell'atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. Con l'ulteriore precisazione, quanto all'illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, che essa deve essere evidente ("manifesta illogicità"), cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate, in modo logico ed adeguato, le ragioni del convincimento.
In altri termini, l'illogicità della motivazione, deve risultare percepibile ictu oculi, in quanto l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore (non modificata dalla novella sul testo dell'art. 606, comma 1, lett. e, cod. proc. pen. ad opera della legge 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, comma 1, lett. a e b), a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali.
Inoltre, il vizio della "manifesta illogicità" della motivazione deve risultare dal testo del provvedimento impugnato, nel senso che il relativo apprezzamento va effettuato considerando che la sentenza deve essere logica, come si è detto con espressione particolarmente efficace, "rispetto a sé stessa", cioè rispetto agli atti processuali citati nella stessa (ovvero ad altri che devono essere specificamente indicati nel ricorso) ed alla conseguente valutazione effettuata dal giudice di merito, che si presta a censura soltanto se, appunto, manifestamente contrastante ed incompatibile con i principi della logica.
Sicché, in sintesi, il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve mirare a verificare che la motivazione della pronuncia: a) sia "effettiva" e non già meramente apparente, cioè realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia "manifestamente illogica", in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente "contraddittoria", ovvero sia esente da incongruenze insormontabili tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi del suo ricorso per cassazione: c.d. autosufficienza dell'impugnazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico.
Nel vigente ordinamento, infatti, alla Corte di cassazione non è consentito procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti, magari finalizzata, nella prospettiva del ricorrente, ad una ricostruzione dei medesimi in termini diversi da quelli operati dal giudice del merito; così come non è consentito che, attraverso il richiamo agli "atti del processo", possa esservi spazio per una rivalutazione dell'apprezzamento del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamento riservato in via esclusiva al giudice del merito: infatti al giudice di legittimità resta tuttora preclusa - in sede di controllo della motivazione - la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, ipoteticamente preferibili rispetto a quelli adottati dal giudice del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa, in quanto un tale modo di procedere trasformerebbe la Corte di legittimità nell'ennesimo giudice del fatto.
2.2. - Inoltre, è appena il caso di rammentare che dinanzi ad doppia pronuncia di eguale segno, c.d. "doppia conforme", come nel caso di specie, in cui l'unica modifica di quanto statuito dal Tribunale ad opera della Corte di appello è consistita nell'eliminazione della pena accessoria applicata a tre degli imputati, il vizio di travisamento della prova (nell'accezione di vizio di tale gravità e centralità da scardinare il ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale / probatorio non considerato ovvero alterato quanto alla sua portata informativa, secondo la nozione pacificamente accolta nella giurisprudenza di legittimità: v., ex plurimis, Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio e altri, Rv. 258774; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499; Sez. 4, n. 19710 del 03/02/2009, Buraschi, Rv. 243636; Sez. 1, n. 24667 del 15/06/2007, Musumeci, Rv. 237207) può essere rilevato in sede di legittimità soltanto nel caso in cui il ricorrente rappresenti, con specifica deduzione, che l'argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado.
Invero, sebbene in tema di giudizio di cassazione, in forza della richiamata novella dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. ad opera della legge n. 46 del 2006, risulta sindacabile il vizio di travisamento della prova (che sia desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti specificamente indicati dal ricorrente), travisamento che si ha quando nella motivazione si fa uso di un'informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva, esso può essere fatto valere nell'ipotesi in cui l'impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di c.d. doppia conforme, superarsi il limite del devolutum con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d'appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice (cfr., tra le tante, Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, dep. 2014, Capuzzi e altro, Rv. 258438; Sez. 4, n. 5615 del 13/11/2013, dep. 2014, Nicoli, Rv. 258432; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499; oltre alle già citate Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio e altri, Rv. 258774; Sez. 4, n. 19710 del 03/02/2009, Buraschi, Rv. 243636; Sez. 1, n. 24667 del 15/06/2007, Musumeci, Rv. 237207).
2.3. - Operata tale premessa, si prende atto che nel caso di specie i giudici di appello hanno riesaminato lo stesso identico materiale probatorio già sottoposto al Tribunale, senza operare richiami a dati probatori non esaminati dal primo giudice né introdurne di nuovi, e, dopo aver preso atto delle censure degli appellanti, sono giunti alla medesima conclusione della sussistenza di penale responsabilità di tutti gli imputati.
Sviluppando i principi suesposti, deve ritenersi che la sentenza impugnata non contenga alcun travisamento della prova o dei fatti e che, sotto il profilo del denunziato, sotto plurimi profili, difetto motivazionale, regga al vaglio di legittimità, non palesandosi assenza, contraddittorietà od illogicità della motivazione, per tutte le ragioni che via via si illustreranno in riferimento alle singole osservazioni svolte dalle difese, che saranno accorpate secondo il criterio della omogeneità tematica. 
Quanto alle censurate violazioni di legge, essendo nella concreta struttura dei ricorsi per lo più denunziate promiscuamente rispetto ai dedotti difetti motivazionali, si dirà di ciascuna di esse in prosieguo.

 


3. - Esame del ricorso nell'interesse di B.D.P., P.C. e T.R.. - I motivi di impugnazione sviluppati dai ricorrenti B.D.P., P.C. e T.R. (di cui si è dato atto ai punti nn. 8 e 10 del "ritenuto in fatto") possono essere, almeno in parte, raggruppati, trattando tematiche affini o strettamente connesse. E' opportuno prendere le mosse dall'esame congiunto dei primi quattro.
3.1. - Sui motivi nn. 1, 2, 3 e 4 del ricorso. - In primo luogo, diversamente da quanto denunziato con il primo motivo di ricorso, nessuna significativa contraddittorietà "interna" della sentenza si rileva né alcun travisamento della prova si apprezza con riferimento al tema del mutamento d'uso dell'immobile, prima, da abitazione ad uffici amministrativi e, poi, da uffici a collegio universitario: l'argomento svolto al riguardo dalla Corte di appello, particolarmente criticato dai ricorrenti, incentrato sull'esatta portata del concetto di "ripresa di attività criminosa" in campo edilizio, altro non è, a ben vedere, che un mero passaggio motivazionale ad adiuvandum rispetto ad una struttura argomentativa che ha altre - e maggiormente solide - basi concettuali.
Il cuore della motivazione circa l'an della responsabilità degli imputati B.D.P., P.C. e T.R., infatti, che si trae dalle conformi sentenze di merito, che, per regola generale, si integrano a vicenda, sta in ciò: l'istruttoria svolta nelle indagini preliminari (utilizzabile atteso il rito semplificato prescelto) e, soprattutto, in primo grado (avendo il giudice disposto perizia, facendo uso dei poteri officiosi) ha fatto emergere che gli imputati progettarono e diressero lavori sull'edificio chiamato Palazzo Angelini a L'Aquila, lavori che, per quanto da un punto di vista puramente formale limitati ad attività non direttamente incidenti sulle strutture portanti, tuttavia contribuirono in concreto ad un sicuro innalzamento dei carichi in misura definitiva complessivamente di gran lunga superiore al 20 % rispetto all'originaria configurazione dell'edificio, così determinando un'incidenza causale sull'evento in occasione del terremoto del 6 aprile 2009, sicuramente aggravando gli effetti dello stesso.
Infatti, secondo quanto accertato dal perito del Tribunale, benché le percentuali di incremento ponderale direttamente addebitabili all'intervento dei tre ingegneri imputati siano, ove isolatamente prese, di entità inferiore al 20 %, mediamente intorno al 5,3 %, nondimeno il sommarsi della portata di quanto effettivamente realizzato dagli stessi al "calibro" delle precedenti attività edilizie svolte nel corso degli anni suM'immobile ha condotto ad una pericolosa situazione (situazione, secondo quanto riferito dai giudici di merito, ben descritta alle pp. 201-202 e 286-287 della perizia e nella tabella n. 6.1. di p. 203 della relazione) nella quale gli incrementi dei carichi originari sono stati stimati:
nella percentuale del 91,6 % per il terrazzo di copertura, dove sono stati installati una pesante soletta in cemento armato di dieci centimetri (con carico, peraltro, gravante su di una trave su cui non è stata eseguita alcuna verifica di natura strutturale) e, fissate al pavimento, le macchine per l'aria condizionate; nella misura del 65 % per il solaio del primo piano; in quella del 37 % per il solaio del secondo piano; in quella del 48 % per il solaio del terzo e del quarto piano.
E l'istruttoria peritale, svolta nel pieno contraddittorio, ha fatto emergere anche, quanto al terrazzo di copertura, che non risultano essere state rispettate le prescrizioni del progetto, che prevedevano la rimozione della pavimentazione pre-esistente, che invece è rimasta al suo posto e sulla quale si è apposta la nuova pavimentazione, con inevitabile aumento ulteriore dei carichi.
In definitiva, hanno concordemente ritenuto Corte di appello e Tribunale che il - complessivo - notevole incremento dei carichi avrebbe sicuramente imposto la verifica dell'adeguatezza statica e sismica delle strutture dell'edificio.
3.1.1. - Il riferito ragionamento appare al Collegio congruo ed immune da vizi logici: esso, infatti, interpreta correttamente il precetto di cui al paragrafo C.9.1.1. dell'allegato al d.m. Ministero lavori pubblici del 16 gennaio 1996 (pubblicato in G.U., Serie Gen., n. 29 del 5 febbraio 1996 - Suppl. ord. n. 19; in vigore dal 15 febbraio 1996, ai sensi dell'art. 2 del d.m. stesso), recante "Norme tecniche per le costruzioni in zone sismiche", che, sotto la rubrica "Intervento di adeguamento", recita:
«Si definisce intervento di adeguamento l'esecuzione di un complesso di opere sufficienti per rendere l'edificio atto a resistere alle azioni sismiche definite ai punti C.9.5.3., C.9.6.3. e C.9.7.3.
È fatto obbligo di procedere all'adeguamento a chiunque intenda: [...]
b) apportare variazioni di destinazione che comportino, nelle strutture interessate dall'intervento, incrementi dei carichi originari (permanenti e accidentali) superiori al 20% [...];
d) effettuare interventi strutturali rivolti ad eseguire opere o modifiche per innovare e sostituire parti strutturali dell'edificio, allorché detti interventi implichino sostanziali alterazioni del comportamento globale dell'edificio stesso».
Ove il riferimento alla percentuale di incremento del carico originario di cui alla lett. b) della richiamata disposizione è stato correttamente inteso dalla Corte di appello (v. pp. 16-20, spec. p. 19, della sentenza impugnata), conformemente al Tribunale (v. p. 87 della sentenza), alla lettura, mutuata dal perito prof.ssa Mulas, secondo cui, ove la valutazione delle opere non fosse da farsi nell'Insieme, cioè in maniera unitaria comprensiva delle precedenti vicende, l'eventuale frammentazione degli interventi, sia sincronica che diacronica, ne determinerebbe la sostanziale disapplicazione, con conseguenze gravissime, specialmente accentuate in zone sismiche, di pericolosi sovraccarichi, ben oltre il 20 % consentito nella percentuale massima. La Corte territoriale ha, pertanto, convintamente respinto l'approccio, per così dire atomistico e parcellizzante, della difesa, orientato a tenere in considerazione unicamente l'aumento in percentuale rispetto all'ultimo intervento operato immediatamente prima di quello posto in essere dagli odierni imputati.
Quanto detto vale con riferimento alla percentuale di incremento; l'aspetto della variazione di destinazione è stato risolto dalle sentenze di merito attraverso l'esame complessivo dell'intera storia dell'edificio, ricostruita minuziosamente dal perito Mulas (sono richiamate dal Tribunale specialmente le pp. 201-202 della perizia). E' così emerso che Palazzo Angelini era sorto nell'anno 1965 come civile abitazione, era stato trasformato, negli anni '70, almeno in parte, in sede di uffici amministrativi Enel (p. 35 della sentenza del Tribunale), era poi tornato, a partire dal 1980, a destinazione abitativa ma comunitaria, tipo studentato, con posti letto per ben 144 studenti a fronte dei dodici appartamenti originariamente previsti, cioè tre ciascuno per i quattro piani superiori, dal progetto B. (p. 38 della sentenza del G.u.p., anche in relazione al contenuto dei documenti amministrativi allegati sub n. 1 al ricorso P.S., p. 3, e sub n. 1 al ricorso B.D.P. + 2, p. 2) ed aveva subito variazioni certamente sostanziali, tra le quali, per limitarsi a quelle direttamente riconducibili agli imputati:
lo spostamento di venti termoconvettori; la realizzazione di un locale lavanderia al quinto piano; l'apposizione, accertata dal perito, proprio sul tetto della struttura, cioè sul terrazzo di copertura del quinto piano, di un nuovo massetto di sottofondo, senza tuttavia asportare il preesistente, ed il cambio di pavimentazione, con ulteriore aggiunta delle, notoriamente pesanti, macchine per l'aria condizionata (estranee al progetto B.) e del relativo, ulteriore, massetto in calcestruzzo pieno di ben dieci centimetri, costituente un ulteriore, significativo, peso;
oltre all'apposizione, di fronte all'ascensore, della parete REI, connotata, secondo quanto riferito dal perito, da notevole rigidezza e resistenza e causativo di un totale cambiamento del regime statico della trave n. 18-29 parzialmente soprastante la parete in questione.
Modifiche che, diversamente da quanto, ma solo assertivamente, sostenuto dai ricorrenti (alla p. 21 dell'impugnazione), è davvero arduo ricondurre alla categoria della mera manutenzione, seppure straordinaria, dell'immobile, incidendo invece innovativamente, secondo i giudici di merito, sull'edificio sia in senso statico che dinamico. Infatti, in più passaggi della sentenza di primo grado si sottolinea che, sia per effetto dell'aumento dei carichi sia per effetto dell'introduzione della parete REI, causativa di rigidezza, è risultato modificato il regime statico globale dell'edificio (pp. 21-22 della sentenza impugnata e pp. 74, 85, 91, 94 e passim di quella del Tribunale): con l'ulteriore conseguenza che è risultata violata anche la prescrizione di cui alla richiamata lett. d) del paragrafo C.9.1.1. dell'allegato al citato d.m. Ministero lavori pubblici 16 gennaio 1996.
Il tutto nel contesto della - necessaria - valutazione unitaria dei lavori complessivamente affidati dall'ADISU agli ingegneri B.D.P., P.C. e T.R., seppur divisi dal punto di vista amministrativo in due tranches (in progressione di importanza, di tipo I e di tipo II, i secondi necessitanti concessione edilizia: vi si è fatto cenno al punto n. 3 del "ritenuto in fatto").
Non è nemmeno contestata dalla difesa, peraltro, la circostanza dell'essere il capoluogo abruzzese, da sempre, e comunque da prima del 1965, a rischio sismico (v. pp. 10 della sentenza di appello e pp. 50-53 della sentenza del G.u.p.: dato di fatto che entrambe attingono dalla perizia Mulas).
Correttamente, pertanto, hanno ritenuto i giudici di merito ricorrere tutte le condizioni per l'applicazione della sopra richiamata disciplina (lett. C.9.1.1. dell'allegato al d.m. Ministero lavori pubblici del 16 gennaio 1996) che impone l'adeguamento per rendere l'edificio atto a resistere alle azioni sismiche.
3.1.2. - Consegue da quanto esposto che è irrilevante, nel concreto contesto emerso, la regolarità o meno dei lavori eseguiti prima degli interventi curati dagli ingegneri B.D.P., P.C. e T.R.: e va al riguardo affermato, con la necessaria chiarezza, che, nell'applicazione di quanto prescritto dalla lett. b) del paragrafo C.9.1.1. dell'allegato al d.m. Ministero lavori pubblici del 16 gennaio 1996, il limite percentuale di aumento dei carichi ammesso (non oltre il 20 %) deve essere calcolato sull'assetto originario dell'edificio, rispetto al quale il progettista ed il direttore dei lavori che si accingano a progettare ed a realizzare hanno, secondo logica elementare e prudenza, l'obbligo preliminare di verificare se si siano o meno verificati medio tempore interventi, indifferentemente regolari o no, autorizzati o no, che abbiano, comunque, già alterato in maniera significativa gli originari equilibri. Il principio può essere così espresso: il progettista, ove si inserisca in una situazione in cui altri siano già intervenuti, è tenuto ad informarsi circa i pregressi interventi e, se del caso, a proporre o ad effettuare i necessari interventi di adeguamento. 
Seppure è vero che non è addebitabile agli imputati la realizzazione di una variazione di uso dell'immobile Palazzo Angelini, poiché essi lo trovarono già adibito, e da tempo, a studentato, è altrettanto innegabile che essi, subentrati, per così dire, in una situazione connotata da una variazione di uso, di fatto, ormai già realizzata da anni, hanno sicuramente trascurato che «la Casa dello Studente è stata trasformata da edificio realizzato negli anni 60 destinato ad abitazioni private, in una vera e propria struttura alberghiera, munita di tutte le relative dotazioni, che ne hanno palesemente stravolto l'originaria conformazione interna. Il palazzo è stato in tutto e per tutto modificato, rimanendo tuttavia identico all'originale soltanto per ciò che attiene alle sue componenti statiche, rispetto alle quali né i tre progettisti, né il collaudatore si sono minimamente posti il problema se tutto quello che era stato realizzato, con le radicati e totali modificazioni conseguitene, fosse ancora compatibile con quanto era stato progettato e valutato quasi quaranta anni prima e per tutt'altra destinazione» (così, efficacemente, alla p. 75 della sentenza di primo grado).
Diversamente sarebbe stato - ritiene il Collegio - se nella realizzazione degli interventi precedenti a quelli del caso de quo i progettisti dell'epoca avessero compiuto le necessarie verifiche statiche e sismiche. In tal caso, difatti, l'incremento dei carichi sarebbe stato compatibile con la situazione preesistente e verificata. In linea generale, quindi, nell'applicazione del citato paragrafo C.9.1.1., lett. b), dell'allegato al d.m. Ministero lavori pubblici del 16 gennaio 1996, la soglia di incremento dei carichi del 20% va riferita alla struttura originaria, ovvero alla struttura già modificata e per la quale si è proceduto ad interventi di adeguamento.
3.1.3. - A questo punto, onde valutare le ulteriori censure difensive, è opportuno precisare che, secondo quanto ricostruito in punto di fatto dai giudici di merito a proposito delle cause del crollo dell'edificio e delle conseguenze dello stesso, anche in relazione al tema della parete c.d. REI collocata dagli imputati di fronte agli ascensori, si è accertato che il crollo è da ricondurre, oltre che alla concausa rappresentata dal sisma, a difetti progettuali, a carenze costruttive ma anche ad errati interventi di manutenzione, inclusi quelli posti in essere dagli imputati (cfr. pp. 50-53 della sentenza di primo grado), nel senso che si passa a specificare.
Va premesso che il sisma del 6 aprile 2009 è stato, motivatamente, ritenuto non imprevedibile né eccezionale (v. p. 11 della sentenza impugnata e pp. 50-53 e 59 della sentenza del Tribunale), con affermazione in linea con il principio, già affermato dalla Corte di legittimità, secondo cui «In tema di causalità, un sisma non costituisce di per sé causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento (nella specie consistito nel crollo totale di tre sole costruzioni di un centro abitato), in assenza del crollo totale di tutte le altre costruzioni dello stesso centro abitato. (Fattispecie in tema di crollo colposo di costruzioni: in motivazione, la Corte ha precisato che i terremoti di massima intensità sono eventi rientranti tra le normali vicende dei suolo, e non possono essere considerati come eventi eccezionali ed imprevedibili quando si verifichino in zone già qualificate ad elevato rischio sismico, o comunque formalmente qualificate come sismiche)» (Sez. 4, n. 24732 del 27/01/2010, La Serra e altri, Rv. 248185; più recentemente, è stata esclusa la natura eccezionale ed imprevedibile del terremoto ove verificatosi in zona qualificata a rischio anche da Sez. 4, n. 2536 del 23/10/2015, dep. 2016, Bearzi e altro, Rv. 265794; peraltro, una lontana pronunzia della S.C. si esprime nel senso della non imprevedibilità né eccezionalità del verificarsi di un terremoto ai fini della valutazione del corretto agire di progettisti, costruttori e direttori dei lavori persino ove i lavori siano effettuati in zone non dichiarate sismiche: Sez. 4, n. 17492 del 16/11/1989, Magliacane, Rv. 182859).
Ciò posto, al fine di offrire risposta alle sollecitazioni difensive sotto il profilo dei dedotti difetti motivazionali, appare opportuno richiamare i più significativi passaggi motivazionali, anche testuali, dei giudici di merito, con particolare, seppure non esclusiva, attenzione alla minuziosa ricostruzione fattuale svolta in primo grado (attesa l'estrema, a tratti eccessiva, sintesi che connota la motivazione della Corte di appello).
Ha ritenuto la Corte territoriale:
«[...] ferme restando le inadeguatezze del progetto originario, gli interventi di ristrutturazione effettuati negli anni 1998 - 2000, hanno avuto un'incidenza causate sull'evento crollo, sicuramente aggravandone gli effetti.
I profili di colpa contestati ai prevenuti concernono proprio il mancato espletamento di quelle verifiche, necessarie a fronte dell'incisività degli interventi edilizi progettati e realizzati, che avrebbero consentito di valutarne le conseguenze, in relazione sia aita situazione preesistente, sia alle modifiche da apportare.
Come già evidenziato, la parete REI non è stata causa del crollo, ma, con la sua diversa rigidezza, ne ha modificato le modalità, amplificandone le conseguenze: la diversa torsione subita da quella parte dell'edificio ha impedito allo stesso di "accartocciarsi" su se stesso, come è avvenuto per le altre parti del medesimo stabile, con conseguenze sicuramente meno devastanti» (p. 23 della sentenza impugnata);
«Il perito ha anche verificato che i ragazzi deceduti occupavano proprio le camere che maggiormente hanno risentito dell'anomala torsione dell'ala Nord (considerando che il terremoto è avvenuto alle 3.32, si è correttamente ritenuto, non essendo emersi elementi di segno diverso dalle dichiarazioni rese dai ragazzi sopravvissuti, che i giovani fossero stati sorpresi nel sonno all'interno delle rispettive camere» (così alla p. 22 della sentenza di appello).
Più diffusa la motivazione del G.u.p. del Tribunale, che ha preso le mosse dalla constatazione che al progetto originario dell'ing. B., che il perito del Tribunale non ha esitato a definire connotato da sconcertante superficialità ed incompletezza, comunque non in linea con i requisiti per quanto attiene alla verifica sismica (pp. 59-71 della sentenza di primo grado), si sono aggiunte le variazioni subite dai carichi agenti sulle strutture dell'edificio, per effetto dei vari interventi di ristrutturazione, riconducibili anche agli odierni ricorrenti (pp. 72-73 della sentenza del G.u.p.), per poi così proseguire:
«il perito ha posto particolare accento sulle modificazioni subite dai carichi gravanti sui solai a seguito degli interventi di ristrutturazione. Ha infatti osservato al riguardo che le modificazioni suddette "hanno comportato incrementi, rispetto ai valori per i quali è stato effettuato il dimensionamento strutturale, intorno al 100 % per quanto attiene ai carichi permanenti, ed intorno al 50 % se si considerano i carichi totali. Oltre all'incremento generalizzato dei carichi si rilevano anche le seguenti situazioni nelle quali l'intervento di ristrutturazione ha sicuramente causato una modifica significativa del regime statico delle strutture dell'edificio.
I carichi delle macchine dei massetti collocati in copertura vanno ad incidere sulla trave di bordo del solaio, la quale, in quanto parallela alle pareti del solaio stesso, risultava in precedenza poco caricata. Tale situazione sarebbe stata da valutare attentamente in termini di sicurezza statica.
L'aggiunta del muro-parete REI (in parte) sottostante alla trave 18-29, previsto come non strutturale ma dotato di notevole rigidezza e resistenza, causa un totale cambiamento del regime statico della trave stessa; il suo inserimento sarebbe pertanto dovuto essere oggetto di attenta considerazione in relazione agli aspetti di sicurezza strutturale".
Dunque i successivi interventi cui è stato sottoposto l'edificio ne hanno pesantemente minato la sicurezza statica rispetto al rischio sismico e il giudizio netto ed assoluto formulato dalla prof, ssa Mulas non può lasciare alcun dubbio in ordine al significativo rilievo assunto da quei lavori rispetto a quanto verificatosi in occasione del crollo dell'ala nord dell'edificio. Dagli enunciati del perito emerge con evidenza quasi fotografica come gli appesantimenti intervenuti su tutti i piani della struttura, pur non avendo di per sé stessi determinato il crollo - come già detto ascrivibile alle due concause costituite dalla scossa sismica e dalle inammissibili carenze dei calcoli che caratterizzarono l'originario progetto dell'edificio - vengono a porsi, tuttavia, quali autonomi elementi, riconducibili all'intervento umano, anch'essi incidenti nel crollo, meglio ancora e più precisamente nelle conseguenze seguite al crollo» (così alle pp. 73-74 della sentenza del G.u.p.).
«[...] In sintesi la prof.ssa Mulas ha spiegato come il fenomeno che ha Innescato la catena degli eventi che hanno portato al crollo sia da rinvenire nel cedimento dei pilastri del piano terra del corpo nord, causato dalla loro carente resistenza. Con l'immediata specificazione che la forte vulnerabilità determinatasi debba ovviamente essere ricondotta anzitutto all'inadeguatezza del calcoli del progetto dell'ingegner B.; e tuttavia anche la presenza di masse molto superiori a quanto ipotizzato in sede di progetto ha portato a quella che il perito definisce "una richiesta di duttilità inammissibile per le strutture di questo tipo". Ed è proprio da tali ultime considerazioni che emerge quanto sia stato rilevante e decisivo l'aumento dei carichi verticali determinato dai lavori di ristrutturazione effettuati dagli imputati B.D.P., P.C. e T.R..
[...] la prof.ssa Mulas afferma che la formazione ed il cedimento di un "piano debole" alla base di un edificio non sempre conduce al successivo collasso di elementi strutturali situati al di sopra dei piano che ha subito lo schiacciamento; nel caso di specie il collasso ha riguardato soltanto l'ala nord in quanto nella stessa risultavano concentrati gli elementi più rigidi, resistenti nei confronti delle azioni sismiche nord-sud, mentre altrettanto non è accaduto nelle altre due ali. Sempre la prof, ssa Mulas segnala che la natura parziale del collasso del piano debole - circostanza ovviamente favorevole ai fini della protezione di vite umane - ha imposto fortissime distorsioni agii elementi di collegamento tra il corpo nord ed il resto dell'edificio; inoltre ha ritenuto di dover attribuire aita "presenza della parete non strutturale che irrigidisce parzialmente ia trave 18¬29, aumentando la pendenza dei solai nella zona tra i pilastri 11,18 ai 25", uno degli effetti della distorsione dovuto alla dislocazione verticale dell'edificio. Appare evidente il riferimento, in questo caso, alla parete REI, aggiunta ai momento della ristrutturazione dell'edificio» (così alle pp. 76-77 della sentenza di primo grado);
«[...] il forte scuotimento provocato dalla scossa di terremoto su un edificio così pesantemente vulnerabile, ha costituito la genesi della tragedia; se il palazzo Angelini, poi divenuto Casa dello Studente, non avesse subito alcun tipo di intervento successivo, si sarebbe potuto affermare, a ragione, che l'azione combinata dei sisma e dell'originario errore umano costituivano le cause uniche e sufficienti per spiegare quanto accaduto. Dunque a nessuno, se non all'ingegner B. stesso, sarebbero state ascrivibili le conseguenze del crollo che comunque si sarebbe verificato. Ma ciò non è sufficiente ad esaurire l'esame delle condotte umane che sono intervenute nella vicenda; nel momento in cui l'edificio ha subito i radicali interventi apportati negli ultimi anni dello scorso secolo, altre condotte hanno assunto rilievo nel determinismo causale degli eventi accaduti [...] la professoressa Mulas, nel pieno del contraddittorio con i consulenti ed i difensori degli imputati, affermò, con il massimo dell'energia possibile e con la chiara consapevolezza di porre il suggello definitivo sulle omissioni di alcuni imputati, che sarebbe stato sufficiente anche soltanto leggere la prima pagina dei progetto dell'ingegner B. per rendersi conto che quell'edificio, così come era stato realizzato, non poteva garantire nessuna sicurezza alle persone che vi dimoravano in caso di terremoto e dunque gli ingegneri B.D.P., P.C. e T.R., nei progettare e realizzare i radicali interventi che interessarono l'edificio, avrebbero imprescindibilmente dovuto prendere cognizione di quel progetto, rilevarne immediatamente le gravissime carenze sotto il profilo della sicurezza sismica e, di conseguenza, orientare gli interventi da realizzare in tutt'altro modo, dando priorità assoluta ai primario obiettivo di assicurare la sicurezza a chi quell'edificio era destinato ad abitare, vale a dire i giovani ospitati dalia Casa dello Studente.
Appare doveroso segnalare come tale omissione abbia rappresentato per i citati tecnici e anche, in un momento successivo, per il collaudatore architetto P.S., una gravissima violazione rispetto alla posizione di garanzia toro assegnata dalla legge, ma anche del contratto stipulato con la proprietà al momento del conferimento dell'incarico. Ed al riguardo gli elementi forniti dalla prof.ssa Mulas sono risultati, ancora una volta, assolutamente inconfutabili; non vi può essere infatti alcun dubbio, come già detto, che gli interventi posti in essere sull'edificio rivestirono una valenza radicate, ponendo conseguentemente l'obbligo cognitivo di cui si parla ai primo posto tra quelli loro assegnati. A pagina 286 e 287 della perizia si legge che gli imputati "effettuano lavorazioni sull'edificio che comportano un incremento dei carichi, rispetto al progetto originariamente predisposto dall'ingegner B., dell'ordine di grandezza compreso tra il 50 ed il 100 %, senza effettuare alcuna verifica relativa ai carichi agenti sulla struttura e le conseguenti verifiche di sicurezza". Per poi aggiungere "inseriscono una parete REI 60 antistante l'ascensore nei piani dall'uno al quarto, la cui rigidezza influenza il regime statico dell'edificio e la cui presenza influenza in maniera diversa le conseguenze del crollo dovuto all'insufficiente resistenza dei pilastri ai piano terra dell'ala nord". Ed è proprio in quest'ultimo passaggio che si può comprendere quanto sia stato rilevante il comportamento negligente degli imputati; il notevolissimo incremento dei carichi verticali e l'inserimento della parete REI hanno avuto una drammatica incidenza in ordine alle conseguenze del crollo. Posto che questo sarebbe comunque avvenuto per i motivi ampiamente indicati, le condotte omissive - mancata valutazione preventiva o successiva circa l'adeguatezza statica e sismica delle strutture dell'edificio - e commissive - aumento macroscopico dei carichi rispetto al progetto originario ed inserimento di una parete REI - hanno fatto sì che il cedimento dei pilastri indicato come causa primaria del crollo insieme alla scossa sismica, sia stato notevolmente aggravato ed amplificato dai crolli a catena dei piani superiori dell'ala nord dell'edificio, che sono venuti giù, con le conseguenze devastanti che si sono osservate, proprio perché così imprudentemente appesantiti dai carichi inseriti in occasione della ristrutturazione [...] Il cedimento dei pilastri posti alla base dell'edificio di per sé stesso non avrebbe certamente determinato i crolli a cascata che lo hanno accompagnato, ovvero immediatamente seguito, se i piani superiori, posti in corrispondenza e direttamente collegati a quei pilastri, non fossero stati gravati da carichi sulle strutture su cui erano stati poggiati che non erano in grado di sopportare. E' proprio nella considerazione che precede che trae origine la convinzione del giudicante in ordine al ruolo penalmente rilevante assunto dalle condotte degli imputati B.D.P., P.C. e T.R.» (pp. 79-81 della sentenza del G.u.p.).
Dunque, alla stregua delle emersioni istruttorie analiticamente riferite, insindacabili da parte del giudice di legittimità, e del ragionamento svolto dai giudici di merito, che appare, sulle premesse fattuali di cui si è detto, logico e congruo, appare destituita di ogni fondamento l'ipotizzata configurabilità del vizio di travisamento della prova. E ciò sotto i profili: sia della omessa considerazione della pregressa locazione dell'immobile all'Enel, con modifica degli appartamenti in uffici (se ne dà peraltro atto alla p. 35 della sentenza di primo grado); sia della omessa valutazione dell'aumento di carichi gravitazionali direttamente riconducibile agli imputati B.D.P., P.C. e T.R., nella percentuale media del 5,3 % (avendo, correttamente, i giudici di merito preso in considerazione l'aumento complessivo dei carichi rispetto al progetto B., carichi addirittura quasi raddoppiati rispetto al terrazzo di copertura); sia, infine, dell'asserito vizio enfaticamente definito negli scritti difensivi "travisamento della prova per invenzione" (costruito mediante richiamo a stralci dell'istruttoria ma perdendo di vista la lettura complessiva offerta dal perito e fatta propria dai giudici di merito e mediante l'apodittica asserzione che la parete REI 60 sarebbe stata «imposta» dai Vigili del Fuoco, cfr. p. 25 della memoria difensiva depositata il 6 maggio 2016, ove si rileva che la Corte territoriale ha, logicamente, osservato che incombeva ai progettisti, nel contempo direttori dei lavori, concordare con i Vigili del Fuoco soluzioni alternative idonee sotto entrambi i profili, sia antincendio sia antisismico, p. 22 della sentenza impugnata). Si tratta, infatti, di circostanze non soltanto non decisive ma, addirittura, per tutte le ragioni sinora esposte, del tutto ininfluenti. 
Al limite dell'inammissibilità le censure, peraltro impostate in maniera piuttosto generica, in punto di nesso di causalità, di insufficienza probatoria (secondo e quarto motivo di ricorso; nemmeno contestata, invece, dalle difese la posizione di garanzia degli imputati progettisti e direttori dei lavori), essendo stato accertato in punto di fatto, come si è ampiamente visto, che le opere degli imputati, inclusa l'apposizione della parete REI 60, non hanno causato il crollo, addebitabile al sisma ed agli originari vizi di progettazione e realizzazione, ma ne hanno sicuramente aggravato le conseguenze in maniera drammatica.
Del tutto fuori luogo, poi, l'accorato appello difensivo alla pretesa violazione del principio di affidamento (pp. 1-4 dei "motivi nuovi" e pp. 10-12 della memoria depositata il 6 maggio 2016), ove i giudici di merito hanno logicamente ritenuto che ai progettisti e ai direttori dei lavori delle opere indicate, nel concreto contesto emerso, alla stregua dei vistosi errori, peraltro di immediata percezione, del progetto B., su cui si è soffermato il severo giudizio perito Mulas, e delle modifiche di destinazione e di uso già intervenute sull'immobile, per di più sito in zona sismica, tutto fosse consentito fuorché ignorare la storia dell'edificio (pp. 79-80 della sentenza del Tribunale e passim).
3.1.4. - Discende altresì da quanto riferito la logicità del censurato diniego della richiesta di rinnovazione dell'Istruttoria in appello (terzo motivo di ricorso; v. anche pp. 5-10 dei "motivi nuovi" e pp. 16-24 della memoria del 6 maggio 2016), nei termini in cui formulata, tesa cioè a dimostrare che la Casa dello studente sarebbe in ogni caso crollata. Ha infatti ritenuto la Corte territoriale non necessaria l'integrazione istruttoria richiesta, siccome volta a dimostrare quanto, in realtà, era già emerso in primo grado e cioè che l'edificio, così come progettato e concretamente realizzato nel 1965, sarebbe crollato con il terremoto del 6 aprile 2009 indipendentemente dai lavori di manutenzione straordinaria eseguiti nell'anno 2000 dai tre imputati; ma anche, al tempo stesso, ritenuta già raggiunta la prova che gli interventi riconducibili all'azione degli imputati hanno aggravato gli effetti del crollo (si è infatti già riferito il passaggio motivazionale della sentenza impugnata, secondo cui «[...] ferme restando le inadeguatezza del progetto originario, gli interventi di ristrutturazione effettuati negli anni 1998 - 2000 hanno avuto un'incidenza causate sull'evento crollo, sicuramente aggravandone gli effetti. I profili di colpa contestati ai prevenuti concernono proprio il mancato espletamento di quelle verifiche, necessarie a fronte dell'incisività degli interventi edilizi progettati e realizzati, che avrebbero consentito di valutarne le conseguenze, in relazione sia alla situazione preesistente, sia alle modifiche da apportare. Come già evidenziato, la parete REI non è stata causa del crollo, ma, con la sua diversa rigidezza, ne ha modificato le modalità, amplificandone le conseguenze: la diversa torsione subita da quella parte dell'edificio ha impedito allo stesso di "accartocciarsi" su se stesso, come è avvenuto per le altre parti del medesimo stabile, con conseguenze sicuramente meno devastanti»).
Del resto, l'art. 603 cod. proc. pen. prevede un potere pacificamente discrezionale del giudice di merito, salva l'ipotesi, non ricorrente però nel caso di specie, di sopravvenienza di prove nuove (infatti, «in tema di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, ex art. 603, comma secondo, cod. proc. pen., il giudice di appello è tenuto a disporre la rinnovazione delle nuove prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado, salvo il limite costituito da richieste di prove vietate dalla legge o manifestamente superflue o irrilevanti; diversamente nell'ipotesi contemplata dall'art. 603, comma primo, cod. proc. pen., la rinnovazione è subordinata alla condizione che il giudice ritenga, nell'ambito della propria discrezionalità, che i dati probatori già acquisiti siano incerti e che l'incombente processuale richiesto rivesta carattere di decisività»: così Sez. 2, n. 31065 del 10/05/2012, Lo Bianco e altri, Rv. 253526; in senso conforme, cfr. Sez. 3, n. 42965 del 10/06/2015, L., Rv. 265200; Sez. 1, n. 39663 del 07/10/2010, Cascarino e altro, Rv. 248437; Sez. 5, n. 12443 del 20/01/2005, Unis, Rv. 231681; Sez. 3, n. 3348 del 13/11/2003, dep. 2004, Pacca e altro Rv. 227494).
Tanto in linea generale, mentre, con specifico riferimento al giudizio abbreviato, celebratosi nel caso di specie, ha condivisibilmente precisato la giurisprudenza di legittimità che «Nel giudizio abbreviato d'appello, siccome l'unica attività d'integrazione probatoria consentita è quella esercitabile officiosamente, non è configurabile un vero e proprio diritto alla prova di una delle parti cui corrisponda uno speculare diritto della controparte alla prova contraria, con la conseguenza che il mancato esercizio da parte dei giudice d'appello dei poteri officiosi di integrazione probatoria, non può mai integrare, il vizio di cui all'art. 606, comma primo, lett. d) cod. proc. pen.» ed anche che «Nel giudizio abbreviato d'appello il giudice può esercitare il potere officioso di integrazione probatoria, perché la previsione dell'art. 441, comma quinto, cod. proc. pen., che attribuisce tate potere al giudice del rito abbreviato in primo grado, è estensibile, con gli stessi limiti, a quello del grado successivo, e la sua valutazione discrezionale circa la necessità della prova non è censurabile in sede di legittimità, se congruamente motivata» (così, rispettivamente, Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, Amaniera ed altri, Rv. 260840, e Sez. 2, n. 35987 del 17/06/2010, Melillo, Rv. 248181; nello stesso senso, cfr. altresì Sez. 3, n. 20262 del 18/03/2014, L, Rv. 259663, e Sez. 6, n. 7485 del 16/10/2008, dep. 2009, Monetti, Rv. 242905). 
3.1.5. - In conclusione, seppure il regolamento di attuazione della legge legge 14 novembre 2000, n. 338, recante "Disposizioni in materia di alloggi e residenze per studenti universitari", in G.U. 23 novembre 2000, n. 274 (cioè il d.m. Ministro Istruzione, Università e Ricerca del 9 maggio 2002, n. 118, recante "Standard minimi dimensionali e qualitativi e linee guida relative ai parametri tecnici ed economici concernenti la realizzazione di alloggi e residenze per studenti universitari di cui alla legge 14 novembre 2000 n. 338", in G.U. 21 maggio 2002, n. 117, Suppl. ord. n. 107), sia entrato in vigore, come in effetti segnalato dai ricorrenti, dopo l'ultimazione dei lavori e dopo la redazione della relazione di collaudo del 10 maggio 2002, nondimeno risultano violate, come esattamente puntualizzato nella sentenza impugnata (alle pp. 16-17, 20 e 24-26), da parte degli imputati sia le convenzioni stipulate con l'ente pubblico sia la prescrizione contenuta nella concessione edilizia n. 541 del 28 dicembre 1999.
Sotto il primo profilo, infatti, si è evidenziato (pp. 16-17 della sentenza di appello) che l'art. 1 delle convenzioni per il progetto di massima e per quello definitivo stipulate con gli imputati, rispettivamente, nell'anno 1997 e nell'anno 1998, prevedevano espressamente, oltre che, come è ovvio, il rispetto di tutte le norme prevista da leggi e regolamenti, statali e ragionali, in materia, che i progetti comprendessero anche i calcoli preliminari di strutture ed impianti e che l'art. 69, punto 7, del capitolato speciale d'appalto comprendeva, tra gli oneri a carico dell'appaltatore, quello di effettuare «la esecuzione di ogni prova di carico che sia ordinata dalla Direzione dei lavori su pali di fondazione, solai, balconi e qualsiasi altra struttura portante, di notevole importanza statica», traendone la, non illogica, conclusione che il capitolato prevedeva che fossero eseguite, su disposizione della direzione dei lavori, verifiche della staticità dell'immobile mediante prove di carico sulle strutture portanti.
Sotto l'ulteriore aspetto, si è ritenuto (pp. 20 e 24-26 della sentenza impugnata) che la concessione edilizia n. 541 del 1999, relativa al cd. 11° stralcio, con oggetto le opere più impegnativa tra quelle complessivamente affidate agli ingegneri, imponeva di ottemperare - anche - al d.P.R. 22 aprile 1994, n. 425, contenente il regolamento recante la disciplina dei procedimenti di autorizzazione all'abitabilità, di collaudo statico e di iscrizione nel catasto, con ciò evidentemente richiamando anche la disciplina sul collaudo statico, le cui prescrizioni non sono state però nel caso di specie rispettate: come si vedrà meglio appresso (al punto n. 4 del "considerato in diritto"), ai sensi del combinato disposto degli arti. 1 e 2 del d.P.R. n. 425 del 22 aprile 1994 e dell'art. 220 del R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 deve ritenersi che il committente dell'opera, ADISU, avesse affidato l'incarico di effettuare il collaudo statico ad un proprio dipendente, l'arch. P.S., il quale, però, non vi ha provveduto. 
 

 

3.2. - Sul motivo n. 5 di ricorso. - Si è già detto, al punto n. 1 del "considerato in diritto", al quale si fa integrale rinvio, del motivo per cui il delitto di disastro colposo addebitato non sia prescritto alla data dell'udienza.
 

 

3.3. - Sul motivo n. 6 di ricorso. - Quanto, infine, alle censure, pur condivise dal P.G. della Corte di cassazione, involgenti il trattamento sanzionatorio degli imputati B.D.P., P.C. e T.R., esse vanno rigettate.
E' fondato il motivo di doglianza dei ricorrenti incentrato sulla ritenuta - dalla Corte di appello - inapplicabilità nel caso di specie del giudizio di bilanciamento, in caso di eventuale concessione delle circostanze attenuanti generiche, essendo il ragionamento svolto dalla Corte territoriale al riguardo (alla p. 26 della sentenza) confuso e vistosamente erroneo, peraltro con richiamo a precedente di legittimità non conferente.
Nel merito, tuttavia, la decisione confermativa del diniego del riconoscimento delle attenuanti generiche in primo grado (pp. 106-107 della motivazione della sentenza del G.u.p. e dispositivo) resiste alle censure elevate.
La Corte di appello ha, testualmente, ritenuto che «la gravità dei fatti (aver agito colposamente nonostante la consapevolezza che in quell'immobile vi sarebbe stato stabilmente un numero rilevante di giovani, provocando, infatti, il decesso di sette studenti e del portiere), valutata congiuntamente alla mancanza di elementi favorevoli (la sola mancanza di precedenti penali non è sufficiente a tal fine) non consente la concessione delle circostanze attenuanti generiche» (p. 27 della sentenza impugnata).
Osserva il Collegio che la riferita valutazione è in linea con il tradizionale insegnamento della Corte di legittimità (peraltro formatosi e consolidatosi in epoca di gran lunga anteriore alla novella dell'art. 62-bis cod. pen. ad opera del d.l. 23 maggio 2008, n. 92), secondo cui:
«La sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai fini dell'art. 62-bis cod. pen. è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, non sindacabile in sede di legittimità, purché non contraddittoria e congruamente motivata, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell'interesse dell'imputato» (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Caridi e altri, Rv. 242419; in termini, Sez. 6, n. 7707 del 04/12/2003, dep. 2004, Anaclerio ed altri, Rv. 229768; nello stesso senso, tra le altre, Sez. 1, n. 46954 del 04/11/2004, Palmisani ed altro, Rv. 230591; Sez. 2, n. 4790 del 16/01/1996, Romeo, Rv. 204768);
«Le circostanze attenuanti generiche non possono essere riconosciute solo per l'incensuratezza dell'imputato, dovendosi considerare anche gli altri indici desumibili dall'art. 133 cod. pen. (Principio affermato in relazione ai testo dell'art. 62-bis cod. peri, vigente prima delle modifiche apportate dalla L. n. 125 del 2008)» (Sez. 5, n. 4033 del 04/12/2013, dep. 2014, Morichelli, Rv. 258747);
e, con particolare chiarezza, «L'applicazione di attenuanti generiche non costituisce un diritto conseguente all'assenza di elementi negativi connotanti la personalità dei soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle circostanze in parola» (Sez. 1, n. 3529 del 22/09/1993, Stentano ed altro, Rv. 195339).
Si tratta, peraltro, di interpretazione tenuta ferma dopo l'introduzione del comma 3 dell'art. 62-bis cod. pen. ad opera del d.l. n. 92 del 2008 (di cui comunque non risulta che nel caso di specie i giudici di merito abbiano fatto applicazione): si è, infatti, affermato che «Ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all'entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal senso» (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone a altri, Rv. 249163) e che «Il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente giustificato con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la modifica dell'art. 62 bis, disposta con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente non è più sufficiente lo stato di incensuratezza dell'imputato» (Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, Papini e altri, Rv. 260610).
Discende, in definitiva, la congruità e la legittimità del ragionamento della Corte territoriale circa il diniego delle attenuanti generiche, ragionamento incentrato congiuntamente sulla gravità dei fatti, essendo l'immobile destinato ad ospitare dei giovani, e sulla non emersione di elementi positivamente apprezzabili per il riconoscimento agli imputati del beneficio invocato.

 


4. - Esame del ricorso nell'interesse di P.S.. - Passando ad esaminare i motivi di ricorso nell'interesse dell'imputato P.S. (di cui si è dato atto al punto n. 9 del "ritenuto in fatto"), si osserva preliminarmente che lo stesso è articolato secondo una duplice prospettiva, essendo teso: da un lato, a dimostrare, in qualche misura ad adiuvadum rispetto ai coimputati, che nessuna penale responsabilità è addebitabile agli ingegneri B.D.P., P.C. e T.R. (essenzialmente ai punti nn. 1 ed 8 dell'impugnazione); dall'altro, che, in ogni caso, il compito della Commissione presieduta dal ricorrente era limitato al collaudo di tipo tecnico amministrativo e contabile, con oggetto - esclusivamente - la rispondenza delle opere realizzate con quelle commissionate dell'ADISU e che, in buona sostanza, non sussisterebbe nessuna posizione di garanzia in capo all'arch. P.S. (punti nn. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 ed 8).
4.1. - Motivi di ricorso comuni ai coimputati. - Partendo dai motivi comuni ai coimputati (di cui si è detto ai punti nn. 9.1. e 9.8. del "ritenuto in fatto"), nessuno di essi merita accoglimento, dovendo valere tutte le considerazioni già svolte in precedenza (al complessivo punto n. 3 del "considerato in diritto").
Appare opportuna soltanto una precisazione ulteriore, in relazione al riferimento operato dalla difesa alla pretesa violazione (ottavo motivo, p. 20 del ricorso) della regola di giudizio puntualizzata nella nota sentenza della S.C. a Sezioni Unite del 2002, ric. Franzese (Sez. U, n. 30328 del 10/07/2002, Franzese, Rv. 222138: «Nel reato colposo omissivo improprio il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l'azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l'interferenza di decorsi causali alternativi, l'evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva»; principio ribadito, come è noto, da Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv. 261103; in senso conforme, tra le Sezioni semplici: Sez. 4, n. 22378 del 19/03/2015, Volcan e altri, Rv. 263494; Sez. 4, n. 49707 del 04/11/2014, Incorvaia e altro, Rv. 263284; Sez. 4, n. 27975 del 15/05/2003, Eva, Rv. 226011; Sez. 4, n. 38334 del 03/10/2002, Albissini, Rv. 222862; nonché, proprio in una fattispecie riguardante ipotesi di responsabilità per omissione addebitata ad ingegnere progettista direttore dei lavori, la sentenza, emessa durante la fase di redazione della motivazione della presente decisione, di Sez. 4, n. 28571 del 01/06/2016, De Angelis, Rv. 266945).
Ebbene, agli ingegneri sono state ritenute addebitabili, come si è visto, non soltanto condotte di tipo omissivo (essenzialmente: non avere esaminato il progetto originario dell'ingegner B.; non avere confrontato le originarie previsioni con la concreta situazione dell'immobile al momento dell'incarico da parte dell'ente; non avere preso in considerazione il rilevante aumento dei carichi verticali già realizzato per effetto degli interventi precedenti) ma anche di tipo commissivo (essenzialmente: avere ulteriormente aumentato i carichi; avere introdotto la parete REI, causativa di rigidezza). Rispetto a tali condotte commissive, la Corte di appello ha esperito il giudizio controfattuale ed ha ritenuto (sulla base degli elementi di valutazione offerti dagli esperti) che, in assenza degli interventi additivi posti in essere dagli imputati, le conseguenze del sisma sarebbero state ben meno devastanti e non avrebbero implicato gli eventi lesivi (p. 23 della sentenza impugnata e pp. 74-76, 80-81 ed 86-87 di quella di primo grado). Quanto alla complessiva considerazione dei plurimi, eterogenei, profili di colpa, il profilo eziologico attiene alla distinta sfere della causalità della colpa (sulla cui nozione, v., diffusamente la motivazione di Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn: punti nn. 26 e 27 del considerato in diritto"), cioè alla evitabilità dell'evento a seguito di condotta appropriata da parte dei progettisti nel contempo direttori dei lavori ovvero all'utilità del comportamento alternativo.
4.2. - Motivi di ricorso esclusivi nell'interesse dell'architetto P.S.. - Quanto ai motivi ricorso esclusivi nell'interesse dell'architetto P.S., appare opportuno premettere che le sentenze di merito dedicano rilevante parte della motivazione all'esame della specifica posizione del ricorrente, e segnatamente: pp. 24-26 della sentenza impugnata e pp. 88-96 della decisione del G.u.p. (i contenuti sono riferiti in sintesi ai punti nn. 6.3. e 4.3. del "ritenuto in fatto").
Correttamente i giudici di merito hanno ritenuto che l'imputato P.S. avrebbe dovuto valutare la regolarità delle opere realizzate dai coimputati non soltanto sotto il profilo formale o tecnico-amministrativo ma anche in relazione alle ripercussioni sulla staticità dell'edificio, considerata anche la sismicità della zona in cui sorgeva l'immobile.
Richiamate invero tutte le informazioni fattuali (v. punto n. 3 del "considerato in diritto") a proposito dei lavori svolti sull'immobile anche da parte dei coimputati, deve ritenersi che all'architetto P.S., in quanto presidente della Commissione di collaudo dei lavori che erano stati svolti sull'edificio sede della Casa dello Studente di L'Aquila dagli ingegneri B.D.P., P.C. e T.R., era stato affidato dall'ente committente il compito di collaudo sia statico sia tecnico-amministrativo e che, mentre il secondo venne effettuato, il primo fu, colpevolmente, omesso, in violazione della posizione di garanzia rivestita (come esattamente ritenuto, con congrua e logica motivazione, dai giudici di merito: v. pp. 25-26 della sentenza impugnata e pp. 92-95 di quella di primo grado).
4.2.1. - Ciò si desume sia dal tenore letterale dell'incarico dell'ADISU al proprio dipendente sia da quanto all'epoca previsto dall'allora vigente art. 187, commi 1 e 2, del d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, recante "Regolamento di attuazione della legge quadro in materia di lavori pubblici 11 febbraio 1994, n. 109 e successive modificazioni" (pubblicato in G.U. n. 98 del 28 aprile 2000 - Suppl. ord. n. 66, in vigore dal 13 maggio 2000), c.d. regolamento Merloni, che, per comodità, si riferisce: 
«1. Il collaudo ha lo scopo di verificare e certificare che l'opera o il lavoro sono stati eseguiti a regola d'arte e secondo le prescrizioni tecniche prestabilite, in conformità del contratto, delle varianti e dei conseguenti atti di sottomissione aggiuntivi debitamente approvati. Il collaudo ha altresì lo scopo di verificare che i dati risultanti dalla contabilità e dai documenti giustificativi corrispondono fra loro e con le risultanze di fatto, non solo per dimensioni, forma e quantità, ma anche per qualità dei materiati, dei componenti e delle provviste, e che le procedure espropriative poste a carico dell'appaltatore siano state espletate tempestivamente e diligentemente. Il collaudo comprende altresì tutte le verifiche tecniche previste dalle leggi di settore.
2. Il collaudo comprende anche l'esame delle riserve dell'appaltatore, sulle quali non sia già intervenuta una risoluzione definitiva in via amministrativa, se iscritte nel registro di contabilità e nel conto finale nei termini e nei modi stabiliti dal presente regolamento».
Da tale previsione, posta espressamente in materia di lavori pubblici, si desume che nessun fondamento ha la pretesa del ricorrente di distinguere, nel senso dallo stesso auspicato, un collaudo meramente amministrativo o amministrativo-contabile (comma 1, secondo periodo della richiamata disposizione), essenzialmente teso a verificare se «i dati risultanti dalla contabilità e dai documenti giustificativi corrispond[a]no fra loro e con le risultanze di fatto, non solo per dimensioni, forma e quantità, ma anche per qualità dei materiali, dei componenti» e la regolarità, per così dire, burocratica, da un collaudo "vero e proprio" cioè statico con oggetto l'esecuzione «a regola d'arte e secondo le prescrizioni tecniche» dei lavori, attività di accertamento tecnico-specialistico per la verifica della sicurezza, ove, in tesi, soltanto il primo sarebbe stato affidato dall'ente committente all'architetto P.S. ed il secondo, invece, agli ingegneri B.D.P., P.C. e T.R..
Tale distinzione, infatti, non trova appigli testuali nel provvedimento amministrativo del 29 ottobre 2011 istitutivo della Commissione di collaudo né nel richiamato testo di legge, in cui - si osserva - il secondo periodo del comma 1 è collegato al primo periodo dall'avverbio «altresì» e non già da una congiunzione disgiuntiva quale, ad esempio, "ovvero" o espressione consimile. Deve pertanto ritenersi che, ai sensi del d.P.R. n. 554 del 1999, nell'oggetto del collaudo di opere pubbliche rientri sia il collaudo statico (attività di accertamento tecnico-specialistico per la verifica della sicurezza) sia il collaudo amministrativo (controllo sulla verifica del rispetto delle clausole contrattuali), adempimenti che, complessivamente considerati, la dottrina specialistica chiama collaudo tecnico-amministrativo: ciò posto, nessun elemento positivamente emerso indica che l'amministrazione di appartenenza intese affidare al ricorrente P.S. soltanto il collaudo amministrativo e non già anche quello statico.
Del resto, deve osservarsi che l'imputato, in quanto architetto, era in possesso delle competenze necessarie e che, oltre a quanto prescritto dall'art. 28, comma 4, della legge 11 febbraio 1994, n. 109, l'art. 188, comma 3, del richiamato d.P.R. 554 del 1999 prevede, in via prioritaria, che il collaudatore dei lavori pubblici sia nominato dall'ente pubblico tra i propri dipendenti (per evidenti ragioni di economia e di efficienza dell'attività amministrativa), potendosi l'amministrazione rivolgere a soggetti esterni soltanto in caso di carenza nell'organico, carenza che sia procedimentalmente verificata, di soggetti in possesso dei requisiti necessari. Infatti:
«3. Il collaudatore è nominato dalle stazioni appaltanti all'Interno delle proprie strutture sulla base dei criteri che le stesse sono tenute a fissare preventivamente. Nell'ipotesi di carenza nel proprio organico di soggetti in possesso dei necessari requisiti, accertata e certificata dal responsabile del procedimento, l'incarico di collaudatore è affidato a soggetti esterni scelti ai sensi del comma 11».
Non è nemmeno ipotizzabile un affidamento in buona fede, argomento su cui si è profusa la difesa, da parte di P.S. circa l'avvenuta effettuazione del collaudo da parte degli ingegneri coimputati che già erano al contempo progettisti e direttori dei lavori, in quanto la disciplina allora vigente precludeva il cumulo degli incarichi, per ragioni assolutamente intuitive, riconducibili alla distinzione, fondamentale in tutte le comunità umane organizzate, tra le figure del "controllore" e del "controllato". Recita, infatti, l'art. 188, comma 4, del richiamato d.P.R. n. 554 del 1999 (in conformità all'art. 28, comma 5, della legge 11 febbraio 1994, n. 109):
«4. Non possono essere affidati incarichi di collaudo [... tra gli altri] a coloro che hanno comunque svolto o svolgono attività di controllo, progettazione, approvazione, autorizzazione vigilanza o direzione dei lavori da collaudare».
Rimane così confermato il, sintetico ma corretto, richiamo operato dalla Corte territoriale alla fondamentale esigenza di terzietà del collaudatore, con il discendente «obbligo di controllo e verifica dell'operato di coloro che avevano progettato e realizzato le opere» (p. 25 della sentenza impugnata).
Per concludere, la pretesa del ricorrente di vedere limitato il proprio ambito di intervento ad una verifica della mera correttezza amministrativa e della corrispondenza tra spese addebitate all'appaltante e spese effettuate dagli esecutori è ulteriormente sconfessata dalla previsione espressa dell'art. 188, commi 2 e 5, del citato d.P.R. n. 554 del 1999, secondo cui: 
«2. Costituiscono requisito abilitante allo svolgimento dell'incarico di collaudo le lauree in ingegneria, architettura, e, limitatamente a un solo componente della commissione, le lauree in geologia, scienze agrarie e forestali, l'abilitazione all'esercizio della professione [...]»;
e «5. Nel caso dei lavori che richiedono l'apporto di più professionalità diverse in ragione della particolare tipologia e categoria dell'intervento, il collaudo è affidato ad una commissione composta da tre membri. La commissione non può essere composta congiuntamente da soggetti appartenenti all'organico della stazione appaltante e da soggetti esterni. La stazione appaltante designa altresì il membro della commissione che assume la funzione di presidente».
Dalla riferite disposizioni, che l'imputato, per le sue qualità professionali, non poteva ignorare, discende che le funzioni di verifica della regolarità amministrativa e contabile dovevano intendersi affidate al collegio, che era composto anche da due membri, a loro volta dipendenti ADISU, non architetti né ingegneri, con attribuzione all'architetto P.S. del vero e proprio «collaudo [... avente] lo scopo di verificare e certificare che l'opera o il lavoro sono stati eseguiti a regola d’arte e secondo le prescrizioni tecniche prestabilite, in conformità del contratto [...]» di cui al comma 1, primo periodo, del più volte richiamato regolamento c.d. Merloni.
Né è condivisibile la lettura dell'art. 188, comma 6, d.P.R. 554 del 1999 proposta dal ricorrente (quarto motivo, pp. 14-15 del ricorso), secondo cui la verifica dell'osservanza delle norme sismiche si imporrebbe soltanto per i lavori comprendenti strutture. La disposizione in questione recita:
«6. Per i lavori comprendenti strutture, al soggetto incaricato del collaudo o ad uno dei componenti della commissione di collaudo è affidato anche il collaudo statico, purché essi abbiano i requisiti specifici previsti dalla legge. Per i lavori eseguiti in zone classificate come sismiche, il collaudo è esteso alla verifica dell'osservanza delle norme sismiche».
Ritiene al riguardo il Collegio che nel caso di specie i lavori ricomprendevano le strutture, anche se in via indiretta, e per tale motivo la disposizione era applicabile. Difatti, così come già riferito, i giudici di merito hanno ritenuto che l'installazione delle porte REI 60 antistanti l'ascensore dei piani dal primo al quarto, ancorché opere - di per sé - non strutturali, abbia influenzato direttamente il regime statico dell'edificio ed in particolare delle strutture sulle quali insistevano (trave 18-29), modificando ed amplificando le conseguenze del sisma. Tale possibilità sarebbe dovuta essere evidente ictu oculi ai progettisti, in primis, ed al collaudatore, in secundis. 
In generale, quindi, per "i lavori comprendenti strutture" di cui al citato art. 188, comma 6, d.P.R. 554 del 1999 si devono considerare i lavori comprendenti strutture in via diretta ed in via indiretta, intendendo per primi quelli che vengono effettuati direttamente sulle strutture e per secondi i lavori che hanno, comunque, influenza diretta sulle strutture, proprio come accaduto nel caso di specie (pareti rigide sopra travi che debbono avere una certa elasticità: l'elasticità subirà una riduzione e ciò dovrà risaltare all'occhio dell'ingegnere e dell'architetto scrupoloso e diligente).
Peraltro, le disposizioni sui lavori pubblici che si sono richiamate (con specifico riferimento alla unicità della nozione di collaudo, alla incompatibilità tra funzioni di progettista e direttore dei lavori, da un lato, e di collaudatore, dall'altro, ed alla preferenza accordata per la scelta di collaudatori tra dipendenti dell'ente pubblico) sono state, in maniera significativa, sostanzialmente riprodotte nella normativa successivamente entrata in vigore (art. 141 del d. lgs. 12 aprile 2006, n. 163, recante il "Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE", in G.U. n. 100 del 2 maggio 2006 - Suppl. ord. n. 107, in vigore dal 1° luglio 2006, ai sensi dell'art. 257 del d. lgs n. 163 del 2006; disciplina successivamente abrogata dall'art. 217 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, recante "Attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture", in G.U. n. 91 del 19 aprile 2016 - Suppl. ord. n. 10, in vigore dal 19 aprile 2016 ex art 20 del d. lgs. n. 50 del 2016).
4.2.2. - E, in ogni caso, risulta tranciante il rilievo, pure correttamente svolto dai giudici di merito (p. 24 della sentenza di appello e p. 94 di quella del Tribunale), secondo cui la licenza edilizia rilasciata dal Comune di L'Aquila in data 28 dicembre 1999 richiedeva il collaudo statico dell'immobile, che nessuno risulta avere svolto, dovendosi disattendere, per l'evidente inconsistenza, i rilievi del ricorrente affidati al preteso valore equipollente che sarebbe, in tesi difensiva, da attribuirsi alle mere asseverazioni ad opera degli imputati, tra le quali i documenti allegati sub nn. 1 e 2 proprio al ricorso nell'interesse dell'arch. P.S..
E sono ulteriori documenti esibiti dalla difesa in allegato al ricorso (sub n. 7) a corroborare la valutazione sull'esattezza del ragionamento svolto nei gradi di merito a proposito della sussistenza di profili di colpa non soltanto specifica ma anche generica nell'agire dell'imputato (il cenno al riguardo alla p. 24 della sentenza di secondo grado è sviluppato in maniera più ampia alle pp. 73 e 93 di quella del G.u.p.): infatti, è proprio dal contenuto dei verbali in data 14 marzo 2002 e 23 aprile 2002 relativi alle visite di collaudo che si trae la prova che l'imputato salì personalmente sul terrazzo di copertura dell'edificio, senza tuttavia rilevare, nonostante la qualifica professionale di architetto che possedeva ed il qualificato ruolo di presidente della commissione di collaudo che rivestiva, i pur vistosi appesantimenti della copertura, ove (come si è già detto al punto n. 3.1. del "considerato in diritto") incautamente era stato realizzato dai coimputati un locale lavanderia, era stato apposto, proprio sul tetto della struttura, un nuovo massetto di sottofondo, senza tuttavia asportare il preesistente, era stata cambiata la pavimentazione ed erano state apposte le macchine per l'aria condizionata, previa realizzazione del relativo, ulteriore, massetto in calcestruzzo pieno di ben dieci centimetri.
Per tutte le ragioni esposte non possono, in definitiva, trovare accoglimento i motivi di ricorso variamente impostati sull'affidamento che, in tesi difensiva, l'architetto P.S. avrebbe potuto / dovuto riporre sulle relazioni asseverate o dichiarazioni tecniche asseverate (v. all. nn. 1 e 2 al ricorso), documenti che, comunque denominati, provengono dalla parte che, avendo un interesse anche economico, è soggetta al controllo del collaudatore - emanazione della p.a. committente (ove condivisibile appare il passaggio motivazionale alla p. 94 della sentenza del Tribunale, ove si legge che «trattasi di mera asseverazione dei lavori effettuati, che nulla ha a che fare con il collaudo in senso stretto, da affidare, per la sua essenza ontologica, ad un professionista diverso»), né sulla ritenuta regolarità formale del procedimento amministrativo, nemmeno sotto il profilo del silenzio-assenso: con riferimento a quest'ultimo aspetto, l'argomento difensivo (svolto specialmente al settimo motivo di ricorso, pp. 18-20: se ne è dato atto al punto n. 9.7. del "ritenuto in fatto") incentrato sulla richiesta di abitabilità/agibilità inoltrata il 4 settembre 2001 (materialmente allegata sub n. 3 al ricorso P.S.) è travolto dal - dirimente - rilievo (svolto alla p. 94 della sentenza di primo grado; v. anche p. 24 di quella di appello) della emersa inottemperenza al titolo rilasciato, in quanto la licenza edilizia n. 541 rilasciata dal Comune di L'Aquila il 28 dicembre 1999 in relazione ai lavori di maggiore spessore affidati agli ingegneri B.D.P., P.C. e T.R. prevedeva la richiesta di collaudo statico ma ad essa, come si è visto, non fu ottemperato.
Quanto, infine, al riferimento difensivo alla nozione di prevedibilità, è appena il caso di osservare che «In tema di colpa, la necessaria prevedibilità dell'evento - anche sotto il profilo causale - non può riguardare la configurazione dello specifico fatto in tutte le sue più minute articolazioni, ma deve mantenere un certo grado di categorialità, nel senso che deve riferirsi alla classe di eventi in cui si colloca quello oggetto del processo (In motivazione la Corte ha precisato che, ai fini della imputazione soggettiva dell'evento, il giudizio di prevedibilità deve essere formulato facendo riferimento alla concreta capacità dell'agente di uniformarsi alla regola, valutando le sue specifiche qualità personali)» (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv. 261106).
 

 

5. - Conclusioni . - Discende, in definitiva, da tutti i motivi esposti, il rigetto di tutti i ricorsi e la condanna dei ricorrenti, per legge (art. 616 cod. proc. pen.), al pagamento della spese processuali.
Gli imputati sono tenuti al rimborso delle spese sostenute per il giudizio di legittimità dalle parti civili, che esaminate le note spese ed alla stregua delle tariffe professionali applicabili, si liquidano come in dispositivo.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Li condanna altresì, in solido tra loro, al rimborso delle spese sostenute per il giudizio di legittimità dalle parti civile, che liquida come segue:
per la parte civile rappresentata dall'Avv. Roberto Madama in euro 2.500,00 per onorari, oltre accessori come per legge;
per le parti civili rappresentate dall'Avv. Marino Marini in complessivi euro 4.000,00 per onorari, oltre accessori come per legge;
per la parte civile rappresentata dall'Avv. Domenico d'Amati in euro 2.500.0 per onorari, oltre accessori come per legge;
per la parte civile rappresentata dall'Avv. Giovanni Nicola d'Amati in euro 2.500.0 per onorari, oltre accessori come per legge;
per le parti civili rappresentate dall'Avv.ssa Simona Giannangeli in complessivi euro 3.000,00 per onorari, oltre accessori come per legge;
per la parti civili rappresentate dall'Avv. Vincenzo Giordano in complessivi euro 4.000,00 per onorari, oltre accessori come per legge;
per la parte civile rappresentata dall'Avv. Sergio Gabrielli in euro 2.500,00 per onorari, oltre accessori come per legge;
per la parti civili rappresentate dall'Avv. Guido Felice De Luca in complessivi euro 6.000,00 per onorari, oltre accessori come per legge;
per la parte civile rappresentata dall'Avv. Luciano Menga in euro 2.500,00 per onorari, oltre accessori come per legge;
per la parti civili rappresentate dall'Avv.ssa Elena Leonardi in complessivi euro 4.500,00 per onorari, oltre accessori come per legge;
per la parte civile rappresentata dall'Avv. Claudio Verini in euro 2.500,00 per onorari, oltre accessori come per legge;
per la parti civili rappresentate dall'Avv. Daniele Norma in complessivi euro 5.000,00 per onorari, oltre accessori come per legge;
per la parte civile rappresentata dall'Avv. Arnaldo Tascione in euro 2.500,00 per onorari, oltre accessori come per legge;
per la parti civili rappresentate dall'Avv.ssa Valentina Buzzelli in complessivi euro 4.500,00 per onorari, oltre accessori come per legge;
per la parte civile rappresentata dall'Avv. Domenico De Nardis in euro
2.500,0 per onorari, oltre accessori come per legge.
Così deciso l'11 maggio 2016.