Cassazione Penale, Sez. 3, 17 febbraio 2017, n. 7678 - Detenzione di materiali infiammabili: è sempre richiesto il preventivo rilascio del certificato di prevenzione incendi, indipendentemente dalla natura dell'attività svolta


 

 

Presidente: FIALE ALDO Relatore: RAMACCI LUCA Data Udienza: 13/01/2017

 

 
Fatto

 


1. Il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, con sentenza del 9/9/2015 ha affermato la responsabilità penale di S.B. per i reati di cui agli artt. 679 cod. pen., 20 d.lgs. 139/2006, 55, comma 5 e 68, comma 2 d.lgs. 81\2008 (accertati in Furnari in data 8/2/2011) e lo ha condannato alla pena dell'ammenda.
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2. Con un primo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 679 cod. pen., deducendo l'inesistenza di un obbligo di denuncia per la detenzione del gasolio e la conseguente insussistenza del fatto contestatogli, concernente la detenzione di un distributore mobile di carburante contenente 2.069 litri di gasolio.
3. Con un secondo motivo di ricorso deduce la violazione dell’art. 20, d.lgs. 139\2006, osservando che, in mancanza del decreto presidenziale previsto dall’art. 16, comma 1 del decreto legislativo non vi sarebbe stato l’obbligo di conseguire il certificato di prevenzione incendi.
4. Con un terzo motivo di ricorso denuncia la violazione di legge per non avere il giudice di merito considerato la natura di condizione di procedibilità dell'azione penale della procedura di definizione amministrativa di cui all’art. 24 del d.lgs. 758/1994, non espletata, nel caso in esame, in relazione ai reati di cui agli artt. 55, comma 5 e 68, comma 2 d.lgs. 81/2008.
5. Il procedimento, a seguito di esame preliminare, veniva assegnato alla Settima Sezione Penale di questa Corte, rilevando la inammissibilità, per manifesta infondatezza, dei motivi di ricorso.
All’udienza camerale del 23/9/2016 la Settima Sezione, valutato anche il contenuto di una memoria difensiva depositata il 12/9/2016, rilevata la non manifesta infondatezza del ricorso, disponeva rimettersi gli atti a questa Terza Sezione, competente secondo i criteri ordinari, ai sensi dell’art. 610, comma 1, ultima parte cod. proc. pen. affinché riconsiderasse la questione relativa alla obbligatorietà della procedura di definizione amministrativa del d.lgs. 758/94 tenuto conto di un non univoco orientamento della Sezione sul punto.
 

 

Diritto

 


1. Va rilevato, con riferimento al primo motivo di ricorso, che il ricorrente afferma, al fine di sostenere la insussistenza di un obbligo di denuncia del gasolio detenuto, che l'art. 679 cod. pen. punisce l’omessa denuncia all'autorità relativamente alle materie non solo esplodenti ma anche infiammabili, ove pericolose per la loro qualità e quantità, sulla base dei precetti contenuti dalle leggi speciali che individuano le ipotesi in cui occorre la denuncia.
Aggiunge che le disposizioni del testo unico delle leggi di PS. ed il relativo regolamento di esecuzione non prevedono la denuncia di materie infiammabili; conseguentemente, per le stesse non sussisterebbe l'obbligo di denuncia all'autorità di polizia.
2. Osserva a tale proposito il Collegio che la questione è identica a quella che, sottoposta all'attenzione di altra Sezione di questa Corte, ha portato alla affermazione del principio secondo il quale "integra il reato di cui all'art. 679 cod. pen. la detenzione in deposito, in carenza di denuncia al comando vigili del fuoco territorialmente competente, di gasolio per autotrazione, quale sostanza infiammabile pericolosa" fondato su argomentazioni che il Tribunale puntualmente riporta nella sentenza impugnata e con le quali il ricorrente non si è minimamente confrontato.
La decisione, opportunamente richiamata dal Tribunale (Sez. 1, n. 25102 del 31/5/2011, Ciaramella e altro, Rv. 25032901) ha testualmente affermato “...la disposizione dell'art. 679 cod. pen. non introduce alcun obbligo di denunzia per i detentori di materie esplodenti o infiammabili; la norma, infatti, 'assume carattere sanzionatorio dei precetti contenuti nelle leggi speciali che individuano le ipotesi in cui occorre la denuncia, le modalità di presentazione e l'autorità cui deve essere effettuata" e, in materia di detenzione di sostanze infiammabili, in difetto della previsione dell'obbligo della denunzia alla autorità locale della Pubblica Sicurezza (v. al riguardo R.D. 78 giugno 1931, n. 773, art. 38, art. 83 relativo regolamento e il richiamato Allegato D), si rende necessaria la verifica del concorso di specifica disposizione recante l'obbligo di denuncia ai Vigili del fuoco o ad altra autorità (Sez. 1,17 giugno 2010, n. 24508, Radicci, rv. 247756; Sez. 1,11 marzo 2004, n. 29933, De Marzo, rv. 229250). Orbene, il gasolio per autotrazione costituisce - come indicato specificamente nella contestazione - sostanza "pericolosa per quantità e qualità" e, trattandosi di cisterna adibita al deposito, è, appunto, assoggettata alla denunzia e alla vigilanza “del comando dei vigili del fuoco territorialmente competente" ai sensi del d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 36 (Sez. 6, n. 4139, 20/11/1974, Speciale, rv. 129774; Sez. 6, n. 9784, 13/04/1976, Maurer, rv. 136939; Sez. 3, n. 121, 24/01/1969, Del Bianco, rv. 110501)”
Il Tribunale, oltre a richiamare nel dettaglio tali condivisibili argomentazioni, ha anche precisato che le indagini espletate avevano evidenziato la mancanza di qualsivoglia autorizzazione, essendosi l'interessato attivato in tal senso soltanto in data successiva a quella del controllo che aveva portato all'imputazione.
Il motivo di ricorso risulta, pertanto, manifestamente infondato.
3. A conclusioni identiche deve pervenirsi per ciò che concerne il secondo motivo di ricorso.
Come affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, il preventivo rilascio del certificato di prevenzione incendi è sempre richiesto per la detenzione di materiali infiammabili, indipendentemente dalla natura dell'attività svolta, sicché il detentore è obbligato a chiedere il certificato di prevenzione incendi allorché detenga un deposito di gas combustibile in misura eccedente quella di 0,3 me. fissata dal  d.m. 16/2/1982 (Sez. 3, n. 45830 del 8/11/2012, Palumbo Rv. 253876).
Anche tale principio è stato tenuto presente dal giudice di merito, che lo ha opportunamente richiamato.
Il ricorrente sostiene, invece, che la violazione sarebbe insussistente per la sostanziale inapplicabilità del d.m. 16/2/1982 sulla base della sentenza della Corte Costituzionale n. 282/1990 e per il fatto che il suddetto decreto ministeriale sarebbe stato sostituito dal d.P.R. 151/2011, entrato in vigore in data successiva a quella dei fatti per cui si è proceduto.
Va a tale proposito rilevato che il riferimento alla decisione della Corte costituzionale è del tutto inconferente, riguardando il combinato disposto degli artt. 1, primo comma, e 5, primo comma, della legge 7 dicembre 1984, n. 818, nella parte in cui rinvia ad una fonte di grado inferiore (il decreto ministeriale 16 febbraio 1982) l'individuazione dei destinatari dell'obbligo di richiesta del certificato di prevenzione incendi e che il suddetto decreto ministeriale è restato in vigore fino all'abrogazione ad opera dell’art. 12, comma 1, lett. d) d.P.R. 151/2011.
4. Per ciò che concerne, invece, il terzo motivo di ricorso, occorre preliminarmente richiamare sommariamente il contenuto delle disposizioni che regolano la procedura di estinzione delle contravvenzioni in materia di sicurezza ed igiene del lavoro.
L' art. 20 del d.lgs. 19 dicembre 1994, n. 758 dispone che l'organo di vigilanza, allo scopo di eliminare la contravvenzione accertata, impartisce al contravventore un'apposita prescrizione, fissando un termine per la regolarizzazione.
L art.. 21, stabilisce che l'organo di vigilanza verifica se la violazione e1 stata eliminata secondo le modalità e nel termine indicati dalla prescrizione e, se risulta l'adempimento, il medesimo organo di vigilanza ammette il contravventore a pagare, nel termine di trenta giorni, una sanzione amministrativa pari al quarto del massimo dell'ammenda stabilita per la contravvenzione commessa e poi, entro 120 giorni dal dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione, deve comunicare al pubblico ministero l'adempimento alla prescrizione e l'eventuale pagamento della sanzione amministrativa, mentre se risulta l'inadempimento alla prescrizione, deve darne comunicazione al Pubblico Ministero entro 90 giorni.
L'art. 22 regola l’ipotesi in cui il Pubblico Ministero riceve la notizia del reato da altri organi o soggetti, stabilendo che, in tal caso, questi ne da’ subito notizia all’organo di vigilanza affinché emetta la prescrizione.
L art. 23, dispone che il procedimento penale è sospeso fino al momento in cui il Pubblico Ministero riceve dall'organo di vigilanza la comunicazione che il contravventore ha adempiuto alla prescrizione ed ha pagato la sanzione amministrativa, ovvero non vi ha adempiuto, mentre l'art. 24, prevede che la contravvenzione si estingue se il contravventore adempie alla prescrizione impartita dall'organo di vigilanza nel termine ivi fissato e provvede a pagare nel termine stabilito la sanzione amministrativa.
5. Ciò posto, deve rilevarsi come numerose decisioni di questa Sezione abbiano preso in considerazione la speciale procedura di prescrizione di cui al d.lgs. 758/1994 riconoscendone, espressamente o implicitamente, l'obbligatorietà e la natura di condizione di procedibilità dell'azione penale.
Attraverso un sommario esame dei precedenti si rileva, in particolare, una prima sentenza (Sez. 3, n. 13340 del 1/10/1998, Curaba G, Rv. 21248401) nella quale si afferma che il giudice, nel pronunciare sentenza di condanna per una delle contravvenzioni estinguibili con la particolare procedura, deve accertare che si siano regolarmente svolti tutti i passaggi richiesti dalla legge.
Successivamente, altra pronuncia individuava nell'obbligo di sospendere il procedimento (salva la possibilità dell'archiviazione) sino alla comunicazione dell'inadempimento della prescrizione o del mancato pagamento della sanzione amministrativa, una condizione di procedibilità dell'azione penale (Sez. 3, n. 14777 del 22/1/2004, Ranieri, Rv. 22846701).
In seguito, un’altra decisione (Sez. 3, n. 34900 del 6/6/2007, P.M. in proc. Loi, Rv. 23719901) affrontava nel dettaglio la questione, indicando implicitamente come obbligatorio l'espletamento della procedura nella descrizione della stessa ed osservando che, sebbene il reato contravvenzionale «sussista nella sua perfezione ontologica anche prima che si apra e si chiuda il procedimento amministrativo in questione, che condiziona la prosecuzione e l'esito del procedimento penale, e se è vero che la condotta di inottemperanza all'obbligo di regolarizzazione e di pagamento della sanzione indicato dall'organo di vigilanza, purché ascrivibile al soggetto agente quanto meno a titolo di colpa, integra una condizione di punibilità “intrinseca", cioè incidente sull'interesse tutelato dalla fattispecie, è anche vero che l'effettivo ed esatto verificarsi, in tutti i suoi passaggi, della procedura amministrativa prevista dalle disposizioni in esame, configura una condizione di procedibilità dell'azione penale», richiamando peraltro il riferimento effettuato dalle decisioni in precedenza menzionate all'obbligo di sospensione del procedimento.
La sentenza, nello stabilire che l'omessa fissazione, da parte dell'organo di vigilanza, di un termine per la regolarizzazione comporterebbe l'improcedibilità dell'azione penale, escludeva espressamente che a detta omissione possa sopperirsi mediante la concessione di un termine da parte del giudice, così ponendosi in consapevole contrasto con altra decisione di segno opposto (Sez. 3, n. 6331 del 20/1/2006, Panetta, Rv. 23348601)
A tale pronuncia e, talvolta, anche a quelle procedenti, facevano poi riferimento altre decisioni, limitandosi, tuttavia, al mero richiamo dei principi in essa affermati o, più semplicemente, a ritenere pacifica la natura di condizione di procedibilità della procedura prescrittiva (Sez. 3, n. 43825 del 4/10/2007, Di Santo, Rv 23826001; Sez. 3, n. 43839 del 24/10/2007, Paiano, Rv. 23827101; Sez. 3, n. 44369 del 24/10/2007, Rossini, Rv. 23845401; Sez. 3, n. 12483 del 8/1/2009, Giuga, Rv. 24309101; Sez. 3, n. 10726 del 9/1/2009, Dulizia, Rv. 24309201).
6. Un decisivo contributo interpretativo veniva invece offerto da una sentenza (Sez. 3, n. 26758 del 5/5/2010, Cionna e altri, Rv. 248097) che, discostandosi dai principi di cui si è appena dato conto, attraverso un’articolata disamina della normativa, precisa, in primo luogo, come sia ben possibile e del tutto legittimo che l'organo di vigilanza non impartisca alcuna prescrizione di regolarizzazione ed una tale evenienza non condizioni affatto l'esercizio dell'azione penale, cosa che invece avviene, ma per un limitato periodo di tempo, solo nel caso in cui l'organo di vigilanza impartisca al trasgressore una prescrizione di regolarizzazione. 
Inoltre, con riferimento alle ipotesi di sospensione del processo che la speciale disciplina stabilisce, osserva che essa è prevista nella sola fase incidentale finalizzata a che siano poste in essere (da parte del contravventore) le specifiche misure di sicurezza e di igiene del lavoro, prescritte dall'organo di vigilanza, con possibilità di oblazione del reato in caso di adempimento e che essa, peraltro, non è assoluta, dal momento che all'organo inquirente non è preclusa la richiesta di archiviazione, né l'assunzione delle prove con incidente probatorio, così come gli atti urgenti di indagine preliminare ed il sequestro preventivo (art. 23, comma 3 d.lgs. 758/94). Solo in tal senso, definito "molto particolare", la decisione ritiene sussistente una "condizione di procedibilità" dell'azione penale, che indicava come una parentesi finalizzata alla regolarizzazione e all'eventuale oblazione del reato.
Data tale premessa, la sentenza Cionna passa ad esaminare le varie possibilità in cui, secondo la particolare procedura, viene ad operare la particolare condizione di procedibilità ed all’esito di tale disamina rileva che, nella possibile ipotesi che l’organo di vigilanza, del tutto legittimamente, non impartisca alcuna prescrizione di regolarizzazione, l'esercizio dell'azione penale non ne verrebbe condizionato, mentre lo è, sebbene per un limitato periodo di tempo, solo nel caso in cui, all'opposto, l'organo di vigilanza impartisca al trasgressore una prescrizione di regolarizzazione (osservando, nel contempo, che il condizionamento, così costruito, risulta compatibile con il precetto costituzionale dell'obbligatorietà dell'azione penale di cui all’art. 112 Cost.).
Veniva altresì richiamata l'attenzione sul fatto che l’art. 15 d.lgs. 124\2004, oltre ad avere ampliato l'ambito di operatività del d.lgs. 758/1994, ha previsto l'applicabilità della procedura di regolarizzazione anche nei casi in cui la fattispecie sia a condotta esaurita, ovvero nelle ipotesi in cui il trasgressore abbia autonomamente provveduto all'adempimento degli obblighi di legge penalmente sanzionati prima dell'emanazione della prescrizione.
All'esito di tale disamina, la sentenza così testualmente sintetizza le conclusioni cui perviene: «a) la prescrizione di regolarizzazione può - non necessariamente deve - essere impartita dall'organo di vigilanza il quale, vuoi inizialmente (ove sia quest'ultimo a comunicare la notizia di reato al P.M.), vuoi successivamente (ove sia il P.M., che abbia ricevuto la notizia di reato da altra fonte, ad investire l'organo di vigilanza), può determinarsi a non impartirne alcuna (perché, ad es., non c'è nulla da regolarizzare, o perché la regolarizzazione c'è già stata ed è congrua); b) la sospensione del processo penale di cui all’art. 23 cit., nell'ipotesi in cui la prescrizione di regolarizzazione sia stata impartita dall'organo di vigilanza (ove sia quest'ultimo a comunicare la notìzia di reato al P.M.), ovvero possa ancora essere impartita (ove sia il P.M., che abbia ricevuto al notizia di reato da altra fonte, ad investire l'organo di vigilanza), non è mai sine die, ma ha comunque un limite temporale massimo (di cui si è detto sopra) che chiude la parentesi mirata alla conformazione da parte del trasgressore alla prescrizione di regolarizzazione, nel senso sopra chiarito, impartita dall'organo di vigilanza; c) non ce alcun "diritto" del contravventore a ricevere la prescrizione di regolarizzazione dall'organo di vigilanza con assegnazione del relativo termine per adempiere; egli è comunque tenuto a "regolarizzare" - ossia a rispettare le norme di prevenzione in materia di sicurezza e di igiene del lavoro - anche se alla prescrizione di legge non si aggiunga la prescrizione dell'organo di vigilanza di rispettarla adottando in particolare "specifiche misure"; ma in ogni caso egli, ove abbia "regolarizzato" adottando misure equiparabili a quelle che l'organo di vigilanza avrebbe potuto impartirgli con la prescrizione di regolarizzazione, può comunque chiedere al giudice di essere ammesso all'oblazione in misura ridotta, beneficio che non gli è precluso dal fatto che nessuna prescrizione di regolarizzazione gli sia stata impartita dall'organo di vigilanza (ciò in ragione di un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 24, comma 3)».
Si giunge poi all'ulteriore conclusione secondo la quale il fatto che l'organo di vigilanza, nel comunicare la notizia di reato al Pubblico Ministero, non abbia impartito alcuna prescrizione di regolarizzazione all'imputato, non preclude, se è stata constatata l'avvenuta regolarizzazione, la richiesta di ammissione all'oblazione in sede amministrativa, così come non impedisce, successivamente, la richiesta dell'imputato al giudice di essere ammesso all'oblazione ordinaria in sede giudiziaria nella stessa misura agevolata dell'oblazione in sede amministrativa.
Alla luce di quanto sopra esposto, dunque, l'eventuale mancato espletamento della procedura di estinzione non avrebbe comportato l'improcedibilità dell'azione penale e non avrebbe comunque precluso al ricorrente di definire la propria posizione attraverso l'oblazione in sede amministrativa o penale.
Tali principi venivano successivamente ribaditi (Sez. 3, n. 5864 del 18/11/2010 (dep. 2011), Zecchino, Rv. 249566) e ad essi si richiamava anche una successiva pronuncia (Sez. 3, n. 20562 del 21 /4/2015, Rabitti, Rv. 26375101 ).
7. Ciò nonostante, altre decisioni continuavano, sebbene incidentalmente, a richiamare i principi affermati prima della sentenza Cionna (Sez. 3, n. 34750 del 3/5/2011, Costantini, Rv. 25122901; Sez. 3, n. 5892 del 24/6/2014 (dep. 2015), Giordano, Rv. 26406201; Sez. 3, n. 45228 del 03/07/2014, P.M. in proc. Chinello, Rv. 26074501; Sez. 3, n. 37228 del 15/09/2015 (dep. 2016), Eheim, Rv. 26805001). 
8. Ciò posto, a superamento delle difformità interpretative dianzi evidenziate, ritiene il Collegio che vada condivisa e riaffermata l'articolata lettura della disciplina in esame effettuata con la sentenza donna, perché maggiormente rispondente ad una interpretazione costituzionalmente orientata delle norme esaminate, effettuata tenendo presenti tutti i possibili sviluppi della complessa procedura di prescrizione, prospettandone un'applicazione pratica che garantisce al contravventore una più ampia possibilità di beneficiare della procedura estintiva assicurando, nel contempo, una più rapida definizione del procedimento penale.
Una diversa soluzione, peraltro, potrebbe condurre, come sembra emergere dalla lettura delle decisioni che l’adottano, alla definizione del processo mediante dichiarazione di improcedibilità dell'azione penale sulla base della mera formale assenza della procedura estintiva, senza alcuna possibilità di verifica delle ragioni che l’hanno determinata.
9. Venendo alla trattazione del caso in esame, va rilevato che una tale evenienza è proprio quella che viene prospettata dal ricorrente, il quale, attraverso un richiamo ad uno dei precedenti conformi alla sentenza 34900/07, assume che l’azione penale nei suoi confronti non avrebbe potuto essere iniziata perché non gli era stata notificata alcuna prescrizione.
Il motivo, peraltro genericamente formulato, è tuttavia infondato per le ragioni dianzi illustrate.
10. Il ricorso non merita accoglimento e dovrebbe pertanto essere rigettato. Va tuttavia rilevato che, nelle more del presente giudizio, risulta essere spirato il termine massimo di prescrizione dei reati, che considerate le interruzioni ed in assenza di sospensioni, va individuato nella data dell'8/2/2016.
Di tale evenienza deve quindi prendersi atto, con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata
 

 

P.Q.M.

 


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché i reati sono estinti per prescrizione. Così deciso in data 13.1.2017